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11/12 novembre 1940, la tragica notte di Taranto


di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra



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Abbiamo atteso prima di pubblicare questa foto che ricorda una pagina di lutto e di triste impreparazione.
 Le pagine ufficiali sembrano voler dimenticare in fretta la storia ma, il ricordo dei marinai e civili caduti per un ideale di Patria e Onore, ci fa ancora arrossire e commuovere allo stesso tempo. Nessun ricordo e nessuna celebrazione.
Un popolo che non arrossisce alla vergogna e che non si commuove per i suoi figli migliori è un popolo destinato a soccombere.

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Nella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940, un improvviso attacco di aerosiluranti Sworfish della Royal Air Force (R.A.F.) bombardò la flotta navale della Regia Marina italiana dislocata nel porto di Taranto. Nel massiccio bombardamento, il regio incrociatore Trento e le regie corazzate Duilio, Cavour e Littorio furono praticamente messe fuori uso.
Di seguito, si ripartano i numeri dei marinai periti:
– Regia nave Littorio: 32.
– Regia nave Cavour: 17.
– Regia nave Duilio: 3.
I feriti furono complessivamente 581, furono anche danneggiati i regio cacciatorpediniere Libeccio e Pesano e distrutti i depositi carburanti.

La Patria
ne colse la fiorente vita
per coronarla di gloria
e cementare nel giovane sangue
i futuri destini.
I Suoi
cristianamente rassegnati
ricordano in pianto
la gentilezza del suo affetto
sempre generoso di sorridente sacrificio.
Iddio
doni nell’eternità dei cieli
il premio
alla sua fede ed alla sua bontà.

O Voi che lo conosceste e amate, ripetete il suo nome nelle vostre preghiere e non lo dimenticate.

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La notte di Taranto (11-12 novembre 1940)
da internet

Subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia fascista, nel giugno del 1940, la pochezza dell’apparato bellico nostrano era apparsa chiara alla maggior parte degli addetti ai lavori; solo la Regia Marina, in quei giorni, sembrava potesse riscattare l’orgoglio militaresco del Paese.
Negli ammiragliati di tutta europa, prima del conflitto, la flotta italiana era considerata tra le primissime al mondo anche perché superava numericamente la Mediterranean Fleet inglese, il principale sfidante. Nessuno, allora, sapeva valutarne pienamente le lacune: l’assenza di radar e portaerei, la carente coordinazione con l’aviazione e lo scadente addestramento nei combattimenti notturni.
Alcuni hanno proposto che già al tempo del conflitto italo-etiopico, quando gli ammiragli inglesi – per determinare, bluffando, la sospensione delle ostilità – rafforzarono la flotta mediterranea, fosse già circolata l’idea di ripianare in caso di guerra i rapporti di forza colpendo gli italiani nella loro tana, la base navale di Taranto.
La portaerei, autentica new entry nel campo delle battaglie navali, sembrava lo strumento adatto allo scopo; ma alla fine, il governo inglese ritirò i bellicosi propositi nel cassetto, e si limitò ad accodarsi alla blanda applicazione delle sanzioni stabilite dalla morente Società delle Nazioni.
Tuttavia, il progetto – l’impiego cioè di una forza economica, sostituibile e numericamente esigua di aerosiluranti imbarcati, per colpire una forza di per sé costosa, difficilmente sostituibile ed immobile – fu riproposto alla prima occasione valida, dopo lo scoppio del nuovo conflitto.
Churchill, che durante la Grande guerra aveva ricoperto la carica di primo Lord dell’Ammiragliato, sosteneva strenuamente le teorie d’impiego dell’aerosilurante; poté alfine veder realizzati i suoi desideri quando il 3 luglio del 1940 la Forza H dell’ammiraglio Somerville distrusse a Mers El Kebir quasi integralmente quella che una volta era stata la flotta francese alleata, colandone a picco le corazzate Dunkerque, Bretagne e Provence per evitare che andassero ad ingrossare le file della Kriegsmarine tedesca.
Le alte cariche della Marina italiana, inspiegabilmente, non trassero nessun insegnamento dal disastro di Mers El Kebir: sottovalutarono l’efficacia degli aerosiluranti, nonostante la prima dimostrazione di un lancio di siluri dall’aria andasse ascritta al capitano del genio navale Guidoni, nel lontano 1911, e scelsero di lasciare le navi in parata nei bacini, a fare da bersaglio.
Anche il servizio informazioni, nell’occasione, fornì una prova mediocre. Si lasciò sfuggire, infatti, che nel 1938 il capitano di vascello Lyster, comandante della portaerei Glorious, aveva preparato un piano per l’attacco di aerosiluranti su Taranto; e per questo, ignari di quanto si andava preparando, non si agitarono quando lo stesso capitano, a bordo della portaerei Illustrious, forzò il Canale di Sicilia, riunendosi alla flotta inglese di stanza ad Alessandria.
I giornali di tutto il modo, tranne quelli italo-tedeschi, osannarono l’inattesa vittoria, mentre i bollettini di guerra fascisti continuarono a mentire sull’entità dei danni subiti, millantando inesistenti abbattimenti. E Churchill ne approfittò per una stoccata sarcastica: “Questo avvenimento particolare”, riferì il giorno dopo ai Comuni, “assume il sapore di una beffa per il fatto che, nello stesso giorno […] l’aviazione italiana, per espresso desiderio del signor Mussolini, ha partecipato con propri aerei alle azioni di bombardamento dell’Inghilterra. Certo, gli aviatori italiani avrebbero fatto molto meglio se fossero rimasti a difendere la loro flotta nel porto di Taranto”.
Con notte di Taranto ci si riferisce ad un attacco aereo della seconda guerra mondiale avvenuto nella notte tra l’11 ed il 12 novembre 1940.
In quella data la flotta navale della Regia Marina italiana, dislocata nel porto di Taranto, riportò gravi danni in seguito ad un massiccio bombardamento ad opera della flotta aerea della Royal Navy britannica.

