• Attualità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Per Grazia Ricevuta,  Poesie,  Racconti,  Recensioni

    Gente di mare

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    TRATTO DAL LIBRO EMIGRANTE DI POPPA.
    DIRITTI RISERVATI – DUPLICAZIONE VIETATA ANCHE PARZIALE

    Non sento più il rumore delle onde mare che si infrangono nella scogliera. Non sento più le urla dei pescatori che fanno a gara a chi strilla più forte per vendere la loro mercanzia. Non vedo più al mio orizzonte, né quella luce di un faro che mi faccia orientare nella giungla della vita né, tantomeno, navi militari e di crociera che si incrociano con mercantili, con barche dei pescatori, con i diportisti e con disperati clandestini in cerca di un mondo migliore. Elucubrazioni che danzano un valzer ammaliatore sulle onde di quel Mediterraneo che ha visto scorrere tanta storia e tanti navigatori. Quel “mare nostrum” che ci racconta l’odissea dei tanti marinai di passaggio che, come me, lo hanno percorso in lungo e in largo, da oriente a occidente.
    Ho letto storie che hanno avuto come protagonista il mare, con orripilanti mostri marini, ammaliatrici sirene, semplici pescatori, eroici capitani coraggiosi, pirati senza cuore e poveri disgraziati in cerca di un mondo migliore.
    Ho avuto la pazienza di ascoltare racconti di anziani marinai, a volte veritieri, a volte ingigantiti nella realtà, a volte inventati di sana pianta. Ho offerto loro un grappino al bar del porto ed essi mi hanno rivelato una storia; a volte la loro storia.
    Mi hanno fatto credere, mi hanno incoraggiato, mi hanno fatto sognare.
    Solo col tempo ho capito i lunghi silenzi e la solitudine per quella vita trascorsa in mezzo al mare. Solo ora comprendo il loro logorroico sfogo all’avvicinarsi di gente curiosa come me pronta a carpire qualunque insegnamento e qualsiasi segreto del profondo immenso mare.
    Loro, gli anziani, ci dicevano: “provate a fissare il mare è difficilmente riuscirete a dimenticarlo, provate a navigarlo e sarete per sempre suoi. Provate per credere”.
    Invece lui, il mare, nel suo essere inesplorato, nel suo essere tre volte tanto la terraferma, nella sua maestosa immensità, sembra quasi che ci ignori. No, non è così! Non ci ignora, è troppo superiore per farlo. Cerca solo la nostra attenzione, il nostro rispetto e allora quale miglior modo di concederglielo se non sfidandolo su una qualsiasi imbarcazione.
    Il silenzio irreale di una prora che fende il pelo dell’acqua rappresenta una sensazione unica che solo i veri amanti della vita riescono ad apprezzare pienamente. Sarà difficile trovare questo silenzio nell’imponente ed implacabile forza del mare in tempesta e nell’ira del vento, suo fedele alleato, che sembrano vogliano ricordarci quanto siamo piccoli al loro cospetto.
    Andare per mare insegna a valutare le situazioni, ad affrontare i pericoli e a conoscere soprattutto se stessi.
    Andare per mare è il giusto modo per crescere e trovare quell’equilibrio che la frenesia della società moderna ci impedisce molto spesso di raggiungere. Andare per mare insegna a non sottovalutare niente ed educa al rispetto delle regole, soprattutto a quelle della vita.
    Il rispetto degli elementi naturali sarà cosa dovuta e la “paura” ed il “coraggio di vivere” coabiteranno insieme alla nostra esistenza in simbiosi con tutto l’ecosistema. Sarà opportuno prendere consigli dai marinai di lungo corso, quelli più anziani, quelli più esperti.
    La vita da marinaio è ricca di risvolti e connotazioni tali da renderla assolutamente diversa da ogni altra condizione di vita e di impiego. Seppur essa appaia naturale all’uomo di mare, resta sicuramente inavvicinabile alla maggior parte degli esseri umani. Per affrontarla correttamente è necessaria una certa predisposizione sia fisica che psicologica ed una forte motivazione, qualità queste, che ci aiuteranno a rendere persino affascinante la scelta di vita di cui parlo.
    La corretta valutazione delle difficoltà che si incontrano, il confronto con le proprie capacità e l’opportunità di conoscere e valutare le singole situazioni sono la base propedeutica nell’andare per mare. Per imparare non esistono limiti di età: basta avere una buona confidenza con l’acqua e una discreta forma fisica.
    E’ necessario, a questo punto, instaurare un rapporto confidenziale con il mare che diventerà un nostro inseparabile amico.
    La vita da marinaio richiede una capacità di adattamento ed un impegno non comuni, specie quando si affronta la navigazione ed è proprio sul mare che si forgiano il carattere e la professionalità dell’individuo.
    Imbarco non è soltanto navigazione!
    Per avere un’idea più precisa dei problemi legati alla vita di bordo occorre distinguere tra la navigazione vera e propria ed altre situazioni di imbarco. Le ore di navigazione, da sole, danno un’idea parziale dell’entità e della quantità dell’impegno richiesto. Anche in altre condizioni di impiego diverse da quelle di bordo, il marinaio resta comunque calato in una realtà a se stante che gli impedisce di condurre un’esistenza scandita dalle normali attività di vita quotidiana. E’ fuori dubbio che la qualità della vita è notevolmente migliorata negli anni, grazie anche al progresso tecnologico ma, in nessun caso, la vita da marinaio si propone come facile e tanto meno come comoda. Gli spazi ristretti che contraddistinguono la vita di bordo, l’impossibilità di evadere dall’ambiente di lavoro, la preclusione di ogni attività sportiva e, come spesso accade, le cattive condizioni del mare, determinano un forte stress mentale e un notevole dispendio di energie rispetto ad altre attività, ad altri lavori.
