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Raffaele Lasalandra, Marcellino Mastrolorenzo e la regia nave Panigaglia

di Nicola Aversa

Riceviamo e con commozione pubblichiamo.

Ciao Ezio,
Ti chiedo un parere se va bene leggere questo pensiero su Lasalandra a fine messa. Un pensiero per Lasalandra Raffaele.
Il 1° luglio del 1947, 70 anni fa, la nave da trasporto munizioni della Marina Italiana “Panigaglia”, esplodeva al largo di Porto Santo Stefano (Grosseto, Toscana).
La nave della Marina si trovava a circa 4 km da Porto ed erano in corso operazioni di scarico delle munizioni.
L’esplosione uccise 68 persone, tutti marinai e membri dell’equipaggio.
Raffaele Lasalandra faceva parte dell’equipaggio della nave.
I sui resti recuperati trovano riposo insieme a quelli della madre nel cimitero di Mola.
Dalla nave si elevò una nuvola di fumo denso e nero, man mano che la nuvola saliva diventava sempre più chiara, diventava di colore azzurro.
Raffaele, la nuvola era la tua nave che salpava per l’ultima volta Tu eri a bordo scortato da una schiera di angeli che indossavano la divisa della Marina.
Le porte del Paradiso si spalancarono per Te non sei più solo nella nebbia e nelle tempeste hai trovato eterno riposo insieme al Signore.
Anche se molti di noi non Ti hanno mai conosciuto, mi sento di dire a nome di tutta la tua famiglia e dei Marinai d’Italia che occupi per sempre un posto speciale nei nostri cuori.
Hai vissuto una vita sicuramente intensa, breve e fuori dal comune, una vita straordinaria, in terra, in mare e in famiglia.
Un abbraccio grande, profondo e trasparente, a Te e ai tuoi cari, come quel mare che ci portiamo dentro e che nessuno mai potrà inquinarci.
Nell’immenso grande mare del Nostro Signore, Riposi in pace.


Nave Panigaglia, una nave molto sfortunata
tratto da www.capodomo.it
Il 1° luglio del 1947, poco dopo le 11, nelle acque dell’Argentario antistanti Santa Liberata esplose la nave ausiliaria porta munizioni Panigaglia. La nave, della Marina Militare, normalmente imbarcava un equipaggio di 3 ufficiali e 61 marinai.
Il Panigaglia fu varato a La Spezia nel 1923.  Durante il conflitto ebbe largo impiego come posamine nella Regia Marina. Alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, la nave fu catturata dalle truppe tedesche, ma l’ottobre seguente, centrata da alcune bombe durante un attacco aereo, affondò nel Golfo di La Spezia. Recuperata dai tedeschi e riparata nell’Arsenale di La Spezio l’unità, ribattezzata Westmark, fu incorporata il 28 settembre 1944 nella Kriegsmarine come posamine con una capacità da 30 a 53 ordigni. Il 19 aprile 1945 la Westmark andò una seconda volta a picco, autoaffondata dai tedeschi prima della resa.
Il relitto dell’unità venne riportato nuovamente in superficie nel 1946. Dopo le riparazioni la nave, che aveva ripreso il vecchio nome di Panigaglia, tornò a riprendere servizio come trasporto munizioni per la Marina Militare. Il trattato di pace del 1947 assegnò la nave alla Francia ma la cessione, che avrebbe dovuto svolgersi nel 1948, non ebbe mai luogo in quanto si preferì destinare l’unità alle operazioni di smilitarizzazione dell’isola di Pantelleria imposte dal trattato di pace.
(fonte: Wikipedia)