• 1 Premessa
• 2 Scenario
• 3 L’operazione Judgement
• 4 L’incursione nello stretto di Otranto
• 5 Effetti
• 6 Note
• 7 Bibliografia
• 8 Voci correlate
• 9 Altri progetti
• 10 Collegamenti esterni

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Premessa
La base navale di Taranto, così come tutte le basi navali italiane, era bene attrezzata per la riparazione delle unità danneggiate, grazie soprattutto alla disponibilità di grandi bacini di carenaggio, ed alla presenza nel suo arsenale di tutti i pezzi di ricambio per i macchinari e le armi.
Tuttavia si riscontravano gravi carenze per tutto ciò che riguardava la protezione contraerea e la protezione antisiluramento delle navi in porto: le batterie contraeree erano del tutto insufficienti sia come numero che come calibro, e a questo si aggiungeva la scarsa protezione notturna determinata dall’assenza del radar, per cui la rilevazione di eventuali aerei ostili in avvicinamento era affidata a vecchi proiettori di scarsa portata, guidati da aerofoni risalenti alla prima guerra mondiale.
Per quanto riguarda la protezione antisiluro, questa era affidata alle reti anti-siluro, anch’esse poco numerose a causa della scarsità di materie prime che affliggeva l’industria italiana: si producevano infatti 3.600 metri di rete al mese, da distribuire a tutte le basi italiane, e dei 12.800 metri commissionati per la protezione delle navi ormeggiate nel Mar Grande solo poco più della metà era giunta a destinazione, e molti non erano ancora stati distesi.
Scenario
Nell’agosto del 1940, entrarono in servizio due nuove unità da battaglia della Regia Marina: le imponenti navi da battaglia Vittorio Veneto e Littorio.
Queste erano lunghe 238 metri, potevano sviluppare una velocità massima di 30 nodi ed avevano un dislocamento di 41 300 t standard. Il peso complessivo della sola corazzatura era di 13 600 t. L’armamento era costituito da nove cannoni da 381/50 mm collocati in tre torri trinate, da 12 cannoni da 152/55 mm e da 12 cannoni da 90/50 mm. Vi erano inoltre 4 cannoni da 120/40 mm per il tiro illuminante, 20 mitragliere antiaeree da 37/54 mm e 30 da 20/65 mm.
Due mesi più tardi le truppe italiane invasero l’Epiro, nell’ambito della Guerra Greco-Italiana, costringendo la Gran Bretagna ad impegnarsi militarmente al fianco della Grecia, sia per evitare che gli italiani finissero per controllare il mar Egeo, mettendo così in pericolo la sicurezza di Alessandria d’Egitto, sia per scoraggiare la Turchia dall’entrare nel conflitto come alleata dell’Asse.
Questo comportò un aumento notevole del numero di convogli marittimi britannici in partenza dall’Egitto, per consentire un sempre crescente rifornimento di materiale bellico ai porti greci e all’isola di Malta, roccaforte britannica strategica tra la Sicilia e la Tunisia, vicino alla quale transitavano i convogli marittimi italiani diretti in Libia. La vicinanza di Taranto a queste manovre preoccupò notevolmente l’ammiragliato britannico, in quanto le navi italiane che vi facevano base avrebbero potuto facilmente raggiungere e distruggere i convogli marittimi britannici in navigazione.
L’operazione Judgement
La Royal Navy, nella persona del Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Cunningham, decise allora di allestire un’operazione per affondare o danneggiare le unità navali italiane dislocate nella base di Taranto, perfezionando un piano di attacco notturno con aerosiluranti studiato già nel 1935 dall’ammiraglio Lumley Lyster, all’epoca della guerra d’Etiopia. Il piano era molto rischioso e contava molto sul fattore sorpresa, in quanto le portaerei da cui sarebbero decollati gli aerei per compiere la missione dovevano portarsi ad al più 130 miglia dalla costa italiana, con il rischio di essere scoperte dal nemico. Inoltre si doveva illuminare la rada ricorrendo al supporto di aerei bengalieri, mentre gli aerosiluranti avrebbero dovuto volare a pelo d’acqua, per eludere le batterie contraeree e per evitare che i siluri affondassero nel fango del fondale basso. Pur con tutte queste precauzioni, se le navi italiane avessero steso le cortine fumogene l’azione sarebbe certamente fallita.
Il pomeriggio del 6 novembre 1940 l’operazione ebbe inizio: le navi da battaglia Malaya, Ramillies, Valiant e Warspite, la portaerei Illustrious, gli incrociatori Gloucester e York e 13 cacciatorpediniere salparono da Alessandria d’Egitto diretti verso Malta, nei cui pressi stazionava la portaerei Eagle.
L’8 novembre, allarmato da queste manovre nel Mar Mediterraneo, il Comando supremo della Marina italiana inviò unità cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili di pattuglia nel canale di Sicilia, mentre nella base di Taranto fu fatto concentrare il grosso della forza navale italiana.
Le navi britanniche raggiunsero Malta nella giornata del 10 novembre, ed il giorno seguente la portaerei Illustrious cominciò a dirigersi verso il punto prefissato per il lancio degli aerei verso Taranto. La portaerei Eagle non poté invece salpare a causa di un’avaria al motore: questo inconveniente dimezzò praticamente il numero di aerei disponibili, ma non costrinse a rinviare l’incursione.
Le ricognizioni degli aerei britannici su Taranto si protrassero fino alla sera dell’11 novembre, quando la Royal Navy apprese che nelle due rade del porto di Taranto si erano riunite le navi da battaglia Andrea Doria, Caio Duilio, Conte di Cavour, Giulio Cesare, Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Bolzano, Fiume, Gorizia, Pola, Trento, Trieste e Zara, i due incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e vari cacciatorpediniere. Per citare un’espressione dell’ammiraglio Andrew Cunningham: «Tutti i fagiani erano nel nido».
