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L’amministrazione dei Bagni Penali

di Guglielmo Evangelista (*)

Ci si potrebbe domandare che cosa c’entrino con la Marina queste antiche istituzioni: c’entrano, e non per caso.
Nei secoli passati il sistema carcerario era molto diverso da quello attuale: in genere per i reati minori i  piccoli delinquenti se la cavavano con qualche frustata o qualche tratto di corda e potevano tornarsene a casa loro mentre nelle prigioni si trovavano specialmente i detenuti in attesa di confessione o di giudizio, qualche prigioniero politico e, soprattutto, come era uso un tempo, i debitori insolventi.
Invece, quando il reato era grave, sempre che non meritasse la pena capitale, chi era condannato veniva mandato a remare sulle galere e spesso  gli stati che non avevano il mare “vendevano” per pochi soldi i loro criminali a quelli rivieraschi.
Tuttavia, dalla fine ‘700 in poi, le galere vennero sempre meno utilizzate soppiantate dalle navi a vele quadre. Ne sopravvisse qualcuna fino a metà del XIX secolo per i servizi costieri e come rimorchiatori nei porti, ma ormai i rematori erano uomini liberi facenti parte degli equipaggi.
Quindi, gradatamente, sempre più condannati vennero sbarcati e detenuti a terra, utilizzati in vari tipi di lavori forzati, specialmente quelli connessi alla costruzione e alla manutenzione delle navi militari. Il numero dei galeotti, comunque, era piuttosto limitato   perché nello stesso tempo molti delinquenti venivano avviati nei normali penitenziari di “terra” dipendenti dall’amministrazione carceraria che, adeguandosi ai moderni principi umanitari,  stavano assumendo la struttura conservata ancora oggi.

DCF 1.0

Poiché il servizio sulle galere dipendeva in tutto e per tutto, equipaggi e rematori, dalla Marina Militare, nella prima metà dell’800, anche dopo la scomparsa delle navi a remi, l’ amministrazione dei forzati restò a lungo affidata alla Marina.
Questi luoghi di detenzione si chiamavano bagni penali forse perché il nome si rifaceva alle prigioni  di Costantinopoli che sorgevano in prossimità dei bagni pubblici o perché in origine la pena era espiata a bordo delle galere e quindi sull’acqua; molto meno probabile è che derivasse dal fatto che l’umidità delle celle, talvolta sotto il livello del mare, fosse altissima.
Ad ogni modo, se prima la galera era un incubo sia per la fatica sia perché pochi sopravvivevano arrivando alla fine della condanna, il bagno penale ottocentesco era invece considerato un luogo migliore delle altre prigioni perché i forzati non erano isolati, ma per  lavorare venivano condotti all’esterno e  potevano tenere contatti con gli operai civili. C’erano occasioni per procurarsi piccoli guadagni extra e con qualche sotterfugio ci si poteva incontrare con donne di malaffare.
Alla vigilia dell’unità d’Italia il sistema penitenziario navale venne riorganizzato con il Regio Decreto del 19 settembre 1860.
I bagni penali del Piemonte, divisi fra bagni di terraferma e di Sardegna, erano i seguenti:
– Arsenale  di Genova (Con i bagni dipendenti della Foce e del Varignano)
– Cagliari, Alghero e  Paulilatino (quest’ultimo destinato solo alle attività agricole)
A questi si aggiunsero in quello stesso 1860 i bagni di Ancona e Portoferraio ed infine quelli dell’ex Regno delle Due Sicilie, piuttosto numerosi: verso il 1850 risultano esistenti quelli della Darsena di Napoli, e poi Gaeta, Procida, Nisida, Pozzuoli,Brindisi, Palermo, Favignana, Trapani e Porto Empedocle; sono però noti anche quelli di  Castellammare,  Pescara, Crotone, Isole  Tremiti,. Lampedusa,  Ustica e Santo. Stefano.
Tutto il personale destinato al governo dei detenuti e alla loro amministrazione proveniva dalla Marina Militare e molto più raramente anche dall’esercito. Si accedeva ai ruoli a domanda venendo inquadrati secondo il grado già ricoperto; la paga e i dritti acquisiti erano quelli dei corrispondenti gradi della Marina.
A differenza degli ufficiali di vascello, il personale del Commissariato e Sanitario destinati ai bagni rimaneva invece nei ruoli d’origine.
A questi si affiancavano scritturali civili, contabili e altro personale di servizio, fra i quali un direttore agronomo per il bagno di Paulilatino.

Nel 1860 il ruolo comprendeva:
– Un Ispettore Generale dei bagni, con rango di contrammiraglio  (Prima del 1860 le sue funzioni erano esercitate dal Comandante in capo della Marina Sarda, che peraltro rimase l’autorità suprema).
– Due ufficiali superiori (Direttori a Genova e a Cagliari).
– 11Capitani di 1^ e 2^ classe (Fra questi venivano scelti  due Sotto direttori (che potevano essere promossi anche la grado di maggiore) e i  Direttori dei bagni succursali.
– 7 Luogotenenti.
– 9 Sottotenenti.
– 22 Capi Guardiani (Con rango di sergente).
– 264 Guardiani di 1^, 2^, 3^ classe (Scelti su domanda fra i marinai o i graduati).
Gli ufficiali costituivano la cosiddetta “ufficialità dei bagni” e facevano parte della Regia Marina pur non costituendone uno dei corpi, ma un’amministrazione indipendente come i Consolati di Marina  antenati delle Capitanerie di porto ma, a differenza del personale di questi, mantenevano lo status militare.
L’amministrazione napoletana, dove si diceva che la disciplina fosse meno dura rispetto al Piemonte, era sostanzialmente analoga e in origine aveva a capo un  “Tenente Generale delle galere” sostituito poi dal colonnello comandante il Reggimento della Real Marina con un capitano di fregata come vice comandante.
L’uniforme degli ufficiali prevista nel 1860 era  simile a quella dell’esercito: turchina con filettature scarlatte e – unica concessione alla provenienza “navale” – con pantaloni bianchi in estate; i distintivi di grado erano uguali a quelli stabiliti per gli ufficiali dell’esercito inquadrati nello Stato Maggiore delle piazze. Solo l’Ispettore e i Direttori potevano conservare l’uniforme di provenienza.
Il personale subalterno indossava invece la normale divisa delle guardie carcerarie.
Con il Regio Decreto del 29 novembre 1866 l’ormai anacronistica amministrazione dei bagni passò al Ministero dell’Interno e al vertice della piramide gerarchica fu posto il Direttore Generale delle carceri.
Naturalmente, come avviene sempre in Italia, alle disposizioni fondamentali non seguì un’adeguata armonizzazione delle altre norme, tanto che rimasero in vigore i regolamenti disciplinari dell’antica marina militare sarda, sempre severissimi rispetto a quelli, peraltro non certo improntati all’indulgenza, delle carceri ordinarie e la competenza per i reati commessi dai detenuti ai lavori forzati restò affidata ai Tribunali della Regia Marina, che erano solo tre e dovevano far fronte ai numerosi penitenziari sparsi per tutta la penisola.

Soltanto nel 1876 cessò ogni ingerenza nel settore della delinquenza comune da parte della Marina.
Chi scrive ha anche avuto notizia che il bagno penale di Paulilatino fu poi trasformato in una normale Azienda agricola restando di proprietà della Regia Marina (con sigla AG.RE.MA.). Non è stato però possibile rintracciate altre notizie

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