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La Marina Militare Toscana nel Risorgimento

di Guglielmo Evangelista
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Guglielmo Evangelista per www.lavocedelmarinaio.comQuando, nella seconda metà del ‘700, il Granduca Pietro Leopoldo vendette le sue navi da guerra al Re di Napoli, decretò praticamente la fine della Marina toscana e, in quanto strettamente legate ad essa,  la fine delle imprese navali dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, che pur vantavano tradizioni antiche e prestigiose e marinai di grande levatura,   primo fra tutti Jacopo Inghirami vissuto fra il XVI e XVII secolo.
Da allora, sia prima che dopo la bufera napoleonica, il Granducato di Toscana tenne sul mare soltanto poche unità minori, prive di un significativo valore bellico anche se dal punto di  vista strutturale la Marina continuò a conservare una sua specifica individualità ed organizzazione nell’ambito delle forze militari dello Stato.
D’altra parte l’appoggio dell’Austria e il tradizionale atteggiamento neutralistico della Casa Granducale  facevano ritenere che una flotta fosse uno strumento tanto costoso quanto di limitata utilità.
Per la Toscana erano ormai tramontati i tempi in cui …la sua marina era nel Mediterraneo la più esercitata e la più formidabile per la pirateria contro i levantini e contro tutti gli africani (1).
I risultati di questa politica rinunciataria in un primo tempo si fecero sentire negativamente perché restava irrisolto il problema di come contrastare le scorrerie degli Stati Barbareschi dell’Africa settentrionale ma, nonostante le limitate forze navali disponibili, si riuscì ad ottenere in questo campo qualche risultato: se nel solo mese di giugno 1815 non fu possibile evitare la cattura di  ben quattro unità toscane, tre poco al largo di Livorno ed una a Piombino, ad ottobre ci si riuscì ad impadronire di due navi corsare (2), e l’anno successivo il Comandante della Marina Falchi e il Capitano Taddei (3) svolsero con successo una delicata missione diplomatica a Tunisi riscattando 21 schiavi toscani e riconducendoli in patria.
Tuttavia, dopo che vennero stipulati vari trattati con gli stati nordafricani, anche questo pericolo venne a cessare e da allora, per oltre trent’anni, la Real Marina militare fu qualcosa di evanescente: era una presenza costante nei documenti e nelle voci di bilancio, ma di fatto era quasi impossibile  vederla sul mare.
Uno dei pochi elementi prestigiosi  che dettero lustro alla Marina di quel periodo fu il tenente di fregata e costruttore regio Luigi Mancini (1770-1848) – che tra l’altro, per un certo periodo, ne fu anche il comandante in seconda – che compensava le poche commissioni (e di conseguenza anche i pochi emolumenti) che riceveva dal governo costruendo nel  cantiere di sua proprietà buone navi per l’estero fra cui vanno ricordati  due vascelli e due corvette per il Vicerè d’Egitto (4).

Ufficiali e marinai
La Marina militare dipendeva dalla seconda sezione del Ministero della Guerra per il materiale e dalla terza sezione per il personale.
Nella prima metà del XIX secolo erano in organico soltanto otto ufficiali ripartiti nei seguenti gradi (5):
Comandante Supremo: carica ricoperta di diritto dal Governatore Civile e Militare di Livorno;
Comandante: incarico che spettava al Capitano del Porto di Livorno ai sensi del motu proprio granducale del 17 agosto 1838. Tuttavia,  pur riunite al vertice in un’unica persona, la Marina e l’amministrazione marittima e portuale restavano due entità completamente separate.
–  tre Tenenti di fregata;
–  un Sottotenente di fregata;
–  due Primi Piloti.
Come in tutte le marine dell’epoca i Piloti, pur essendo considerati ufficiali, avevano un rango inferiore rispetto a quelli di Stato Maggiore e, infatti, in Toscana erano equiparati ad Alfieri di fregata (anche se  con quel grado non figurava in organico nessuna unità) completavano il personale un Primo Scrivano, un Primo Chirurgo, un Cappellano e un professore di matematica e nautica per l’addestramento degli ufficiali.
Per quanto riguardava la parte amministrativa e logistica vi provvedeva, in comune con l’esercito, il Commissariato di Guerra e Marina.Verso il 1850 (6)  risultavano in servizio 13 ufficiali e 134 uomini.
A quell’epoca gli ufficiali erano ripartiti in:

Gli ufficiali della Marina Militare Toscana e gradi corrispondenti

oltre a un capitano di fregata e ad un alfiere di fregata a riposo.
