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Sulla Hedia gli “aiuti” di Mattei agli algerini?

di Massimiliano Ferraro (giornalista) pubblicato il 15 agosto 2014 su
http://massim.wordpress.com/2014/08/15/sulla-hedia-gli-aiuti-di-mattei-agli-algerini/
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* Questo articolo è stato pubblicato in esclusiva su
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Si ringrazia Massimiliano Ferraro per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra)

Premessa
Cari amici siamo arrivati alle battute finali della ricerca della verità dietro la scomparsa della nave Hedia un mercantile con bandiera Liberiana con commerci ed equipaggio italiano, composto da venti uomini, di cui un gallese e diciannove italiani provenienti da Venezia, Chioggia, Fano, Molfetta, Sciacca e Catania, una nave svaniti nel nulla il 14 marzo 1962, e vittime dimenticate troppo presto dalle istituzioni che stranamente non vollero mai aprire un’inchiesta.
Dopo due anni di ricerche siamo arrivati a dire che la nave Hedia con tutta probabilità faceva parte di un gioco pericoloso, una sporca faccenda fatta di armi e ruggine, poteva andare meglio alla fine è finita male per l’equipaggio della nave Hedia e per Enrico Mattei l’ingegnere a capo dell’industria energetica petrolifera italiana.
Parrebbe che la cattura dell’equipaggio con le armi sia valsa come prova per i francesi per condannare a morte quell’uomo eccezionale cui era Enrico Mattei. Quella delle forniture di armi al Fronte Liberazione Nazionale algerino era  un interesse di Stato, l’Italia contava di mettere le mani negl’immensi giacimenti di gas algerino, questo poteva avvenire solo se l’Algeria conquistava la libertà, solo con la Francia fuori dai giochi si poteva stringere rapporti commerciali interessanti, solo che alla fine Enrico Mattei venne assassinato prima che si firmassero i contratti di sfruttamento petrolifero. Secondo le risultanze del processo di Pavia dietro alla morte di Mattei c’erano Cefis, Andreotti e Fanfani, gli ultimi due nella qualità di Ministro della Difesa e Presidente del Consiglio sono stati quelli che non vollero fare luce sul giallo della scomparsa della nave Hedia.
Accursio Graffeo

Nave Hedia (foto web)La nave Hedia. (Foto: web)

Guerra, armi e petrolio: il vecchio giallo dalla nave scomparsa si infittisce.
La guerra franco-algerina, il sogno dell’indipendenza energetica dell’Italia e la Hedia, la nave scomparsa nel nulla al largo delle coste tunisine il 14 marzo 1962. Tre storie distanti tra le quali è forse possibile trovare delle connessioni. Saranno i lettori a stabilire se si tratta solo di un racconto fantastico e inverosimile, fantasioso ma verosimile, o incredibile ma vero. Fatto sta che molto di quanto avvenuto dopo quel lontano giorno di marzo in cui la Hedia scomparve insieme ai suoi 20 marinai contrasta con la tesi del semplice affondamento. Oltre cinquant’anni dopo errori, omissioni, cose dette e smentite, affermazioni ambigue e foto misteriose caratterizzano ancora questo vecchio giallo marinaro. Un cold case che rimane ancora avvolto da una nebbia fittissima, tanto più dopo il ritrovamento di due lettere inedite, di cui chi scrive vi ha già riferito in precedenza.
Nella prima lettera, firmata dal padre del marconista Cesca, viene menzionata la possibilità che la Hedia avesse a bordo delle armi e che una non meglio precisata autorità estera (la Francia?) tenesse l’equipaggio prigioniero. La seconda epistola, vergata nel bel mezzo del mare in tempesta direttamente da uno dei membri dell’equipaggio, rivela invece uno scalo non previsto del mercantile nel porto di Tangeri, la capitale nordafricana dello spionaggio e del contrabbando. Ecco quindi che, tenendo conto della situazione di guerra in cui nel 1962 si trovava la zona di Mediterraneo in cui la Hedia è scomparsa e delle vicende legate ai traffici di armi che durante quella guerra hanno visto protagoniste tante navi, è possibile formulare alcune ipotesi che vanno al di là di quella ufficiale.

Il contrabbando di armi nella guerra franco-algerina

agLa guerra d’Algeria (foto web)