Da l’UNITA’ di mercoledì 2 luglio 1947
Il primo allarme pare si sia avuto verso le 11 quando uno scoppio a prua, apparentemente di scarsa gravità, faceva avvertiti i marinai che qualche cosa di grave stava per accadere. Subito i membri dell’equipaggio si precipitavano, seguiti dai 12 operai addetti allo scarico, verso il luogo minacciato. Il capobarca Armando Loffredo , domandava se doveva allontanarsi o no con il barcone, che era già quasi completo del carico da trasportare a terra. Non faceva in tempo a ricevere la risposta. L’esplosione a prua ne provocava, per simpatia, altre. In breve tutta la coperta divenne un inferno di esplosioni: saltavano in aria i piccoli mucchi di munizioni accatastate sul ponte in attesa del trasbordo e con esse saltavano in aria pezzi di coperta che ricadevano con lugubri tonfi nel mare. Una parte delle munizioni fu proiettata su Monte Argentario provocando l’incendio, ancora non domato, di una macchia. Rapidamente il ponte fu sommerso da un mare di fiamme e di fumo. Sotto coperta era un inferno di urla e di uomini che correvano verso i boccaporti in un ultimo disperato tentativo di salvarsi cercando la vita nel tuffo in mare. A nessuno però il disperato tentativo riuscì Le esplosioni si propagarono sottocoperta e alle 11e 10 con un fragoroso boato, mentre il semaforo di Monte Argentario trasmetteva verso terra disperati segnali di soccorso, saltava in aria l’intero deposito di munizioni. Poi saltavano le caldaie e getti di vapore bollente si levavano in aria. La nave si rovesciava immediatamente. Il barcone della Montecatini scompariva addirittura e con lui il capobarca Loffredo di cui non sono stati neppure ritrovati i resti.

Il mattino del 21 giugno 1947 la nave era partita da Pantelleria del con un carico di 330 tonnellate di munizionamento dell’esercito, destinato al deposito munizioni di Pozzarello ed era giunta a Porto Santo Stefano alle ore 13 del 26. Aveva dato fonda nella baia di Santa Liberata ed utilizzava per il trasporto a terra delle munizioni, barconi e rimorchiatori messi a disposizione dalla Società Montecatini con sede a Orbetello.
Il fragore dell’esplosione, che fece tremare tutte le case di Porto Santo Stefano, lasciò sbigottiti gli abitanti. Solo il denso fumo che si levava dal mare, là dove sapevano che il Panigaglia era alla fonda, fece loro capire l’accaduto.
La notizia ufficiale dell’incidente fu data alle ore 11,10 dal semaforo di Monte Argentario: si comunicava che durante le operazioni di scarico, per cause imprecisate, vi era stata una violenta esplosione, che aveva provocato la perdita della nave e la morte presunta di gran parte dei membri dell’equipaggio, degli operai civili e del maresciallo della sezione staccata di artiglieria di Grosseto, adibiti allo scarico. Con il Panigaglia era saltato anche uno dei barconi della Montecatini utilizzati.
Del Panigaglia rimaneva sul mare, tra innumerevoli rottami sparsi in un ampio raggio, solo uno spezzone della poppa ancora affiorante. I soccorritori, accorsi per raccogliere eventuali superstiti, esplorando il relitto, udirono il suono di colpi metallici ritmici provenire dall’interno. Iniziò così una generosissima gara per trarre in salvo coloro che erano rimasti imprigionati.

Nel resoconto in Parlamento fatto il giorno stesso dell’accaduto, il Primo Ministro De Gasperi così concludeva il suo intervento:
Un quarto d’ora fa ho ricevuto un telegramma, che lascia un raggio di speranza per qualcuno che in un primo tempo era considerato vittima. Il telegramma dice: «Stamane ore 11 nave Panigaglia saltata in aria rada Santa Liberata per esplosione oltre tonnellate 300 munizioni. Inviati soccorsi terra et mare sotto direzione questo Circomare. Ricuperati fino at questo momento quattro cadaveri. Su spezzone estrema poppa affiorante in basso fondale avvertito presenza personale vivo: corso operazione perforazione lamiera fiamma ossidrica per estrazione con probabilità successo.. Circomare Porto Santo Stefano 141001». Esprimo l’auspicio, anche in nome vostro, onorevoli colleghi, che il loro martirio valga almeno a cementare sempre più saldamente le nostre forze, di noi che siamo vivi, per lavorare e per costruire.