La truppa comprendeva 31 Piloti Scrivani (probabilmente sono conteggiati fra questi anche i sottufficiali) e 103 tra artisti, marinari e mozzi.
In quel periodo figurava peraltro iscritto come Comandante, ma non facente parte dei ruoli un general maggiore onorario, inquadrato fra gli ufficiali dello Stato Maggiore dell’esercito: si trattava di Corradino Chigi del quale parleremo in seguito più diffusamente.
Il bagno vecchio come si presentava nel 1907Più tardi, negli ultimi tempi del governo granducale,  fu chiamato al comando della Marina il Capitano di fregata Carlo Martellini che aveva alle sue dipendenze due Tenenti di vascello in prima, due Tenenti di vascello in seconda, tre Aspiranti di prima classe, un Medico chirurgo, un Magazziniere e un Contabile (7)
Al Censimento della popolazione del 1861, peraltro effettuato già sotto il Regno d’Italia, a Livorno fu registrata la presenza di 81 marinai militari.
Nel 1766, quando la Marina toscana era ancora una delle prime della penisola, era stato creato al Bagno Vecchio (8) un Istituto per le Guardie Marine,  per avviare ogni anno alla carriera navale 12 giovani delle famiglie più in vista. Dopo la Restaurazione la scuola fu riaperta, ma cessò quasi subito di funzionare e, successivamente, mentre i futuri ufficiali dell’esercito potevano valersi del Liceo militare Arciduca Ferdinando di Firenze, non c’era più nessun percorso di formazione per chi volesse iniziare la carriera sul mare: gli aspiranti seguivano i normali corsi di istruzione presso le loro famiglie, venendo poi a Livorno solo per completarli sommariamente con le materie professionali.
Peraltro coloro che intendevano seguire seriamente questa carriera frequentavano l’intero ciclo di studi presso una marina estera e spesso vi prestavano anche servizio, come nel caso del più illustre degli ufficiali dell’epoca, Corradino Chigi, che frequentò la Scuola di Marina di Genova fra il 1818 e il 1821 e che fece una curiosissima e contemporanea carriera nella Marina Sarda, nell’Esercito e nella Marina toscana ed infine nella Regia Marina e del quale tratteremo a parte.
A Livorno la piccola Marina disponeva di alcuni edifici, fra cui una moderna caserma allo sbocco del Fosso Reale e a Portoferraio esisteva una Divisione di Marina che disponeva di una spronara a 18 remi con 3 cannoni e 16 fucili al comando di un Alfiere di Fregata, con  l’equipaggio di 24 uomini e un pilota. Giustamente, al proposito della forza navale,  si ironizzava sul fatto che…se manca a Livorno tanto più ne scarseggia l’Elba ” (9).

Le navi
Dopo il rifiuto opposto dall’Austria al Granduca Ferdinando III di consegnargli qualcuna delle navi provenienti dal Regno d’Italia napoleonico, nel 1816 la flotta era solo il pallido ricordo di quella che era mezzo secolo prima e comprendeva solo dieci piccole unità: un brigantino, una goletta, uno sciabecco (denominati rispettivamente Arciduchessa Maria Teresa, Arciduchessa Luisa e Tisbe), quattro barche cannoniere e tre spronare (una delle quali aveva nome Cristina) , tutte armate solo per una parte dell’anno, scarse di artiglieria e di dotazioni di bordo (10).
Questo complesso, raccogliticcio e malandato, non poteva avere che una vita breve e infatti, fra il 1829 e il 1834, venne venduto o demolito: solo le spronare furono rimpiazzate con unità di nuova costruzione.
Verso il 1840, definita di ben piccolo momento, laflottaera composta solo dalle tre sopra ricordate spronare da 13,5 tonnellate con 8 remi e 10 marinai d’equipaggio, e da una goletta da 74 tonnellate. Quest’ultima era una buona nave  di costruzione recente, ma svolgeva soltanto le funzioni di guardaporto a Livorno e, di fatto, non prendeva mai il mare.
Tuttavia, nel 1846, si ebbe quello che forse fu  l’avvenimento più importante per la storia della minuscola Marina toscana del XIX secolo.