La guerra d’Algeria, o meglio guerra franco-algerina o guerra d’indipendenza algerina (in Algeria anche Rivoluzione), è il conflitto che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo 1962 l’esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN, Front de Libération Nationale), che aveva rapidamente imposto la propria egemonia sulle altre formazioni politiche.Dopo sette anni e mezzo di uno scontro senza esclusione di colpi, da una parte come dall’altra (generalizzazione della tortura, attentati, terrorismo, rappresaglie, napalm…), gli algerini conquistarono l’indipendenza che fu proclamata il 5 luglio 1962. Il primo a non credere che la Hedia sia semplicemente affondata a causa del maltempo è Accursio Graffeo, nipote di un marinaio ventunenne scomparso nel 1962 insieme al mercantile. Graffeo ricorda che il primo a ventilare l’ipotesi che il commercio di armi o di altro materiale strategico fosse in qualche modo legato alla vicenda della Hedia fu il Ministero degli Esteri italiano. In un esposto la Farnesina scriveva: “Non si può escludere che la nave abbia imbarcato in Spagna o in Marocco delle armi destinate a qualcuna delle parti contendenti in Algeria (FLN od OAS)”. «In questo caso l’arrivo della Hedia in Marocco potrebbe far pensare che le “misteriose cassette”, di cui fin da subito si vociferò l’esistenza, fossero probabilmente destinate alla prima delle formazioni belligeranti citate: i ribelli del Front de Libération Nationale algerino (FLN), in guerra contro la Francia per ottenere l’indipendenza del paese nordafricano», chiosa Graffeo.
È risaputo che durante la Guerra d’Algeria il FLN sia stato costantemente rifornito di armamenti provenienti, seppure indirettamente, dall’Unione Sovietica attraverso gli Stati appartenenti al Patto di Varsavia, o che comunque vicini alla sua orbita geopolitica come l’Egitto e Cuba. Le armi trasportate via mare approdavano in Marocco e in Tunisia e da lì entravano poi in territorio algerino.
Graffeo, che nel tentativo di far luce sul mistero della scomparsa della Hedia è diventato un esperto del periodo storico in questione, ricorda in particolare come durante l’intero arco di tempo della guerra si sono registrati numerosi episodi di sequestro in mare, operati dalle navi militari francesi, di mercantili che trasportavano armi destinate al FLN. Altre navi “gun-runners” invece non sono mai arrivate sulle coste nordafricane, perché sono state fatte esplodere in Europa, nei porti di carico, ancora prima della partenza, a seguito di attentati operati direttamente dal servizio segreto francese, dalla sua cellula terroristica deviata (la “Main Rouge”) o dall’OAS (l’organizzazione clandestina francese a favore del mantenimento coloniale in Algeria nda). Attentati che hanno avuto come obiettivo non solo le navi, ma spesso anche gli stessi trafficanti. Alcuni di questi episodi sono conosciuti, ma  non c’è da dubitare che molti altri rimangano ancora nell’ombra.
Per quanto riguarda i sequestri in mare si può citare come esempio quello avvenuto nell’ottobre del 1956 al piroscafo Athos, definito dalle cronache giornalistiche di allora uno “yacht pirata”. Partito da Alessandria d’Egitto con diciassette uomini a bordo tra cui italiani e algerini, venne catturato dalla nave militare francese Commandant De Pimodan con un carico di settanta tonnellate di armi d’ogni tipo: mortai, mitragliatrici, fucili automatici, pistole e granate fabbricate nell’Europa dell’Est e dirette ad approvvigionare gli indipendentisti algerini.
Un altro caso emblematico fu quello che nel 1958 vide coinvolta la nave jugoslava Slovenija. Una moderna nave mista, carico e passeggeri, sequestrata da unità militari francesi nelle acque al largo dell’Algeria, mentre era diretta a New York con scalo a Casablanca. Trasportava 150 tonnellate di armi cecoslovacche imbarcate nel porto jugoslavo di Fiume che figurano ufficialmente vendute al Marocco.
Molti altri episodi simili riguardanti navi di trafficanti dirette verso i porti del Marocco o della Tunisia, paesi che rappresentavano le porte d’ingresso all’Algeria, si registrarono nel corso di tutta la guerra d’indipendenza.
Ma cosa c’entra tutto questo con la scomparsa della Hedia? Secondo Graffeo non si può escludere che anche la Hedia possa aver fatto parte di questa nutrita schiera di navi “gun-runners”. Ma stabilire oggi se ciò corrisponda a verità risulta arduo: al momento nessuno può confermare nulla. Si tratta quindi di supposizioni, fermo restando che il traffico di armamenti che avveniva proprio sull’ultima rotta della Hedia nel corso della guerra franco-algerina è, come si è visto, un fatto storico documentato. Fa riflettere in particolare che appena due mesi prima dell’attracco del nostro mercantile a Casablanca, nel gennaio del 1962, la stessa via nordafricana delle armi sia stata seguita dal cargo cubano Bahìa de Nipe, che sbarcò in Marocco delle casse di armi attese al campo dell’FLN situato nei pressi del villaggio di Oujda.
Di certo se la nave condotta dagli italiani trasportava davvero delle armi, magari all’insaputa di tutto o buona parte dell’equipaggio, lo faceva per conto di qualcuno. Ma chi? Non erano in molti a quei tempi ad avere il coraggio sfidare apertamente gli interessi della Francia armando i ribelli indipendentisti. Un azzardo che poteva significare firmare la propria condanna a morte, proprio come accaduto a Georg Puchert (alias Captain Morris), trafficante di armi tedesco di casa a Tangeri, assassinato dalla “Main Rouge” a Francoforte il 3 marzo 1959.

