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Tutto tace

di Sandro Macchia

…PERCHE’ SIAMO IL PAESE DALLA BUSSOLA ROTTA.

A proposito dei nostri due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, tutto tace. Dopo l’ora illegale, le ferie di natale, il non luogo a procedere nel Kerala perché non ha competenze, ora si attende, in silenzio, la creazione di un tribunale speciale. Speciale?
Non abbiamo compreso cosa significhi tribunale speciale creato da un governo centrale, ed abbiamo un pragmatica certezza che neanche loro, i giuristi indiani, abbiano compreso a meno che non vogliano creare un tribunale speciale tipo quello dell’Aia(..chissà per quali crimini).
L’unica certezza degli indiani è che la regione del Kerala non ha giurisdizione sul caso perché “non aveva giurisdizione per intervenire nell’incidente che ha coinvolto i due Marò, perché lo stesso era avvenuto fuori dalle acque territoriali indiane”.  La Corte ha anche rilevato che, a suo avviso, “i due Marò non godevano di immunità sovrana nella loro funzione di sicurezza sulla Enrica Lexie, che avrebbe comportato automaticamente l’applicazione della giurisdizione italiana”, in pratica i Marò non godevano di immunità sovrana.
Allora mi domando se la corte del Kerala non ha giurisdizione sul caso perché il fatto è accaduto in acque internazionali, quindi neanche il tribunale centrale indiano ha competenze internazionali e, se i Marò imbarcati non godevano di immunità sovrana praticamente  erano imbarcati come passeggeri? Erano imbarcati come turisti armati? Come e da chi erano stati imbarcati?
E ancora: se non possono condannarli per omicidio, in quanto non hanno ingaggiato a fuoco con la St. Antony, quindi non hanno ucciso nessuno e il riscontro del tribunale centrale è chiaro, erano in acque internazionali, l’India intera non ha funzione giudiziale internazionale perché la costituzione di un tribunale speciale?
In questa commedia di Bollywood, dove non ci gongoliamo dalla gioia, emerge un cavillo legale, doloroso come un nervo scoperto, vuoi vedere che ora le accuse sono quelle di ingresso armato in territorio indiano in quanto imbarcati come ospiti e non come equipaggio?
Allora si che l’India ha giurisdizione e noi continueremo ad essere il paese dalla “Bussola Rotta” forse a causa dell’angolazione tra il Nord Magnetico ed il Nord Bussola dovuto alle deviazioni subite dalla bussola magnetica di bordo a causa del campo magnetico generato dai materiali ferrosi di bordo.
FINE DEL FILM.

33 commenti

  • Marino Miccoli

    Condivido le riflessioni di Sandro Macchia e comincio a credere che i nostri due coraggiosi Leoni di san Marco Massimiliano e Salvatore sono le vittime di quella pusillanimità politica tutta italiana che ormai da alcuni decenni è nota all’estero.

  • Sandro Macchia

    Carissimi, sono sconcertato dal fatto che i ragazzi sono abbandonati, politicamente e militarmente, l’italia è questa che vediamo in questi giorni, opportunismo a 24 karati, Ezio non mene voglia ma sa che viaggio con una piccola valigia e relativa piccola dose dipolatica. Ma mettere in coda a tutto l’importanza di due uomini di stato che hanno giurato fedeltà al tricolore è tradire i principi di stato. Il caso è nato con delle falle enormi, e gestito senza una linea di principi di integrità etica. Aver fatto un giuramento alla Repubblica Italiana e al Suo Presidente, sembra non aver più un valore.

  • EZIO VINCIGUERRA

    …è scomparso il post sulla pagina del Ministro dove lui stesso spiega in una lunghissima disamina

  • Sandro Macchia

    Ezio Pancrazio Vinciguerra .. io non posso esprimere dei concetti pregni di saggezza con scritti diplomatici, ho la valigia piccola. Tu sei il saggio. io sono il GURILLA.

  • EZIO VINCIGUERRA

    Sandro, mi è piaciuto come hai risposto ai post sul non voto… troppo spesso la saggezza è la prudenza più stagnante!