Dopo che, a partire dal 1835, erano apparsi  i primi piroscafi mercantili del Granducato, il Leopoldo II e il Maria Antonietta con macchina da 120 cavalli, affiancati poi dai più piccoli Romolo e Etrusco da 60 cavalli, impiegati sulle rotte fra Livorno, Genova, Napoli e Marsiglia, si manifestò l’esigenza di disporre di una nave a vapore anche per il cabotaggio interno e… questo desiderio soddisfossi nel 1846 essendosi nel febbraio di quell’anno varato a Livorno un piroscafo di proprietà del Regio Erario per lo scopo appunto di comunicare fra i varii porti del littorale toscano (11). Infatti, con Decreto del 20 febbraio 1845 (12), il Granduca Leopoldo II aveva disposto la costruzione di … un battello a vapore atto al servizio della Real Corte e, alla circostanza, a eseguire perlustrazioni, trasporti militari, missioni….
Progettata dal già ricordato costruttore regio ingegner Luigi Mancini, la nave, battezzata Il Giglio – ma frequentemente chiamata soltanto Giglio –  scese in mare a Livorno il 3 febbraio 1846.
Anche se appartenente alla Marina militare appariva evidente la mancanza di qualsiasi caratteristica bellica dato che la maggior parte dello spazio era occupato dalle sistemazioni per un centinaio di passeggeri, sul ponte e in cabine. Fu adibito essenzialmente al servizio postale, passeggeri e merci fra Livorno, le isole dell’arcipelago toscano e l’Argentario.
Non sembra che la riuscita della nave sia stata particolarmente buona: nel 1851 era già considerata quasi inservibile benché di modernissima costruzione (14) e necessitò di un lungo ciclo di lavori.  Il costo per il suo riattamento fu notevole (15), ma fu una somma ben spesa perché l’unità fu messa in grado di svolgere ancora moltissimi anni di servizio.

Il GiglioLe sue principali caratteristiche erano le seguenti (13):
–  dislocamento di circa 250 tonnellate;
–  scafo in legno lungo 38,7 metri e largo 5,5 metri;
– apparato motore fornito dalla ditta Maudslay di Londra  da 60 cavalli, con velatura ausiliaria;
–  armamento composto da 4 cannoni in bronzo;
–  equipaggio costituito da 27 uomini.
Il primo comandante fu Luigi Basti (o Bassi) e l’inglese William Bell era il direttore di macchina.

Attività operativa
Sotto questo aspetto non siamo certo in presenza di una storia brillante né, con le poche unità a disposizione, poteva essere diversamente. Dopo le imprese del 1815-1816 a cui si è accennato all’inizio e alcuni anni tranquilli, nel 1827 vi fu un momento di crisi con Algeri e Tripoli: ricorrendo a tutte le risorse, si riuscì a mettere insieme una squadriglia per la sorveglianza delle coste e per scortare i convogli di navi mercantili composta da una goletta, uno sciabecco, una cannoniera e una spronara, con complessivamente 180 uomini di equipaggio e 19 cannoni. Tuttavia questa  piccola forza navale non fu mai messa alla prova del fuoco e, anzi, sembra che non sia neppure potuta diventare operativa (16).
A differenza dell’esercito, che si presentava come un complesso dignitoso ed equilibrato  in relazione alle esigenze del Granducato, che fu mobilitato nel 1847 in occasione di una controversia con il Ducato di Modena per una questione di regolamento di confini (i cosiddetti fatti della Lunigiana), tanto da far temere lo scoppio di una guerra, e che nel 1848 si fece onore in Lombardia durante la prima guerra di indipendenza, ben poco si può dire delle piccole unità toscane, impiegate quasi soltanto nella vigilanza anticontrabbando, per i trasporti per conto dello stato e per qualche scorta alle barche coralline (17).
Il personale della Marina militare, che a causa della ridottissima attività operativa era costretto a lunghi periodi di inattività trascorsi a terra, veniva utilizzato per le ronde nel porto mercantile e per la vigilanza dei cantieri navali; i sottufficiali e i marinai costituivano la Forza Militare del porto (18) ed operavano a stretto contatto con la Capitaneria e il Commissariato di Polizia di San Marco e all’occorrenza, come si direbbe oggi, potevano svolgere anche funzioni di agenti di polizia giudiziaria.
Le vicende del Giglio, nonostante tutto, furono interessanti. Era una nave insignificante dal punto di vista militare, ma era l’unica nave disponibile di rilevanti dimensioni e si dimostrò adattissima ai compiti “tuttofare” per cui era stata concepita.