    Il lavoro si sviluppa dunque in condizioni ambientali ostili con l’aggravante di una limitazione della sfera privata che non tutti, purtroppo, sono in grado di sopportare.
    Il fascino di questa vita è anche dovuto, però, alle privazioni che la contraddistinguono e che consentono all’individuo di valutare attentamente se stesso e di confrontarsi continuamente con gli altri, instaurando legami fondati sui valori della lealtà e della solidarietà, sorretti da principi che non accettano deroghe ma che sono finalizzati alla crescita comune.
    Il quadro delle difficoltà (ma meglio sarebbe dire dei doveri) si completa con gli obblighi derivanti dalla rigidità della disciplina che consente al marinaio una rapida maturazione e la formazione di una forte personalità.
    Nella tradizione marinara la disciplina è un codice etico (… spesso non scritto) che ciascuno sceglie di condividere e che deve necessariamente rispettare. E’ richiesta una partecipazione responsabile ad ogni individuo, qualsiasi sia la posizione nella scala gerarchica e il livello di cultura e di professionalità, solo in questo modo è possibile instaurare un clima di collaborazione e di fiducia reciproca, essenziale a rendere quanto più possibile elevata la qualità della vita a bordo.
    Così facendo, non anteponendo gli interessi personali, è possibile ottenere quella coesione e quello spirito di gruppo che caratterizza da sempre la Gente di mare.
    Ogni difficoltà a bordo deve essere affrontata e superata con onestà, rispetto delle norme e serenità, perché è di esseri umani che si tratta, non di macchine! Ogni individuo, per quanto diverso, ha una dignità e merita la massima considerazione. Questi valori sono innati nella Gente di mare, a tutti i livelli. Bisogna metterli in pratica anche quando può costare fatica.
    Solo il dialogo e la collaborazione all’interno possono essere compatibili con l’obiettivo da raggiungere.
    A noi marinai questo approccio risulta facile e naturale e siamo da sempre stati abituati a vivere sulla stessa barca sapendo che il benessere: o è comune o non è tale.
    Penso infine che c’è un elemento che ha unito e che unisce i continenti della terra ed i suoi abitanti: il mare!
    I colori dei popoli, a volte, si integrano come le lingue, come gli sguardi. In ogni essere vivente c’è un calore che permane e non scappa, si trova in ognuno di noi.
    E’ questo calore che riesce coniugare anima e vita: tutto diventa realtà.
    Il miglior modo per sprigionare questo calore è la “parola”. Il miglior mezzo di comunicazione è il “contatto umano” tra soggetti apparentemente diversi. Anche se tutto ruota intorno ad un ipotetico “domani fatto di speranza”, il mare, forse da sempre, è ed è stato il canale preferenziale per stabilire questo contatto e quindi per far avvicinare i popoli della terra. Spesso ce lo dimentichiamo!
    Chi va per mare questo lo sa, conosce i sacrifici, i rischi, le gioie ma anche le sofferenze ed è per questo che chi va per mare ama la vita: l’unica vera “ancora di salvezza”.
    La nostra vita è addolcita solo dall’amicizia e dall’amore: Essenza dell’amicizia sono la confidenza e la fiducia, quella dell’amore è il piacere spontaneo, disinteressato, donato e ricevuto senza una contabilità del dare e dell’avere. In entrambi i casi ti senti apprezzato per te stesso, per il puro piacere di stare con te e con agli altri, senza altri fini. Ci sono momenti della vita in cui facciamo amicizia e ci sentiamo amati, altri invece che, anche se stiamo in mezzo alla folla, ci sentiamo soli. E’ quanto capita all’emigrante o all’esiliato.
    Quando gli italiani emigravano in massa verso il nuovo mondo, durante il lungo viaggio in alcuni di loro prevaleva l’angoscia della nostalgia. Erano gli “emigranti di poppa”, quelli che, per riflesso condizionato, trascorrevano gran parte del tempo guardando l’orizzonte lontano, dal quale provenivano e in cui avevano lasciato, sempre più remoti, la casa ed il paese d’origine. In altri, invece, prevaleva la speranza di un futuro migliore e la curiosità per il mondo nuovo. Erano gli “emigranti di prua” che preferivano guardare avanti, nell’attesa di scorgere per primi la terra promessa, dove avrebbero fatto fortuna. Nell’avventurosa navigazione di ogni vita umana vi sono, dunque, gli emigranti di poppa e quelli di prua, vi è Penelope che indugia nella rassicurante tradizione del mondo domestico e Ulisse, il marinaio, che preferisce il rischio dell’avventura e l’ebbrezza delle novità.
    Questo è un buon motivo per navigare: conoscere, comprendere e infine a…mare!
    La vita delle persone è un cammino dell’esistenza, un arte difficile che richiede dedizione e sacrifici e, se uno riesce a guardarsi bene intorno, ci sono persone ammirevoli. Queste persone siamo noi: la gente di mare!

