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Semiramis

di Gaetano Mustica  SirTanus

Tratto dall’inedito “Il Diwanetto (L’Oriente visto dal tappeto volante a volo radente di SulTanus)” per gentilissima concessione dell’autore a cui sono infinitamente legato e grato per questo “preziosissimo” regalo.
(Ezio Vinciguerra)

Viveva in Mesopotamia, nel IX sec. a.C.n., un giovane commerciante di nome Assur Nadin che si guadagnava la vita, al tempo del vecchio re d’Assiria Nino e della sua splendida giovane sposa Sammuramat, facendo la spola, a dorso di cammello, fra i due antichi regni d’Assiria e di Babilonia, fornendo, durante il faticoso tortuoso e sassoso tragitto, rigenerante acqua di carruba alle carovaniere e, di poi, all’arrivo nella ricca Babilonia, vendendo all’odoroso mercato delle spezie, pregiate pietre dure raccolte nel deserto (anche murra per le casalinghe sfiziose), polvere di conchiglie per i filtri di bellezza ambiti dalle donne innamorate e respinte, carboni di combusto legno di verde terebinto per gli incantesimi d’amore, pistacchini canditi pei ricchi ragazzini e cenere vulcanica della lontana isola di Stromboli per… “stromboliare” gli amanti distratti da altri commerci che non quelli d’amore.
E viveva niente male, considerando che, dopo un sia pure sfiancante viaggio che durava, però, solo due settimane, si riposava poi per ben ventitré giorni filati, standosene comodamente accoccolato su un morbido cuscino di raso damascato a vendere le sue rarità a peso d’oro e misure colme d’argento, coi suoi bilancini di precisione importati dalla industriosa Grecia e i pesini di rame acquistati nella Battriana.
A sera, andava dalle famose abili e lussuriose massaggiatrici babilonesi e si faceva ungere d’unguenti odorosi e raffinate rare essenze, togliendosi, poi,  nettato e tutto profumato, ogni residua voglia con d’esse le più belle e giocose come gatte col balocco del  grigio o roseo vispo topolino.
Allo scadere del mese, faceva nuovo carico di gemme, acqua di gelsomini o acqua nanfa per rinfrescare le sudate ascelle delle donne dei carovanieri, polvere di giacinti per l’aspersione delle stesse piumose scure segrete ascelle, farina afrodisiaca fina di lussuriosi gatti stecchiti per rinvigorire la fiaccata forza amorosa degli stanchi cammellieri, sterco di cani randagi per infiammare le braci poste avanti alle tende, inibendo così, con l’immondo puzzo delle feci arse, la marcia a volo radente dei pungenti insetti attentatori insidiosi della bella cute delle mogli e miglio per i canterini canarini chiusi nelle graziose gabbiette a vegliare e svegliare musichieri, alla prima fresca ora del raggiante mattino, le belle dormienti.
A Sidone, dopo il mercato fruttuoso, una bella doccia rinfrescante e poi tanta ginnastica, anche moderna aerobica, per sgranchirsi le membra e tenere i muscoli allenati e pronti allo scatto nelle gare podistiche che, oltre a quelle famose del tiro alla fune, si disputavano a Tiro.   Poi, dopo un buon pasto, leggero ma nutriente, sesso ginnico con le atlete agganciate in palestra per tutta notte ed educata civile buonanotte anche ai suonatori d’arpa eolica e di cetra sumera.  Sul comodino, una caraffa d’acqua alla mela granata, caso mai gli venisse sete.