Come abbiamo detto l’unità fu adibita soprattutto al servizio di linea compiendo anche numerosi viaggi con a bordo il Granduca e la sua Corte, ma nel 1847 svolse un’intensa attività trasportando truppe e materiali verso il nord della regione nel periodo delle scaramucce con Modena e poco più tardi trasportò all’isola d’Elba vari prigionieri politici. Fu però nel 1848-1849 che visse un momento di attività convulsa. Su di essa nel settembre 1848 si rifugiarono il colonnello Cipriani e parte delle sue truppe in fuga da Livorno durante i moti insurrezionali che, allontanatisi via mare dalla città, furono sbarcati in una zona sicura. Rimasto poi a disposizione del Governo Provvisorio, il Giglio appoggiò dal mare, per supplire alle eventuali interruzioni delle comunicazioni (19), un corpo di 5000 uomini dell’esercito in una ricognizione lungo la via litoranea verso la Versilia alla ricerca di un forte nucleo di truppe rimaste fedeli al Granduca. Il distaccamento di soldati che aveva a bordo, e di cui era previsto lo sbarco a Viareggio, non potè tuttavia prendere terra per la presenza di alcune batterie posizionate dall’avversario.
Il Giglio  fu  poi oggetto di interessi  poco chiari da parte di alcuni agitatori che, sobillati dal sedicente comandante della Guardia Nazionale livornese De Attelis, avevano in progetto di impossessarsi delle casse pubbliche dei vari enti presenti in città, sequestrare la nave  e fuggire a Napoli su di essa, rivendendola poi in quel porto. Il deciso intervento delle autorità governative e del Capitano del porto riuscì a sventare questi propositi.
Nel febbraio del 1849, su insistenza della fazione anarchica, che riusciva spesso ad imporsi su quella moderata, venne organizzata una spedizione a Portoferraio  per accertare se il Granduca si trovasse in quella fortezza e con l’intenzione, più velata, di guadagnare alla causa rivoluzionaria la guarnigione, ancora fedele al sovrano (20).
Il Governatore di Livorno Pigli ordinò al  Comandante del porto  Bargagli che, come tale, era anche Comandante della Marina Militare e che era un ufficiale che aveva servito nella Marina Sarda partecipando all’azione contro Tripoli nel 1825, di far partire per l’Elba il Giglio con a rimorchio due barche cariche di uomini armati al comando di Antonio  Petracchi, un navicellaio diventato maggiore della Guardia Nazionale. La partenza della missione fu però ritardata a causa dell’incaglio del Giglio nel porto: l’unità si disimpegnò con i suoi mezzi e senza danni, ma vi furono aspre critiche al Comandante Bassi accusato di avere provocato volontariamente l’incidente e gli fu rimproverato che era stato zelante quando salvava il Cipriani e quando imbarcava il Granduca; non già quando si trattava di servire la Patria. Quando poi la nave giunse al largo dell’Elba, avvistata una fregata inglese, preferì evitare complicazioni e deviò dalla rotta rifugiandosi a Campo.
Seguirono inconcludenti contatti con il Governatore, sbarchi di piccoli nuclei di patrioti, tentativi di sobillare le truppe e di far rivoltare i forzati della colonia penale e il Giglio visitò qualche porto dell’isola per “mostrar bandiera”.
Fra le scuse escogitate per prolungare la sua permanenza sull’isola il Petracchi chiese e ottenne una provvista di carbone per la nave che, tuttavia, venne rifiutata dal macchinista Bell  che dichiarò di disporre di adeguate scorte di combustibile. Dopo alcuni giorni di infruttuosi temporeggiamenti il Giglio tornò a Livorno con il suo carico di patrioti indisciplinati e schiamazzanti mentre, in quegli stessi giorni, una speronara fu inviata in crociera di vigilanza all’isola del Giglio, per controllare movimenti sospetti e per pubblicare proclami.
Anche se, come abbiamo ribadito, il Giglio era un’unità modesta, oltre ad essere dotata di macchina a vapore era pur sempre poderosa rispetto alle piccole imbarcazioni che solcavano le acque dell’Arcipelago toscano e reggeva molto meglio di esse il mare cattivo, così che potè distinguersi in una lunga serie di soccorsi a navi mercantili in difficoltà.
Il 1° agosto 1853, in occasione della cerimonia dell’inizio dei lavori di ampliamento del porto di Livorno, dal Giglio, che aveva a bordo il Granduca, furono lanciati in mare i primi massi destinati alla costruzione della  diga curvilinea.
Nel 1859, dopo la costituzione del Governo Provvisorio, trasportò a Genova il Commissario sardo Carlo Buoncompagni e, in quell’occasione, si meritò il nome altisonante di nave capitana (21).
