Attualità,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

Il container

a cura di Roberta –Ammiraglia88 (*)

Malcom McLean – inventore del container.

Malcom McLean ed era un autotrasportatore del Nord Carolina che cominciò la sua attività durante la Grande Depressione al volante di un pick-up usato. Negli anni Cinquanta aveva la seconda società statunitense d’autotrasporto, con una flotta di 1700 camion e 32 terminal in tutti gli Usa. Ma non gli bastava, perché voleva assolutamente mettere in pratica l’intuizione che ebbe nel 1937, quando era ancora al volante del camion. Ecco come la ricorda lui stesso: “Stavo portando col mio camion un carico di balle di cotone al porto. Dovetti aspettare due giorni per lo scarico e mentre vedevo gli uomini che trasferivano una balla alla volta dal cassone alla stiva della nave, mi resi conto dell’enorme perdita di tempo e di denaro che questo sistema comportava per tutti. Non sarebbe stato meglio caricare l’intero veicolo sulla nave, senza toccare le merci?”.
Ma McLean non poté realizzare subito il suo sogno perché una legge federale impediva agli autotrasportatori di svolgere attività marittime. L’imprenditore americano fece così la scommessa della sua vita: nel 1955 vendette per 25 milioni di dollari la sua azienda d’autotrasporto per acquistare la compagnia marittima Pan Atlantic dalla Waterman Steamship Corporation. Poi comperò due navi, residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale, le modificò costruendo una piattaforma sul ponte, progetto è costruì nuovi contenitori e semirimorchi stradali. Grazie a questa sorta di bricolage, nacque la moderna intermodalità.
Il 26 aprile 1956 la prima nave modificata da McLean, una cisterna rinominata Ideal-X, salpò dal porto di Newark, nello stato di New York, diretta a Port Houston, nel Texas. Sulla piattaforma ospitava 58 contenitori da 33 piedi, mentre la cisterna era carica di prodotti liquidi. La leggenda racconta che mentre la nave si stava allontanando dalla banchina, Freddy Fields, dirigente del sindacato portuale International Longshoremen’s Association disse: “Affonderei volentieri quella figlia di puttana”. Anche il vecchio sindacalista aveva la vista lunga e aveva intuito che il container avrebbe rivoluzionato il trasporto, e con esso il lavoro dei portuali.
McLean si rese subito conto che uno scafo tradizionale non era produttivo per portare grandi parallelepipedi. Così, nel biennio 1957-1958 egli trasformò sei navi della serie Waterman C2 per trasportare 226 container da 35 piedi. La prima di queste fu la Sea-Land Gateway City, che dal 1957 iniziò un servizio regolare per container tra New York, la Florida e il Texas. Nel 1960 l’armatore avviò collegamento internazionale con il Venezuela. Lo stesso anno, la compagnia marittima di McLean fu ribattezzata Sea-Land Service, e con tale nome divenne famosa in tutto il mondo. La vecchia Ideal-X continuò a trasportare liquidi e container fino al 1965, quando venne rottamata. McLean inaugurò nel 1964 a Elisabeth, nel New Jersey, il primo terminal portuale dedicato interamente ai container. E questo fu anche l’inizio di un rapporto conflittuale tra il fronte del porto ed il container.
Dopo un inizio piuttosto lento, dovuto alla mancanza di strutture e di equipaggiamenti per movimentare i container, l’idea di McLean cominciò a diffondersi anche tra altri imprenditori del trasporto. Basta solo una considerazione economica per capire il perché: nel 1956, caricare una nave negli Usa costava 5,86 dollari alla tonnellata, mentre usando il container tale cifra precipitò a 16 centesimi. La diffusione del container fece emergere il primo nodo, quello delle dimensioni. Infatti, se si vuole usare la stessa unità di carico all’interno di un’ampia rete di trasporto, bisogna stabilire uno standard per costruire i mezzi di trasporto e di movimentazione adatti a scambiare dappertutto le unità.
La ricerca di uno standard iniziò negli Stati Uniti nel 1959 e già due anni dopo l’American Standard Association stabilì le misure dei container: una sezione frontale quadrata di 8 piedi per 8, con lunghezze di 10, 20, 30 e 40 piedi. Col tempo, si affermarono quelle da 20 e 40 piedi, mentre in seguito nacque il granvolume da 45 piedi. Queste dimensioni vennero adottate dalla ISO anche fuori dagli Stati Uniti. Essendo possibili diverse lunghezze, nacque anche l’esigenza di un’unica unità di misura. Essa venne inventata da un giornalista specializzato statunitense, Richard Gibney. Nel 1969 egli compilò le prime statistiche sulla movimentazione dei container e inventò il teu, un acronimo che in italiano possiamo tradurre “unità equivalente a venti piedi”.