Dallo spezzone di poppa fu estratto un marinaio ancora in vita, Salvatore Somma, con gravi ferite ed ustioni in varie parti del corpo. Sarà l’unico sopravvissuto di quanti erano a bordo della nave.
Nell’incidente del Panigaglia perirono complessivamente 63 persone tra i membri dell’equipaggio e maestranze adibite allo scarico del materiale esplosivo. Dell’equipaggio si salvarono, in quanto in quel momento a terra, il tenente di vascello comandante, il sergente radiotelegrafista, il sottocapo furiere, un infermiere ed un marinaio. Tra le maestranze civili decedute vi fu un solo santostefanese, il capobarca Armando Loffredo. Si trovava sul barcone accostato al Panigaglia sul quale, nel momento dell’incidente, venivano trasbordate le munizioni.
Gli abitanti di Porto S.Stefano dedicarono, su una chiesetta a Santa Liberata, una lapide dedicata alla santa, a ringraziamento per il loro scampato pericolo e di suffragio per le vittime.
A ricordo del Panigaglia e di quanti perirono in quel giorno d’estate rimane un’ancora con un tratto di catena sulla foce del Canale della Peschiera, a Santa Liberata.

Da “Assemblea Costituente”:  Relazione del Ministro della Difesa Mario Cingolani (2 luglio 1947)
“...mi sono recato sul posto ieri sera e per tutta la notte ho assistito ai tentativi di innalzamento della poppa del relitto della nave saltata in aria. Posso dire che tanto da parte degli elementi della Marina che dell’Esercito, come da parte di marinai civili, è stato fatto tutto quello che si poteva per tentare di penetrare nella poppa della nave affondata. 
La voce che si era sparsa, e che sembrava seria, che fossero rinchiusi nella poppa e protetti da una bolla d’aria cinque superstiti, è purtroppo priva di ogni fondamento. 
Il lavoro fatto per portare a salvamento l’unico sopravvissuto, tale Salvatore Somma, militarizzato, è stato intensissimo. La perforazione della lamiera è stata fatta con molta difficoltà, anche perché le scintille e il fumo arrivavano all’interno del piccolissimo locale ripieno di rottami di macchine, nel quale si sosteneva, con l’acqua fino alla gola, questo operaio che era indubbiamente dotato di energia fisica ed energia morale veramente notevoli. Ed infatti dall’interno ha potuto, attraverso due fori che erano stati praticati al principio per potergli fare arrivare un poco di luce e d’aria, dirigere l’operazione, avvertendo di sospenderla al momento in cui il fumo e le scintille minacciavano di togliergli quel poco d’aria che riusciva a respirare. Da uno dei due fori che erano stati praticati gli è stata passata una bottiglia di cognac che egli ha appena assaggiato, dicendo che sentiva che gli avrebbe fatto male. 
Il militarizzato Somma aveva accanto a sé un compagno di cui conosceva appena il nome che egli ricorda come un essere molto gracile. Questi non ha potuto mai battere la parete. 
I colpi battuti ripetutamente erano pertanto del solo Somma, che ha agito senza pensare di proposito al loro numero, e non per far conoscere, come gli era stato richiesto dal primo foro praticato, quanti erano i salvati. 
Ne viene di conseguenza che quando, con ripetuti sforzi, dall’unica perforazione resa possibile dal mare che era frattanto divenuto cattivo, si poté trarre fuori lo scampato, non vi fu più nessuna speranza di poter salvare con lui altri superstiti. Così che la speranza a cui ci si era attaccati, dopo l’interrogatorio del Somma, di poter salvare i presunti cinque uomini, era destituita di fondamento. 
Posso aggiungere che il lavoro notturno fu effettuato da un solo palombaro della Marina militare perché gli altri civili accorsi non hanno ritenuto di poter lavorare di notte con l’ausilio di un grande faro, ma che illuminava, sott’acqua, solo a minima profondità. 
I marinai civili hanno fatto una bellissima opera con dei sacchi di rena per cercare di delimitare la zona per tutta la durata del mare mosso, intorno al portello aperto con la fiamma ossidrica. Ma purtroppo il mare lungo succeduto al mare mosso ha impedito che si potesse proseguire nell’opera intrapresa. 
Sono stati convogliati al luogo del disastro i pontoni più potenti che possiede la nostra Marina e in particolare quello di La Spezia che può sollevare fino a 400 tonnellate…..ma essi, per la loro velocità limitatissima, sarebbero potuti arrivare nelle acque di Santo Stefano soltanto nel pomeriggio di oggi. 
Il palombaro militare, che ha lavorato con estrema abnegazione, è riuscito ad imbragare la poppa; dico la poppa perchè l’esplosione è stata tanto violenta da sollevare completamente in aria il Panigaglia, rovesciarlo su se stesso e lanciarlo ad oltre 100 metri dalle boe. 
Intorno relitti umani sono stati raccolti in piccola quantità. Forse molti morti sono ancora nello scafo. 
Quattro morti sono stati raccolti nell’ospedale di Orbetello, dove ci sono due feriti: il Somma che va riprendendosi rapidamente, in preda a choc nervoso, e ferito nelle parti posteriori in seguito alle lacerazioni prodotte dai rottami di macchina, ed un ferito civile che passava in camion sulla strada e che è stato sbalzato fuori dal veicolo per la violenza dello spostamento d’aria. Non vi sono altri feriti. 
Due case sono state colpite, delle quali una è veramente danneggiata; un enorme pezzo di lamiera ha perforato il tetto e si è fermato al piano superiore della casa…. Per fortuna è una casa restaurata per la villeggiatura…L’assenza della famiglia dei pigionanti ha evitato altre vittime…. 
Il lavoro di sbarco delle munizioni procedeva sempre lentamente, con grande accuratezza. Non più di 80 tonnellate per volta erano trasportati attraverso grandi telai giapponesi per poter calare senza scossoni le munizioni in due pontoni. 
Un pontone della “Montecatini” è stato travolto dall’esplosione ed il marinaio che si trovava a bordo è scomparso. L’altro pontone non ha avuto a bordo alcun morto o ferito perchè si trovava ad una certa distanza dal punto della sciagura.