A difesa del porto erano previsti 87 palloni di sbarramento, ma le cattive condizioni climatiche dei giorni precedenti ne avevano strappati 60 e non si erano ancora potuti rimpiazzare a causa della mancanza di idrogeno. Le unità navali erano protette da reti parasiluri, ma degli 8.600 metri necessari per una difesa efficace, erano stati posati appena 4 200 metri. Queste reti erano comunque distese per soli 10 metri sotto il livello del mare, lasciando quindi uno spazio non protetto tra la rete stessa ed il fondale. L’ammiraglio di squadra Inigo Campioni aveva inoltre richiesto che le reti parasiluri fossero sistemate ad una distanza dalle sue navi tale da poter salpare rapidamente, senza prima dover rimuovere le protezioni.
L’attacco alla base di Taranto era stato programmato per il 21 ottobre, in onore dell’anniversario della battaglia di Trafalgar, ma problemi tecnici a bordo dell’Illustrious posticiparono l’attacco all’11 novembre.
Alle ore 20:30 dalla portaerei Illustrious cominciarono le operazioni di decollo della prima ondata di aerei diretti verso Taranto.
Giunti sull’obiettivo pochi minuti prima delle ore 23:00, furono accolti da un poderoso fuoco di sbarramento. Due bengalieri cominciarono a lanciare i bengala sulla sponda orientale del Mar Grande per illuminare i profili dei bersagli, mentre 6 aerosiluranti Fairey Swordfish iniziarono a scendere a quota di siluramento. Un primo velivolo, che venne poi abbattuto, sganciò un siluro contro la Conte di Cavour, squarciandone la fiancata sinistra, altri due mirarono contro l’Andrea Doria, senza però colpirla.
Contemporaneamente quattro aerosiluranti, armati con bombe, danneggiarono i cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno, bombardarono i depositi di carburante e distrussero due idrovolanti. Alle 23:15 due aerosiluranti attaccarono contemporaneamente la Littorio, colpendola sia a dritta che a sinistra, mentre l’ultimo Swordfish sganciò inutilmente un siluro contro la Vittorio Veneto.
Alle 23:20 gli aerei della prima ondata si ritirarono, ma alle 23:30 arrivarono gli aerei della seconda ondata. Nonostante il fuoco di sbarramento, un primo Swordfish sganciò un siluro contro la Caio Duilio colpendola a dritta, mentre due aerosiluranti colpirono la Littorio. Un altro aereo mirò alla Vittorio Veneto che anche questa volta fu risparmiata, mentre un secondo Swordfish venne abbattuto nel tentativo di attaccare la Gorizia.
Infine un ultimo attacco danneggiò seriamente l’incrociatore Trento. Gli ultimi aerei si ritirarono alle ore 0:30 del 12 novembre: l’attacco contro Taranto era terminato. In 90 minuti gli aerosiluranti della Royal Navy avevano prodotto danni ingenti, in quanto metà delle navi da battaglia italiana erano state messe fuori combattimento. Il bilancio fu di 58 morti, 32 dei quali sulla Littorio, e 581 feriti, sei navi da guerra danneggiate (3 corazzate – la Cavour in maniera tanto grave che non riprese più servizio – 1 incrociatore e 2 cacciatorpediniere), e diversi danni alle installazioni terrestri. Laconico, per ovvie ragioni di natura militare, il bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940:
« Nelle prime ore della notte sul 12, aerei nemici hanno attaccato la base navale di Taranto. La difesa contraerea della piazza e delle navi alla fonda ha reagito vigorosamente. Solo un’unità è stata in modo grave colpita. Nessuna Vittima »
(Bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940)
L’esito dell’incursione dimostrò soprattutto quanto fosse sbagliata la convinzione secondo cui gli aerosiluranti non avrebbero potuto colpire le navi all’interno delle basi, a causa dei bassi fondali, ma soprattutto segnò un punto di svolta nelle strategie della guerra sul mare, affidando all’aviazione e quindi alle portaerei un ruolo fondamentale nei futuri combattimenti. A Taranto si recò anche l’addetto militare presso l’ambasciata giapponese a Roma con l’incarico di raccogliere maggiore informazioni possibili sul raid in quanto segretamente già stavano pianificando un attacco simile da effettuare su Pearl Harbour l’anno dopo.
L’incursione nello stretto di Otranto
Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Canale d’Otranto (1940).
Contemporaneamente all’attacco di Taranto, la sera dell’11 novembre, intorno alle ore 18.00, alcuni incrociatori e cacciatorpediniere inglesi si distaccarono dalla flotta principale per dirigersi a sua volta verso il Canale d’Otranto, onde intercettare il traffico italiano verso l’Albania.
La formazione britannica, costituita dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Sydney con la scorta dei cacciatorpediniere della Classe Tribal Nubian e Mohawk, intercettò un convoglio diretto a Valona, costituito dai piroscafi Antonio Locatelli, Premuda, Capo Vado e Catalani, scortati dalla vecchia torpediniera Fabrizi e dall’incrociatore ausiliario RAMB III.
L’azione ebbe luogo alle ore 01.05 del 12 novembre, quando la formazione inglese, dopo aver localizzato il convoglio italiano, affondò tutti i piroscafi nonostante l’eroica difesa offerta della torpediniera Fabrizi, gravemente danneggiata, mentre l’incrociatore RAMB III, dopo un iniziale scambio d’artiglieria, si dileguò salvandosi nel porto di Brindisi. Nello scontro 36 marinai italiani persero la vita, 42 vennero feriti, mentre 140 marinai vennero salvati dalle torpediniere Curtatone e Solferino. Il comandante della torpediniera Fabrizi, tenente di vascello Giovanni Barbini fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare.[1]
Genesi
Già nel 1935, durante la crisi etiopica, la Royal Navy aveva studiato un piano di attacco aereo di sorpresa da attuarsi nella base navale di Taranto al fine di eliminare la marina italiana dal Mediterraneo e di far cadere così le mire colonialistiche di Mussolini; la diplomazia evitò in quel caso lo scoppio della guerra, ma il piano non fu dimenticato, anzi, nella convinzione di una sempre possibile guerra contro l’Italia, fu più volte aggiornato.