    LA GENTE DI MARE
    (Marino Miccoli)


    Sotto un cielo plumbeo
    cupo come la coscienza di Giuda
    nuvole nere gravide di pioggia
    s’addensano minacciose sul mare.
    Altissime onde
    crestate di bianca spuma
    presuntuose e violente
    s’infrangono
    sulla scogliera scura.
    Nell’aria pregna
    di minuscole pulviscolari particelle
    di acqua salata portate dal vento
    incurante della furia di Nettuno
    impavida si libra una coppia di gabbiani.
    Uomo, piccolo uomo,
    quando comodamente assiso assisti
    a questo terrificante spettacolo
    di smisurata forza che la natura offre,
    tu, piccolo uomo, che ti trovi al sicuro
    con i piedi saldamente poggiati sulla terraferma,
    non ti dimenticare dei tuoi simili, i naviganti,
    quella “gente di mare”,
    che in questi tristi momenti
    lotta per la vita
    contro la furia degli elementi.

    Stimato Ezio,
    dedico questa breve poesia marina a te, a Roberto Cannia e a tutti i visitatori del nostro blog, con l’augurio sincero che quando si debbano affrontare le forti avversità e amare vicissitudini della vita, trovino le calme e sicure acque di un porto dove rifugiarsi e poi riprendere tranquilli la navigazione con animo sereno.
    Marino Miccoli

  • Curiosità,  Il mare nelle canzoni,  Marinai,  Marinai di una volta,  Recensioni,  Storia

