Un’ultima volta a Venezia
Lirica di Vittorio Fioravanti
Nel tuo seno
dolcissima amante
s’arena stanca
la prora oscura
della mia spenta sete
Desiderio appagato
resto come uno scafo
sfasciato
come le ali
d’un insetto notturno
nell’alito della cattura
come le foglie mosse
d’un frutto verde amaro
e immaturo
appena morso
Queste brevi ore
della mia esistenza
da sopravvivere con te
che mi guardi
e mi ascolti
in un delirio intenso e irreale
disciolto nei riverberi lucidi
di un’indecisa marea
in un ultimo strano incontro
sull’estremo lembo morente
della laguna
Quel giaciglio
fatto e disfatto
frammisto all’esile trasparenza
di splendidi vetri elaborati
e grida aspre
e voli intrecciati
come le nostre membra
E poi quel bianco gabbiano
fermo nel sapore dell’aria
per un eterno attimo salmastro
del nostro meriggio
così
d’improvviso
nel riquadro discreto
della finestra socchiusa sul canale
Ed infine noi
nel dedalo frantumato
delle comuni memorie
fino a perderci insieme
nella nebbia invadente
oltre il ponte
sospeso nel buio
da secoli lunghi
sui labirinti umidi e ciechi
tra una riva e l’altra
Di sestiere in sestiere
senza più mete fisse
né guide dissuasive
dietro un tuo vago sospiro
un tuo sorriso intravisto
nello specchio macchiato
d’un fondo marcito
dietro il tuo volto
celato
in un’attesa ansiosa
a stento accennata
in un rimprovero vano
Noi che ci lasciamo
con gli occhi spersi nelle acque
lungo le fondamenta
tra alghe marce e relitti
un’immagine ormai sommersa
che si smembra stravolta
per scivolare verso la scia
silenziosa
d’una gondola nera
che s’allontana
sfiorata da fasci obliqui
di soffici suoni di pianto
e luci riflesse
Noi che ci lasciamo
con un morbido arrivederci
strappato come un velo
dal passaggio d’un vaporetto
facile preda
adesso
d’una breve stagione finita
oltre la balaustra consunta
di pietra e gesso
Noi che ci lasciamo
senza un domani
(Dicembre 1988)