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    Luigi Spignese (Gaeta, 24.4.1917 – disperso in mare, 12.10.1940)

    di Carlo Di Nitto

    (Gaeta, 24.4.1917 – disperso in mare, 12.10.1940)

    Sottocapo Furiere Luigi Spignese, di Cosmo, disperso in mare il 12 ottobre 1940 nell’affondamento della regia torpediniera “AIRONE” avvenuto a circa mg. 73 per 135° da Capo Passero.
    La nave era impegnata, con altre unità, nella ricerca notturna di una forza navale nemica segnalata nel canale di Malta. Dopo aver avvistato unità avversarie, ne effettuò l’attacco. Durante l’azione fu colpita ripetutamente dal fuoco rivale; rimasta immobilizzata con un vasto incendio a bordo, alle ore 03,34 circa affondò.
    Luigi era nato a Gaeta il 24 aprile 1917.
    (foto p.g.c. della Famiglia)

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    24.4.1941, affondamento regia nave Egeo

    di Carlo Di Nitto

    (Napoli, 5.3.1893 – Mare, 24.4.1941)

    Questa foto scattata nel 1934, gentilmente concessa dall’amico Federico Brasini, riprende un gruppo di allievi della Scuola C.R.E.M. per Meccanici di Venezia con, al centro, il Comandante in 2^, Capitano di Fregata Ugo Fiorelli. 
Il Comandante Fiorelli cadde il 24 aprile 1941 mentre era al comando della motonave ausiliaria armata “Egeo” dopo aver sostenuto un durissimo scontro notturno contro una divisione navale nemica e, per questo, fu decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla Memoria”.

    Nella foto, secondo da sinistra in piedi, Dario Brasini, (padre dell’amico Federico) disperso nell’affondamento del regio Cacciatorpediniere Lampo.
    ONORE AI CADUTI

     Agostino Antonio Brocco
    di Carlo Di Nitto

    (Formia, 5.8.1906 – Mare, 24.4.1941)

    Marinaio Cannoniere Agostino Antonio Brocco, di Nicola e di Scipione Assunta, disperso nell’affondamento del Regio Incrociatore Ausiliario Navale Armato “Egeo” il 24 aprile 1941.
    Nella notte tra il 23 ed il 24 aprile 1941, in navigazione da Tripoli a Palermo a circa 80 miglia per 010° da Tripoli, verso le ore 00.40 l’unità, scoperta dai radar nemici, fu attaccata dai cacciatorpediniere britannici “Janus” e “Jervis. Sostenne l’impari combattimento per circa venti minuti, fino a quando, colpita da due siluri affondò trascinando con sé 84 Marinai.
    BROCCO Agostino Antonio era nato il 5 agosto 1906 a Formia.

    (foto archivio personale Carlo Di Nitto per gentile concessione a www.lavocedelmarinaio.com) 

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    Andrea Mansi (Ravello, 24.4.1919 – Napoli, 12.9.1943)

    a cura Antonio Cimmino

    

…vittima dell’odio nazista ucciso per ritorsione.




    (Ravello, 24.4.1919 – Napoli, 12.9.1943)

    Il 12 settembre 1943 rientrava dalla licenza per recarsi all’ospedale di Fuorigrotta a Napoli.
La città era in agitazione perché dopo l’armistizio di Cassibile e il successivo proclama del maresciallo Badoglio non aveva una guida sicura. I cittadini erano allo sbando, come del resto in altre parti d’Italia, e molti militari preso atto della caotica situazione optarono per la diserzione.
    Con l’avanzata da sud degli alleati anglo-americani e la ritirata verso nord delle truppe tedesche, i generali nazisti diedero ordine di rastrellamenti, assedi ed instaurare quel clima di terrore con l’ordine di fucilare coloro che si opponevano al regime.
    Antonio Mansi fu barbaramente trucidato, in questo clima di odio, sulla soglia dell’università partenopea, divenuta centro di anti nazi-fascisti.
L’università Federico II fu meditatamente scelta per ammonire la popolazione napoletana. 
Dapprima fu incendiata e, al culmine del rogo, Andrea Mansi fu forzato ad entrare dal portone e poi ulteriormente sventrato anche da una cannonata per essere arso vivo nell’atrio in fiamme.
    Tirato a fuori dall’atrio, fu legato ad una delle porte roventi per essere facilmente visto dalla folla mentre urlava agonizzante, col metallo che gli ustionava la schiena. Alla cruenta esecuzione furono costretti ad assistere numerosi civili ai quali venne dato l’ordine di inginocchiarsi sotto la minaccia delle mitragliatrici, e guardare i soldati tedeschi che sparavano al Mansi che gemeva ed infine, alla sua morte, ad applaudire. I cine operatori della Gestapo riprendevano l’esecuzione…
Di che cosa era accusato? Di avere attentato alla vita di un militare tedesco.
In realtà non si dissociò della divisa che ancora indossò fino all’estremo sacrificio e al giuramento alla Regia Marina.