    Sea Shanties – Le canzoni dei marinai

    di Alessandro Paglia (*)
    Diritti riservati – Duplicazione anche parziale vietata
    Per cortesia dell’autore e Gazzetta dell’Antiquariato (21 aprile 2021)

    Cantico di guerra, musica G. Riccardi, testo di Francesco Dall’Ongaro, 1866Il canto della Torpediniera, di Guido Gasperini, da Italia Navale, 1897Garibaldini del mare, di A Cangioli, 1912A Tripoli, musica di Colombino Arona, testi di G. Corvetto, 1911Inno del reggimento San Marco, musica di Luigi Musso, testi di Mario Rosselli Cecconi, 1926Immagine da La Canzone dei Sommergibili Atlantici di Gaetano Grimaldi Filioli, 1942

    Dello stesso argomento sul blog:
    digita sul motore di ricerca del blog Il mare nelle canzoni
    (*) per conoscere gli altri articoli dell’autore digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Recensioni,  Storia

    Gavino Pagliacciù (Sassari, 6.6.1830 – 1903)

    a cura Roberto Tento (*)

    (Sassari, 6.6.1830 – 1903)


    Gavino Pagliacciù (o Paliacio o Palici) di Suni nacque a Sassari il 6 giugno 1830, fu ammesso alla Scuola di Marina di Genova nel 1843, conseguendo la nomina a guardiamarina nel 1848. Giovane ufficiale prese parte alla campagna di Crimea del 1855-1856 e alla campagna in Adriatico del 1860, imbarcato sulla corvetta a vela San Michele; distintosi all’assedio di Ancona, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare.
    Luogotenente di vascello, in comando della corvetta a elica Etna, fu a lungo presente nelle acque della Tunisia, in particolare durante la crisi di Tunisi del 1864. Capitano di fregata dal 1861 e capitano di vascello nel 1867. Promosso contrammiraglio nel 1879, fu comandante del C.R.E. (1876-1879), membro del Consiglio superiore di Marina. Viceammiraglio nel 1887, nello stesso anno fu collocato in ausiliaria. Socio della Società Geografica Italiana dal 1885.
    Morì nel 1903. Figura di rilievo della nobiltà sarda che intraprese la vita sul mare.
    Tratto da Uomini della Marina 1861-1946 – U.S. Marina Militare.

    (*) per conoscere le altre sue ricerche digita sul motore del blog il suo nome e cognome.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    6.6.1919, viene varata regia nave Enrico Cosenz

    di Carlo Di Nitto

    Il regio cacciatorpediniere “Enrico Cosenz”, classe “La Masa”, ex nave Agostino Bertani, dislocava a pieno carico 875 tonnellate. Fu impostato il 23 dicembre 1917 e varato il 6 giugno 1919 nei Cantieri Odero di Sestri Ponente ed era entrato immediatamente in servizio il 13 giugno successivo.
    Il “Cosenz”, originariamente portava il nome di “Agostino Bertani” (sigla BR). Nel 1919, appena entrato in attività,  venne impiegato nelle acque del golfo del Quarnaro all’epoca dell’impresa fiumana di Gabriele d’Annunzio. Schieratosi con i Legionari fiumani del movimento dannunziano, si trasferì da Trieste a Fiume.
    Alla soluzione della crisi fiumana (gennaio 1921) l’unità rientrò a Pola e cambiò il nome in “Enrico Cosenz” assumendo la sigla CS.
    Nel 1929 venne declassato a Torpediniera.
    Durante il periodo bellico 1940-43 svolse una notevole attività di scorta al traffico, dapprima verso l’Africa settentrionale poi nel basso e medio Tirreno, disimpegnando negli ultimi tempi anche servizio di protezione al traffico tra l’Italia ed i mari Adriatico ed Egeo.