L’ipotesi Enrico Mattei 
(29/04/1906 – 27/10/1962)
matteiAccursio Graffeo traccia il suo scenario: «Mi sono domandato chi in Italia avesse l’interesse a rifornire di armi l’Algeria e forse c’era solo una persona: in tanti libri viene riportata la teoria che Enrico Mattei, all’epoca presidente dell’ENI, rifornisse di armi i ribelli algerini visti i suoi ottimi rapporti con il governo provvisorio». Non è un segreto infatti che l’ENI di Mattei parteggiasse per gli algerini al fine di arrivare allo sfruttamento delle risorse di petrolio e gas naturale di quella colonia che la Francia stava perdendo.
Per Graffeo il primo contatto tra la Hedia e Mattei sarebbe il porto di Ravenna, punto di partenza dell’ultima crociera di carico della nave nel Mediterraneo. A Ravenna c’era lo stabilimento dell’ANIC (società dell’ENI nda), specializzato nella produzione di fertilizzanti ed è quindi possibile che il carico di concimi chimici imbarcato sulla nave sia uscito proprio da quell’impianto. È possibile, sottolineiamo noi, perché i documenti di carico della Hedia sono andati perduti durante l’alluvione di Ravenna del 1966 che provocò l’allagamento degli uffici della locale Capitaneria di Porto. Ma il nipote del marinaio della Hedia insiste: «Il carico di armi potrebbe essere avvenuto in questa occasione, magari imbarcandolo come attrezzature petrolifere o di altro genere, così da farlo passare senza incorrere in controlli troppo scrupolosi». Come ulteriore supposizione si potrebbe anche rilevare che i fertilizzanti contengono nitrati, i quali hanno una certa affinità chimica con alcuni tipi di esplosivo.
L’ipotesi della partecipazione della nave Hedia ad un traffico di armi destinato ai rivoltosi algerini per conto dell’ENI di Enrico Mattei (che, ovviamente, nulla ha a che vedere con l’attuale ENI nda) avrebbe coinvolto, suo malgrado, lo Stato italiano e quindi soprattutto i vertici della Democrazia Cristiana di allora. Dal canto loro i francesi avrebbero avuto, almeno in teoria, tutta la convenienza di rendere pubblica la vicenda. In questa situazione sarebbe stato quindi unicamente interesse dell’Italia cercare di nascondere l’accaduto. Come mai allora Parigi, interpellata a riguardo, ha sempre affermato di non sapere nulla di quella nave scomparsa?
L’insolito comportamento della Francia nella vicenda, i silenzi, le ambiguità, possono trovare una spiegazione solo qualora il supposto traffico di armi operato dalla Hedia abbia avuto origini e motivazioni diverse da quelli condotti da altre navi. Nel caso specifico si sarebbe trattato di un contrabbando operato da una “entità” italiana, quindi appartenente ad una nazione “amica”, originato da motivi di pura convenienza nel futuro sfruttamento delle risorse energetiche algerine. Insomma, un’azione che poteva essere interpretata alla stregua di una concorrenza sleale.
Seguendo questo ragionamento la sparizione della Hedia e del suo equipaggio potrebbe essere interpretata come una rappresaglia della Francia diretta contro l’Italia e particolarmente contro chi in Italia aveva originato il traffico. Un duro avvertimento inviato da una nazione che era risolutamente decisa a mostrare una totale intransigenza nei confronti di tutti coloro che, favorendo il FLN, miravano a ledere i suoi interessi. Inoltre lo scenario di guerra poteva verosimilmente mascherare qualsiasi eventuale eccesso nell’azione da parte delle unità navali francesi.
Tuttavia, come già accennato, non solo la Francia e il cartello del petrolio statunitense-anglo-olandese vedevano Mattei come un pericolo. Anche in Italia il presidente dell’ente petrolifero nazionale contava sicuramente molti nemici, forti antipatie e contrasti. Possibile quindi ci possa essere stato un tacito e inconfessabile accordo tra la politica francese e quella italiana per colpire attraverso la Hedia, anche se per motivi molto diversi, Mattei e le sue attività non gradite ad entrambe? Una sorta di “agreement” che avrebbe visto i governi delle due nazioni coalizzati contro Mattei con la benedizione degli USA, delle “Sette Sorelle” del petrolio e dell’OAS?
Riassumendo, qualora la Hedia avesse realmente trasportato armi per il FLN si sarebbe trovata a fare da capro espiatorio nella dura contesa, sarebbe diventata il messaggio d’avvertimento a Mattei sia da parte francese che da quella italiana.
È un peccato che nessuno abbia voluto confermarci espressamente la fondatezza di questa congettura visto che, per vie traverse, abbiamo comunque ottenuto alcune considerazioni molto interessanti. «A distanza di tanti anni le mie memorie non sono più molto chiare, mi ricordo comunque che si parlava in modo abbastanza esplicito di traffico di armi e di reazioni da parte francese per aiuti al FLN», ha confidato una persona che all’epoca si occupò a lungo del caso Hedia. «L’ipotesi (l’invio di aiuti agli algerini nda) è giusta, ma anche Mattei finì vittima dei suoi “intrighi”… A mio parere si troverà ben poca cosa negli archivi italiani, si dovrebbero invece cercare dei riscontri negli archivi tunisini».
Purtroppo, i decenni che ci separano dalla scomparsa della nave Hedia rendono pressoché impossibile stabilire quale margine di attendibilità possa avere la versione dei fatti fin qui esposta, certamente molto suggestiva. Per quanto ci riguarda i punti  concreti su cui riflettere sono tre: nei primissimi anni ’60 Mattei decise di fare di Ravenna il porto principale per le spedizioni dei prodotti dell’ENI verso l’Africa ed il Medio Oriente. Lo scalo, nonostante le ridotte dimensioni e la bassa profondità del pescaggio, divenne in quegli anni il principale porto dell’Adriatico per i prodotti petroliferi e chimici; proprio da Ravenna, nella seconda metà di febbraio del 1962, la nave Hedia salpò per il suo ultimo viaggio con a bordo un carico di fertilizzanti; le notizie secondo le quali Mattei riforniva di armi i ribelli algerini furono ampiamente diffuse in quegli anni dalla stampa francese, anche in assenza di dati di fatto certi e verificabili.