A Porto Santo Stefano, punto nodale dei viaggi del Giglio, si trovava un deposito di carbone, al quale si rifornì Garibaldi nel 1860 durante il viaggio verso Marsala. Le cose non si svolsero in modo troppo amichevole: “una deputazione fu inviata ai magazzini governativi con l’ordine di negoziare con buone maniere, ma essendo Nino Bixio della comitiva, si tagliò subito corto ai preliminari, si afferrò l’ufficiale di servizio per il collo fino a che non ebbe consegnata la chiave della carboniera” (22)
Nel 1861 il Giglio entrò a far parte della Marina italiana dove fu classificato “rimorchiatore a ruote” venendo impiegato soprattutto come nave trasporto. Nel 1866, poco prima della battaglia di Lissa, partecipò alle operazioni per tranciare il cavo telegrafico sottomarino dell’isola di Lesina. Nel 1873 risultava in disarmo e venne radiato nel 1879.

Le Marine “minori”
Un breve tratto del litorale versiliese appartenne al Ducato di Lucca, erede dell’antica Repubblica che, a seguito degli accordi presi durante il Congresso di Vienna, dopo un periodo di indipendenza fu incorporato al Granducato di Toscana nel 1847.
La Duchessa Maria Luisa, che prediligeva Viareggio, cui nel 1823 diede il rango di città e dove profuse impegno e denaro nella costruzione di opere pubbliche, nel 1819 vi fece costruire una darsena e nominò Comandante di Marina Ippolito Zibibbi, un vecchio ufficiale napoleonico. La Duchessa coltivò anche l’effimero sogno di avere una piccola flottiglia militare, alla cui costituzione diede inizio  acquistando una goletta e  un modesto  bovo da carico. (23). L’iniziativa, anche per motivazioni economiche, non ebbe però seguito.
La bandiera navale lucchese era conosciutissima sull’Atlantico, non certo per la pochezza della sua marineria, ma perchè era una specie di “paradiso fiscale” del quale approfittavano gli armatori genovesi  per le navi dirette a Buenos Aires, dove il console concedeva sconti più consistenti rispetto ai diritti pretesi da quello piemontese.
Più a nord il Ducato di Modena si affacciava sulla costa con i territori di Massa e Carrara acquisiti per successione ereditaria nel 1829, dopo l’estinzione della casa ducale Cybo.
A Brugiano, una località di poche case presso Massa, situata alla foce dell’omonimo torrente, era destinato un ufficiale dell’esercito quale Comandante della R. Marina, dalle competenze piuttosto oscure non risultando che il Ducato abbia mai posseduto alcuna imbarcazione militare (24).

Una spada per tre bandiere
Il più noto marinaio toscano del periodo Risorgimentale fu certamente il conte Carlo Corradino Chigi,  nato a Siena nel 1802. Destinato alla carriera militare navale preferì affrontarla nella Marina del Regno di Sardegna convinto che avrebbe potuto offrirgli sotto l’aspetto professionale qualcosa di più rispetto a quella, modestissima, del Granducato. Entrò quindi nella Scuola di Marina di Genova nel 1818 e nel 1825, con il grado di tenente di vascello, partecipò alle operazioni condotte dalla flotta sarda contro Tripoli.  Si distinse nell’attacco notturno ad alcune navi ormeggiate nel porto nonostante che l’oscurità avesse allontanato due delle tre barche che costituivano la  forza al suo comando e per i brillanti risultati conseguiti venne insignito dal re Carlo Felice della Croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Nel 1839 venne promosso capitano di vascello ma, a questo punto, avrebbe dovuto optare per la cittadinanza sarda che rifiutò tornando in Toscana dove gli fu attribuito il grado di capitano di fregata e dove iniziò una lunga carriera politica che lo portò nel tempo a essere Governatore dell’isola d’Elba e poi Gonfaloniere (Cioè Sindaco) di Fivizzano e di Siena.
Quando scoppiò la guerra del 1848 e la Toscana mandò un corpo di spedizione in aiuto dei piemontesi assunse la carica di Capo di Stato Maggiore e contemporaneamente i gradi di colonnello effettivo e maggior generale onorario dell’esercito.
Assieme alle truppe regolari partecipò alla campagna la Compagnia della Guardia Universitaria formata da tre professori, un assistente e 55 studenti ell’Università di Siena che, assieme agli altri studenti toscani, si distinse a Curtatone e a Montanara. Il 29 maggio 1848 Corradino Chigi  li guidò nello scontro di Curtatone. Durante il combattimento, come racconta egli stesso, il fodero della sciabola si impigliò fra le gambe e, abbassata la mano sinistra per scostarlo, gli venne massacrata da un colpo di mitraglia e all’ospedale da campo il chirurgo fu costretto ad amputargli il braccio.