  • EZIO VINCIGUERRA

    Riporto di seguito la disamina del sig. Ministro Terzi

    Mi è stata da più fonti richiesta una relazione informativa sul caso dei nostri due militari detenuti in India, con particolare riguardo a quanto accaduto al momento dell’arresto e alle attività intraprese da questo Ministero e dal Governo a tutela dei due ufficiali. Volentieri la pubblico, nella speranza che possa fare un pò di chiarezza. Innanzitutto ci tengo a sottolineare come su questa vicenda l’impegno del Governo sia stato e continui ad essere intensissimo, e sempre improntato al principio di collegialità in ogni sua decisione su questo caso, ciò anche per garantire coerenza all’azione delle varie amministrazioni coinvolte, in primis Esteri, Difesa e Giustizia. Anche la decisione di confermare la mia programmata visita in India qualche mese fa è stata sottoposta ad una valutazione preventiva del Governo e, in questo contesto di collegialità, si è inserita pure la mia decisione, immediata al momento dei fatti, di inviare in India il sottosegretario per gli affari esteri De Mistura e il team interministeriale composto da funzionari di alto livello dei Ministeri degli affari esteri, della difesa e della giustizia. A conferma dell’intensità della nostra attenzione per il caso, informo che sono oltre cinquanta i funzionari (tra legali, periti, diplomatici, etc) impegnati su questo dossier, con una impiego di risorse professionali ma anche finanziarie certamente notevolissimo (e che ovviamente non intendiamo minimamente ridimensionare nonostante il periodo di crisi, in quanto indispensabile a garantire il buon fine della vicenda). In merito a quanto accaduto quel giorno, ci tengo a relazionarvi per fare definitiva chiarezza. Il 15 febbraio 2012 i Marò sulla nave Enrica Lexie hanno comunicato alle autorità italiane di aver registrato, alle ore 18,28 italiane, un attacco da parte di sospetti pirati e di aver messo in atto graduali azioni dissuasive (inclusi colpi di avvertimento con le armi da fuoco a loro disposizione), al termine delle quali il naviglio sospetto si è allontanato. Successivamente, il giorno dopo, alle ore 15 italiane, le autorità indiane hanno chiesto via radio al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il porto di Kochi (India, stato del Kerala), precisando che avevano arrestato alcuni sospetti pirati e necessitavano di una collaborazione per identificare gli autori dell’attacco. Alle ore 15,30 il comando operativo interforze della Difesa ha ricevuto dal capo team del Nucleo militare di protezione – i marò a bordo della Lexie – la comunicazione che la compagnia armatrice aveva deciso di accogliere la richiesta indiana, autorizzando la deviazione della rotta. Quindi, alle ore 17,48 di quel giorno, l’Enrica Lexie è arrivata alla fonda nelle acque territoriali indiane e alle ore 18 il capo team, maresciallo La Torre, ha riferito di aver appreso – sempre dalla compagnia armatrice – che era circolata la notizia della morte dei due pescatori. È stato più volte sollevato l’interrogativo sul perché la nave sia entrata nelle acque indiane e sul perché i militari siano scesi terra. L’ho già detto pubblicamente da diverso in tempo, in molte occasioni: siamo tutti d’accordo che la nave non sarebbe dovuta entrare in acque indiane e i militari, di conseguenza, non avrebbero dovuto essere obbligati a scendere a terra. L’ingresso della nave in acque indiane è stato il risultato di un sotterfugio della polizia locale, in particolare del Centro di coordinamento per la sicurezza in mare di Bombay, che aveva richiesto al comandante della Lexie di dirigersi nel porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati. Sulla base di questa richiesta, il comandante della Lexie, acquisita l’autorizzazione dell’armatore, decideva di dirigere in porto, informando di questa sua decisione il Centro operativo interforze della Difesa, ciò in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorità indiane, non avendo probabilmente nessun motivo di sospetto al riguardo. La “consegna” dei Marò è altresì avvenuta per effetto di evidenti e inequivoche azioni coercitive indiane, con oltre 30 guardie armate che hanno avuto accesso al battello. E’ ovvio che non è certamente possibile biasimare i nostri due ufficiali per non aver a quel punto opposto resistenza, visto l’equilibrio assolutamente impari delle forze, e anche – scrupolosamente – per evitare di peggiorare ulteriormente quello che già si profilava come un grave incidente diplomatico internazionale. Ebbene, già da quelle primissime fasi era urgentissimo riaffermare nei fatti, nei comportamenti concreti e nelle decisioni operative (e non soltanto nelle pur sempre fondamentali dichiarazioni motivate che le autorità del Governo italiano esprimevano) senza alcuna acquiescenza la nostra ferma opposizione alla pretesa indiana di aver diritto esclusivo ad avviare investigazioni, accertamenti o interrogatori nei confronti del personale a bordo della Enrica Lexie. E così abbiamo fatto, con ogni mezzo disponibile, dal momento che l’episodio era accaduto, infatti, per unanime riconoscimento, in acque internazionali – esattamente a 22 miglia dalla costa indiana – e, quindi, sicuramente, in una zona che la Convenzione di Montego Bay, la prassi e la dottrina internazionale riconoscono totalmente sottratta alla giurisdizione e alla sovranità dello Stato costiero. Aggiungo che la missione militare dell’Unione europea «Atalanta», di cui facciamo parte, contempla la possibilità di inviare nuclei militari armati posti sotto il comando e il controllo della missione europea e con chiare regole di ingaggio. La presenza di questi nuclei a bordo è conforme anche alla risoluzione dell’ONU che invita tutti i Paesi a contribuire alla lotta alla pirateria al largo delle coste somale e nell’Oceano indiano. Già da quei primi momenti il Ministro degli Esteri, in stretto raccordo con il Ministro della Difesa, con quello della Giustizia e con la Presidenza del Consiglio, ha impostato una strategia ben definita per quanto riguardava la questione della giurisdizione e ha definito le risposte da dare via via alle pretese indiane. Le risposte sono state innanzitutto guidate dalla situazione che veniva a crearsi a seguito dell’attracco della Lexie nel porto di Kochi e nelle ore successive dall’azione coercitiva, che ho già menzionato, che veniva portata a compimento da oltre 30 uomini armati indiani saliti a bordo per prelevare i nostri Marò, e portarli a terra sotto custodia. La consegna e la discesa a terra dei Marò sono avvenute nonostante un’opposizione fermamente opposta dalle nostre autorità diplomatiche e militari presenti sulla Lexie, mi riferisco al console generale Cutillo e all’intero team formato dall’ambasciatore a New Delhi, dall’addetto per la difesa e dagli esperti legali. Una volta entrati i due ufficiali nella materiali disponibilità della giustizia indiana, fatti avvenuto con grande spirito di responsabilità e disciplina da parte dei nostri militari, dato che possiamo solo immaginare le ben più gravi conseguenze che avrebbe prodotto una resistenza alle richieste indiane con l’uso della forza e la crisi ancor più grave che ne sarebbe derivata, l’azione del Governo ha seguito una linea che si è immediatamente e pragmaticamente adeguata ad alcune esigenze prioritarie. La prima è stata quella di ottenere dalle autorità indiane certezze circa la sicurezza fisica dei nostri militari, in un ambiente fortemente ostile che si era subito determinato nell’intero Stato del Kerala alla notizia dell’uccisione dei due pescatori, comunque vittime innocenti di un tragico incidente. Fanno veramente rabbrividire le immagini pubblicate sulla copertina di alcune riviste locali con le fotografie di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone additati irresponsabilmente come assassini, banditi del mare e uccisori di pescatori: assolute follie mediatiche. La seconda priorità che il Governo ha seguito è stata quella di eseguire immediatamente tutte le azioni che in primo luogo assicurassero un’efficacia presenza italiana “nel vivo” di tutte le indagini (cosa di per se per nulla scontata), a cominciare dalla perizia balistica. È così che abbiamo ottenuto – e non senza molte discussioni e difficoltà – la partecipazione di due eccezionali esperti in questa materia, appartenenti all’Arma dei Carabinieri, quali osservatori qualificati delle operazioni concernenti questa perizia. In secondo luogo, abbiamo insistito affinché la difesa legale in tutti i gradi di giudizio, a cominciare da quello presso l’alta corte del Kerala sulla nostra eccezione di giurisdizione, che è ancora in corso, e la predisposizione di una difesa per le eventuali fasi successive con il coinvolgimento di avvocati di fiducia indiani, italiani e internazionali, avvenisse con costante impegno e presenza di un team qualificatissimo, come dicevo, di giuristi italiani e internazionali. È in tale contesto che, dopo aver attentamente valutato e discusso collegialmente con gli altri Ministri interessati alla situazione, decisi di effettuare la mia visita a New Delhi e a Kochi per trovare i nostri Marò. Non vi era certo in me, da Ministro degli esteri, alcuna illusione sul fatto che questa visita avrebbe risolto miracolosamente una posizione indiana che era apparsa sin dal primo momento di estrema fermezza e legata anche a sviluppi politici che si stavano maturando in quelle ore e che tuttora stanno proseguendo nello Stato del Kerala (il clima elettorale fa ben comprendere la necessità indiana di “mostrare i muscoli” contro “gli stranieri che hanno ucciso due loro padri di famiglia”). Ho ritenuto però essenziale recarmi comunque personalmente in India per esprimere pubblicamente – cosa che ho fatto – all’opinione pubblica indiana, e alle autorità indiane al più alto livello, l’assoluta inaccettabilità sul piano giuridico e diplomatico delle pretese e del comportamento indiani. Abbiamo ritenuto essenziale poter riaffermare, con i miei incontri a New Delhi, i principi fondamentali della sovranità italiana su organi dello Stato italiano quali sono i militari impegnati in azioni internazionali di contrasto alla pirateria e riaffermare la giurisdizione esclusiva italiana su una nave con bandiera italiana in acque internazionali. Nelle circostanze che si sono venute a creare con l’avvenuta presa, in forma – sottolineo