L’odiato “Spaghetti”
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Il 27 ottobre 1962 l’aereo Morane-Saulnier MS-760 Paris I-SNAP su cui Mattei stava tornando a Milano da Catania, precipitò nelle campagne di Bascapè (Pavia). Oltre al presidente dell’ENI morirono il pilota  Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale, incaricato di scrivere un articolo su Mattei.  Secondo alcuni testimoni, tra cui il contadino Mario Ronchi – che in seguito ritrattò la sua testimonianza – l’aereo sarebbe esploso in volo. (Foto: web)

In un bar di Algeri, dove durante la guerra franco-algerina erano soliti ritrovarsi i soldati della Legione Straniera francese, un giorno un ufficiale volle festeggiare la notizia dell’assassinio del trafficante di armi Georg Puchert. L’ufficiale si disse certo che il prossimo di cui festeggiare la morte sarebbe stato lo “Spaghetti”, nomignolo con il quale i legionari chiamavano Enrico Mattei, ritenuto amico del Front de Libération Nationale.
Questo episodio, raccontato dall’ex legionario Sebastiano Veneziano nel suo libro “Legionario in Algeria”, può servire a far comprendere il rancore che i francesi nutrivano nei confronti del presidente dell’ENI. Un odio iniziato fin da quando, nel 1958, Mattei aveva creato dei collegamenti diretti con alcuni importanti esponenti del FLN e giunto all’apice durante i negoziati di Evian (8 aprile 1962). In quell’occasione la collaborazione di “Spaghetti” con la delegazione algerina per preparare un vantaggioso accordo sullo sfruttamento delle risorse del Sahara fu più che mai un motivo di risentimento da parte dei francesi. Ovviamente, un’opinione opposta di Mattei l’avevano gli algerini. Stando agli atti del convegno “Enrico Mattei e l’Algeria”, tenutosi ad Algeri il 7 dicembre 2010, Rédha Rahal, membro del governo provvisorio algerino, avrebbe confessato che «sognava da tempo di portare dei fiori sulla tomba di Mattei in memoria dell’aiuto prezioso che aveva fornito all’Algeria combattente».
Com’è noto Enrico Mattei morì in un misterioso incidente aereo il 27 ottobre 1962, appena sette mesi dopo la scomparsa della nave Hedia. Le indagini della Procura di Pavia sull’ipotesi di un attentato si conclusero con l’archiviazione. Solo nel 1997 una nuova inchiesta arrivò alla conclusione che l’aereo su cui viaggiava il numero uno dell’ENI venne «dolosamente abbattuto».
Nonostante le posizioni di Mattei in campo energetico lo avessero messo apertamente in rotta di collisione con gli interessi di Parigi, nulla di certo si può dire fino ad oggi sull’effettivo coinvolgimento dei servizi segreti francesi nel sabotaggio del suo aereo.