    LA STORIA
    Era l’alba del 12 settembre 1943. Un giovane marinaio di leva di Ravello, Andrea Mansi, classe 1919, faceva ritorno a Napoli, dove prestava servizio presso l’ospedale militare di Fuorigrotta, dopo una licenza breve. Prima di lasciare Ravello, quel giovane, dalla profonda devozione verso la Madonna, si incaricò di suonare a distesa le campane della chiesa parrocchiale del Lacco, il suo rione, nel giorno della ricorrenza del Santissimo Nome di Maria Vergine. Ma Andrea era all’oscuro di ciò che sarebbe accaduto in serata nel capoluogo partenopeo. Alle 18 e 30 Dwight D. Eisenhower, rese nota l’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile (armistizio breve, già siglato il 3 settembre) e confermato poco più di un’ora dopo, alle 19 e 42, dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell’EIAR. Le forze armate italiane, come in tutto il Paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli. A Napoli la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20mila tedeschi a fronte di soli 5mila italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe, incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche. Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Walter Schöll l’ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata delle truppe anglo-americane di non abbandonarla prima di averla ridotta “in cenere e fango”. Fu allora che proprio il 12 settembre, il colonnello Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti nella città partenopea, proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d’assedio con l’ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso. Ma il proclama (nella foto) venne reso noto soltanto il giorno successivo. Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, i tedeschi penetrarono nelle case e cominciarono l’opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all’incendio delle loro abitazioni. Anche l’Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L’obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l’Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell’antifascismo. Giunto presso l’Ospedale di Fuorigrotta Andrea Mansi non trovò nessuno. Erano spariti tutti. Non sapendo cosa fare, ma soprattutto non essendo a conoscenza di ciò che a Napoli stava accadendo (veniva da alcuni giorni di licenza e in tanti, parenti e amici gli avevano consigliato di non fare ritorno a Napoli), si diresse verso il centro, vestito della divisa militare S.E.B. (servizio estiva bianca) della Regia Marina, speranzoso di incontrare qualche suo commilitone, magari quel Luigi Nappo di Gaeta con il quale aveva un rapporto privilegiato. Ma riconosciuto dalla bianca divisa Andrea venne fatto prigioniero, ingiustamente accusato di aver attentato alla vita di un militare tedesco. Fu questo il vile pretesto per poterlo subito giustiziare, proprio come accadde per tanti altri innocenti militari italiani. Il 12 settembre il 24enne marinaio di Ravello venne condotto sul patibolo della soglia della sede centrale dell’Università Federico II ancora in fiamme per essere giustiziato. Alla cruenta esecuzione furono costretti ad assistere numerosi civili, ai quali venne dato ordine di inginocchiarsi ed applaudire alla sentenza, sotto l’occhio di una macchina da presa della Gestapo.

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    24.4.1938, varo della regia nave Granatiere (2°)

    di Carlo Di Nitto

    Il regio cacciatorpediniere Granatiere (2°), Classe “Camicia nera” o “Soldati (prima serie)”, dislocava 2460 tonnellate a pieno carico. Costruito nei Cantieri Navali Riuniti di Palermo, fu impostato il 5 aprile 1937,  varato il 24 aprile 1938 ed entrò in servizio il 1° febbraio 1939.
    Nel breve periodo prebellico svolse attività addestrativa, prendendo parte anche ad una crociera in porti spagnoli.
    Partecipò intensamente alle operazioni belliche del secondo conflitto mondiale totalizzando 124 missioni di guerra per scorta forze navali, scorta convogli, ricerca e caccia antisommergibile, percorrendo circa 47.000 miglia.
    Numerosi furono gli episodi significativi della sua attività. Tra questi: 1940, partecipazione alle Battaglie di Punta Stilo e di Capo Teulada; 1941, partecipazione alle Battaglie di Capo Matapan e Prima della Sirte. Al termine di quest’ultima battaglia, all’alba del 18 dicembre 1941, ebbe una grave collisione con il gemello “Corazziere” subendo l’asportazione della prora e la perdita di tre uomini. Venne quindi rimorchiato a Taranto dove rimase fermo per lavori fino al 30 settembre 1942.
    Il 20 marzo 1943, mentre sostava in porto a Palermo, fu sorpreso da un violento bombardamento aereo statunitense che provocò gravi danni a bordo e la perdita di ben 42  membri dell’equipaggio.
    Trasferito per lavori a Taranto, l’8 settembre 1943, venne sorpreso dalla proclamazione dell’armistizio.
    Durante la cobelligeranza, nel 1944-45, svolse intensa attività a fianco delle Marine alleate compiendo azioni contro le coste occupate dai tedeschi e missioni di scorta e trasporto di personale.