Quando, dopo l’operazione Hats, la M. Fleet dispose di due portaerei, di cui una moderna, il piano fu di nuovo ripreso e aggiornato per cercare di eliminare quante più possibili navi italiane. Per avere informazioni attendibili e fotografia aggiornate giornalmente fu trasferito a Malta la 431° Sq di ricognitori “Glenn Martin”, i migliori di cui la Raf disponeva in quel momento; il comando e l’addestramento degli equipaggi a questa operazione fu affidato al C. A. Lister. I preparativi si svolsero in modo rapido ed efficacie tanto che gli inglesi avevano fissato l’attacco il 21 ottobre (anniversario della vittoria di Nelson a Trafalgar), ma un incendio scoppiato a bordo dell’ Illustrious pochi giorni prima causò un rinvio.
Il ritardo fu veramente un colpo di fortuna per gli inglesi:
 l’Italia aveva dichiarato guerra alla Grecia il 25 ottobre, questo modificò la normale dislocazione delle principali navi italiane divise solitamente tra i porti di Taranto, Napoli, Messina, Palermo; infatti per avere tutta la flotta pronta ad intervenire in caso di convogli inglesi verso la Grecia e in vista di una incursione della I e II squadra su Creta, occupata dagli inglesi, tutta la flotta fu concentrata a Taranto
 da ulteriori ricognizioni fu evidente che le navi erano protette da reti parasiluri che avrebbero reso l’attacco privo di efficacia visto che i siluri erano stati predisposti per navigare a pelo d’acqua.
Le prime mosse
Per rinforzare ulteriormente la M. Fleet fu deciso di inviare la Nb Barham, gli inc. Glascow, Berwich e 6 Ct, questa forza navale scortata dalla Np Ark Royal e da ulteriori 5 Ct salpò da Gibilterra intorno alle 19:45 del 7 novembre 1940.
Nel pomeriggio del 6 novembre erano invece uscite da Alessandria le Nb Warspite, Valiant, Malaya, Ramillies, la Np Illustrious e numerosi Ct per proteggere alcuni convogli diretti a Malta e a Suda. Durante la traversata le navi furono più volte attaccate dai bombardieri italiani che però non riuscirono a mettere a segno nessun colpo; il 10 novembre le navi provenienti da Gibilterra e la M. Fleet al completo ( gli incrociatori si erano uniti alla formazione principale dopo aver scorato i convogli ) si riunirono al largo di Malta e si diressero verso Alessandria assumendo una rotta atta a proteggere quattro trasporti scarichi di ritorno da Malta e diretti in Egitto; pareva così agli occhi di Supermarina, che sebbene con molta difficoltà e con notizie frammentarie aveva seguito lo svolgimento della missione inglese, che le navi nemiche si stessero dirigendo verso casa, dopo aver effettuato una missione di scorta ad un convoglio.
In realtà la Np Illustrious scortata dalla 3° Div inc (Gloucester, Berwich, Glasgow, York) e da 4 Ct si stava dirigendo verso il punto di lancio, precisamente 40 miglia a ponente di Cefalonia e 170 miglia da Taranto; mentre la 7° Div inc (Orion, Ajax, Sydney) e i Ct Nubian e Mohawk fece rotta per il canale di Otranto per effettuare la prevista missione di rastrellamento, in quei giorni di emergenze per l’esercito italiano in Grecia i traffici fra le due sponde dell’adriatico erano molto intensi e non passava notte che un convoglio transitasse attraverso il canale.
La situazione a Taranto
Al momento dell’attacco la situazione delle difese dell’ancoraggio di Taranto erano le seguenti:
 La difesa contraerea attiva era affidata a: 21 batterie per complessivi 101 cannoni di vario calibro; 68 complessi di mitragliere con un totale di 84 canne in posizione fisse e galleggianti; 109 mitragliere leggere in posizioni fisse e galleggianti. Le armi c.a. delle navi di bordo erano pronte al fuoco.
 Le ostruzioni aeree erano affidate a: 27 palloni sferici, 16 ormeggiati a ponente delle navi lungo la diga della Tarantola e a nord di essa e 11 lungo la costa; il forte vento dei giorni precedenti all’attacco aveva strappato 60 palloni dai rispettivi ancoraggi e non era stato possibile, per l’insufficienza della produzione locale di idrogeno, la loro sostituzione.
 La rete di scoperta aerea era affidata a 13 stazioni aereofoniche, due delle quali collegate con proiettori; vi erano poi 22 grandi proiettori in parte collegati alle principali batterie. Inoltre tutte le navi all’ancora tenevano pronti all’uso due proiettori.
 Le ostruzioni retali parasiluri erano, con reti giungenti fino a 10 metri sotto il livello dell’acqua, al momento dell’attacco 4200 metri sui 12.800 metri previsti ed erano posizionate in modo da permettere la rapida uscita delle unità navali a scapito però della protezione.
L’attacco
L’attacco inglese si sarebbe svolto in due ondate: la prima verso le 22:45 e la seconda una ora dopo ciascuna ondata composta da 12 aerei di cui due bengalieri, quattro bombardieri e sei siluranti; mentre i bengalieri avrebbero disseminato i loro bengala per rischiarare la zona dell’attacco, i bombardieri avrebbero attaccato le navi minori ancorate nel mar Piccolo, per distogliere l’attenzione dai siluranti incaricati di colpire le navi principali, nel Mar Grande.
Tra le 20:35 e le 20:40 gli aerei della prima ondata decollarono dalla portaerei, mentre la seconda ondata ridotta a nove aerei, che poi divennero 8 per il rientro di uno di essi dovuto alla perdita in mare del serbatoio supplementare di benzina, decollò tra le 21:28 e le 21:34.
I^ ondata
La piazzaforte di Taranto era in allarme da pochi minuti quando alle 22:58 entrarono in azione i due aerei bengalieri (Kiggell-Janvin e Lamb-Grieve) i cui bengala esplosero a circa 500 m poi cominciarono gli attacchi:
 Alle 23:15 fu abbattuto dalle mitragliere di bordo della Cavour il velivolo di Williamson e Scarlet che procedendo in picchiata a motore spento aveva appena lanciato il proprio siluro, che colpì la stessa nave a prora sul lato sinistro.
 Alla stessa ora i due aerei di Maculay-Wray e di Sparke-Neal, che procedevano in formazione, lanciarono in rapida successione i propri siluri contro la Doria; i due siluri mancarono il bersaglio e scoppiarono lontano dalla prora della nave.
 Dopo pochi istanti e da due lati opposti gli apparecchi di Kemp-Bailey e di Swayne-Buscall colpirono con i loro siluri la Littorio
 Alle 23:16 l’aereo bombardiere di Pacth-Goodwin lanciò le proprie bombe nel Mar Piccolo, una di esse colpì il Libeccio senza esplodere.