nuovamente – coercitiva, dei nostri militari da parte indiana, era ancora più importante ottenere dall’India perlomeno una qualche collaborazione affinché le indagine venissero condotte con la presenza di esperti italiani (vedasi la prova balistica) e affinché la dignità, la sicurezza, la possibilità di restare in contatto con i nostri militari venisse sempre e comunque garantita. Questi aspetti sono stati assolutamente centrali alla mia visita in India, così come erano stati oggetti, sin dalle prime ore successive all’evento, della mia immediata telefonata e della mia lettera al Ministro degli esteri Krishna, come poi ripresi nella lunga conversazione telefonica che il presidente del Consiglio Mario Monti ha avuto con il primo ministro Singh. Riporto alcuni elementi sia della lettera che delle conversazioni telefoniche perché vi sia davvero chiarezza sulle posizioni da noi espresse formalmente, per iscritto, e a più riprese anche nei contatti ad alto livello politico. Nella mia lettera del 17 febbraio, come nella telefonata al ministro Krishna, ho espresso il più vivo rammarico per le due vittime indiane e ho indicato che l’Italia condivide l’obiettivo di stabilire i fatti al di là di ogni dubbio. Ho inoltre aggiunto che il Governo italiano ritiene che sulla base dei principi del diritto internazionale la giurisdizione sul caso appartiene esclusivamente alla magistratura italiana, perché i fatti si sono verificati in un’azione antipirateria, perché quest’azione si è effettuata in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana e perché ne sono stati protagonisti militari italiani, organi dello Stato italiano. Ho al contempo sottolineato che le autorità italiane intendono lavorare insieme alla parte indiana per individuare una procedura concordata per stabilire la verità e che a tal fine il Governo aveva deciso l’invio in India di una missione di funzionari di alto livello; cosa che poi è avvenuta con una collaborazione da parte delle autorità indiane. Ho anche rimarcato la forte speranza che le autorità indiane si astenessero da ulteriori azioni unilaterali. Nel colloquio telefonico con il primo ministro Singh, il presidente Monti ha fermamente ribadito il concetto della giurisdizione italiana sulla base dei principi del diritto internazionale, evidenziando che i nostri marò stavano svolgendo un compito di protezione nell’ambito di una missione internazionale contro la pirateria in conformità a risoluzioni ONU, a raccomandazioni IMO e alla legge italiana. Il presidente Monti ha inoltre attirato l’attenzione sul fatto che l’episodio rischiava di minare alle radici gli sforzi della comunità internazionale contro la pirateria e di costituire un precedente estremamente pericoloso per tutti i contingenti impegnati in missioni internazionali di pace, e che ciò non sarebbe stato quindi vantaggioso neppure per l’India stessa. Il presidente Monti ha riaffermato anche con fermezza il diritto dei nostri due militari a un trattamento adeguato al loro status di rappresentati dello Stato italiano, in piena sicurezza, e ad avere un alloggio distinto da altri detenuti. Egli ha quindi espresso al Primo Ministro indiano la sensazione che Italia e India devono lavorare assieme per individuare una soluzione basata sulla giustizia e sul diritto internazionale. In tale contesto vorrei soffermarmi un istante sull’eccellente lavoro che, sin dall’inizio di questa complessa vicenda, sta svolgendo l’importante team ad alto livello operante a Kochi e a New Delhi. Desidero ringraziarli pubblicamente nel modo più sentito. Da quando ho deciso d’intesa con la Presidenza del Consiglio e con gli altri Ministri competenti di inviarli in loco, queste persone hanno svolto un lavoro di grande efficacia, in condizioni difficilissime, con molti ostacoli, che ha garantito però la sicurezza, la dignità, la fiducia dei nostri militari e del personale bloccato sulla nave. Nel frattempo, proseguiamo un’azione diplomatica a tutti i livelli ufficiali e riservati (il Presidente del Consiglio, io stesso e gli altri Ministri) con la ferma volontà di assicurare il momento in cui i nostri uomini potranno tornare ai loro cari. In queste ore la nostra attenzione è rivolta alla sentenza presso l’Alta Corte sulla questione della giurisdizione, e all’eventuale procedimento penale conseguente. Abbiamo avviato un’azione di sensibilizzazione a tutto campo e a tutti i livelli attraverso importanti Paesi amici e organizzazioni internazionali per trovare una soluzione concreta che consenta di riportare a casa i nostri uomini. Abbiamo interessato l’Unione europea e i Paesi membri più influenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, i Paesi a noi più vicini e più amici in Asia e nel Mediterraneo.