    Dopo la guerra, rimasto alla Marina Italiana, sostò per quasi un anno per importanti lavori di trasformazione e ammodernamento. Al termine, rientrò a far parte della 1^ Squadriglia Cacciatorpedinieri con cui effettuò attività addestrativa per le ricostituite Forze Navali fino a tutto il 1955.
    Agli inizi del 1956, passò in riserva e, il 10 aprile 1957, fu riclassificato “fregata veloce”. Rimasto in riserva, il 1° luglio 1958, venne radiato.
    Nel corso della sua vita operativa, portò le sigle ottiche GN e D 550.
    Il suo motto, fino al 1946, fu: “A me le guardie per l’onore di casa Savoia”. Successivamente, con la nascita della Repubblica, il motto fu modificato in “A me le guardie”.

    Nella foto, dietro la nostra Unità, si intravede una corazzata classe “Littorio”.
    ONORE AI CADUTI!

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    23.4.1949, radiazione della regia nave Aliseo

    di Carlo Di Nitto

    Il regio avviso scorta (torpediniera) “Aliseo ”, classe “Orsa” 2^ serie, dislocava 1700 tonnellate. Fu varato il 20 settembre 1942 presso i Cantieri Navalmeccanica di Castellammare di Stabia ed entrò in servizio nella Regia Marina il 28 febbraio 1943.
    Iniziò l’addestramento nel Golfo di Napoli, poi si trasferì a La Spezia per completare il collaudo delle sistemazioni belliche. Il 17 aprile 1943 ne assunse il comando il Capitano di Fregata Carlo Fecia di Cossato, già asso dei sommergibilisti atlantici.
    Effettuò alcune missioni di scorta nel Tirreno durante le quali, se si eccettua qualche breve contatto con aerei avversari, non si verificarono avvenimenti di particolare importanza.
    Alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, si trovava con il gemello “Ardito” in porto a Bastia (Corsica). Essendosi verificati episodi di aggressione ad altre navi italiane da parte dei tedeschi, la mattina del 9, il Comandante di Cossato condusse la sua unità fuori dal porto e qui, vedendo l’ ”Ardito” pesantemente danneggiato e in gravi difficoltà, invertì la rotta e senza esitazione attaccò un’intera flottiglia di battelli germanici (due caccia sommergibili, cinque motozattere, una motobarca della Luftwaffe e due piroscafi armati che erano stati catturati agli italiani).
    Sia pur centrato nella sala macchine, riuscì ad affondare i due caccia sommergibili, tre motozattere costringendo le altre due ad incagliarsi, la motobarca e mettendo fuori uso i due piroscafi armati. Dopo il combattimento, raccolti 25 naufraghi tedeschi, partì per Portoferraio insieme al mal ridotto “Ardito” dove sbarcò i naufraghi. Successivamente, con altre unità, diresse prima a Palermo e poi a Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali.
    Anche l’azione di Bastia, fu tra le motivazioni che portarono al conferimento della Medaglia d’Oro al Comandante di Cossato.
    La nave, rientrata a Taranto, durante la cobelligeranza effettuò altre missioni di scorta restando al comando di Carlo Fecia di Cossato fino a giugno 1944, quando questi fu posto agli arresti per il suo rifiuto di prestare giuramento al nuovo governo Bonomi che non aveva giurato, a sua volta, fedeltà al Re. A bordo dell’ ”Aliseo” scoppiarono dei tumulti in seguito ai quali il Comandante fu liberato e messo in congedo. A causa di ciò, Carlo Fecia di Cossato si suicidò per denunciare la grave crisi dei valori nei quali aveva sempre creduto.
    Al termine del conflitto, l’ “Aliseo”, dopo essere stato impiegato per trasporto materiali e personale, dal 1947 rimase fermo a Castellammare di Stabia, dove effettuò un lungo periodo di lavori dovendo essere consegnato alla Jugoslavia in conto riparazioni danni di guerra.
    Fu radiato il 23 aprile 1949 e consegnato con la sigla “Y” alla Marina jugoslava il 3 maggio successivo nel porto di Spalato. Ribattezzato “Biokovo”, rimase in servizio attivo fino al 6 aprile 1965, quando fu radiato definitivamente ed avviato, nel 1971, alla demolizione.

    Nella foto l’ “Aliseo”, pitturato con la colorazione delle marine alleate (scafo grigio scuro e sovrastrutture grigio chiaro), è ripreso unitamente alle corvette C11 “Gabbiano” (a dx) e C13 “Cormorano”, verosimilmente nell’ultimo periodo della cobelligeranza.