 Alle 23:21 l’aereo bombardiere di Sarra-Bowker lanciò le proprie bombe sull’aeroporto, una di esse colpì l’aviorimessa distruggendo due idrovolanti in riparazione e causando un incendio che fu domato dopo un quarto d’ora.
 Tra le 23:30 e le 23:40 gli aerei bombardieri di Forde-Mardeal-Ferreira e di Murray-Paine che lanciarono le proprie bombe sullo schieramento dei Ct nel Mar Piccolo, senza colpire nessuna unità.
II^ ondata
Gli aerei della seconda ondata, guidati dalle vampe dei cannoni c.a. italiani che continuavano a sparare, guidati dagli aerei bengalieri iniziarono la manovra d’attacco:
 Tra le 23:50 e le 23:55 si accesero i fuochi dei bengala lanciati dagli aerei di Hamilton-Weeks e Skelton-Perkins
 Alle ore 00:00 del 12 novembre il siluro lanciato dall’aereo di Lea-Jones colpì la Duilio a prora sul lato di dritta.
 Tra le 00:00 e le 00:01 due apparecchi volando in formazione giunsero a distanza di lancio, l’aereo di Welham-Humphreys attaccò la VittorioVeneto senza colpirla, mentre l’aereo di Bayly-Slaughter fu abbattuto mentre attaccava il Gorizia.
 Alle 00:01 la Littorio fu colpita per la terza volta da uno dei due siluri lanciati dalla coppia di velivoli composta da Hale-Carline e Spence-Sutton, mentre l’altro siluro fu trovato inesploso conficcato nel fango sotto la chiglia della nave.
 Alle 00:30 l’apparecchio di Clifford-Going attaccando le navi ancorate nel mar Piccolo, partito in ritardo per problemi alla catapulta, lanciò sei bombe, una di esse colpì senza esplodere il Trento
I danni e le ripercussioni
Nave da battaglia Littorio
Colpita da tre siluri, 32 morti:
una falla a prora sul lato di dritta di 15×10 metri,
una poco più dietro di 12×9 metri,
una a poppa sul lato di sinistra nell’agghiaccio del timone di 7×1.5 metri
Nave da battaglia Cavour
Colpita da un siluro, 17 morti:
una falla di 12×8 metri a prora sul lato sinistro in corrispondenza del 
deposito di munizioni, con conseguente allagamento di tutta la prua
Nave da battaglia Duilio
Colpita da un siluro, 3 morti:
una falla di 11×7 metri sulla dritta tra i depositi munizioni prodieri
Regia nave Trento
Colpito da una bomba inesplosa:
squarci nello scudo del complesso da 100 mm di prora sinistro,
foro nel ponte di coperta e qualche danno nel locale sottostante
Regio Cacciatorpediniere Libeccio
Danni irrilevanti nella parte prodiera
Regio Cacciatorpediniere Pessagno
Leggera schiodatura e ingobbatura della carena di
prua a dritta per bombe cadute nelle vicinanze
Alle 04:45 del 12 novembre è portata ad incagliare la Duilio; alle 05:00 la Cavour, 
il cui equipaggio è costretto a sbarcare; alle 06:25 viene incagliata la Littorio
La Littorio recuperata subito dopo l’attacco ed immessa nel bacino di Taranto l’11 dicembre 1940 rientrò in squadra il 9 marzo 1941; la Duilio fu trasferita a Genova il 26 gennaio 1941 e rientrò in squadra il 16 maggio 1941; La Cavour fu trasferita a Trieste il 22 dicembre 1941, ma difficoltà impreviste e altre priorità fecero si che la nave non rientrasse più in servizio.
La necessità di sottrarre le navi maggiori rimaste incolumi fece si che già nel pomeriggio del 12 novembre furono trasferite a Napoli le Nb Vittorio Veneto, Cesare, Doria la I Div e la 9°,11°, 10°, 13° Sq Ct; mentre la III Div e la 12 Sq Ct furono trasferite a Messina. Nel frattempo furono accelerati i lavori per rendere più sicuro l’ancoraggio del Mar Grande; lavori che furono ultimati nel maggio del 1941.
La perdita contemporanea di tre Nb, tra le quali una modernissima, fece sprofondare la nostra marina in una situazione di grave inferiorità numerica che rese la M. Fleet padrona del Mediterraneo Orientale in un periodo (guerra in Grecia in pieno svolgimento) in cui ciò era di notevole importanza; questo fatto si ripercosse anche sui nostri convogli, non più scortati da tutta la squadra navale, come era accaduto in varie occasioni. La riuscita dell’attacco fece sorgere il dubbio dello spionaggio e del tradimento in particolare la questione delle reti para siluri mal ubicate e della loro profondità (le reti italiane giungevano fino a 10 metri sotto il livello del mare e i siluri inglesi erano tarati per quell’occasione a 10,60 metri…!) suscitò scalpore in tutta la nazione, tanto che ancora oggi si parla di una marina pronta a tutto pur di perdere la guerra.
L’incursione nel canale d’Otranto
Oltre all’azione silurante contro la flotta italiana l’Amm. Cunningham aveva disposto che una divisione composta dagli inc Orion, Ajax, Sydney e scortati dai Ct Nubian e Mohawk avrebbe effettuato un’incursione notturna nel canale d’Otranto per affondarvi eventuali convogli che quasi tutti le notti traversavano l’Adriatico sulla direttrice Bari, o Brindisi, Valona, o Durazzo. Quella sera un convoglio composto dai piroscafi Locatelli, Premuda, Capo Vado, Calatani e scortati dalla Tp Fabrizzi dall’Inc ausiliario Ramb III era uscito da Valona alle 22:30 del giorno 11 con le due unità di scorta ai lati dei piroscafi. 
Alle 01:15 del giorno 12 ci fu l’avvistamento quasi contemporaneo e subito dopo tutti gli incrociatori inglesi aprirono il fuoco subito seguiti dalla Tp Fabrizzi che si trovava nel lato sinistro del convoglio (quello attaccato); l’impari lotta ebbe il suo logico svolgimento: mentre la Tp bersagliata dai calibri secondari degli incrociatori tentando di lanciare i propri siluri, operazione che non gli riuscì per le avarie riportate, gli incrociatori e Ct inglesi colpirono ripetutamente i piroscafi e si ritirarono soltanto dopo averli affondati tutti; la Tp Fabrizzi riuscì pur con gravi danni a raggiungere Valona, mentre non fu approvato il comportamento del C.F. De Angelini che comandava il Ramb III, che visto l’impossibilità di salvare il convoglio si ritirò mentre il combattimento ancora era in corso verso Bari.
Il giorno successivo furono recuperati 140 superstiti, le perdite furono di 36 persone comprese 11 della Tp che ebbe anche 17 feriti; al comandante Barbini fu decretata la medaglia d’oro al valore militare per il comportamento eroico e per aver riportato uno scafo martoriato dalle granate nemiche in porto.

