Racconti,  Recensioni

A capofitto nel cielo turchino

di Enzo Maiorca 1977

“… il pescatore mi porse il fucile e con una contemporanea inspirazione totale andai giù, tirato dal piombo. Mi sentivo potente, sentivo l’acqua frusciare contro il volto; mi sembrava di penetrare il mare e di essere penetrato dallo stesso, come se i miei pori si dilatassero e mi apportassero acqua salata nelle vene. Mi sembrava come se avessi potuto vivere in eterno, sempre precipitando; mi sembrava come se il mio sangue, invece che rosso sarebbe potuto diventare turchino, come l’orizzonte verticale contro cui mi precipitavo; mi sembrava come se il mio sangue, trasformabile in mare,pompato dal cuore mi avrebbe arricchito il cervello di sale, si da farmi vedere il mondo circostante con l’occhio dei pesci.

Il frusciare delle varie profondità che lasciavo dietro le orecchie era tale che nascondeva il gorgoglio delle bolle degli autorespiratori, fra cui talvolta mi avventavo, sempre trascinato dal peso, scompaginandole e frantumandole! Pompavo automaticamente aria nelle narici e nella maschera e le compensazioni procedevano calibrate alla bisogna: arrivai giù talmente preso dall’ambiente e dalle sensazioni provate, che mi accorsi di non avere neppure notato Paolo, Concetto, Aldo, disposti lungo il tragitto. Sul fondo vidi Carmelo e Aldo i quali, dandomi una pacca sulle spalle, con gli occhi spalancati di gioia e una smorfia di allegria sul volto deformato dalla maschera e dal boccaglio, mi invitarono a salire; ma le energie risparmiate in discesa mi consentirono di rimanere qualche secondo laggiù, mentre concetto e Paolo, allarmati controllavano dall’alto.

E risalii lieve lieve; mi sentivo un falco che sfruttava le correnti ascensionali celesti: era una fatica che non sentivo; si, muovevo le pinne ma i muscoli non mi diventavano di legno come le altre volte costringendomi talora anche a sospendere il ritmo delle pinneggiate per riposarmi. Mi sentivo leggero come un piumino portato dal vento con un semino di fiore con cui fecondare la terra.

In superficie, e solo là, mi accorsi di essere in mare allorché il sole sferzante troncò il turchino, l’azzurro e il celeste, tramutando il tutto in un monocromatico bagliore…”

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