Racconti

I vili

di Ubaldo Morgia

… Nei giorni che seguirono si accrebbe il disordine e quello che maggiormente mi colpì fu il voltafaccia di coloro che avevo sempre considerato amici legati con la stessa fede e con lo stesso ideale. Mi si rivelò un mondo nuovo fino a quel momento sconosciuto ed impensabile che in seguito, debbo riconoscere, ha condizionato tutta la mia vita.

Di episodi importanti potrei raccontarne tanti essendo nato nel 1921 e aver vissuto interamente la seconda guerra mondiale. Questi avvenimenti possono essere catalogati come normale amministrazione per chi ha trascorso 5 anni sotto le armi in tempo di conflitto.

Quello che veramente può interessare, sono i numerosi perché ai quali, ancora oggi, non riesco a dare una giusta risposta ed una accettabile valutazione.

Avevo 19 anni quando siamo entrati in guerra e frequentavo a Roma l’Accademia Fascista di Educazione Fisica.

Tutti credevamo fermamente nell’amore verso la Patria, alla lealtà dei rapporti umani, all’onestà delle azioni, all’eroismo dei soldati in Abissinia ed in Spagna ed alla lotta contro il comunismo bolscevico.

Tutti fummo chiamati alle armi.

Fui arruolato con gli Alpini alla Scuola Centrale Militare di Aosta col mio battaglione e inviato al fronte occidentale, aggregato poi al 7° Cadore quale Sottotenente, ma non è il caso di esporre tutta la mia vita militare; gli avvenimenti sono stati uguali per tutti.

Alla fondazione della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) mi trovavo in licenza al mio paese, Cittaducale, dove risiedevano i miei genitori ed i miei fratelli. Subentrò una confusione generale, non esisteva autorità alcuna e le vie di comunicazione erano praticamente inesistenti.

Fra tanto disordine eravamo rimasti in pochi ad essere ancora convinti del valore del giuramento verso la Patria e della giustezza dei nostri sentimenti.

Aderii con estrema certezza alla R.S.I. e fui arruolato nella caserma militare di Rieti, allora sede del distretto.

Iniziò un periodo di doverosa riflessione.

La vita di caserma si svolgeva con la solita routine ed ogni giorno vi affluivano prigionieri di guerra, disertori rastrellati renitenti alla chiamata alle armi ecc..

All’arrivo delle truppe alleate che avevano già occupato Roma, qualche reparto tedesco, di stanza nei paraggi, iniziò la ritirata verso nord lasciando la città in balia dei “cosiddetti” partigiani. Questi uscirono dai loro nascondigli si comportarono in modo spregevole e vergognoso con boriosa spavalderia che solamente i vili sanno esternare.

L’unico ufficiale rimasto in caserma ero io insieme a qualche soldato. Incerto sul da farsi aprii le porte delle prigioni dalle quali uscirono precipitosamente tutti i detenuti. Mi avviai quindi, senza togliermi la divisa da ufficiale degli Alpini e con la mia pistola di ordinanza bene in vista, verso Cittaducale dove risiedevano  mio padre – maresciallo della Milizia Forestale – mia madre ed i miei fratelli.

Nei giorni che seguirono si accrebbe il disordine e quello che maggiormente mi colpì fu il voltafaccia di coloro che avevo sempre considerato amici legati con la stessa fede e con lo stesso ideale. Mi si rivelò un mondo nuovo fino a quel momento sconosciuto ed impensabile che in seguito, debbo riconoscere, ha condizionato tutta la mia vita.

Il medico della Scuola Forestale, fascista da sempre, si tolse platealmente in piazza la camicia nera che aveva continuamente indossata, imprecando contro Mussolini e la sua opera fino a ieri esaltata.

Un tenente della Milizia, insegnante alla stessa scuola, saltò fuori dal locale convento delle suore dove si era imboscato rinnegando pubblicamente tutto il suo passato.

Con un “partigiano”, mio ex compagno di scuola, ci siamo incrociati lungo la via principale del paese. Con il moschetto spianato mi ha urlò: “sporco fascista è giunta finalmente la tua ultima ora” ma, naturalmente, gli è mancò il coraggio di premere il grilletto.

Il giorno dopo la stessa scena   si perpetuò con il segretario del partito comunista; questi sparò un colpo, un colpo in aria, ed è fuggito mentre io, disarmato, gli correvo dietro. I vili improvvisamente erano diventati eroi.

C’è stato di molto peggio, ma non è il caso di dilungarmi.

La risalita è stata dura: la fame vera, la cosiddetta “epurazione” per cui nessuno ti offriva un lavoro per timore di rappresaglie ma, innanzitutto, la triste constatazione dell’affermarsi di un mondo nuovo che rinunciava ai valori ed ai concetti più esaltanti della vita umana.

Quello che è più importante rilevare sono i totali sovvertimenti dei valori civili. Pertanto reputo opportuno approfondire, nel limite del mio possibile, tali concetti.

Hanno concorso a questo ribaltamento, il connubio tra il partito democristiano ed il comunista iniziando col rovesciare e distruggere tutto ciò che fino allora, più o meno bene, funzionava. Questo accordo ha tollerato per mancanza di coraggio e per deleterio calcolo elettorale i “moti del ‘68” propugnando il falso concetto di libertà e democrazia. Da allora si è creato un vuoto concettuale che sarà quasi impossibile colmare.

Oggi, secondo questi principi, le leggi sono quasi tutte a favore dei delinquenti e degli oziosi in nome della tolleranza, del perdono e del condono.

Non è possibile valutare il male che queste idee recano alla società ed alla crescita morale dei giovani. La criminalità dilaga senza freno sostenuta dalla certezza della impunità, la droga scorre dovunque distruggendo i cervelli persino dei nostri adolescenti anche loro già imbevuti di falsi concetti.

I valori di onestà, laboriosità lealtà ed il rispetto verso gli altri hanno ormai un significato in disuso ed ogni nostra esortazione o consiglio sono destinati al fallimento.

Cosa ci riserva l’avvenire?

E’ una domanda che non ha senso. E’ un pensiero espresso da una persona che ha insegnato nelle scuole per 40 anni.

I venditori di fumo sono riusciti a distorcere anche la storia, sovvertendo e denigrando persino l’opera meritoria dei vari Cavour, Mazzini, Garibaldi, ecc. che nel periodo risorgimentale tanto hanno agito per costruire una Patria degna di questo nome.

Ritengo doveroso accennare, ed è soltanto un mio convincimento, all’influenza deleteria che la religione cattolica ha operato sulle nostre vicende storiche. Voglio solamente riportare un verso di Gioacchino Belli riferito a questa istituzione politica: “nemici della Patria e del Progresso”.

Roma ottobre 2009

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