Racconti

2009: odissea in fondo al mare, viaggio dentro a se stessi

di Nick (esperto del mondo subacqueo su TripAdvisor. Vieni a trovarlo sui forum di TripAdvisor o sul suo gruppo facebook paginedimare)

La spiaggia respirava serena dopo una giornata di sole martellante. Il silenzio della sera fu rotto dal gruppo di sub che con geometrie disordinate ma precise preparavano bombole, provavano erogatori, controllavano luci, gonfiavano gav a fiato come orchestrali che mettono a punto i loro strumenti, prendendo accordi prima di una esecuzione musicale. Un’immersione notturna in gruppo è sempre un debutto il cui successo dipende dalla buona preparazione delle attrezzature e dalla sintonia con cui ognuno partecipa alla scena. Il risultato è un concerto unico e armonioso di subacquei in notturna, sceneggiato nel più grande e spettacolare teatro del mondo: il mare del pianeta Terra.Un plenilunio stendeva fino a noi il suo tappeto d’argento, invitandoci. Da quell’arenile di pescatori salpava un gommone di uomini vogliosi di sentire ancora che la felicità è possibile dentro mute colorate, come pezzi staccati di un mosaico variopinto. La sommità appuntita di Capo Zafferano azzannava, a torto, un cielo terso di luci al neon e di stelle lontane, mentre il mare farfugliava frasi acquose allo scoglio eretto come uno scarpone solitario; la cima sparì dentro l’acqua e l’imbarcazione si arrestò ancorata. Iniziò una schermaglia come di lame scintillanti nel buio della notte e fu un porgere fari, zavorre, guanti in un goliardico vocio. Complice dalla montagna, il faro nautico sfogliava su di noi pagine di luce. Il mare della notte è un mare incantato e la notturna è un’immersione dentro l’anima del mondo che dorme serena e indifesa. Come in una fiaba delle mille e una notte bisogna scendervi “in punta di pinne” con l’umiltà di un incontro mistico: questa è la chiave che apre una dimensione meravigliosa in cui ogni cosa è stupore di un eden ritrovato.

Apriva il gruppo Alfonso, lo chiudeva Salvatore. I subacquei, come stelle cadute in mare, pulsando luci stroboscopiche, in coppie fendevano l’acqua e accendevano un presepe di colori. Scendevamo in parete sfiorando un “kirman” floreale, frastagliato di sete e velluti vegetali, mai ordito nella migliore Persia. Lungo una feritoia dormivano tre saraghi, sospesi come in una galleria d’arte moderna. I bagliori del plancton vagante erano l’antica prova dell’antico amnios, il perenne natale in cui stavamo nuotando. La notte dormiva dentro il mare e noi eravamo dentro quella notte, come forse poteva essere la prima dell’uomo dopo il primordiale uragano di luci. La natura creava e metteva in scena i suoi prodigi. Alle radici sommerse del monte osservavamo aragoste muovere antenne come radar, e scorfani dalle criniere a ventaglio, posati come sculture di rosso marmo. Un carillon ovattato d’acqua animava figure di una purezza incredibile rivelando, ancora viva, la scintilla del primo battito del mondo. La costellazione di subacquei navigava zingara in quel cielo d’acqua blu, attratta da un magnetismo di bellezza pura e scopriva in quella emozione una verità antica, autentica, razionale: l’uomo è appena un filo tenue nella trama della vita, senza quella trama non avrebbe più la possibilità di esistere.

Un polpo alla nostra vista, più incredulo che impaurito, corse a rintanarsi e quando andammo a fargli visita a casa sua, ci vollero molti convenevoli prima che credesse alla nostra amicizia, poi felice della novità, venne fuori e ci regalò un saggio della sua eleganza danzando a mezz’acqua tra di noi, nel crepuscolo dorato di una ribalta in cui eravamo spettatori e attori reciproci. Salutando il nostro amico pensavo alla fiducia con cui ora sarebbe andato incontro al prossimo subacqueo ricevendo in cambio una probabile fucilata. L’uomo è il più subdolo e sciocco predatore del pianeta: ce ne rendevamo conto visitando quell’ habitat così perfetto. La dimensione tecnologica della terra era respinta dalla mente come una mostruosa distorsione. A che vale tanta tecnologia se il sole, il mare, la montagna sono, più che mai, gli unici dispensatori di vita e di pace che ricompongono la nostra identità infranta? E’ in ballo la felicità dell’uomo. Bisogna interrogarsi sul destino dell’umanità. La politica, l’economia, reclamano, con ritmi sempre più pressanti, le loro ragioni, ma se non riusciamo a subordinare queste ragioni a quelle della scienza delle cose, inevitabilmente l’uomo sarà costretto a vendere la sua anima già assopita, alla follia di un egocentrismo che è in agguato come un inverno dello spirito.

L’indice di Luana indicava al gruppo una “alicia mirabilis” che ondeggiava le sue chiome in un vento liquido cercando nell’acqua il suo nutrimento. Salvatore non perdeva l’occasione di un’eccezionale fotografia. Più in là Nino ci chiamava con ripetuti gesti: aveva avvistato una madre polpo che ventilava le sue uova in un anfratto, custodendo, fino a morire, la nascita dei suoi figli. Ci spostammo su un campo di posidonie e dal fondale illuminato s’alzava ora una grossa medusa che come un robot pulitore filtrava la volta di acqua azzurra. Più in fondo, ventagli di paramuricee aspettavano di essere fecondate da cellule nomadi. Eravamo partecipi di un equilibrio perfetto. Attraverso gli oblò delle mascherine si poteva leggere negli occhi dei compagni una felicità assoluta.

Nello stesso istante, sulla terra ferma, migliaia di instancabili fabbriche costruivano un benessere di plastica, issando al cielo inalatori di fuliggine come arroganti bandiere di morte: inno all’animale intelligente. Nello stesso istante centinaia di petroliere, gravide di veleni e di inganni, come mostruosi cavalli di Troia solcavano la superficie azzurra. L’antica alleanza con la natura fu rotta dal primo uomo che deturpò quel famoso albero di mele: ne aveva ancora memoria quello spirografo che sparì fulmineo dentro il suo astuccio, per istintiva difesa, al nostro avvicinarsi.

C’è ancora speranza per questo piccolo, ridicolo uomo che si inchina ancora ad un sistema di valori capovolti? Il polpo ha giocato insieme a noi: la natura è disponibile e ci tende le mani, può ancora darci nutrimento e benessere se impariamo a conoscerla, ad amarla, ad attingervi senza offenderla. E’ tempo di capire! L’etica della conoscenza si impone come l’unica che può svegliare l’umanità dall’oppio di ipocrite dottrine che plasmano uomini con il cuore a forma di salvadanaio. La natura ha una ragione per ogni piccola cosa ed è necessario inserirsi in questa logica di dialogo e di riconciliazione. Questa nuova alleanza restituirà il cielo al cielo e l’uomo all’uomo. Sola dignità senza prezzo.

La guida del gruppo incrociò le braccia segnalando che l’immersione era conclusa. Una murena ci guardava stupita mentre risalivamo in una nuvola di bollicine argentate, lentamente, fino al chiarore della luna che ora ci interrogava soddisfatta: Luciana, Nino, Salvatore, Francesca, Alfonso, Pietro, Luana, Nicola: c’eravamo tutti.
Qualcuno nascondeva tra le gocce d’acqua di mare lacrime di gioia. Ma ora non c’era posto per la commozione, ora stavamo tornando a terra, in un mondo infido, occorreva essere duri e andare con la purezza dei colombi e astuti come volpi a diffondere la parola nuova: conoscenza. All’alba, migliaia di squali voraci in giacca e cravatta, sarebbero scesi su tappeti di catrame seminando ignoranza e distruzione.

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