Così gli trascorreva laboriosamente e piacevolmente la vita al giovane di belle ed ampie vedute che era senz’altro il bell’Assur, il quale, va detto, si faceva scrupolosamente i fatti propri ed onesti,  non s’impicciava, rifiutando sterili polemiche e zuffe coi rissosi attaccabrighe irosi e andava pacificamente per la sua strada badando di non intralciare a nessuno la libera via.
Ragazze ne aveva, in Battria ed anche a Baghdad ed oltre il Tigri, a Calah e Ninive e nella più lontana Teheran, ma quelle al di qua dell’Eufrate erano le più belle e libere disponibili disinibite, come la loro regina, la favolosa splendida Semiramìs di fiaba.
Un giorno il vecchio usuraio Akki di Arwad, ma oriundo di Meliddo, e dunque compaesano di Marduk-rimanni, padre del nostro intelligente coprotagonista Nadin, assistito disinteressatamente da Assur e curato d’un male incurabile di croste immarcescibili alle ciglia cispose, con polvere di ranocchi bagnata di fresco piscio di gatto selvatico, per preziosa ricompensa, che valeva la risanata vista dei suoi occhi, gli donò, per portarlo in regalo alla sua bella madre e sua ex compagna di scuola Signora Igigi, una traslucida perla d’incommensurabile valore pescata da un suo fortunato-sfortunato debitore (fortunato per la pesca fortunata e sfortunato per l’ingentissimo debito accumulato con lui in anni e anni d’interessi più che composti) nelle trasparenti acque che circondavano Cipro e , dunque, sacre a Venere Cipria.
Il nostro non credeva né ai suoi occhi, né alle sue orecchie e si fece ripetere più volte, mentre l’ex cisposo usuraio incartava la perla, che si trattava propriamente e precisamente d’un suo spontaneo libero generoso donativo per la sua brillante opera di risanamento e restauro delle sue stanche pupille, ma anche di un ricordo per la sua bella mamma, la cara affettuosa Igigi, che aveva invano innamorato la sua giovinezza, rendendolo, però ed in favore del bel Marduk, orfano della sua bellezza e tramutandolo, col suo seppure involontario disprezzo, nello spregevole usuraio che ora era, ma che avrebbe cessato d’ora in avanti d’essere, grazie e per via dei nuovi occhi che gli  avevano, giusto al momento della caduta delle medicamentose bende, mostrato la bellezza, solo appena un po’ sfiorita, dell’anziana sua fedele assistente precisa pesatrice di banco dei pegni  signorina Erra: – “qui, molto piacevolmente e sempre assai discretamente, al mio fianco, onnipresente”.
Assur Nadin -pur ancora incredulo e sbigottito di cotanta fortuna del tutto esorbitante il modesto valore dell’unguento pasticciato nel suo laboratorio e impastato col caldo piscio del suo bel domestico persiano sonnolente e sornione battezzato Sirmione, che, caldo-umido, aveva ammorbidito, distaccando, dagli occhi quasi del tutto cecati, le vetuste croste delle cispe del vecchio lestofante di Akki (niente affatto nativo di Meliddo -come voleva far credere per non permettere la risalita ai suoi pregressi vergognosi felpati passi trascorsi di masnadiero di passo- ma della rupestre incivile Arazias, famigerato covo di ladroni)-, rapido e svelto intascò l’involtino costituito dal piccolo ma grande regalino, timoroso di un rinsavimento-ricredimento possibilissimo nell’avaro impenitente guarito, solo apparentemente penitente, e filò via, sparato, in veloce direzione di casa e di mamma sua.
Che, però, purtroppo, trovò defunta e già avvolta strettamente e ristretta in freddo sudario, circondata e circonvoluta dalle profumate volute d’odoroso incenso e balsamica mirra e dal marito dolente e piangente, con, d’attorno, le lamentose prefiche prezzolate e singhiozzanti a tempo del lugubre martellio di funerei piccoli ossessivi sonorissimi tamburini.

Trascorso il prescritto periodo luttuoso del lutto e lasciato l’ancor valido padre dubbioso se risposarsi o meno con l’aggraziata, matura, ma sempre più giovane e fresca di lui, sessantino, la distinta cinquantina signorina Erra, pesatrice al banco dei pegni dell’ormai riabilitato ed onesto (ma per quanto?) Akki di Arazias, il nostro giovine di belle speranze se ne ripartì, pei suoi commerci, e con la cipria perla ascosa in petto, per Babilonia e, strada facendo, pensò di collocare il suo tesoro di perla a Corte, magari vendendola ad altissimo prezzo -perché no?- alla bella inavvicinabile Semiramìs, o Samiran, ella stessa bellissima fulgida perla regina ed Afrodite dei Piaceri Incommensurabili;  perché sappiate che Assur Nadin, senza darlo troppo a divedere, era ambizioso assai e desideroso di strade in forte ascesa.