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Considerazioni
Il nemico aveva navigato per una intera settimana in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo senza che nessuna unità italiana gli sbarrasse la strada, aveva rifornito la Grecia e Malta con numerosi convogli e aveva inoltre attaccato un nostro convoglio nel canale d’Otranto: la presenza di tutte le navi italiane nei porti vicini alla zona non aveva impedito che ciò accadesse, questo fatto è di per se significativo senza considerare che oltre a non impedire al nemico di fare ciò che egli voleva nel mare che si voleva dominare tre nostre navi da battaglia, la metà della nostra forza, si erano fatte affondare in porto da 20 biplani vecchi di 15 anni!

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72 commenti

  • Stefano Sappino

    beh, la Cavour non fu colpita sulla fiancata ma sotto la chiglia, grazie all’acciarino magnetico, idem la Duilio. I danni all’incrociatore furono insignificanti. Articolo molto fuorviante.

  • EZIO VINCIGUERRA

    Signor Sappino, l’articolo è ripreso da wikipedia e da altri blog …se Lei ha notizie storicamente certe siamo lieti di pubblicarle, a suo nome, e a confrontarle con gli altri lettori. Un abbraccio grande come il mare.

  • Giampaolo Nonnis

    La notte di Taranto, pose alla Regia Marina l’urgenza di richiamare in servizio il generale del Genio Navale Umberto Pugliese, allontanato dal servizio nel 1938 in applicazione delle leggi razziali. Il generale G.N. Pugliese che aveva sempre operato nel settore della progettazione e costruzione delle unità apportando importanti innovazioni. Dopo la notte di Taranto gli fu chiesto di fornire la propria competenza per recuperare e riparare le tre unità colpite. Umberto Pugliese accettò a patto di poter operare in divisa. http://lni.it/portale/notiziario/05_10art4.pdf

  • Giuseppe Esposito

    La notte di Taranto (Mursia) ….è un libro che ho da più di 40’anni e, chissà perchè, non son mai riuscito a leggere.

  • Roberto Tento

    Una pagina della nostra Marina e altre dove i marinai si sono distinti in atti di eroismo..quella bandiera noi marinai la onoriamo anche per i nostri fra’ che ci hanno Onorato R.I.P..Onore a loro !!!

  • Pasquale Pellicoro

    Cancellare la storia per cancellare la memoria e l’idendità dei popoli nonchè del loro sacrificio …Onore per tutti i combattenti

  • Tonino Pusateri

    La comunicazione tra centri operativi unita a una burocrazia obsoleta, già allora operante come oggi ha causato sempre perdite inutili: vedi la Roma con la copertura aerea inviata a est della Corsica

  • Claudio53

    I danni alle unità furono ingenti ma vennero riparati in tempi relativamente brevi dalle maestranze dell’Arsenale di Taranto sotto la guida del generale Pugliese e del direttore dell’epoca. Un eccellente lavoro come fecero a suo tempo per il recupero e la messa in linea del sommergibile UC12 e come brillantemente fecero specialmente con la corazzata Leonardo da Vinci. Sui morti nel tempo ci furono dati non uniformi. Negli ultimi anni è stato chiarito che furono 46 di cui 43 a bordo delle unità e a terra 1 militare (autista del dipartimento), 1 camicia nera (se ricordo bene unico nato a Taranto) ed un civile (non tarantino ma abitante nella città dei due mari) padre di 8 figli. I nominativi sono noti e mi riservo di pubblicarli appena possibile, comunque, al cimitero di Taranto sono sepolti solo il civile (nella cappella deli ex combattenti) e la camicia nera (nell’ossario numero 3).

  • Rosario Galderisi

    Aho’ ancora non è arrivato(a commentare) il solito saccente ignorante a parlare di “tradimento” strano…Comunque(e non è il senno del poi) la nostra entrata in guerra era una disfatta annunciata!!!

  • Gennaro Caccaviello

    Non erano state ancora sistemate nel porto le reti di acciaio di pretezione antisiluro…

  • Egidio Aberti

    Quella notte ci furono azioni diversive in Mar Piccolo svolte in più riprese da 5 aerei. Furono lanciate circa 60 bombe dai bengalieri e dagli aerei che fecero gli attacchi diversivi. Le bombe caddero : 1 sul Libeccio ( non esplosa) – 4 sull’aeroporto con distruzione di 2 idrovolanti – 7 sull’ arsenale ( bacino Ferrati) – 6 sui depositi nafta – 11 in zona ovest Arsenale – 7 acquedotto S.GIORGIO – le restanti sull’ Ospedale Civile ed in mare. Furono lanciati 11 siluri dei quali : 1 colpì la CAVOUR -3 colpirono la LITTORIO – 1 conficcato sotto la LITTORIO – 1 colpì la DUILIO – 2 scoppiati di prora al DORIA – 1 passato di poppa al LITTORIO – 1 lanciato sul GORIZIA senza colpirlo – 1 ritrovato sul fondo del Mar Grande. I danni recati alle navi furono : 32 morti sulla LITTORIO – 17 sulla CAVOUR – 3 sulla DUILIO – sulla LITTORIO 2 falle a prora 1 falla a poppa. – sulla CAVOUR 1 falla a prora -sulla DUILIO una falla sotto le torri prodiere – sul TRENTO squarci vari sul ponte – sulla LIBECCIO danni irrilevanti.

  • Ottaviano Lombardi

    …nemmeno tutti i palloni frenati, i fari per l’antiaerea, attuata la ricognizione d’altura, ordinato il pattugliamento ai sommergibili..

  • Stefano Sappino

    Allora: difese del porto alla data:

    Il porto era difeso alla data da 21 batterie con 101 cannoni, 68 complessi di mitragliere tra fisse e galleggianti, 101 mitragliere leggere tra fisse e galleggianti, 27 palloni sferici, 13 stazioni aerofoniche, di cui x collegate a proiettori, 24 proiettori, 4200 metri di reti parasiluri dalla profondità di 10 m; dei novanta palloni aerostatici di sbarramento originari ne erano rimasti 27 a causa dell difficoltà a sostitutire quelli strappati dal maltempo, dovuta alla scarsità di idrogeno;

    nelle tre notti precedenti uscite squadriglia di ct per la rastrellamento notturna senza esito;

    la flotta era in stato di allarme.