Un gioco pericoloso
«Enrico Mattei è il simbolo del nazionalismo economico dell’Italia». Arthrur Schlesinger, consigliere di John Kennedy, descrisse così la scomoda figura del presidente dell’ENI.
L’ex partigiano Mattei mirava a far diventare l’Italia una potenza energetica attraverso degli ottimi accordi per lo sfruttamento del petrolio e del gas algerino, e per questo appoggiava in maniera palese e nascosta la guerra anti-colonialista contro la Francia.
I fatti: nel giugno 1958 il generale Sanan, comandante delle forze francesi in Algeria, riferì che «secondo alcune informazioni, i ribelli algerini si trovano in Italia per comprare una grande riserva di armi e munizioni il cui valore sarebbe di milioni di dollari». Il medesimo sospetto venne evidenziato chiaramente in quegli anni da un rapporto dall’ambasciata francese di Roma: «L’Italia è un luogo di passaggio frequentato da funzionari FLN e una fonte per la fornitura di armi».
Le varie fasi di avvicinamento tra le posizioni dei ribelli e quella del presidente dell’ENI, sempre alle prese con la sua ostinata battaglia per l’indipendenza energetica del Bel Paese, sono riportate anche nel libro “L’assassinio di Enrico Mattei”, scritto nel 1970 da Fulvio Bellini e Alessandro Previdi. «Mattei cominciò ad assumere sempre più apertamente un atteggiamento di aperta simpatia per la causa algerina – scrivono gli autori – simpatia che doveva manifestarsi in pubbliche dichiarazioni, con prese di contatto con leaders del GPRA (Gouvernement provisoire de la République algérienne nda) e nella consegna ai fiduciari del FLN di aiuti di ogni genere, non esclusi contingenti di armi e munizioni. E ancora: «Resta comunque acquisito che Mattei venne sempre indicato come uno dei maggiori finanziatori del Fronte Algerino». Proprio a riguardo di tali sospetti è più preciso Nico Perrone nel suo libro “Enrico Mattei”: «Se si deve prestare fede a una voce raccolta in un rapporto della Guardia di Finanza, Mattei avrebbe fatto rifornire di armi i ribelli algerini attraverso un mercante (vedi Archivio della Guardia di Finanza, Roma nda)».
Vere o meno che fossero queste voci, si trattava comunque delle stesse sirene che oltreconfine vennero percepite come ben più attendibili e allarmanti. Sembra ad esempio che l’intelligence francese avesse ottenuto una copia di un contratto firmato tra Mattei ed il presidente del Governo provvisorio algerino, Ferhat Abbas, in cui il primo si impegnava a rifornire di armi i ribelli. O ancora, come raccontò nel 1997 al Corriere della Sera Jean Jacque Susini, esponente di spicco dell’OAS: «Noi sapevamo che l’ENI forniva armi ai ribelli algerini attraverso la Tunisia, era un gioco che rientrava negli interessi petroliferi dell’Italia».
Anche la Hedia, svanita nel nulla proprio in acque tunisine, fu una pedina sacrificata in questo gioco? È una semplice domanda e le domande non dovrebbero mai far paura a nessuno.

La Hedia sulla rotta dei “gun runners” – Pubblicato il 10 agosto 2014 da  Massimiliano Ferraro

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I fili delle storie seguono strani percorsi. Rimangono lì, in un angolo remoto della mente o delle soffitte. Poi, all’improvviso, può saltar fuori un foglio di carta dimenticato da decenni che rivela dei fatti lontani. Se questi ultimi siano irrilevanti o preziosi per riannodare finalmente i fili degli eventi è questione di punti di vista.
Questa è la premessa con cui torniamo ad occuparci della Hedia, nave liberiana con commerci italiani, dispersa in circostanze nebulose in pieno Mediterraneo il 14 marzo 1962. Lo facciamo accogliendo la richiesta di Accursio Graffeo, nipote di uno dei venti marinai scomparsi insieme al mercantile, il quale ci ha invitato a proseguire le nostre indagini sul caso. Un appello divenuto via via più accorato dopo la pubblicazione dell’inchiesta firmata da chi scrive, in cui per la prima volta è stato svelato il contenuto di una lettera scritta dal padre di uno dei membri dell’equipaggio. Una missiva vecchia più di cinquant’anni, nella quale il signor Romeo Cesca (padre appunto del marconista Claudio Cesca) parlava apertamente dell’ipotesi che la Hedia fosse carica di armi e che per questo motivo una non meglio precisata autorità estera avesse imprigionato i venti marinai – quasi tutti italiani – per un tempo imprecisato.
Oggi un ulteriore passo avanti per svelare il giallo della nave liberiana potrebbe avvenire grazie al ritrovamento di una nuova lettera, anch’essa inedita. Nessuno fino ad ora, infatti, conosceva l’esistenza di questo documento, che cinquantadue anni dopo il vero o presunto naufragio ci svela qualcosa di davvero interessante.
Il timbro sulla busta che ci è stata consegnata in esclusiva riporta la data del 12 marzo 1962, giorno in cui fu spedita da Casablanca, Marocco. Infatti, dopo essere ripartito vuoto dal porto spagnolo di Burriana, il mercantile caricò proprio nella città marocchina circa 4000 tonnellate di fosfati destinati a Porto Marghera. Fin qui nulla di nuovo, ma nello scritto che vi proponiamo di seguito, vergato nel bel mezzo del mare in tempesta da uno degli uomini a bordo, si evince chiaramente che prima di fare scalo a Casablanca la Hedia avrebbe attraccato in un altro porto del Nord Africa: Tangeri. Una tappa non prevista e non riportata da nessun giornale dell’epoca, nemmeno dopo la scomparsa della nave. Una sosta a dir poco enigmatica di cui non sembra essere rimasta traccia e di cui finora non si aveva notizia.
Tangeri, la città dei mille intrighi, la capitale nordafricana dello spionaggio e del contrabbando. Ecco dove si trovava la Hedia pochi giorni prima di scomparire per sempre.