Nacque così la leggenda dell’”eroico mutilato di Curtatone” che avrebbe gridato, incurante della ferita: “Viva l’Italia! Maledizione a coloro che gridano in piazza e non vengono sul campo!“(25).
Rimpatriato, ebbe il comando della Guardia Civica di Siena e poi si ritirò a vita privata ma, nel 1859, gli fu conferita la carica  di Comandante Generale Provvisorio della Marina Militare Toscana; venne poi nominato da Vittorio Emanuele II Senatore e poco dopo   promosso contrammiraglio nella marina Sardo-italiana ma, conscio che era stato troppo tempo lontano dalla vita militare sul mare, dopo un periodo quale giudice  del Tribunale Supremo di Guerra di Firenze preferì dare le dimissioni. Più tardi, in qualità di senatore, si trovò a dover giudicare l’ammiraglio Persano inquisito per i fatti di Lissa che fu suo compagno nella missione di Tripoli del 1825. Si spense a Fivizzano nel 1881.

Le bandiere della Marina Militare Toscana
Progetti di riforma
Basta osservare una carta geografica per rendersi conto che, con lunghi confini marittimi e una molteplicità delle isole, la Toscana avrebbe avuto bisogno di una difesa navale magari contenuta ma comunque adeguata ed è ovvio che la situazione paradossale delle condizioni della Marina non sfuggisse né al Governo, né agli osservatori politici.
….Lo Stato della Chiesa e il Toscano singolarmente sono così disorganizzati nella loro Marina che possono essere considerati inferiori a Tripoli e a Tunisi, piccoli stati barbareschi…(26). Ancora durante il Governo Provvisorio del 1859 c’era chi parlava in termini ironici di formidabile nostra marina militare  (27).
Corradino ChigiDefinendola quasi che un nome si esprimeva in termini non molto diversi anche il capitano Oreste Brizi, autore di un dettagliato progetto di riforma delle forze armate toscane (28); poiché una ristrutturazione del Corpo sarebbe potuta avvenire soltanto in dipendenza della costruzione di nuove navi da guerra, le cui caratteristiche e il cui numero al momento in cui scriveva non erano ancora state decise, il Brizi si limitava a proporre l’istituzione di un Comando Marina a Livorno e di alcune particolari nuove categorie di marinai: Cannonieri, Fucilieri di Marina e Operai dell’Arsenale di mare. Raccomandava inoltre di svincolarne il comando supremo, anche se solo nominale, dal Governatore di Livorno e di affidarlo all’ufficiale di grado più elevato.
Ad ogni modo, dopo il 1850, il Governo  cominciò a pensare seriamente alla rifondazione della Marina Militare, programmando interventi nel settore del personale, insufficiente e anziano (29), e del naviglio nel quadro del potenziamento  generale delle forze toscane i voluto dal comandante dell’Esercito, Federico Ferrari da Grado.
Si riteneva necessaria la costruzione di due cannoniere a elica da 3 cannoni, di una corvetta a elica da 18 cannoni e di una nave ausiliaria a ruote da 6 cannoni; le unità dovevano costruirsi a Livorno, la cui cantieristica era sufficientemente sviluppata e moderna.  Motivi economici ed organizzativi fecero slittare nel tempo questo programma, minimale ma ragionevole, che sostanzialmente fu attuato solo dopo la fine del governo Granducale.

Uniforme, probabilmente da comandante provvisorio della Marina toscana nel 1859 di Corradino Chigi
Il Governo Provvisorio
Nel 1859, dopo la fuga del Granduca, venne istituito un Governo Provvisorio sotto la presidenza di Bettino Ricasoli, incaricato di preparare l’annessione al Regno di Sardegna.
Come l’Esercito anche la Marina – posta sul piede di guerra il 30 giugno 1859 – fu  riorganizzata, anche per quanto riguardava le uniformi, sul modello di quella sarda (30) e il 14 dicembre 1859 venne istituito un Commissariato di Marina a Livorno (31). Ai sensi del Decreto del 19 dicembre di quello stesso anno la Marina venne strutturata in uno Stato Maggiore, un Corpo Reali Equipaggi e un Corpo delle Escavazioni dei porti e fossi, quest’ultimo dipendente, per il servizio, dal Capitano del porto di Livorno.