  • Ottaviano Lombardi

    …nemmeno tutti i palloni frenati, i fari per l’antiaerea, attuata la ricognizione d’altura, ordinato il pattugliamento ai sommergibili…

  • Stefano Sappino

    Allora: difese del porto alla data:

    Il porto era difeso alla data da 21 batterie con 101 cannoni, 68 complessi di mitragliere tra fisse e galleggianti, 101 mitragliere leggere tra fisse e galleggianti, 27 palloni sferici, 13 stazioni aerofoniche, di cui x collegate a proiettori, 24 proiettori, 4200 metri di reti parasiluri dalla profondità di 10 m; dei novanta palloni aerostatici di sbarramento originari ne erano rimasti 27 a causa dell difficoltà a sostitutire quelli strappati dal maltempo, dovuta alla scarsità di idrogeno;

    nelle tre notti precedenti uscite squadriglia di ct per la rastrellamento notturna senza esito;

    la flotta era in stato di allarme.

  • Marco Rossi

    E le reti, perchè non c’erano le reti ? E’ vero che erano ancora in gran parte “in secco”, al deposito dell’Isola di San Paolo ? Ed era proprio impossibile pensare per tempo che i Tommies avevano le portaerei e che gli aerosilutìranti avrebbero così potuto attaccare anche da terra, come poi avvenuto?

  • Stefano Sappino

    Ma marco, perché non ti compri un buon libro e non leggi come stavano le cose? Lo sai che ci vollero 6 mesi DOPO taranto all’industria nazionale per produrre le reti necessari? Lo sai che gli aerei furono ascoltati e arrivarono che il porto era in allarme e accolti dal tiro di tutte le batterie?

  • Marco Rossi

    Grazie, mi sento allora sollevato. Avevo letto il libro di Petacco quando lo presentò al circolo ufficiali di Taranto, tanti anni fa. Lo riesumerò, ma mi era rimasta l’impressione/ricordo che le batterie antiaaeree non fossero posizionate per sparare verso Statte e il Mar Piccolo e che le reti, forse scarse come tu dici, erano in parte a terra. Ma sono passati troppi anni e non vorrei sbagliarmi.

  • Stefano Sappino

    Ma può darsi benissimo che fossero in parte a terra, ma occorrerebbe saper da quanto, comunque la profondità era regolata per i siluri senza acciarini magnetici, che viaggiavano più profondi. Le rete messe dopo arrivavano fino al fondo del porto.

  • Gennaro Caccaviello

    @Stefano: la verità è che la nostra era un’armata Brancaleone, in cui i suoi massimi esponenti stavano là per… meriti politici, come di là a qualche mese avrebbe dimostrato la (mancata) “rottura delle reni” alla minuscola Grecia!!!

  • Stefano Sappino

    dipende. alcuni si altri no, come sempre. Certamente l’arma per la quale questo vale meno è la marina.

  • Gennaro Caccaviello

    Stefano Sappino Se lo pensi tu… (Ma dimmi un po’, l’amm. Riccardi come stava là se non per l’appoggio della famiglia Petacci?)

  • Stefano Sappino

    e questo cosa ha a che fare con le qualità sia dell’ammiraglio che della marina? Quel che contano sono i fatti, per i pettegolezzi ci sono le riviste.

  • Gennaro Caccaviello

    Stefano Sappino Ahhh tu vuoi parlare dei fatti? Allora leggiti un po’ di libri di critica scientifica sulla battaglia di Capo Matapan, magari potrai apprendere che, in una qualsiasi altra Marina seria, gli amm. Iachino e Riccardi sarebbero stati sbarcati e mandati a pulire le latrine (a terra)!!!

  • Stefano Sappino

    grazie, penso di aver letto praticamente tutto in proposito, contrariamente a quello che penso abbia fatto tu :D.

  • Marco Rossi

    Per ora ho riesumato un vecchio libro di Petacco del ’76 sugli scontri del Mediterraneo (Mondadori): In effetti mancava il 50% delle reti necessarie per tutte le navi al completo, ma l’autore dice anche che la metà di quelle esistenti era nei Magazzini! Aggiunge inoltre che l’Ammiraglio (Campioni ?) aveva dato ordine di sistemarle a 2000 metri dalle navi per essere piu rapido nell’eventualità di dover salpare d’urgenza. In realltà gli Swordfish lanciavano anche a soli 300 metri. Infine una cartina indica le due principali rotte di avvicinamento, entrambe da ovest fino alla verticale di Statte e quindi con virata verso sud con sorvolo Mar Piccolo… Mi scuso se ho letto malamente per fretta qualche passaggio ma in sintesi questa era il resoconto anno 1976. Cercherò ancora il lbro specifico sull’infelice Notte di Taranto.

  • Ottaviano Lombardi

    Credo che la piccola disputa nasca dal fatto che Stefano Sappino tiene per buono ciò che è l’ufficialità ministeriale che, notoriamente, quasi mai collima coi Fatti.

  • Stefano Sappino

    sei fatti sono le chiacchiere tali rimangono. In cosa sarebbero smentiti i fatti, e da chi?

  • Ottaviano Lombardi

    emh!….Stefano, non arrabbiarti: ricordo che per l’ufficialità il DC9 ad Ustica fu abbattuto da una bomba nella toilette e l’esplosione fu notata dal Secondo, stando al Flight-Recorder di cabina…
    Oppure il caso Kenendy: sempre ufficialmente fu ammazzato da un colpo esploso da dietro, mentre il suo cervello volava nella stessa direzione di arrivo del proiettile……

  • Stefano Sappino

    non mi sto arrabbiando. Stiamo parlando di Taranto, e non di altre storie. E di guerra, non di operazioni coperte

  • Ottaviano Lombardi

    Ricordo che la nostra Marina ebbe la buona sorte di veder sparire la Flotta Francese dal Mediterraneo. ‘Na botta di fortuna notevole. Diversamente sarebbe dovuta restare al chiuso di porti lontani dal Mediterraneo….
    Ciò premesso, scoprire dopo sei mesi che non si è in grado di avvistare i convogli Inglesi impegnati a rifornire Alessandria, Malta e la Grecia, a poca distanza da Taranto indifesa di fatto, visto che le cifre che tu citi rappresentano l’ufficialità della Marina, ma trascurano una serie di particolari operativi che aiutano a capire la situazione nei Fatti.
    Un centinaio di cannoni e circa 200 mtg. abbattono solo due incursori è un dato che fa riflettere tanto sul n° dei pezzi sparanti che sull’addestramento dei nostri controaerei.
    I cavi non erano stati tutti librati per i danni del maltempo…Le reti parasiluro non erano abbastanza sviluppate in altezza.
    Cavagnari venne cacciato dall’incarico poichè l’indagine rivelò che i materiali stavano in magazzino, invece che all’opera, sono tutti elementi che danno l’idea della pessima organizzazione della difesa di Taranto con le sue importanti navi.

