Attualità,  Racconti

Elogio della fuga

di Marcello Finocchiaro



Non potendo più immaginare, l’uomo moderno confronta.
Confronta la sua sorte con quella degli altri, e non è soddisfatto.

E tuttavia, le cose si limitano ad essere.
É l’uomo che le analizza, le separa, le suddivide, e mai disinteressatamente.
All’inizio, di fronte all’apparente caos del mondo, ha classificato, costruito i cassetti, i capitoli, gli scaffali.
Ha introdotto il suo ordine nella natura, per agire.
E dopo ha creduto che quello fosse l’ordine della natura, senza accorgersi che era il suo, che era stato stabilito secondo i suoi criteri e che quei criteri provenivano dall’attività funzionale del sistema che gli permetteva di entrare in contatto col mondo: il sistema nervoso.

L’uomo primitivo aveva la cultura della pietra scheggiata che lo univa, oscuramente ma completamente, al cosmo.
L’operaio di oggi non ha neppure la cultura del cuscinetto a sfere, che costruisce con gesti automatici, tramite una macchina.
E per ritrovare il cosmo, per sentirsi parte della natura deve avvicinarsi alle finestrine che l’ideologia dominante accetta di aprire qua e là, nella sua prigione sociale, per fargli arrivare l’aria fresca.

È un’aria avvelenata dai gas di scappamento della società industriale, eppure quest’aria viene chiamata “cultura”.

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