In quei mesi vi fu un’intensa ripresa delle costruzioni da parte del vecchio cantiere di Luigi Mancini la cui attività era proseguita dal figlio Giuseppe (32): vennero   completate le cannoniere Ardita e Veloce, poi armate a Tolone,  fu portata avanti la costruzione delle cannoniere Palestro e Curtatone ed impostata la corvetta Magenta.
Era anche in programma la costruzione, presumibilmente in sostituzione di quelle esistenti,  di due nuove spronare destinate alla repressione del commercio illegale lungo la Costa (33).
Venne istituito un Consiglio sanitario marittimo del quale faceva parte anche il Comandante della Marina.
Di fronte al potenziamento del naviglio, proporzionalmente molto sensibile, il personale fu portato a 57 ufficiali ed equiparati e 332 marinai (34).
A questo punto la piccola Marina toscana si presentava come una forza limitata, ma finalmente dignitosa, anche se questa profusione di risorse rappresentava solo il contributo delle forze locali in vista della costituzione del Regno d’Italia, con la cui marina venne ben presto fusa.

Note
1) Emanuele Repetti: Compendio storico della città di Firenze. Pag. 174. Tofani, Firenze 1849.
2) Michele Rosi: l’Italia Odierna vol. I, pag. 968 nota 23. Unione Tipografico-Editrice Torinese. Torino, 1918.
3) Forse quest’ultimo è da identificarsi con un Taddei tenente di porto presente a Livorno in epoca napoleonica.
4) Una lapide del 1828 collocata in occasione dell’ampliamento del cantiere lo qualifica Architectus navalis regius et subnavarcus. V. Giuseppe Vivoli: Annali di Livorno. Tomo III pag. 332. Sardi, Livorno 1844.
5) Attilio Zuccagni-Orlandini: Corografia fisica storica statistica dell’Italia e delle sue isole. Pag. 481 Vol IX. Ed. in proprio, Firenze 1842.
6) Attilio Zuccagni-Orlandini: Ricerche statistiche sul Granducato di Toscana. Tomo II. Pagg.402 e ssgg. Firenze, Tofani 1850.
7) Sante Romiti: Le marine militari italiane nel risorgimento (1748-1861) .Pag. 250 nota 1. Italgraf, Roma 1950. Carlo Martellini aveva alle spalle un lungo passato nella marina mercantile e militare: nel 1842 era stato comandante del Lombardo (la stessa nave che, nel 1860, avrebbe trasportato in Sicilia i Mille di Garibaldi) all’epoca adibito al servizio sulla linea Livorno-Genova-Marsiglia e nel 1847 era comandante del Giglio. Quando nel dicembre di quell’anno il Granduca, diretto in Piemonte, volle che la nave fosse comandata dal Capitano del Porto di Livorno Bargagli anziché da lui, aveva dato le dimissioni. Ritornò poi in servizio, dato che dopo il 1850 è documentata la sua presenza nuovamente al comando del Giglio impiegato con una compagnia di Cacciatori in un’operazione di polizia all’isola di Montecristo.
8) Il Bagno Vecchio o Bagno dei Forzati  in origine  era un edificio dove un tempo venivano detenuti i prigionieri turchi e barbareschi. Si trovava fra il porto e l’attuale Piazza Grande e venne demolito prima della seconda guerra mondiale.
9) Attilio Zuccagni-Orlandini: Corografia fisica…cit. Vol. IX pag. 52.
10) Daniela Manetti: Marina Militare e costruzioni navali nel Granducato di Toscana in Atti del Convegno La penisola italiana e il mare. Viareggio 29-30 aprile – 1 maggio 1991. Ed. a cura di Tommaso Fanfani. Pag. 399 . Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1993. La spronara o speronara era un’imbarcazione a vela latina, tipica di Malta e della Sicilia, con buone doti velocistiche: per questa ragione era il tipo impiegato di preferenza nella vigilanza anticontrabbando.
11) AA.VV. Nuovo dizionario Universale tecnologico. Voce navigazione,. Tomo XLII,  pag. 93. Venezia, Antonelli 1847.
12) Peraltro, in un documento di molto successivo all’unità d’Italia (1873), la nave viene data come impostata nel 1844 ma probabilmente, stante anche il lungo di tempo trascorso, si tratta di un’imprecisione.