    Il 25 settembre 1943 fu gravemente danneggiato per collisione con il piroscafo Ulisse che doveva scortare in Italia. Entrò nel vicino porticciolo croato di Lagosta per effettuare riparazioni alla falla che si era aperta nel locale macchine. Durante la permanenza a Lagosta subì diversi attacchi aerei da parte tedesca e fu colpito e ulteriormente danneggiato. Le bombe provocarono gravi incendi non domabili con i mezzi di bordo. Sbarcato quindi l’equipaggio, venne autoaffondato il 27 settembre 1943 nel centro del porto per evitarne la cattura da parte delle truppe germaniche. Nell’evento subì alcune perdite fra i componenti dell’equipaggio.
    Aveva svolto 165 missioni di scorta di cui 14 di ricerca e caccia antisommergibili e 4 di posa mine, oltre a 41 missioni di vario genere, percorrendo otre 65.000 miglia e stabilendo un primato fra le siluranti.
    Il suo motto fu “QUIS CONTRA NOS?” (Chi contro di noi?)
    Onore ai Caduti!

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Luigi De Rosa ( Torre Annunziata (NA), 6.6.1919 – Mare, 13.12.1941)

    di Vincenzo Marasco – Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”

    (Torre Annunziata (NA), 6.6.1919 – Mare, 13.12.1941)

    Alla cara e lieta memoria del Marinaio De Rosa Luigi, figlio di Torre Annunziata. 

    Ormai non riesco più a fermarmi. Lo stimolo che mi spinge a scrivere le storie delle migliaia di ragazzi della Circoscrizione di Torre Annunziata, che da qualche mese sto pian piano recuperando da uno degli archivi più belli che io abbia mai consultato, è irrefrenabile.
    Quella che segue è la pagina di storia che vogliamo dedicare al MARO’ Servizi Vari De Rosa Luigi, nato a Torre Annunziata il 6 giugno 1919, e vissuto in quegli stessi dedali dove ho trascorso la mia infanzia e dove è cresciuta la mia famiglia.
    Luigi prima di partire militare per La Spezia, chiamato dalla Patria per asservire al suo dovere, abitava al civico 28 di Vico Asilo Infantile insieme ai genitori Eduardo e Rosa. 

    Venne imbarcato come Marò addetto ai vari servizi di bordo, agli inizi del ’41, sulla Regia Nave “Alberico de Barbiano”: un incrociatore veloce con 784 uomini di equipaggio, che già era stato impegnato nella Battaglia di Punta Stilo (9 luglio 1940).
    La sera dell’11 dicembre del 1941, quando tutti già assaporavano la licenza natalizia che da lì a poco sarebbe stata concessa e il tanto atteso rientro a casa per riabbracciare finalmente i propri cari e gli amici, arrivò l’ordine dal Ministero della Marina con cui si comandava l’Unità, insieme alla sua gemella, l’incrociatore Alberto di Giussano, di dirigere urgentemente verso Palermo e poi a Tripoli, per scortare un convoglio carico di carburanti necessari per lo sforzo bellico delle truppe di terra.
    La sera del 12 dicembre ha inizio l’insidiosa traversata dello Stretto di Sicilia, lì dove le unità navali inglesi erano sempre in agguato per intercettare e affondare i convogli italiani diretti in Africa Settentrionale. 

    Alle 3.25 circa del 13 dicembre, al largo delle coste della Tunisia il convoglio italiano venne agganciato dalle siluranti inglesi. L’attacco fu cruento e veloce. Il de Barbiano venne centrato da tre siluri e da varie cannonate che lo devastarono. Le fiamme lo avvolsero in una velocità impressionante, senza dare alcuno scampo ai marinai che si trovavano sottocoperta. La nave oramai compromessa, scossa dalle esplosioni, andò alla deriva fino a capovolgersi, per poi affondare al largo di Capo Bon.
    Dei 784 uomini dell’equipaggio 385 non ce la fecero. Tra i caduti e i dispersi, oltre all’Ammiraglio Antonino Toscano, comandante della IV Divisione navale che seguiva le operazioni, e il comandante dell’Unità, capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, vi era anche il giovane marinaio torrese De Rosa Luigi. 

    Di quel ragazzo cresciuto nei vicoli della Pruvulera, levato alla Patria come tanti altri in quei tristi anni, non si seppe più nulla. Oggi a ricordarlo vi è una sua foto affissa al cippo marmoreo che sorge accanto al Monumento ai Caduti del Cimitero di Torre Annunziata su cui da anni, insieme all’amico Antonio Papa, si concentrano le nostre ricerche.