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La Marina Italiana durante i moti di Palermo 1866

di Francesco Carriglio
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Il 16 settembre 1866 a Palermo si levava un grande tumulto, provocato da sobillazioni di fautori del decaduto regime borbonico e di gente incline al malaffare. La parte peggiore del popolo che sempre è amante delle novità, quali esse siano, piuttosto che del vivere pacifico e corretto, fu indotta a sollevarsi contro le autorità costituite, le quali avevano allora, nell’isola, poche forze ed inadeguate agli improvvisi avvenimenti. Perciò le truppe si videro costrette a ridursi alla difesa dei principali edifici, quali il: Palazzo Reale, il Palazzo delle Finanze, il Carcere e il forte di Castellamare. Nel porto c’era la pirocorvetta «Tancredi » che con i suoi tiri impediva ai ribelli di impadronirsi di tali località. La squadra navale d’operazione, al comando del contrammiraglio Riboty, trovavasi a Tarante, quand’ebbe ordine di raggiungere; Palermo, parti il 17, e il 19 mattino giunse all’ancoraggio nel golfo della capitale della Sicilia, Le condizioni della guarnigione erano divenute assolutamente precarie, mancavano i viveri e le sistemazioni di difesa non erano atta ad arrestare l’impeto dei rivoltosi. L’ammiraglio Riboty fece subito armare il corpo di sbarco di 1000 uomini e lo pose agli ordini del capitano di fregata Emerich Acton. I marinai presero terra sotto la protezione delle lance armate in guerra e, con una veloce avanzata raggiungevano la porta Maqueda, ove gli insorti si erano fortemente trincerati. Il giorno dopo le operazioni da parte dei marinai proseguirono con l’assalto alle posizioni nemiche e, tale fu lo slancio dimostrato che riuscì possibile porre in fuga i ribelli e ristabilire le comunicazioni con i posti assediati. Giungevano per via di mare le truppe di rinforzo con il generale Angioletti; però fu lasciato al corpo da sbarco della Marina l’incarico di portarsi verso i punti più minacciati, nei quali il valore dei Marinai e quello degli ufficiali e del comandante effettuarono la conquista delle barricate accanitamente difese. Il comandante Acton alla testa della sua truppa di mare riscosse l’ammirazione del generale Angioletti; il tenente di vascello Eugenio Grandville, benché ferito, non abbandonò la sua compagnia ed il combattimento.

L’ammiraglio Riboty così chiudeva l’ordine del giorno rivolto ai suoi coraggiosi marinai: «Voi siete stati terribili nella pugna, generosi nella vittoria. Affamati avete dato il vostro pane ai vinti, che lo erano forse meno di voi ».

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