13) Nel tempo le caratteristiche dell’unità subirono varie modifiche e, anche per motivi di economia, l’armamento venne portato a due pezzi in bronzo da 80 e l’equipaggio fu ridotto a 18 uomini. Secondo la tabella di armamento della navi della Regia Marina italiana del  giugno 1863 l’equipaggio era formato da:
-1 Pilota di 3^ classe e un Secondo Pilota;
-1 Secondo macchinista;
-1 Secondo Nocchiere;
-2 Timonieri (di cui uno cannoniere);
-4 fuochisti, 2 carbonai, un operaio d’ascia, 10 marinai;
14) Attilio Zuccagni-Orlandini Ricerche statistiche sul Granducato di Toscana. Cit. Tomo II pag. 494.
15) Supra,  pag. 404. Dal prospetto comparativo delle spese per il mantenimento dei bastimenti fra il 1847 e il 1851, risulta che, in quell’ultimo anno, queste furono di 61.000 lire contro le 7.760 del 1847.
16) Daniela Manetti Marina Militare e costruzioni navali nel Granducato di Toscana cit. Pagg. 402-403.
17) La pesca e la lavorazione del corallo erano attività economiche importanti per Livorno, benché in decadenza nel XIX secolo.  Nel 1850 erano in attività 21 barche coralline: 17 paranzelle, 3 leuti e una feluca, meno della metà rispetto al 1836. Cfr. Attilio Zuccagni-Orlandini Ricerche statistiche…cit. pag. 307 e Luigi Serristori Statistica dell’Italia. Pag. 183 Stamperia Granducale, Firenze 1842.
18) V. artt. 75-77 e altri del “Regolamento per il porto, la darsena e i fossi di Livorno” del 17 luglio 1840.
19) Infatti il 22 febbraio 1849 Antonio Petracchi aveva scritto al Governatore di Livorno Pigli: …sono a Viareggio: mandate qua subito il Giglio. Laugier ha rotto i ponti. Mandatemelo subito se no non posso passare…In N.N: Collezione storica di tutti gli atti, dibattimenti, sentenze della celebrata causa di lesa maestà contro Francesco Domenico Guerrazzzi, Giuseppe Montanelli e Giuseppe Mazzoni. Parte 1, sez 1. Pag. 168.  Ed. in proprio, Firenze 1852.
20) Supra. Parte 2, sez 2. Pagg. 104 e ssgg. Firenze 1853.
21) N.N.: I casi della Toscana nel 1859 e nel 1860. Pag. 162. Salani,  Firenze 1860.
22) George M. Trevelyan: Garibaldi e i Mille. Pag. 286. Zanichelli, Bologna 1907.
23) Michele Rosi: l’Italia Odierna,  cit. vol. I , pag 968 nota 87.
24) Attilio Zuccagni-Orlandini: Corografia fisica…cit. Vol. IX pag. 218.
25 Francesco Piccolomini Bandini: Ricordi militari del contr’ammiraglio senatore Carlo Corradino Chigi, (Tripoli 1825 – Curtatone 1848). L. Lazzeri,Siena 1899.
26) Costantino Mini: Geografia e storia militare dell’Italia. Tomo I pag. 125. Ed. in proprio. Firenze, 1850.
27) N.N.: I casi della Toscana…Cit. Pag.122.
28) Oreste Brizi: Progetto di riorganizzazione permanente dell’Armata Toscana. Pag. 32. Tip. Galileiana, Firenze 1848.
29) E’ molto eloquente l’esempio fatto in una relazione del 1856 da cui risultava che il più giovane dei Sotto Nostromini aveva 56 anni e 30 di servizio. Daniela Manetti Marina Militare e costruzioni navali nel Granducato di Toscana , cit..Pag. 408 nota 120.
30) Decreti del 21 settembre e 22 novembre 1859.
31) Le sue competenza erano le stesse del Corpo di Commissariato della Marina Sarda: era diretto da un Commissario di prima o seconda classe con alle dipendenze sette sotto-commissari delle varie classi e otto subalterni.
32) Per la storia del cantiere v. Vittorio Marchi-Ugo Canessa: 200 anni della Camera di Commercio nella storia di Livorno. Vol. II pagg. 74 e ssgg. Dibatte, Livorno 2001.
33) Cfr. Relazione del Ministro della Guerra al Presidente del Consiglio dei Ministri sul riordinamento dell’armata del 10 gennaio1860. In  Atti e documenti del Governo della Toscana. Parte quarta, pag. 60. Stamperia sulle Logge del Grano, Firenze 1860.
34) Torello Bartalesi:  Biografia del luogotenente generale Raffaele Cadorna. Pag. 42 Barbera, Firenze 1864.

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