A mezzo della sua amica e cortigiana babilonese Muballit (sorella di Olfa, fidanzata di Hamdi, cugino di Assur per parte di madre), amante di Satibara, unico servo di Semiramide ammesso alla sua regale presenza, il nostro coprotagonista incontrò finalmente la protagonista  -che, neonata, fu allevata da colombe-  di questa veridica storia (tramandataci da Diodoro Siculo di Agira, che l’attinse a piene mani dallo storico Ctesia di Cnido,  e da me, per Voi cari lettori, tradotta e non interpolata, ma, semmai solo colmata in qualche lacuna e rinfrescata quel tanto da renderla viva ed attuale), che, allettata dalla bella perla pescata nel delta del “Bacino d’Afrodite”, la bella delle belle, volendola acquistare, ne trattò direttamente l’alto esoso prezzo con Assur Nadin.
Senonchè il giovine mercante di Meliddo, figlio di Marduk e orfano di Igigi, alla vista insostenibile, pel furore di cotanta seducente bellezza irradiata dalla divina sovrana, sbiancò in viso e …”cadde come corpo morto cade”, cioè sul marmoreo duro pavimento, a faccia in giù, col pericolo, scongiurato dal folto morbido tappeto, di rovinarsi il bel sembiante, lungo disteso ai piedi in pantofoline di bisso della sua regina e signora onnipotente.
Semiramìs, sorridendo e mostrando, dal generoso spacco, le eburnee cosce e le nivee ginocchia, sollevò pietosamente, con le sue braccia di trasparente alabastro, il capo del giovine svenuto, ordinando cordiali e sali profumati, sicché e sinché Assur rinvenne per un istante, in quanto vedendosi fra le braccia alabastrine della mirabile donna con gambe eburnee, ginocchia di neve, caviglie d’agile gazzella, fissato amorevolmente dagli occhi di nera opalina e dalle ciglia lunghe e ricurve di cotanta esplosiva bellezza, perse di nuovo i sensi e, stavolta, pur anco il resto residuo del senno.

Giorni più tardi, Nadin, rincuorato dalla solerte Muballit, eletta dalla regina a sua personale ancella, e sostenuto, sotto le ascelle, dal forte Satibara, riprese a poco a poco la ragione e i sensi, sicché la stupenda Semiramìs, poco alla volta, per non “assintumarlo” (strano verbo usato da Diodoro Siculo, ma che mi suona bene e che, perciò, lascio così com’è in lingua siceliota) di nuovo, si rifece vedere al cospetto di Assur, sentendosì, però, “assussurrare” (voce verbale probabilmente assurica, cioè derivata dal termine “assur” (nel nostro caso, con l’iniziale “a” in maiuscolo, …assurta a nome del  mercante di Meliddo, di Marduk e fu Igina), discretamente, alla valva del sensibile piccolo orecchio, che la perla cipria più non la vendeva, semmai la regalava, ma alla condizione (“sfacciatissima!”, lo riconosceva, implorando nel contempo il perdono e la piena assoluzione per conclamata seminfermità mentale) di poter vedere, sia pure dal buco di una tenda porporina, tutta quanta e totalmente ignuda Semiramìs l’Ineguagliabile Vera Venere Regale.
E Semiramìs -ch’era stanca di guerreggiare sempre lunghe difficili tediose guerre per allargare l’impero del suo ormai defunto Nino e, dunque, desiosa di pace e di piaceri consentiti (che nostro Padre Dante, influenzato  dagli storici cristiani, condanna, invece, come lussuriosi, tanto da essere costretto -pur, secondo me, molto a malincuore- a condannare e relegare all’Inferno la regale regina di sogno …“che libito fè licito in sua legge”)-, generosa e disinibita com’era, accettò la curiosa allettante galante proposta, non mancando, però, di doverosamente avvertire l’incauto donatore che già in parecchi alla sua vista avean persa la vista, taluni finanche morendo all’istante per coronarico subitaneo schianto.
“Epperò io non mi “scanto”- (riferisce in lingua siceliota Diodoro di San Filippo d’Agira),  ribattè, impavido, Assur Nadin.
– “E allora io regalmente sopravanzo, mio generoso tetragono bel giovane Assur, se sopravvivi -e mi sa che proprio, anche se di un pelo, che ce la fai-, mi giacerò tutta notte con te: parola di re, anzi di regina, ch’è l’istesso (e, anzi, in questo specifico caso, suona meglio)”-