La grande espansione dell’economia statunitense ed europea a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta ha diffuso il sistema container fuori dal suo Paese d’origine. Un importante contributo è venuto dall’esercito statunitense, che utilizzò il sistema intermodale inventato da McLean per rifornire il suo esercito in Vietnam. La rivoluzione del container ha coinvolto i mezzi di trasporto terrestri e navali, i porti e le stazioni ferroviarie. In breve tempo, l’industria ha dovuto progettare e costruire nuovi camion, vagoni, navi, gru a portale e gommate. Lo stesso container ha visto una notevole evoluzione. All’inizio era solo uno scatolone di metallo, poi si è sempre più specializzato e oggi ci sono versioni per i liquidi, la temperatura controllata ed i prodotti granulari. Un altro comparto che ha registrato una grande evoluzione tecnologica è quello delle gru portuali, che sono diventate sempre più grandi e veloci e oggi sono controllate da sistemi computerizzati.
La rivoluzione del container ha portato anche grandi sconvolgimenti sociali nelle città portuali, rompendo quel formidabile fronte del porto che si era costituito sulle banchine di tutto il mondo. I lavoratori che caricavano e scaricavano le navi avevano raggiunto una grande forza contrattuale. Non sorprende, perché lavorando nei snodi fondamentali del trasporto potevano bloccare grandi flussi di merci anche con brevi scioperi. Un mondo, quello dei portuali, raccontato da numerosi romanzi e film. La meccanizzazione portata dal container ha ridotto notevolmente il numero dei lavoratori portuali, riducendone il potere contrattuale. Insomma, ha trasformato il camallo – con la sua storia secolare – in un macchinista.
Il recente processo di globalizzazione produttiva è nello stesso tempo causa ed effetto dello sviluppo mondiale del container. L’intermodalità ha drasticamente ridotto i tempi e i costi del trasporto sulle lunghe distanze e quindi ha reso competitive le merci prodotte in Paesi lontani. D’altra parte, il rapido sviluppo delle economie asiatiche sta aumentando il flusso di container attraverso il globo. Il fenomeno più recente è la concentrazione nelle due attività più importanti per i traffici mondiali di contenitori: la movimentazione portuale e la vezione marittima. La rivoluzione del container non è certo esaurita, anzi sta vivendo ora il suo pieno sviluppo.
Malcom McLean ha fatto in tempo a vedere il successo globale della sua intuizione, anche se non ne è stato protagonista fino alla fine. Nel 1969 vendette la Sea-Land all’imprenditore del tabacco Reynold per 530 milioni di dollari. Dopo alterne vicende, la compagnia si fuse nel 1986 con CSA, una filiale della compagnia ferroviaria CSX. Nel 1999 Sea Land venne acquistata da Maersk, che assunse prima la denominazione di Maersk Sealand, poi quella attuale di Maersk Line. Con il ricavato della vendita, McLean acquistò nel 1978 un’altra compagnia marittima, la United States Lines, e costruì una flotta di portacontainer da 4400 teu, le più grandi dell’epoca, avviando servizi giramondo. Ma la società fallì nel 1987. Cinque anni dopo, il settantottenne McLean fondò un’altra azienda la Trailer Bridge, che opera ancora tra la Florida e Portorico. L’impreditore è morto a New York nel 2001, all’età di 87 anni. In suo onore, la Trailer Bridge assegna ogni anno il premio Malcom P. McLean Innovative Spirit Award.
(notizia tratta dal sito web: http://digilander.libero.it/il_loccio/ilcontainer.htm).


Una precisazione
Con la diffusione del container è sorta la necessità di trovare delle misure internazionali dello stesso, uguali per tutti i porti. È nato così lo standard, valido ancora oggi, che prevedeva una larghezza comune di 8 piedi (244 cm), un’altezza comune di 8 piedi e 6 pollici (259 cm), e due lunghezze standard di 20 e di 40 piedi (610 e 1220 cm). Dalla standardizzazione dimensionale e volumetrica dei container è nata la consuetudine di determinare la capacità di carico di una nave portacontainer in TEU(Twenty-feet Equivalent Unit = Unità equivalente a container da 20 piedi).

Una curiosità
Qualche giorno fa ho scoperto che esiste una nave portacontainer con il mio nome, è la Msc Roberta. Che piacere sapere che “sto” girovagando nei mari del mondo!

(*) http://www.mondovespucci.com

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *