Marinai,  Storia

Carlo Fecia di Cossato (Parte II)

di Orazio Ferrara (*)


Dunque dal 7 dicembre 1941 di Cossato è in mare, col Tazzoli, per la missione di soccorso ai naufraghi tedeschi. Arrivato in zona, ne prende a bordo una settantina e quindi riprende la rotta di ritorno. Il giorno di Natale il Tazzoli giunge finalmente a Saint Nazaire, base dei sommergibili tedeschi. Il commiato tra Carlo Fecia di Cossato e il capitano dell’Atlantis, due veri lupi di mare, è assai cordiale. Scrive ancora il Trizzino, nel già citato libro, “Rogge dimostra particolare effusione nel salutarlo e ringraziarlo. Ne conosce già la fama di corsaro dell’Atlantico”. L’ammirazione dell’altero capitano Rogge, lui stesso un mito vivente della guerra a mare di quel periodo, per di Cossato è la dimostrazione lampante della crescente ammirazione verso quest’ultimo da parte dei nostri alleati tedeschi.
Lasciato Saint Nazaire e rientrato a Betasom, di Cossato, come tutti gli altri comandanti dei sommergibili partecipanti alla missione di salvataggio, riceve dallo stesso Doenitz la decorazione della Croce di Ferro di 1a Classe.
L’11 febbraio 1942 la prua del Tazzoli fende nuovamente le onde dell’Atlantico. Questa volta zona d’operazione sono le lontane coste nord-americane della Florida. Agli inizi di marzo il battello già pattuglia quelle coste. Qui di Cossato si prepara a cogliere i suoi più bei successi di sommergibilista.
Comincia il 6 marzo quando attacca e affonda il piroscafo olandese Astrea di 1.406 tonnellate. Il giorno dopo, il 7, prima del levar del sole, affonda la motonave Torsbergfjord da 3.156 tonnellate, di nazionalità norvegese. Tre giorni dopo, il 9, affonda il piroscafo uruguaiano Montevideo di 5.785 tonnellate. Il Montevideo è un’ex nave italiana, confiscata dagli Alleati all’inizio della guerra.
L’11 marzo tocca andare a fondo al piroscafo panamense Cygney di 3.628 tonnellate. Durante l’affondamento di questa nave, il comandante di Cossato, sporgendosi dalla torretta e sventolando un tricolore, grida all’indirizzo di una scialuppa di naufraghi “ …e adesso andate a raccontare agli americani che non è vero che gli italiani vengono fin qui ad affondare le navi”. Lo sfogo del di Cossato, peraltro sempre flemmatico, è dovuto al fatto che la stampa e la radio americane, in quei giorni, non avevano risparmiato pesanti ironie sull’assenza della “flotta sottomarina più potente del mondo” e sui marinai italiani, accusati di non osare di spingersi così lontano nell’oceano.
Il 13 marzo è poi la volta dell’affondamento della nave inglese Daytoian da 6.434 tonnellate. Il 15 marzo viene colata a picco la petroliera inglese Athelqueen di 8.780 tonnellate. In quest’ultimo scontro, manovrando per sfuggire alla rabbiosa reazione dei caccia di scorta, il Tazzoli urta la petroliera che sta affondando e ne riporta il danneggiamento della prua e dei relativi tubi lanciasiluri. Per tale motivo è costretto a rientrare alla base di Betasom, dove attracca il 31 marzo 1942. Comunque di Cossato si è tolta la bella soddisfazione di aver affondato ben sei navi nemiche per complessive 29.189 tonnellate in solo 10 giorni, dal 6 al 15 marzo 1942.
Per i brillanti successi di questa missione, di Cossato riceve una seconda Medaglia d’Argento al Valore Militare. Il 9 maggio 1942 la Marina da guerra tedesca riconoscendo le non comuni capacità combattive di questo giovane comandante italiano di sommergibile, gli conferisce l’alta onorificenza della Croce di 2a Classe con Spada dell’Ordine dell’Aquila tedesca.
A giugno terminano i lavori di riparazione dei danni riportati dallo scafo del Tazzoli. Il 18 giugno 1942 il sommergibile, sempre comandato da di Cossato, parte per una nuova missione nel mar dei Caraibi. Giunti in quelle acque, gli italiani si accorgono che esse sono strettamente sorvegliate dalle forze aeree e navali americane. Il battello, dopo aver subito reiterati attacchi aerei nemici, si sposta ad est di Trinidad. Il 2 agosto sorprende e affonda la nave greca Castor da 1.830 tonnellate.
Il 6 agosto il Tazzoli attacca la petroliera norvegese Havsten di 6.161 tonnellate. Il comandante di Cossato, sempre cavalleresco, dà il tempo all’equipaggio di trasbordare su una nave neutrale argentina e poi cola a picco con i siluri la petroliera. Comunque di quest’ultima ci sarà un naufrago, un gatto aggrappato ad un relitto, che viene prontamente salvato dai sommergibilisti italiani.
Dopo questo scontro il Tazzoli inizia il lungo viaggio di ritorno verso Bordeaux, dove arriva il 5 settembre, per poi entrare subito nei bacini di carenaggio per le opportune revisioni dopo una così lunga missione di guerra, durata ben oltre 70 giorni.
Intanto a di Cossato viene conferita una seconda Medaglia di Bronzo al Valore Militare.
Il 14 novembre 1942 di Cossato è nuovamente in caccia col Tazzoli. Meta questa volta sono le coste della Guiana olandese e di quella inglese. Il 12 dicembre al largo della Guiana olandese, davanti Paramaribo, affonda il piroscafo inglese Empire Hawk da 5.033 tonnellate. Nello stesso giorno, al largo di Georgetown, il Tazzoli sorprende ed affonda l’Ombilin, un piroscafo olandese di 5.638 tonnellate.
Il 21 dicembre un nuovo successo, viene affondata l’inglese Queen City di 4.814 tonnellate. A bordo del sommergibile italiano si fa appena in tempo a festeggiare la vigilia di Natale con i naufraghi raccolti, che il giorno dopo, il 25, viene silurata e affondata la motonave statunitense Dona Aurora di 5.011 tonnellate. Come sempre hanno fatto buona caccia il Tazzoli e Carlo Fecia di Cossato. Quattro navi nemiche affondate in poco più di dieci giorni, dal 12 al 25 dicembre.
Durante la crociera di ritorno il Tazzoli incontra il Cagni, cui tenta di cedere i siluri rimasti. Ma l’operazione di trasbordo non è possibile per le avverse condizioni meteo-marine. Sempre sulla rotta del ritorno, viene poi attaccato da un aereo quadrimotore inglese. Quest’ultimo viene abbattuto dal preciso tiro contraereo dei sommergibilisti  italiani. Il rientro a Bordeaux avviene  il 2 febbraio 1943.
Nello stesso giorno per il comandante di Cossato c’è l’ordine di sbarco e di rientro in Italia, dove dovrà assumere il comando della torpediniera Aliseo, facente parte della 5a Squadriglia Torpediniere di scorta. Secondo lo Stato Maggiore della Marina la rotazione si è resa improcrastinabile a causa della lunghissima permanenza d’imbarco del di Cossato sul Tazzoli. Un vero record per qualunque sommergibilista, ove si considerino le condizioni di estremo disagio a bordo dei battelli. Se la vita a bordo di un sommergibile non è facile in tempo di pace, figuriamoci in tempo di guerra. D’altronde non è difficile immaginare il forte stress cui si sottoponeva il comandante di Cossato durante le missioni, se si pensa che non dormiva quasi mai, tenendosi sveglio con continui caffè e con la sigaretta perennemente accesa.
Intanto il vecchio e glorioso Tazzoli, nonostante l’alto numero di successi conseguiti, viene convertito in unità di rifornimento ed appoggio. Il 15 maggio 1943, con un carico di metalli strategici per i nostri alleati giapponesi, lascia Bordeaux con destinazione Singapore, al comando del capitano di corvetta Giuseppe Caito. Da questa missione non ritornerà mai più, il suo scafo con l’intero equipaggio giace da qualche parte negli abissi dell’Atlantico. La ferale notizia è un duro colpo per di Cossato. Lo segnerà per sempre.
Per azioni svolte con l’Aliseo in Mediterraneo, Carlo Fecia di Cossato nel luglio del ’43 riceve una Croce di Guerra al Valore Militare, qualche tempo dopo gli viene conferita una terza Medaglia di Bronzo al Valore Militare.
La giornata del 9 settembre 1943, appena un giorno dopo il fatidico e, per tanti italiani, tragico 8 settembre, coglie di Cossato sempre al comando della torpediniera Aliseo, ormeggiata nel porto di Bastia in Corsica tra numeroso naviglio tedesco. Quest’ultimo cerca con la forza di avere ragione della nave italiana. Ma di Cossato non è certo il tipo da spaventarsi, anche in presenza di nemici in numero soverchiante. Ripugna soltanto alla lealtà di quel marinaio generoso, il dover combattere contro l’amico e alleato di appena ieri. Così l’Aliseo, con i suoi tre cannoni da 100 e le sei mitragliere da 20, apre un fuoco d’inferno contro gli assalitori. Ed alla fine due caccia e cinque motozattere armate tedesche hanno la peggio. Non c’è esultanza da parte del comandante italiano, ma soltanto la consapevolezza di aver compiuto il suo dovere.
La sera stessa di quel 9 settembre, dopo lo scontro vittorioso, Carlo Fecia di Cossato si ritira nella sua cabina e chiede alla sua ordinanza di portargli un paio di forbici. Ne esce qualche ora dopo, silenzioso e  triste in volto. I suoi marinai notano subito che si è tolto dalla divisa i nastrini delle tre decorazioni tedesche. Fare quel gesto gli è costato moltissimo, è stato come rinnegare una parte del suo passato. E di Cossato non è uomo dai facili rinnegamenti.
Per il comportamento da prode tenuto nella giornata del 9 settembre e per gli altri gloriosi precedenti fatti d’arme, gli viene concessa la Medaglia d’oro al Valore Militare, con la seguente superba motivazione:

“Valente ed ardito comandante di sommergibile, animato fin dall’inizio delle ostilità, da decisa volontà di successo, durante la sua quinta missione di guerra in Atlantico affondava 4 navi mercantili per complessive 20.516 tonnellate ed abbatteva, dopo dura lotta un quadrimotore avversario. Raggiungeva così un totale di 100.000 tonnellate di naviglio avversario affondato stabilendo un primato di assoluta eccezione nel campo degli affondamenti effettuati da unità subacquee.
Successivamente comandante di torpediniera, alla data dell’armistizio dava nuova prova di superbo spirito combattivo attaccando, con una sola unità, sette unità germaniche di armamento prevalente che affondava a cannonate dopo aspro combattimento, condotto con grande bravura ed estrema dedizione.
Esempio fulgido ai posteri di eccezionali virtù di comandante e di combattente, e di assoluta dedizione al dovere.
Oceano Atlantico, 5 novembre 1942 – 1 febbraio 1943 – Alto Tirreno, 9 settembre 1943”.

Non è bella, né piacevole la vita nella base navale di Taranto, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Abituato agli orizzonti sconfinati e puliti dell’Atlantico, quando su quel vasto oceano, con il suo sommergibile, conduceva una spietata caccia contro le navi nemiche, ritrovarsi adesso nella sporcizia fisica e morale di quella che fino a qualche tempo prima era stata una splendida città, cara al cuore di ogni marinaio italiano, è davvero scioccante per il comandante di Cossato, promosso ora al grado di capitano di fregata.
Fa male al suo cuore vedere tutta quella folla di trafficoni, ruffiani, furbastri, che dalla sventura della comune patria ne ritraggono laidi guadagni personali. Orrenda peste che rode anche certi ambienti della Regia Marina, dove per molti, per troppi, il tornaconto personale importa più del supremo bene comune. Offende Carlo Fecia di Cossato il turpe commercio di giovani corpi femminili. L’offendono oltremodo quei cartelli in inglese, in cui si invitano i marinai delle navi anglo-americane a non dimenticarsi delle proprie mogli, lasciate in patria. E quegli altri cartelli, sempre in lingua inglese, che consigliano a non mangiare gelati italiani per via del tifo. Sporcizia, solo sporcizia. L’intera città, con la sua base navale, sembra ora un enorme, unico corpo in disfacimento. Dappertutto fetore e putridume.
Non per tutto questo di Cossato ha consegnato la propria nave da guerra all’ex nemico, su ordine del suo re. Ordine che per lui è stato come una sentenza di morte del suo onore militare. Mille volte meglio morire, combattendo, sulla tolda di una nave o nello scafo di un sommergibile. E malgrado ciò ha obbedito. Tutto è piccolo, sporco, opaco, senza alcun barlume di grandezza in quei tristi giorni a Taranto per l’ex comandante del Tazzoli. E poi le notti insonni a rimuginare  su quel suo destino beffardo che lo ha voluto salvo, mentre il suo sommergibile, con tutto l’equipaggio in assetto di guerra, giace in fondo agli abissi dell’Oceano Atlantico.
Infine quei convulsi, fatidici giorni di fine primavera del  1944, quando nella base di Taranto si sparge la notizia che al termine della guerra, nonostante la cobelligeranza, molte delle navi militari italiane saranno cedute ad altre nazioni (cosa che poi si verificherà puntualmente). A questa notizia il comandante di Cossato impartisce agli ufficiali della squadriglia di torpediniere al suo comando la seguente disposizione, che testimonia come non tutti gli italiani abbiano intenzione di rinunciare a difendere la propria dignità: “Se venisse confermato l’ordine di consegna, dovunque vi troviate lanciate tutti i vostri siluri e sparate tutti i colpi che avete a bordo contro le navi che vi stanno intorno, per rammentare agli angloamericani che gli impegni vanno rispettati; se alla fine starete ancora a galla, autoaffondatevi”.
Poi il fattaccio. Il 10 giugno 1944 in occasione della festa della Marina, il ministro di quest’ultima l’ammiraglio De Courten dirama il tradizionale messaggio agli equipaggi. Con somma meraviglia di tutti, ci si accorge che il re non appare per niente citato. All’iniziale stupore segue prima il mugugno, poi l’indignazione in un corpo, come la Marina, che, al pari dei carabinieri, è il più monarchico fra quelli delle forze armate. Inoltre circola voce certa che i ministri del nuovo governo hanno addirittura rifiutato di giurare nelle mani del re.
Gli uomini della base di Taranto sono in fermento per quegli che ritengono intollerabili e gratuiti affronti verso la persona del re. Per tentare di calmare gli animi, l’ammiraglio Nomis di Pollone convoca tutti comandanti per il 22 dello stesso mese di giugno. Ma la situazione precipita, allorché le sue parole fanno chiaramente capire che di fatto la Marina non deve più obbedienza al re, ma al nuovo governo, che peraltro, sollecitato, si è ancora fermamente rifiutato di giurare fedeltà alla Corona. Nella sala gremita, resa nebbiosa dal fumo delle tante sigarette accese, si erge d’improvviso la figura ieratica del comandante Carlo Fecia di Cossato. Il brusio subito si zittisce. Pallido in volto, pervaso dal freddo furore dei giusti quando la misura è al colmo.
“No, signor ammiraglio -sono queste le prime lapidarie parole del conte di Cossato- il nostro dovere è un altro. Io non riconosco come legittimo un governo che non ha prestato giuramento al re. Pertanto non eseguirò gli ordini che mi vengono da questo governo. L’ordine è di uscire in mare domattina al comando della torpediniera Aliseo. Ebbene l’Aliseo non uscirà”.
No, signor ammiraglio. Costano queste parole a quel giovane ufficiale della Regia Marina italiana con il petto stracolmo di medaglie al valore, uso fino ad allora ad obbedire tacendo, senza battere ciglio, a qualsiasi ordine dei propri superiori gerarchici. Questa volta Carlo Fecia di Cossato non vuole e non può obbedire a degli ordini, provenienti da un governo che, per non aver giurato fedeltà alla Corona, ritiene illegittimo.
No, signor ammiraglio. Lo esige il suo onore di ufficiale di marina, ma soprattutto il ricordo di quegli uomini laggiù in fondo ai gelidi abissi dell’Atlantico. Oh, non si tratta di una stupida ripicca come qualcuno vuol furbescamente far credere. E nemmeno della fedeltà di un monarchico convinto, o almeno non solo di questo, di Cossato ha subito intuito, a differenza degli altri, che la strada intrapresa dai nuovi governanti porterà fatalmente a considerare inutile, se non peggio, il sacrificio della vita di tanti giovani combattenti nella prima fase della guerra che sta per concludersi. Ed è contro questa logica cinica la sua veemente ribellione. Sempre in ciò, è probabilmente da ricercarsi la vera chiave di lettura del suo successivo, estremo gesto di protesta.
Una brutta gatta da pelare anche per certi spregiudicati maneggioni dello Stato Maggiore della Marina, che armeggiano silenziosi nell’ombra, cercando di trasbordare, col minor possibile loro danno personale, dai fasti della marina imperiale dell’Italia monarchica-fascista ai fasti della nuova Italia, forse repubblicana, che comincia ad intravedersi all’orizzonte. Sembra quasi di sentirli. Ma come si permette quel pazzo illuso, che non vuole stare con i piedi per terra. Si cerca poi mellifluamente di far recedere di Cossato dal suo proposito, per cui lo si convoca a palazzo Resta  nella stessa serata di quel fatidico 22 giugno. Ma è tutto vano. Nulla, né blandizie, né minacce, possono scalfire la ferrea determinazione di quell’uomo.
A questo punto appare scontata la formulazione dell’accusa di insubordinazione e i conseguenti arresti in fortezza per l’ex comandante del Tazzoli. Bisogna dare un esempio solenne – si grida esasperati all’Ammiragliato – e non permettere a nessuno, tantomeno poi ad un ufficiale che si è fatto onore nella guerra divenuta ora “fascista”, di mettere in discussione i delicati equilibri politici che si stanno formando. Ma all’Ammiragliato non hanno fatto bene i conti con gli uomini della base navale di Taranto, dove non tutti hanno ancora venduto l’anima ai nuovi padroni.
Il latente malessere, che cova da tempo, troppo tempo, esplode in tutta la sua virulenza. Quella stessa notte gli equipaggi si rifiutano di uscire con le navi. L’indomani i muri della base sono pieni di scritte inneggianti a di Cossato, di cui si chiede l’immediata libertà e il reintegro nei gradi e nelle funzioni. Siamo ad un passo dall’ammutinamento, si strepita in certi interessati ambienti della Marina. Ed è così, se di Cossato fosse stato un tribuno, un capo-popolo e non un integerrimo ufficiale, saremmo già alla rivolta armata. Occorre dunque far buon viso a cattivo gioco. Si ricorre pertanto ad uno di quei meschini compromessi, che saranno poi prassi normale in certa Italia del dopoguerra. Il comandante Carlo Fecia di Cossato è libero, ma deve considerarsi da quel momento in licenza, fino a nuovo ordine. Se non si può colpire alla luce del sole quel mito vivente, lo si metterà nel dimenticatoio. D’altronde, sanno benissimo quei perfidi, che l’allontanamento dalle navi equivale, per un vero uomo di mare, ad una sentenza di morte.
Così Carlo Fecia di Cossato è costretto a lasciare Taranto e partire per Napoli, dove trova ospitalità, a villa Pavoncelli, dal suo vecchio e caro amico Ettore Filo Della Torre, anch’egli ufficiale di marina. Ma l’animo esacerbato del comandante non si lenisce per niente all’aria di Napoli. E’ la Napoli terribile e disperata, magistralmente descritta  nelle pagine del romanzo “La pelle” da Curzio Malaparte. La città, ora diventata una vera babele di razze e di lingue, con le sue violente contraddizioni, che la rendono ogni giorno di più simile ad un unico immenso mercato nero a cielo aperto, dove non si sa se è più abominevole la mercificazione dei corpi o quella degli animi, acuisce dunque fino allo spasimo le passioni che squassano la mente e il cuore di di Cossato.
Si rende ormai conto che tutti quei valori in cui credeva, e per i quali aveva sempre strenuamente combattuto, sono dai più derisi e calpestati, e che, ogni giorno di più, il fango che lo circonda mette a repentaglio il suo onore. Qualche idiota, per farsi bello agli occhi degli alti papaveri, arriva persino a negargli l’ingresso al Circolo degli Ufficiali della Marina. A lui, che poteva essere appellato, senza tema di smentita, l’onore stesso della Marina. E’ veramente l’ora buia di Barabba. Del trionfo della piccineria e della pavidità.
In un mondo, ormai, i cui punti di riferimento gli sembrano in rapida dissolvenza, di Cossato cerca invano di avere un colloquio con Umberto di Savoia. Ma la camarilla di corte, che avviluppa quest’ultimo, o non lo informa della richiesta o lo convince che la stessa non è “politically correct”. E di Cossato resta ancora una volta solo. Oppresso, sempre di più, da quello strano sentimento di colpa per essere sopravvissuto ai suoi marinai del Tazzoli, medita adesso di fare testimonianza, con l’offerta della propria vita, in difesa della memoria di quei morti e dei valori che hanno rappresentato. Altro che gesto inconsulto, provocato da un improvviso cedimento di nervi. L’atto viene profondamente  meditato ed arriva dopo un lungo travaglio interiore. Tant’è che la lettera-testamento di commiato ai suoi è datata 21 agosto, una settimana dunque prima del suicidio.
A Napoli, nella notte tra il 27 e il 28 agosto 1944, all’età di 36 anni, il capitano di fregata della Regia Marina italiana, il conte Carlo Fecia di Cossato, si spara un colpo mortale alla tempia. Lascia, per l’amico che l’ospitava, un biglietto di scuse, che termina “…non sono un suicida. Sono un caduto sul campo”.
Ed è veramente un caduto sul campo per i marinai, per tutti i marinai italiani, che ne avvolgono il corpo nel tricolore e lo seppelliscono, con tutti gli onori, nel cimitero di Poggioreale. Molti adesso piangono l’eroe puro, travolto dalla bassezza dell’ora presente. Lo stesso Umberto di Savoia, il futuro re di maggio, che un giorno non lontano non aveva voluto o potuto riceverlo, ne curerà poi, a proprie spese, il trasferimento del corpo nella città di Bologna. Intanto riecheggia, da un capo  all’altro della penisola, l’eco della lettera-testamento del comandante di Cossato, che ai più sembra una spietato atto d’accusa, a futura memoria, soprattutto contro chi ha consegnato la flotta nelle mani dell’ex nemico.

