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11-12 novembre 1940: LA NOTTE DI TARANTO

a cura di Antonio Cimmino e Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

Abbiamo atteso prima di pubblicare questa foto che ricorda una pagina di  lutto e di triste impreparazione.
Le pagine ufficiali sembrano voler dimenticare in fretta la storia ma, il ricordo dei marinai e civili caduti per un ideale di Patria e Onore, ci fa ancora arrossire e commuovere allo stesso tempo.
Un popolo che non arrossisce alla vergogna e che non si commuove per i suoi figli migliori è un popolo destinato a soccombere.

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89 commenti

  • Domenico Donato

    A FRANCESCO FALCIONI , la disamina fatta da lei è vera ,non voglio parlare di tradimento,però dico 1 la flotta inglese sapeva già da giorni prima che le nostre navi erano radunate li a taranto ,infatti i ricognitori inglesi avevo fotografato il tutto lanciando il messaggio ” tutti i fagiani sono nel nido, 2 è mai possibile che la portaAeri inglese si avvicinò alle nostre coste arrivando a 170 migliie e se ne allontanò indisturbata? LA verità è che la catena di comando era molto complicata,anche nell altre battaglie si evidenziarono limiti. IL COMANDATE IN MARE doveva sempre chiedere a supermarina l autorizzazione per i vari movimenti di attacco ,mentre la royal navy dava mano libera ai suoi ufficiali. INFINE sia MASCHERPA CHE INIGO CAMPIONI PAGARONO CON LA VITA LA LORO CONDOTTA….

  • Dejuliis Mimmo

    ro ragazzino quando lessi o sentii un’intervista di un comandante di nostri sommergibili, dava a supermarina sempre le coordinate false rispetto al vero quadrante in cui stava.. questo perché disse… che aveva sentito puzzo di bruciato, nel vedere quanti dei suoi colleghi non tornavano.. fu uno dei pochi ad aver portato la pelle sua e dei suoi uomini a casa. Altra cosa scandalosa era, che la marina non avesse suoi ricognitori.

  • Nicola Evoli

    La base navale di Taranto, così come tutte le basi navali italiane, era bene attrezzata per la riparazione delle unità danneggiate, grazie soprattutto alla disponibilità di grandi bacini di carenaggio, ed alla presenza nel suo arsenale di tutti i pezzi di ricambio per i macchinari e le armi.
    Tuttavia si riscontravano gravi carenze per tutto ciò che riguardava la protezione contraerea e la protezione antisiluramento delle navi in porto: le batterie contraeree erano del tutto insufficienti sia come numero che come calibro, e a questo si aggiungeva la scarsa protezione notturna determinata dall’assenza del radar, per cui la rilevazione di eventuali aerei ostili in avvicinamento era affidata a vecchi proiettori di scarsa portata, guidati da aerofoni risalenti alla prima guerra mondiale.
    Per quanto riguarda la protezione antisiluro, questa era affidata alle reti antisiluro, anch’esse poco numerose a causa della scarsità di materie prime che affliggeva l’industria italiana: si producevano infatti 3 600 metri di rete al mese, da distribuire a tutte le basi italiane, e dei 12 800 metri commissionati per la protezione delle navi ormeggiate nel Mar Grande solo poco più della metà era giunta a destinazione, e molti non erano ancora stati distesi. La Royal Navy, nella persona del Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Cunningham, decise allora di allestire un’operazione per affondare o danneggiare le unità navali italiane dislocate nella base di Taranto, perfezionando un piano di attacco notturno con aerosiluranti studiato già nel 1935 dall’ammiraglio Lumley Lyster, all’epoca della guerra d’Etiopia. Il piano era molto rischioso e contava molto sul fattore sorpresa, in quanto le portaerei da cui sarebbero decollati gli aerei per compiere la missione dovevano portarsi ad al più 130 miglia dalla costa italiana, con il rischio di essere scoperte dal nemico. Inoltre si doveva illuminare la rada ricorrendo al supporto di aerei bengalieri, mentre gli aerosiluranti avrebbero dovuto volare a pelo d’acqua, per eludere le batterie contraeree e per evitare che i siluri affondassero nel fango del fondale basso. Pur con tutte queste precauzioni, se le navi italiane avessero steso le cortine fumogene l’azione sarebbe certamente fallita.Le navi britanniche raggiunsero Malta nella giornata del 10 novembre, ed il giorno seguente la portaerei Illustrious cominciò a dirigersi verso il punto prefissato per il lancio degli aerei verso Taranto. La portaerei Eagle non poté invece salpare a causa di un’avaria al motore: questo inconveniente dimezzò praticamente il numero di aerei disponibili, ma non costrinse a rinviare l’incursione.
    Le ricognizioni degli aerei britannici su Taranto si protrassero fino alla sera dell’11 novembre, quando la Royal Navy apprese che nelle due rade del porto di Taranto si erano riunite le navi da battaglia Andrea Doria, Caio Duilio, Conte di Cavour, Giulio Cesare, Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Bolzano, Fiume, Gorizia, Pola, Trento, Trieste e Zara, i due incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e vari cacciatorpediniere. Per citare un’espressione dell’ammiraglio Andrew Cunningham: «Tutti i fagiani erano nel nido».A difesa del porto erano previsti 87 palloni di sbarramento, ma le cattive condizioni climatiche dei giorni precedenti ne avevano strappati 60 e non si erano ancora potuti rimpiazzare a causa della mancanza di idrogeno. Le unità navali erano protette da reti parasiluri, ma degli 8.600 metri necessari per una difesa efficace, erano stati posati appena 4 200 metri. Queste reti erano comunque distese per soli 10 metri sotto il livello del mare, lasciando quindi uno spazio non protetto tra la rete stessa ed il fondale. L’ammiraglio di squadra Inigo Campioni aveva inoltre richiesto che le reti parasiluri fossero sistemate ad una distanza dalle sue navi tale da poter salpare rapidamente, senza prima dover rimuovere le protezioni. Il bilancio fu di 58 morti, 32 dei quali sulla Littorio, e 581 feriti, sei navi da guerra danneggiate (3 corazzate -1 la Cavour in maniera tanto grave che non riprese più servizio- 1 incrociatore e 2 cacciatorpediniere), e diversi danni alle installazioni terrestri. Laconico, per ovvie ragioni di natura militare, il bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940:
    « Nelle prime ore della notte sul 12, aerei nemici hanno attaccato la base navale di Taranto. La difesa contraerea della piazza e delle navi alla fonda ha reagito vigorosamente. Solo un’unità è stata in modo grave colpita. Nessuna Vittima »
    (Bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940).A Taranto si recò anche l’addetto militare presso l’ ambasciata giapponese a Roma con l’ incarico di raccogliere maggiore informazioni possibili sul raid in quanto segretamente già stavano pianificando un attacco simile da effettuare su Pearl Harbour l’ anno dopo.

  • Nicola Evoli

    dato che siamo in Italia Inigo Capioni prese anche una medaglia d’oro della ns repubblica come ‘antifascista’…mah…

  • francesco clemente

    mio nonno era l’ufficiale marconista della Motonave Catalani che è stata attaccata dalla Marina Inglese in quella stessa notte nel Canale di Otranto in direzione Valona. Di lui ci rimane solo una medaglia, perché il mare mai restituì il suo corpo.

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