Lettera scritta da Franco Lagomarsini ricordando il padre, imbarcato sul Panigaglia
Sono il figlio di una vittima di quella tragedia, mio padre era un fochista civile, Lagomarsini Pasquale. Allora avevo sei mesi. Al riconoscimento delle poche salme, si recò un cognato di mia madre, ma non riuscì ad individuare la salma di mio padre. La mia famiglia composta da due sorelle e una madre speciale dovettero in qualche modo sopravvivere pensando anche a me. Nella disgrazia, ebbi la fortuna di una famiglia con nonni zie e zii sempre uniti. Di mio padre, mi è sempre mancata la figura e il suo affetto.
Quando a 50 anni dal disastro, mi sono recato a visitare quel posto, gli unici ricordi furono una catena con un’ancora e più avanti, nel cimitero di Santo Stefano, una piccola tomba.
Ho girato quanto ho potuto per trovare delle testimonianze per capirne un po di più di quell’incidente.
Mi avevano raccontato che solo il comandante si era salvato, e che dalla nave rovesciata avevano sentito dei colpi, ma i soccorsi non erano riusciti a salvare nessuno. Nell’atto di morte presso l’anagrafe del comune, c’è solo la dichiarazione del comandante, sulla presenza a bordo di mio padre al momento dell’esplosione. Il tempo passa ma a 68 anni ci penso sempre e la gola si chiude e le lacrime in segreto scendono ancora. Quanto vorrei sapere se ha sofferto. Sono e sono sempre stato orgoglioso di lui, nel mio paese lo conoscevano come uomo tutto fare, e me lo hanno sempre descritto in maniera impeccabile sia per la volontà sia per la dedizione alla famiglia. Mi chiedo da sempre, se il comune o chi per esso, non ritenga doveroso porre una targa, qualcosa di significativo, magari con tutti i nomi. Mi piacerebbe che anche quello di mio padre fosse scritto lì da qualche parte. Mi sembra che solo quell’ancora non ricordi più a nessuno la disgrazia. I giovani chissà a cosa la collegano.” Franco


Un marinaio tra i tanti che il 1° luglio del 1947 persero la vita nell’esplosione del Panigaglia
Mastrolorenzo Marcellino 28 anni
Scrive Daniela
«... il giorno prima della tragedia ha scritto a mia nonna dicendo che il giorno successivo avrebbero scaricato le munizioni. Le chiedeva di salutare da parte sua il nipotino, a cui aveva comprato un vestito con cappellino e le diceva che qualche giorno prima era andato a ballare in paese dove aveva visto delle bellissime ragazze »

La fotografia è stata inviata da Daniela Mastrolorenzo in ricordo del fratello di suo nonno.

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