” Napoli, 21 agosto 1944.
Mamma carissima,
quando riceverai questa mia lettera saranno successi dei fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile. Non pensare che io abbia commesso quello che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuravo. Da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere baluardo della Monarchia al momento della pace. Tu conosci che cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta ora, un profondo disprezzo per me stesso. Da mesi, Mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla mia vita. Da mesi penso ai miei marinai del Tazzoli che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è con loro. Spero, Mamma, che mi capirai e che nell’immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai capire la nobiltà dei motivi che mi hanno guidato. Tu credi in Dio, ma se c’è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell’ora. Per questo, Mamma, credo che ci rivedremo un giorno. Abbraccia papà e le sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In questo momento mi sento molto vicino a tutti voi e sono sicuro che non mi condannerete.
Charlot “

La versione ufficiale governativa, sul suicidio, è odiosa non solo perché ipocrita, ma anche perché palesemente non veritiera. Ne riportiamo il testo, pubblicato sulla “Gazzetta  del  Mezzogiorno” di  Bari in data 31  agosto  1944:

“Il  suicidio  in  fortezza  di  Carlo  Fecia  di  Cossato.

Roma,  30  agosto. Il  Conte  Carlo  Fecia  Di  Cossato,  uno  dei  più  noti  comandanti  di  sommergibili,  si  è  suicidato  due  giorni  fa  a  Napoli.  Dopo  la  liberazione  di  Roma,  il  comandante  Fecia  Di  Cossato  chiese  di  essere  esonerato  dal  comando  perché  il  nuovo  Gabinetto  Bonomi  aveva  rifiutato  di  giurare  nelle  mani  del  Re.  Poiché,  intanto,  questo  suo  gesto  rappresentava  un  atto  di  insubordinazione  in  tempo  di  guerra,  il  comandante  Di  Cossato  fu  condannato  a  tre  mesi  di  arresti  in  una  fortezza  di  Napoli,  dove  metteva  fine  alla  propria  vita”.

Atto di insubordinazione in tempo di guerra? Condanna a tre mesi di arresti in fortezza a Napoli? Falso, falso, falso. La manovra messa in atto dal governo è lampante nella sua rozza semplicità. Si vuol far apparire, agli occhi della gente, che il suicidio è diretta conseguenza di una carcerazione, subita a seguito di un comportamento infamante quale l’insubordinazione in tempo di guerra. Quest’ultima, al pari di una diserzione in faccia al nemico. Insomma un suicidio per vergogna. Si cerca di demolire così, con il fango, la gigantesca figura del comandante di Cossato. Ma il tempo, che è sempre galantuomo, ci restituisce, ancora oggi, intatta la figura adamantina di quel coraggioso, senza la benché minima traccia di fango delle trincee politiche di allora.
Qualcuno ha scritto che la Marina Militare italiana non fu giusta con Carlo Fecia di Cossato. Rettifichiamo, alcuni uomini della Marina, non furono giusti. Forse per concupiscenza verso il potere costituito, forse per pavidità. Non c’interessa, i loro nomi sono stati dimenticati dalla Storia.
Sul finire degli anni Settanta del secolo appena trascorso, la Marina Militare italiana farà ammenda delle colpe passate di alcuni dei suoi e dedicherà uno dei più moderni sommergibili al capitano di fregata, medaglia d’oro al valore militare Carlo Fecia di Cossato, l’asso dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale. E farà cosa egregia e…giusta!

(*)https://www.lavocedelmarinaio.com/mar09/ferrara.php

6 commenti

  • Marino Miccoli

    Ringrazio il signor Orazio ferrara per questo bellissimo articolo. Sono rimasto profondamente colpito dalla storia di questo Marinaio, fedele fino all’ultimo al suo giuramento di soldato.
    Purtroppo i fatti seguenti e conseguenti all’armistizio dell’8 settembre 1943, oltre allo strazio morale, alla lacerazione interiore, hanno causato anche la morte di tanti uomini valorosi, Carlo Fecia Di Cossato era uno di questi.
    La Marina, nel dare il suo onorato nome ad un sommergibile, ha fatto quel poco che ha fatto… comunque, meglio tardi che mai.

  • ezio

    Ciao Marino… meglio tardi che mai.
    Speriamo che si ricordino di Pasquale “Simone” Neri.

  • ezio

    Ciao Alfredo purtroppo molti di loro non leggono più nel cuore della gente ma solo nelle tasche. Ezio

  • ezio

    Rossana Tirincanti
    …un grande uomo , che oltre a preoccuparsi per i suoi uomini in guerra,..salvava anche quelli con i quali combatteva….dopo aver avuto un conflitto con loro !!! Veramente un’eroe !
    rossanatirincanti@hotmail.it

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