  • Stefano Sappino

    vediamo un po’. Come certamente sai, la ricognizione era affidata alla RA, nella sua sotto specializzazione marina. La ricognizione avvistò le navi inglesi nelle acque di malta, il che è il motivo per il quale furono organizzate le uscite di squadriglie di ct nelle tre notti precedenti, un agguato di sommergibili vicino malta, e la flotta tenuta in stato di allarme. Sul fatto che siano stati abbattuti pochi aerei, è perfettamente vero, ma darei una occhiata ai numeri di pearl harbor, farei le proporzioni e vedrei se il ratio è diverso (magari contando solo il secondo assalto, visto che era di sorpresa). Sulla profondità delle reti, il siluro ad acciarino magnetico era un “novità” bellica (senza entrare nel fatto che taranto era considerato sicuro dal punto di vista dei siluri, il che sarebbe un discorso lungo e tirerebbe di nuovo in ballo l’aeronautica). Le reti, e questo è documentato, dovevano trovare un punto di compromesso tra a sicurezza e la velocità di uscita delle navi dalle ostruzioni. Per quanto riguarda la commissione che rilevò questo, leggerei con interesse il riferimento archivistico (dopo aver fatto notare che appunto questa è la storia 😉 ).

  • Gennaro Caccaviello

    @Stefano: comunque tu la voglia mettere sul valore (in)discusso dei nostri Ammiragli, sta di fatto che, nel corso dell’intera guerra, l’Italia non ha mai vinto nemmeno una battaglia navale.
    I libri che hai letto tu cosa dicono in proposito???

  • Stefano Sappino

    ti sbagli, mai sentito parlare di mezzo giugno, mezzo agosto, pantelleria? Oppure per te le battaglie navali sono quelle che si vincono a cannonate? 😀 Prova a leggere, non fa male, sai?

  • Gennaro Caccaviello

    @Stefano: hai citato delle battaglie navali che, nella migliore delle valutazioni, ebbero come esito un pareggio (per usare un termine calcistico).
    Fammi capire meglio: come si vincono le battaglie navali? A caramellate forse…???

  • Stefano Sappino

    ah, ho capito, sei un ammiraglio da gioco elettronico, conti le cannonate. Allora fai una bella ricerca, e cerca le attività guerresche della Kriegsmarine dopo il 1942 😀 E poi domandati quale sarebbe stato il tuo compito come capo della regia marina. Ripassa quando hai una risposta, grazie.

  • Gennaro Caccaviello

    Vabbuò ho capito tu sei uno stratega da battaglia navale: leggiti un po’ di letteratura italiana ed internazionale, che unanimemente ha dileggiato la condotta della nostra Marina nel corso della seconda guerra e poi, quando li avrai compresi, riprenderemo il discorso!

  • Rosario Galderisi

    Ho 1 domanda (ignorante) da porre a Gennaro Caccaviello:ma come cazz’ è che non sei mai in accordo su cose così scontate?

  • Gennaro Caccaviello

    @Rosario: perché bisogna poi vedere chi è che le ha scontate… 🙂
    Se tu avessi letto un po’ di più della letteratura nazionale in materia (es. “Navi e Poltrone”) e magari anche quella internazionale (es. “Memorie dell’amm. Cunningham”), ne sapresti qualcosa in più…

  • Rosario Galderisi

    Perciò ho premesso che era una domanda ignorante(in materia) la mia, mi abbevero da cotanto sapere e dotte citazioni, meno male che c’è chi ci fa luce.

  • Aldo Marchioni

    Chissà come mai quella sera erano state tolte le reti parasiluri? o più precisamente chi ha informato gli inglesi che sarebbero state tolte?

  • Pier Luigi Gabriele

    mah, la letteratura anglosassone in particolare è stata estremamente ingenerosa con la nostra regia, ovviamente occultando sempre le bastonate che gli abbiamo dat, o ppure attribuendole ai tedeschi.

  • Giancarlo Capietti

    gia’ si fa presto a parlare ricordiamo che non avevamo il radar a mai la copertura aerea

  • Gennaro Caccaviello

    Pier Luigi Gabriele mi piacerebbe davvero conoscere tutte quelle “bastonature” da noi inferte, perché io purtroppo conosco soltanto quella mezza vittoria della”Battaglia di mezzo Giugno”…

  • Gennaro Caccaviello

    Giancarlo Capietti Ultimamente avevamo ua specie di radar che ci avevano prestato i Tedeschi, chiamato DETEC (sul Vitt. Veneto, per esempio)

  • renato erasmo cofano

    al di là delle diatribe c’è qualcosa che vorrei sapere (da modellista e da figlio di testimone oculare):
    è vero che quella dannata notte non vennero impiegati i proiettori di ricerca per espresso divieto delle autorità?

    mio padre che allora aveva 12 anni mi ha raccontato tutto l’attacco passo per passo da una posizione murgiana privilegiata che sebbene posta a circa 80 km di distanza , era a 500 metri slm quindi relativamente ottimale, ma mi ha sempre detto di non aver mai visto un solo fascio di luce : solo i bengala, le esplosioni al deposito di carburante e i traccianti

    ho trovato traccia di tale oscuramento volontario solo in un articolo in lingua francese
    grazie

  • Eugenio Ferrario

    Le faccio i complimenti per l’articolo e per come è strutturato.
    Con le fonti sarebbe stato perfetto.
    Non concordo con coloro ch sostengono che si debba dimenticare la notte di Taranto: va ricordata invece, come esempio delle conseguenze di decisioni squilibrate.

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