La rotta seguita della Hedia nel suo ultimo viaggio
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Una rotta “invisibile
«Bisogna tenere a mente la parola “scantonare”» – dice Accursio Graffeo, quarantaquattro anni, siciliano emigrato a Bergamo. Un termine marinaresco che significa allontanarsi di soppiatto, compiere una manovra con l’intenzione di sottrarsi alla vista di qualcuno o di qualcosa. Graffeo usa questo vocabolo non a caso. Sono due anni che dedica molto del suo tempo libero a studiare il mistero della scomparsa della Hedia, la nave su cui era imbarcato suo zio Filippo e per questo conosce tutte le varie fasi dell’ultimo viaggio dell’unità liberiana come nessun altro.
«Dopo essere partito da Ravenna – spiega Graffeo – la rotta del mercantile segue la costa adriatica e ionica italiana, sosta per rifornimento nel porto di Messina e dopo passa l’omonimo Stretto, quindi sfiora la costa sud della Sardegna per poi dirigersi direttamente verso la Spagna. Scantonando le coste, scarica a Tarragona e successivamente a Burriana».
Seguendo questo ragionamento, la Hedia avrebbe scelto di proposito una rotta molto più a nord delle acque prospicienti l’Algeria, a quei tempi sotto il controllo delle navi militari francesi, impegnate nella caccia ai bastimenti che portavano aiuti agli indipendentisti algerini. «La rotta presenta quindi i connotati tipici del tentativo di evitare possibili “incontri pericolosi” con queste unità militari, forse perché la nave era già attenzionata, anche se magari era conosciuta con il suo vecchio nome: Generous», sostiene Graffeo . Si sarebbe trattato insomma di un comportamento logico per rimanere “invisibile”, per eludere un eventuale nemico e potersi infiltrare.
«Arrivata sulla costa spagnola la nave rilascia il suo carico di fertilizzanti poi, sempre seguendo la costa, esce dallo Stretto di Gibilterra e approda sulle coste marocchine». E qui iniziamo finalmente a parlare dell’epistola perduta di cui vi accennavamo. Ufficialmente, infatti, la destinazione del cargo avrebbe dovuto essere Casablanca, ma una lettera del giovane marinaio di coperta saccense Filippo Graffeo, indirizzata alla madre, accenna ad uno scalo nella città di Tangeri. Da qui nasce la tesi, sostenuta oggi con forza dal nipote del marinaio, secondo cui la successiva, possibile, cattura della nave e del suo equipaggio sia avvenuta a causa della consegna di materiale strategico ai ribelli del Front de Libération Nationale (FLN), da cinque anni in guerra aperta contro la Francia per ottenere l’indipendenza dell’Algeria.

L'Unita del 14-03-1962L’Unità, 14/03/1962

«Tangeri era conosciuto dai “gun runners” per essere il porto meno controllato del Marocco, quindi si può pensare che lo sbarco di eventuali armi sia avvenuto lì» – ipotizza Accursio Graffeo – successivamente a Casablanca sono state imbarcate quattromila tonnellate di nitrati che dovevano essere portate direttamente a Venezia senza scali intermedi. La Hedia avrebbe quindi navigato al largo delle coste algerine con un carico completamente legale». Ma forse in quel momento era già scattata la caccia alla Hedia da parte delle unità militari francesi. Possibile? Sì per Graffeo, che ci mostra subito alcuni ritagli di giornale: “La flotta francese si è spostata al largo delle coste algerine”, annunciava L’Unità del 14 marzo 1962. Una squadra navale formata dalla portaerei La Fayette, dall’incrociatore Colbert e da alcune unità minori avrebbe, almeno in teoria, potuto mettersi sulle tracce del nave su cui viaggiavano i marinai italiani, che da allora sarebbe diventata un facile bersaglio.