Detto fatto, essendosi anche fatta tarda sera, Semiramìs la dea di Tutte e Sette le Bellezze (capelli, occhi, labbra, seni, ventre, culo e cosce), ritirandosi per decenza dagli scoperti Giardini Pensili, si sfilò i calzoni d’organza turchese, lasciandoli cadere mollemente e lentamente a terra con l’ampia casacca di cotone giallo cremisi, mostrandosi in tutto il suo splendore al giovane ancora incredulo ed ora sbigottito, che si stropicciò i begli occhi scuri.

Il giorno dopo, con tutti gli onori, il sopravvissuto fortunato Assur Nadin, nativo di Meliddo e figlio di Marduk e di Igina, bravissimo instancabile amatore di Venere Regina Adorna dell’ Unica Perla Verace,  venne nominato, culminando la sua carriera in ascesa, “Taklak”, ossia Grande
Intendente.

Finis.

In finis, pare che le tre righe che concludono l’iscrizione funebre sulla tomba dell’idolatrata Semiramide siano state dettate proprio dal nostro Assur Nadin, che così fa dire alla sua sempre indaffarata, ma saggia illuminata regina:
E in mezzo a tutte queste occupazioni,
ho trovato il tempo pei miei piaceri
e i miei amori
”.

Biografia
Gaetano B. G. Mustica, nato il 24 luglio 1940 a Catania, ivi residente in piazza V. Lanza n. 14 (tel. e fax n. 095-446678/ cell. 333-1366493, e-mail: posta@sirtanus.it),  avvocato fino …al secolo scorso – dal 1963 fino al 1999, essendosi limitato a “narrare” e pubblicare sulle “terze pagine” di giornali quotidiani e “letterarie” di riviste -, …ha concluso il Secondo Millennio come Scrittore a tempo pieno, esordendo, nel 2000, col volume “Una diviso Due e altri racconti”, illustrato dal fratello pittore Nino Mustica ed edito dalla Hefti di Milano.
Da quella data fatidica, in questo inizio del Terzo Millennio, ha già dato alle stampe: con le Edizioni PR-Paleani di Cagli, “Fiabesco – Fole per Tutte le Età e per Tutti i Gusti”, illustrato da Katia Mensà;  ancora con E. Paleani Editore di Cagli, “Il Giardino delle Rose Perdute – Ricordi d’Avantieri fino a Ieri”, illustrato dalle riproduzioni delle opere della madre pittrice Sara Spitaleri Mustica; per i tipi di A & B (Bonanno Ed.-Acireale-Roma), “Epos Siciliano – Miti e Pupi Rinverditi”; quest’ultima Casa Editrice, ha curato, altresì, la seconda edizione riveduta, corretta ed ampliata de “Il Giardino delle Rose Perdute”; ancora con la A & B, “Favolario”; “Le storie della Storia – da Adamo ed Eva a Claretta e Benito”, illustrate da Bianca Brancati Carlevani e, da ultimo, “Eroticaria”.

In attesa di editore: “Il Diwanetto (L’Oriente visto dal tappeto volante a volo radente di SulTanus)”;

In bozza: “Elogio del Vagabondaggio e altri Racconti Erratici” e in corso di stesura, “Tango Y Mango – Venti Racconti Stravaganti”.

Verseggia anche di tanto in tanto: alcune composizioni già pubblicate (1997) in “Meeting di Poeti”, edito dal Centro Culturale Internazionale “III Millennio” di Corinaldo, altre in una futuribile raccolta dal probabile titolo: “Carmina Picena”.

Per il “Teatro di Puro Svago – SirTanus”  ha scritto: “Hamletic Busillis (scherzo scespiriano)” e “Beotia (tragocomoedia)”.

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