    Con l’India, l’Unione europea è legata da un importante rapporto di cooperazione, anche nel campo della lotta alla pirateria, e il capo della diplomazia europea Catherine Ashton ha concordato con il Presidente del Consiglio e con il sottoscritto di rimanere in stretto e proficuo contatto con noi su questa vicenda. In tutti queste occasioni di incontri, di sensibilizzazione, di attività diplomatiche, ma anche di attività sul piano informale e più riservato, abbiamo ottenuto anche un sostegno pubblico alla posizione italiana, espresso alla stampa, da parte di importanti Paesi nella preoccupazione condivisa del grande pericolo che il precedente indiano possa avere gravi ripercussioni negative sull’efficacia delle operazioni internazionali di contrasto della pirateria e del terrorismo. Questa “tela” pazientemente e insistentemente tessuta per ottenere consenso a livello internazionale e aumentare fortemente le pressioni sull’India ha un ruolo fondamentale in questo scenario, così da passare oltre alla logica “Italia vs. India” a compattare altre nazioni sulla nostra stessa linea. I nostri partner internazionali sono in effetti soprattutto preoccupati dagli effetti della negazione del principio fondamentale che i militari impegnati all’estero in missioni autorizzate dalla comunità internazionale debbano essere giudicati dai loro Paesi, cioè dai Paesi ai quali i militari appartengono, e non dai Paesi nei quali si svolgono le operazioni di pace o dei mari territoriali nei quali si svolgono le operazioni antipirateria. Anche recentemente, la scorsa settimana, abbiamo promosso nuove importanti azioni diplomatiche a favore dei nostri Marò in ambito ONU, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con una protesta formale con il delegato indiano, nell’ambito di un incontro nel corso del quale nuovamente abbiamo presentato con incisività tutte le nostre rimostranze al riguardo ed evidenziato come le norme internazionali siano inequivocabilmente dalla nostra parte. Nel mentre, continuano le udienze in India. Siamo in attesa tra pochi giorni della sentenza sulla giurisdizione, che confermerà a meno il luogo dove i Marò verranno giudicati (India o Italia). La parte indiana contesta l’applicabilità della Convenzione ONU sul diritto del mare del 1982 – che detta le regole comuni a tutti gli Stati per quanto attiene alla navigazione marittima – criticando l’impostazione italiana fondata sul diritto internazionale, e ritenendo che la nazionalità delle vittime (cosiddetta “nazionalità passiva”) sia prevalente su ogni altro elemento di fatto e di diritto ai fini dell’esercizio della giurisdizione nazionale, in particolare dello Stato del Kerala. Il Procuratore dell’Unione dell’India invoca inoltre una normativa indiana del 1976, peraltro anteriore alla ratifica della Convenzione ONU, che prevede l’estensione del diritto penale indiano oltre il limite delle acque territoriali allo scopo di proteggere i diritti di pesca nella Zona Economica Esclusiva ed i pescatori indiani che lavorano in quelle acque. Ovviamente da subito abbiamo con forza contestato questa impostazione, rammentando la piena vigenza della Convenzione ONU del 1982, che per gli Stati che l’hanno adottata (quale è l’India) prevale su qualsiasi normativa interna, delimitato un quadro preciso dei poteri dell’India in qualità di Stato costiero e di quali siano gli effettivi limiti alla sua giurisdizione, e ribadendo il concetto indiscutibile di immunità funzionale e la sua applicabilità al caso in questione, in base alla quale i due militari italiani devono essere legittimamente giudicati solo ed esclusivamente dalle corti italiane. In ogni caso, nella denegata ipotesi in cui venga confermata la giurisdizione indiana sulla vicenda – cosa anche possibile, purtroppo – continueremo a batterci legalmente con ogni mezzo per affermare l’incidentalità di una morte tristissima – quella dei due pescatori indiani – che pure se eventualmente attribuibile ai nostri due Marò (e solo le prove e le perizie del processo potranno confermarlo) sarebbe frutto di un errore tragico e non certo di dolo ne di colpa grave. I primi ad essere davvero dispiaciuti per l’accaduto sono i nostri due ufficiali, che si sono caratterizzati fin da subito in questa vicenda come militari con un altissimo senso del dovere e di rispetto delle istituzioni, consci – loro si – che tutto si sta facendo al fine di agevolare quanto prima il loro rientro in patria. In ogni caso, se dovessero essere processati in India e durante il processo dovessero emergere inequivoche prove riguardo alla loro responsabilità nel tragico incidente che li ha visti loro malgrado coinvolti nell’espletamento del loro dovere, il nostro massimo sforzo dovrà essere indirizzato a garantirgli un processo equo e rapido, e ad ottenerne il sollecito rimpatrio per l’eventuale sconto della pena. E’ appena utile ricordare che le polemiche sterili che si sono create sul web, che delegittimano anche le nostri istituzioni e riducono quindi la nostra capacità di incidere positivamente su questo delicato processo, *non aiutano certamente i nostri due Marò*: confido quindi che chi è davvero interessato alla loro sorte, fuori da attacchi fatti solo per il gusto di farli, ci supporti in modo costruttivo e di giusto e continuo stimolo, e non sterilmente polemico, perchè ciò che dev’essere compreso è che stiamo *tutti* lavorando nella stessa direzione. La mia speranza, da Ministro, ma prima ancora da cittadino della Repubblica, e che i nostri due ufficiali possano davvero tornare presto a casa a riabbracciare le loro famiglie. Grazie a tutti. Giulio Terzi.