“La Hedia trasportava armi?”
Fu questo il titolo di un trafiletto pubblicato nel settembre del 1962 sul giornale La Notte di Venezia. Poco dopo, alcuni marinai italiani vennero riconosciuti dai loro familiari in una telefoto scattata nel cortile del Consolato francese di Algeri. In seguito, gli sforzi compiuti per accertare la presenza in vita dell’equipaggio in Algeria contribuirono a sviare l’attenzione sull’interessante quesito posto dal quotidiano veneziano. Poche e confuse furono infatti le possibili conferme al sospetto che fosse effettivamente in atto un tentativo di portare aiuti agli algerini lungo le coste del Nord Africa. Voci, per lo più, alimentate da anonime testimonianze di portuali raccolte all’indomani della scomparsa della nave dall’inviato speciale dell’Europeo Gianni Roghi. Sul finire del 1962 il giornalista tentò di ricostruire l’ultima rotta della Hedia, dall’Italia alla Spagna, dove il 5 marzo l’imbarcazione sarebbe appunto dovuta ripartire vuota alla volta di Casablanca. Vuota o con a bordo delle «misteriose cassette?». Scrisse Roghi nel ’62: «La faccenda delle cassette è un borbottio che circola ancora adesso, ma stabilire chi l’abbia messa in giro è ormai impossibile: nessuno conferma, nessuno smentisce». Sta di fatto che il primo a tirare seriamente in ballo il contrabbando, collegandolo alla scomparsa della Hedia, fu niente meno che il Ministero degli Esteri italiano. “Non si può escludere che la nave abbia imbarcato in Spagna o in Marocco delle armi destinate a qualcuna delle parti contendenti in Algeria (FLN od OAS)”, affermò la Farnesina in un esposto. «In questo caso l’arrivo della Hedia a Casablanca potrebbe far pensare che le “misteriose cassette” fossero destinate in realtà alla prima delle formazioni belligeranti citate», chiosa Graffeo.
Quel che invece nel 1962 si ritenne certo fu che l’unica lettera inviata da Casablanca dai marittimi della Hedia fosse quella dell’ufficiale in seconda Elio Dell’Andrea, scritta l’8 marzo 1962, quando la nave si sarebbe dovuta trovare in navigazione tra Burriana e il Marocco. Una missiva destinata ad un suo amico, tale Buti, che gli aveva procurato quell’imbarco e che non è esagerato definire “fantasma” dal momento che nessuno l’ha mai potuta né vedere né leggere. Il Buti, riportano le cronache, si rifiutò sempre di mostrarla anche alla povera madre dell’ufficiale in seconda. Rimase però agli atti di questo intricatissimo giallo marinaro quello la signora dell’Andrea raccontò al giornalista Roghi in merito a quelle poche righe, il cui contenuto gli era stato in parte letto al telefono proprio dal Buti: «Non ho mai visto il comandante d’umore così nero, specie in questo momento che stiamo facendo il carico. Quando arrivo a Venezia questo viaggio non lo faccio più».
Qual’era il motivo del nervosismo a bordo? Forse Dell’Andrea lo spiegò nella sua lettera, facendola diventare così uno scomodo atto d’accusa per qualcuno? Forse, non lo sapremo mai. Tuttavia il giornalista dell’Europeo, attento osservatore, sottolineò nel suo articolo un particolare apparentemente marginale ma che, come vedremo, si rivelerà importante: «Come faceva Dell’Andrea a dire che stavano facendo il carico se erano in navigazione?».
In effetti dal 5 al 10 marzo, ovvero fino all’attracco a Casablanca, la Hedia non avrebbe dovuto imbarcare più niente. A quale carico si riferiva quindi Dell’Andrea? Una probabile risposta potrebbe arrivare a 52 anni dai fatti ed è questa: è possibile che l’8 marzo 1962 la nave fosse ferma per riempire (o svuotare) le sue stive a Tangeri, un porto nel quale in teoria non avrebbe mai dovuto entrare.
L’eventualità che tutto ciò sia verosimile, tenendo sempre presente la partenza da Burrina il 5 di marzo, ci è stata confermata da un esperto di navigazione. Infatti, considerando i tempi di viaggio alla velocità di 7 nodi (velocità approssimativa ricavata dall’ultimo cablogramma inviato dalla nave nda) è improbabile che solo 3 giorni dopo la Hedia stesse già caricando i fosfati a Casablanca, la cui distanza dal porto spagnolo è di ben 670 miglia, cioè non meno di 4 giorni di viaggio. Dunque, per scrivere l’8 marzo «in questo momento stiamo facendo il carico» il Dell’Andrea avrebbe dovuto trovarsi sulla banchina di un altro punto di ancoraggio. Un scalo, guarda caso, come Tangeri che dista da Burriana appena 440 miglia,  esattamente 3 giorni di mare.
«A Tangeri qualcuno può aver notato qualcosa di strano – azzarda Graffeo – quel qualcosa, con molta probabilità, erano le casse trasportate dalla Hedia».

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Lettera scritta del marinaio della Hedia Filippo Graffeo alla madre. Come si vede dal timbro la busta è stata spedita da Casablanca (Marocco) il 12 marzo 1962, due giorni prima della scomparsa della nave.

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Adesso lo sappiamo, un altro marittimo imbarcato sulla Hedia, oltre il già citato Dell’Andrea, spedì una lettera dal Marocco. Questa volta a parlare, dopo un oblio durato oltre dieci lustri, è proprio uno di quegli uomini: il ventunenne Filippo Graffeo di Sciacca.
Pochi giorni prima di svanire nel nulla nel Mediterraneo insieme ai suoi compagni, evento in seguito al quale non verrà mai più ritrovato né vivo né morto, il giovane Filippo scrisse una lettera alla madre. Una testimonianza preziosa che solo adesso viene resa pubblica dai familiari.

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Venezia, 1962, alcuni marinai italiani della Hedia. Il primo a sinistra è Filippo Graffeo di Sciacca, 21 anni, marinaio di coperta.

