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Il primo Marinaio delle Alpi centrali

di Giorgio Gianoncelli

Chi sia stato il primo marinaio della Marina da Guerra Italiana della provincia di Sondrio sarà molto difficile stabilirlo.
Questa valle prima della metà del XVII secolo non ha buone strade di comunicazione: lo Zapel dell’Aprica in alta quota a sud est che porta ai piedi dell’Adamello lungo le valli della provincia di Brescia, la mulattiera verso il passo San Marco (1200 m) a sud ovest che raggiunge le valli della provincia di Bergamo nel dominio della Serenissima Repubblica di Venezia, e il sentiero-mulattiera che raggiunge Colico, Lecco e Como ad ovest verso la valle Padana sono le uniche vie di comunicazione transitabili a piedi per i meno abbienti, a cavallo per i benestanti e le merci in transito trasportate a dorso di mulo o per via fluviale sui fiumi Adda e Mera fin dove possibile.

In ogni caso n dai primi anni del XVI secolo sono stati molti gli uomini che hanno lasciato la valle per emigrare verso luoghi di maggiore possibilità e sicurezza economica, e questa consistente fase passa per almeno due secoli e le correnti migratorie si sviluppano su quattro grandi itinerari e si orientano molto secondo le località d’origine. Gli uomini residenti nelle località di confine preferiscono il centro Europa, altri si dividono tra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica di Venezia con cui la Valtellina tiene rapporti commerciali e militari, altri raggiungono i porti di Genova, Livorno, Napoli e Palermo; una parte consistente raggiunge Roma dove, con il tempo si è addirittura formata una vera colonia di valtellinesi e valchiavennaschi.

Con un po’ di fantasia non è da escludere ma da credere, che alcuni di questi giovani uomini partiti dalla Valtellina per cercare lavoro in quelle città di mare, si siano arruolati nelle particolari marinerie.
È chiaro che la maggior parte dei montanari che hanno raggiunto quei porti andava per svolgere lavoro di facchinaggio, quindi, “scaricatori di porto” ma da quella situazione ad imbarcare su qualche veliero come mozzo, il passo è breve. Senza contare che la colonia valtellinese a Venezia era molto folta e molti operavano nella costruzione delle case soprattutto come operatori del legname (carpentieri), pertanto nulla vieta di pensare che alcuni uomini dal fisico robusto com’erano i nostri valligiani, non possano aver preso imbarco su qualche legno armato della Serenissima, tanto più che nella seconda metà del XVII secolo, dopo una caduta politica, commerciale e militare durata lunghi anni e aggredita dalla pirateria barbaresca che infesta l’Adriatico, Venezia tenta di risollevarsi riorganizzando la flotta da guerra che affida prima a Jacopo Nani, poi ad Angelo Emo* che, con 5 vascelli, 5 fregate, 4 corvette e una nave ospedale, rastrella il Mediterraneo da Venezia a Biserta per distruggere navi e covi della pirateria levantina e nord africana.
Un’altra ipotesi di potenziali marinai non documentata, deriva dal fatto che il fiume Adda in quel periodo, molto ricco di acqua e di pescagione, per la quasi totalità era navigabile. Sul fiume operava una discreta e vivace flotta di barche per la pesca e alcuni di questi pescatori, attraverso il Lario e poi ancòra l’Adda e il Po, potrebbero essere approdati verso le valli di Comacchio, quindi aver trovato il modo di diventare marinai.

Tenuto conto della possanza sica e dell’adattamento nelle più difficili situazioni dei montanari della provincia di Sondrio e l’avvento della propulsione mista vela-vapore delle navi, costa niente credere che qualcuno sia finito su queste unità come carbonaio-fochista.
Sono queste ipotesi un po’… ardite, ma in mancanza di prove è lecito stimolare la fantasia; in ogni caso la nostra storia riguarda in particolare modo i marinai imbarcati sulle navi da guerra d’ogni tempo e il difficile è proprio qui, dove bisogna accantonare ipotesi fantasiose e andare sul certo.

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