  • Vitsantonio Giuliani

    la bussola gira … le girobussole pure!!! e posso ben dirlo, ciao Ezio Pancrazio Vinciguerra

  • MICHELE DI LIBERTO

    CHI HA LA COSCIENZA PULITA CAMMINERA’ SEMPRE A TESTA ALTA,
    PROPRIO COME MASSIMILIANO LA TORRE E SALVATORE GIRONE CHE DURANTE LA LORO DETENZIONE IN INDIA HANNO SEMPRE TENUTO UN COMPORTAMENTO ESEMPLARE CHE ONORA L’ITALIA E IL POPOLO ITALIANO.

  • EZIO VINCIGUERRA

    Ciao Michele, Marinaio e Signore d’altri tempi purtroppo …abbiamo perso la bussola. Mi auguro che le tue parole sia da esempio per qualcuno.

  • Franco Schinardi

    Che ti avevo detto Bruno? Lo dico sin dal primo momento, se gli vogliamo dobbiamo andare a prenderceli, punto.

  • Bruno Caleffi

    Ciao Franco, non dovevano entrare in acque indiane, ora un blitz sarebbe disastroso, come hanno fatto i Francesi, con un nero risultato. Ciao fra’ aspettiamo il 25 Febb.

  • Franco Schinardi

    Caro Bruno, proprio adesso abbiamo più possibilità perché i ragazzi sono liberi di muoversi in tutto il paese. Basta portarsi lungo il confine col Pakistan, per esempio, e con un gruppo di nostri uomini ad attenderli, un aereo militare con scorta e vaiiiiiii.

  • marulli claudio

    BASTA CON QUESTE INDIANATE CI STANNO PRENDENDO PER IL CULO!!!!!!ORA CI DOBBIAMO MUOVERE SOLLEVIAMO L’OPINIONE PUBBLICA QUI’ SI PARLA SOLO DI SPORCA POLITICA E POI LA MARINA E’COSTRETTA A PROTEGGERE I MARI PER L’ANTIPIRATERIA???? MA DAI???

  • Giuseppe Pantile

    A proposito dei due Marò.
    Se ci penso, mi viene da raccare.
    Sono tutti menefreghisti, pronti a diventare opportunisti.

  • Rossana Tirincanti

    Leggo e rileggo sempre con infinito piacere il tuo libro” Emigrante di poppa ” …che ritengo un meraviglioso insegnamento di vita ed un diario di giorni vissuti con semplicità ed orgoglio nella tua terra, rivelando quanto ad essa tu sia attaccato . E’ sempre un grande piacere leggerti ,grazie ancora di cuore ! Rossana

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