«Cara Mamma ti faccio sapere che sto bene come spero tutti in famiglia», scrisse il marinaio raccontando dell’arrivo dalla Hedia in Spagna. «Mamma faccio questa lettera con maltempo, è scritta un po’ male ma non ci fa niente». A questo punto c’è la rivelazione: «Siamo andati a TANGER e sono venuti quelli che vendevano tutti cosi (i venditori ambulanti nda) e ho comprato un orologio col coperchio e una pietra di sopra».
Tanger, Tangeri. La circostanza menzionata nei dettagli dal marinaio Graffeo sembra non lasciare dubbi: la nave fece effettivamente scalo nella leggendaria città costiera del Marocco. Ma che ci faceva la Hedia lì? Questo è forse il bandolo della matassa, la pietra angolare di questo cold case.

lettera-filippo-graffeo_1lettera-filippo-graffeo_2lettera-filippo-graffeo_3Lettera Filippo Graffeo

«La prima cosa che mi e venuta in mente quando ho letto quella vecchia lettera è che Tangeri non era un porto designato per fare scalo – dice Accursio Graffeo – era invece quello che oggi definiremmo un terminal ideale per trasbordi veloci e soprattutto, negli ultimi anni della guerra franco-algerina, era utilizzato per alcuni traffici… diciamo sospetti».
Forse il piroscafo doveva effettuare una consegna in Marocco? Siamo nel campo delle pure supposizioni, ma il traffico di armamenti che avveniva proprio in quelle zone nel corso della guerra d’indipendenza algerina è un fatto storico. «Tangeri era il porto preferito da alcuni famosi trafficanti di armi come il tedesco Georg Puchert, attivo in quella zona per diversi anni – ricorda Graffeo – Puchert faceva affari con gli indipendentisti e per questo una cellula deviata dei servizi segreti francesi gli fece fare una brutta fine. Ma è anche risaputo che nello stesso porto hanno scaricato casse di armi destinate all’FLN diverse navi. Ne cito due su tutte: nel 1960 scaricò armi la nave Breza capitanata dal capitano bulgaro Vassil Valtchanov, mentre nel mese di gennaio del 1962 la nave cubana Bahìa de Nipe consegnò ai guerriglieri algerini fucili e mortai inviati da Fidel Castro, un’operazione segreta promossa da Che Guevara e coordinata da Jorge Ricardo Masetti».
Tutto vero, ma c’è un però… Fermo restando che nessun documento redatto dopo la scomparsa della Hedia menziona lo scalo a Tangeri e che quindi risulta davvero strano che questo particolare non sia mai stato portato alla luce prima d’ora, è altrettanto vero che la prua della Hedia era già entrata nel porto marocchino almeno un’altra volta. Ce lo rivela un articolo pubblicato dal Gazzettino di Venezia (“Continua il silenzio sulla sorte dell’Hedia”, 25 settembre 1962 nda). Ecco il passaggio che ci interessa: «Nel viaggio precedente, egli (il capitano nda) avrebbe ricevuto un telegramma di rimprovero perché, all’atto di affrontare il Canale di Sicilia in burrasca, mentre un’altra nave che faceva la stessa rotta aveva proseguito, egli avrebbe preferito rifugiarsi a Tangeri in attesa che il tempo si mettesse al meglio. Questo, date le analoghe circostanze durante l’ultimo viaggio – ricordiamo che quando l’Hedia scompare il Canale di Sicilia era in burrasca – avrebbe potuto forzare la mano al comandante sì da fargli affrontare, anche se nolente, il Mediterraneo in tempesta».
Dietro lo scalo a Tangeri potrebbe quindi non nascondersi alcun mistero. La nave potrebbe essere semplicemente entrata in porto al solo scopo di cercare un riparo al maltempo, per altro menzionato anche nella lettera spedita da Casablanca. Una possibilità che non convince però l’instancabile Accursio Graffeo, che insiste: «La sosta a Tangeri è legata in qualche modo alla successiva scomparsa della Hedia, ne sono più che convinto. Come si sa nei porti accade di tutto: ci sono tanti occhi che guardano, finti ubriachi…». Qualcuno, sempre secondo il nipote del marinaio Graffeo, avrebbe fatto la spia rivelando la natura del carico trasportato dalla Hedia e proprio per questo la nave sarebbe stata seguita e bloccata durante il tragitto di ritorno da Casablanca all’Italia.
Certo i dubbi in merito all’ipotesi fin qui esposta non mancano, ma se fosse tutto vero l’abbordaggio in alto mare della Hedia compiuto da un gruppo di militari armati sarebbe stata certamente un’amara sorpresa per buona parte degli uomini imbarcati sul mercantile. Dei seri e onesti lavoratori come il giovane Filippo Graffeo, finiti impigliati loro malgrado in una rete invisibile di traffici e misteri.

*Si ribadisce che questo articolo è stato pubblicato in esclusiva su questo blog per gentile concessione del giornalista Massimiliano Ferraro. Tutti i diritti sono riservati. E’ vietata la copia e la riproduzione, non autorizzata espressamente, in qualsiasi modo o forma.*

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