Racconti,  Recensioni

Al di là del bene e del male

di Giuseppe Pavich

Aldo mi sopporta volentieri, e si vede; passo le giornate qui, appollaiato sulla seggiola in metallo cromato, davanti al tavolino rotondo in formica, in questo bar angusto e quasi buio anche a mezzogiorno. Sa bene che mi deve molto, e cerca di sdebitarsi tenendomi qui, facendomi campare: il cornetto alla crema la mattina, con un bel cappuccino schiumoso; a mezzogiorno la focaccia al tonno e pomodoro, perché lo sa che io il prosciutto e il salame non li posso mangiare. La sera, se tutto va bene, mi rimedia una pizza, oppure due arancini. Per un mese  poi, durante il Ramadan, mi ha dato da mangiare solo la sera. E, a fine giornata, mi tiene a dormire nello sgabuzzino, una branda pieghevole, ma a me va bene così. In cambio gli do quello che gli serve, un paio di dosi di neve al giorno; se ne vuole di più, mi paga; lui va nel retrobottega, tira avidamente e torna dietro il bancone, ritemprato. Qualche volta anche troppo.
E’ un patto di mutuo soccorso, il nostro. Lui conosce tutti gli agenti in borghese che girano qui intorno al suo bar, e mi avvisa quando stanno arrivando loro, o i carabinieri, o la finanza. Quando succede, mi lancia la solita occhiata, fa un gesto con la mano e io, che capisco al volo, mi fiondo dietro al bancone, faccio finta di rassettare o di asciugare le tazze, e non succede niente. Qualche volta mi guardano strano, gli sbirri. Però, finora, nessuno mi ha controllato; può darsi che ci credano davvero che io lavoro da Aldo, anche se sicuramente sanno che il permesso di soggiorno non l’ho mai neppure richiesto. E’ proprio che non mi vogliono controllare, e credo che il merito sia di Aldo; so per certo che ha parlato bene di me con qualche agente; gli ha raccontato qualche storia lacrimosa, e quelli si sono mossi a compassione anche perché, purtroppo, zoppico vistosamente; penseranno: “ma tu guarda questo poveraccio, avrà sì e no vent’anni, però lavora, anche se è zoppo; meglio lasciare in pace lui che fa una vita onesta, ed andare a prendere quelli che spacciano agli angoli delle strade”.
E così non hanno ancora capito che io agli angoli delle strade non ci vado solo perché Saber non vuole; Saber è il mio capo, quello che mi rifornisce della roba tutte le settimane, il venerdì; lui sa che se mi dovessero beccare per strada io non potrei scappare, perché con questa maledetta gamba più corta non ce la farei. E allora vendo la coca, o il fumo, dentro al bar di Aldo. I miei clienti si mischiano ai suoi, così nessuno capisce niente; e siccome anche Aldo è amante della “neve”, quella che gli do io, lui mi copre, mi dà vitto e alloggio e io sono a posto.
E ne vengono di clienti miei, qui al bar di Aldo: lo sanno tutti che la mia coca è la migliore, la più pura della zona; costa un po’ di più, giusto un poco, ma vuoi mettere. Con me di fregature piene di mannite non ne prendono. Ed anche il mio fumo è il migliore, di prima qualità. Quando ho il fumo buono metto il berretto verde, quando c’è anche la coca metto il berretto bianco. Così tutti capiscono.
Me li immagino, i miei clienti; in molti casi sono ragazzi, qualche volta da soli, altre volte in comitiva, specie il sabato sera: me li immagino, usciti dalla pizzeria, o prima di andare in discoteca, con le ragazze che ridono e squittiscono “dai, andiamo da Salim a farci una cannina”, “dai, andiamo da Salim e ci compriamo un po’ di bianca”.
Ah, le ragazze! Quando vengono loro, mi sorridono, e sorrido pure io; gliela darei anche gratis la dose, qualche volta, se mi facessero divertire un po’; quando vedo quelle cosce bianche che spuntano dalle minigonne, quando immagino che bella roba soda ci sarà sotto i loro vestiti, mi verrebbe la voglia di fargliela passare io la notte brava…e invece niente. Salim, per loro, è solo un fornitore di fiducia, e basta. Mi devo accontentare del bacetto ogni tanto che mi dà Rachida, la mia fidanzata, di nascosto dai suoi; non è bella, ma almeno le vado a genio così come sono.
E poi ci sono i più grandi; professionisti, impiegati, dirigenti. E tutti cercano la stessa cosa. Molti passano da me per trovare un po’ di sballo, poi proseguono il giro e vanno dalle puttane, o dai viados, sul viale della caserma; e poi tornano a casa, a notte fonda, e l’indomani quando si svegliano tornano ad essere, per tutti, i mariti e padri perfetti di sempre.
Per ora, insomma, fila tutto liscio; per tutti intendo quelli che mi vedono dal di fuori- io sono un amico di Aldo, che un po’ lo aiuta, un po’ gli tiene compagnia nelle ore morte. Tutti i giorni così, con gli affari miei e suoi che vanno discretamente, senza fare tanto rumore. La gente entra, beve un caffè o un liquore, io vado dietro alla cassa, loro pagano con la solita banconota, io faccio finta di dare il resto e invece do loro quello di cui hanno bisogno.
Una volta c’è mancato poco che mi prendessero. C’era stata una soffiata su Saber; avevano detto alla Polizia che sarebbe venuto al bar con della roba; ma lui lo ha saputo ed ha mandato una sua cugina di 13 anni, con una borsa della spesa nella quale, in mezzo ai broccoletti ed alle sarde, c’erano 3 etti di coca e 2 di fumo. L’aveva studiata bene, Saber: Hafida (si chiama così la cugina) sarebbe arrivata al bar all’ora di punta, ed avrebbe lasciato il sacchetto dietro il bancone approfittando della confusione. Purtroppo l’hanno fermata per strada: è un normale controllo, piccola, di cosa hai paura, e invece lei si è spaventata ed ha lasciato là il sacchetto con tutta la roba. Però è riuscita a fuggire, ed è sparita. Me lo ha raccontato Saber. E mi ha anche raccontato che la Polizia qualche sospetto lo ha avuto, su di lui, su di Aldo e anche su di me. Ma Aldo, quando gli hanno chiesto se per caso non fossi io il destinatario della “merce”, ha negato subito tutto: pare che abbia detto: “Ma no, povero figlio, è un ragazzo pulito! è un povero disgraziato, non lo vedete com’è ridotto? Gli do io da campare, vive tutto il giorno da me, non ha dove dormire, appena possibile lo metto in regola e così potrà vivere normalmente come si merita”. E gli sbirri sono rimasti con un pugno di mosche in mano.
Ora pare che non sospettino più. Pare. Anche perché forse un motivo c’è: uno di quelli che Aldo mi aveva indicato come un ispettore in borghese me lo sono trovato davanti qualche settimana fa, alla cassa; mi ha chiesto “una di bianca”. Temevo una trappola, ho fatto finta di cadere dalle nuvole. Ma quella sera c’era anche Saber, stava dietro di lui; mi ha fatto un cenno come per dire: vai tranquillo. Gli ho dato la bianca, quello ha pagato; e da quella sera, almeno due volte la settimana,  me lo ritrovo davanti alla cassa, a pagare il solito grappino e la solita dose.

 

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