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9 agosto su nave Flegetonte

di Franco Orlandini

Queste pagine cosa sono, infine?
Una specie di elettroencefalogramma o un cardiogramma di una esistenza vera e tangibile, quasi sempre vissuta aspramente e senza consentirsi riflessioni. Questi fogli sono da considerare aggiornamenti.
San Lorenzo di un secolo fa.
E’ notte fonda. Tra la mezzanotte e l’alba, quando ci si sente parecchio soli al mondo. Vento stabile da ovest-nordovest. Mare nero puzza di sale caldo, penetrante e stordente, e plancton fosforescente si arrotola lontano dalla prua, incanta gli occhi, fa scivolare nel non pensiero, niente passa per la mente, un vuoto perso in quel fluttuare luminoso, e a volte non pensare è meglio.

La cisterna non è dotata di radar: è una vecchia carretta, buona solo per navigazione sottocosta, così nella notte si naviga a vista. Per quel che possono servire, fuori, all’aperto, ci sono due marinai, uno a dritta ed uno a sinistra. Loro sono gli occhi della nave. Scrutano l’orizzonte per 180°, cannocchiali alla mano. La plancia è al buio, tutta la nave è al buio, proprio per non creare riflessi che possano impedire di vedere nella notte là, oltre la piccola luce rossa installata sulla prua. Quella luce indica alla plancia dove finisce la nave e dove inizia il mare. Gli uomini del turno di seconda sono silenziosi, persi ognuno per proprio conto. Il comandante è a dormire ed è il nostromo a farne le veci. Al timone c’è il Livornese, non servono i nomi, è comunque il miglior timoniere a bordo, quello di manovra, con lui si approda sicuri di non sbattere nelle banchine.
Il pulsare dei motori si trasmette alle strutture d’acciaio e batte come un cuore, forse è davvero un cuore, forse la vecchia carretta ha davvero un’anima, ormai. Il contromare, induce nello scafo un digrignare che a volte diventa lamento di vecchie lamiere, uno scricchiolìo che parte da prua e che si perde a poppa. Se appoggi la mano su qualsiasi superficie, la vibrazione metallica t’entra dentro ed entri anche tu dentro quell’acciaio, una ben strana unione, se ci rifletti bene. Tuttavia la vecchia nave si ostina a navigare, seppure appesantita dagli annosi strati di vernice che cercano di mascherare la ruggine squamosa, le perforazioni dei tumori di vecchiaia ed ecco che la vernice si rigonfia, sbolla, si sgretola mangiata dal salmastro. Ne ha solcate, di acque, e ne ha viste di lune, la vecchia cisterna. Un bel giorno qualcuno decise che doveva attraversare l’Atlantico e per una nave fluviale dev’essere stato mitico navigare per giorni incontro al sole nascente. Dalla tranquilla navigazione sul verde sporco e fangoso del Mississippi all’appena increspato azzurro scuro del Mar Tirreno, che non sarà un oceano ma ha pur sempre le sue onde maligne e le sue immense profondità. Il suo fondo piatto mal si addice all’onda breve e corta. La prua è dritta e verticale e la fa sembrare un vecchio ferro da stiro, di quelli che si scaldavano con la brace. Nonostante tutto naviga. Rumorosa, fumigante, percorsa da migliaia di scricchiolìi, ancora riempie i suoi cavernosi tanks di carburante, di acqua potabile e naviga, nessuno sa bene come, ma naviga.
Sarà per quello che gli uomini del turno di notte sono silenziosi, forse sono stupiti di stare ancora a galla sul ferrovecchio.
La campana di cielo di quest’agosto puzzolente di gasolio, di lavoro sudato e continuo, di fatica malpagata, è la solita meravigliosa passerella di stelle, – quante sono? Sei – settemila, non di più. Ma sembrano davvero miliardi – ormai non la guarda più nessuno, si fa l’abitudine anche allo splendore, oltre che alla feccia.
Il bolide attraversa l’orizzonte da dritta a sinistra con un albedo di pochi gradi, rapido. Si libra, sembra, trasformando la notte in cielo dal fulgore blu – ghiandaia, azzurro-palpitante e canuto -iridescente come un maestoso lampo, come una saetta, maestoso come un sole mutante che in un battito di ciglia nasce ad ovest e tramonta a sud, parallelo al mare, all’orizzonte, sfiora la prua per un attimo d’eternità, scompare. Scompare scintillando e lasciando negli occhi la scia di un arcobaleno incendiato.
E’ ancora più silenziosa la plancia, adesso. Per un attimo tutti sono volati sulle stelle, al bello frantumato e dimenticato ed ora ricordato, da oriente ad occidente fin dove arriva l’occhio in movimento, in quel mistero ch’è lo splendore e la meraviglia del mondo, il bagliore e la gloria del tuono che illumina, fuori di sé, oltre la prua, oltre l’orizzonte, oltre la comprensione, da qualche parte là, dove tutti si fanno domande senza aver risposta alcuna.
La nave-cisterna arranca affaticata, lo scafo vibra frenetico sul sibilo acuto delle macchine a scoppio.
Il turno di seconda avrà il cambio alle 04.00.

10 commenti

  • Paolo Montalba

    Ciao Ezio Pancrazio Vinciguerra ho letto il racconto sono tornato indietro di tanti anni quando pure io da sergente facevo la seconda comandata e la ronda a Taranto tante di quelle volte..ero su nave Stromboli

  • Cosimo Anaclerio

    Bellissima immagine della nostra nella Taranto e che l’industria ha distrutto. Grazie Ezio.

  • Nicolò Meo

    Mi ha fatto ricordare quando, subito dopo aver doppiato Capetown risalendo verso il Golfo Persico, incontravamo banchi di plancton fosforescente che ci facevano compagnia la notte

  • Gianni Garuti

    Ciao Ezio. Non so se è la stessa nave. Ma io me la ricordo la cisterna Flegetonte. Riforniva d’acqua l’isola del Giglio ma sono passati circa 50 anni. È possibile che sia la stessa? Un grosso abbraccio a tutte le genti di Mare.

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