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    19.7.1929, viene ritrasferita regia nave Valoroso

    di Carlo Di Nitto

    La regia cannoniera “Valoroso” (già “Baiardo”) dislocava 420 tonnellate.
    Ex piro-peschereccio d’altura francese “Boyard”, era stata varata nel 1913 nei cantieri Makie & Thomson di Glasgow (Inghilterra). Nel maggio 1915 fu acquistata dalla Regia Marina e, adattata come Rimorchiatore d’alto mare – Dragamine, entrò in servizio il 1° luglio successivo con il nome provvisorio di “Baiardo”.
    Il 20 agosto 1918 fu rinominata “Valoroso”. Nel 1919 fu radiata dal Naviglio Militare e trasferita a quello delle Ferrovie dello Stato.
    Il 19 luglio 1929 fu di nuovo e definitivamente ritrasferita alla Regia Marina che la armò e trasformò in cannoniera, utilizzandola nelle acque del Nord Africa, assegnata al Gruppo Naviglio Ausiliario della base di Tobruk.
    Il 5 giugno 1941 era partita da Bengasi per Tripoli in servizio di scorta a tre motovelieri, quando nel punto latitudine 31° 39’ Nord e longitudine 15° 39’ Est (Golfo della Sirte) fu avvistata dal sommergibile britannico “Triumph” che in emersione aprì subito il fuoco contro il piccolo convoglio. Il primo colpo inutilizzò il cannone della “Valoroso” che, nonostante l’evidente inferiorità, reagì con le mitragliere. Ben presto, però, l’unità subì altre gravissime avarie che la immobilizzarono provocando lo scoppio del deposito munizioni. Alle ore 14.00 affondò con la perdita di due Marinai e numerosi feriti.
    Onore ai Caduti!

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    19.7.1940, affondamento della regia nave Bartolomeo Colleoni

    di Antonio Cimmino, Carlo Di Nitto e Carmela Ardente

    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com

    In Memoria di Nicola Manzo, Pietro Turi, Eraldo Sassetoli, Angelo Barbuto e di coloro che non fecero rientro alla base…

    Il regio incrociatore Bartolomeo Colleoni fu affondato dal cacciatorpediniere inglese Ilex e Havock nella battaglia di Capo Spada (Creta) del 19 luglio 1940.
    Nella battaglia morirono 129 marinai mentre i 525 naufraghi furono raccolti dalla squadra navale inglese ed avviati alla prigionia.

    regio incrociatore Bartolomeo Colleoni - www.lavocedelmarinaio.com
    Nicola Manzo era nato a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), era imbarcato sul Regio Incrociatore Colleoni dove fu ferito durante il combattimento e con un braccio asportato dalle esplosione.

    19.7.1940 Marinaio Nicola Manzo della regia nave Colleoni - www.lavocedelmarinaio.com
    Pietro Turi era nato a Castellammare di Stabia (Napoli), naufrago e successivamente prigioniero in India e Inghilterra.

    19.7.1940 Marinaio Pietro Turi della regia nave Colleoni - www.lavocedelmrinaio.com

    Angelo Barbuto
    di Carlo Di Nitto

    (Gaeta, 18.3.1913 – Mare, 19.7.1940)

    Il Sottocapo infermiere Angelo Barbuto, risultò disperso nell’affondamento del regio incrociatore “Bartolomeo Colleoni” il 19 luglio 1940.
    Il mattino del 19 luglio 1940, il “Colleoni”, unitamente al gemello “Bande Nere”, dirigeva da Tripoli a Lero, quando, a circa 6,4 miglia da Capo Spada (Creta) si scontrò con una formazione britannica composta da un incrociatore e cinque CC.TT. Il “Colleoni”, fu ripetutamente colpito in parti vitali dal tiro nemico. Immobilizzato e con un vasto incendio a bordo, alle ore 09.00, venne affondato con siluri lanciati da due CC.TT nemici.
    Nello scontro di Capo Spada persero la vita 121 Marinai del “Colleoni”.
    Angelo era nato il 18 marzo 1913 a Gaeta.

    (foto p.g.c. della Famiglia)

    Regio incrociatore Bartolomeo Colleoni
    a cura Carlo Di Nitto

    Il regio incrociatore leggero Colleoni, classe “di Giussano” o “Condottieri”, dislocava 6900 tonnellate.
    Varato il 21 dicembre 1930 presso i Cantieri Ansaldo di Genova, entrò in servizio il 10 febbraio 1932.
    Il 19 luglio 1940 il “Colleoni” (comandato dal C.V. Umberto Novaro, Medaglia d’Oro al Valor Militare) unitamente al gemello “Bande Nere” si trovava a poco più di sei miglia da Capo Spada (isola di Creta). Vennero intercettati da una soverchiante formazione navale britannica. Ne scaturì un violento combattimento nel corso del quale il “Colleoni” venne ripetutamente centrato dal tiro nemico.
    Colpito gravemente nell’opera viva e con incendio a bordo, l’unità rimase immobilizzata alla mercé del nemico. Venne finito dai siluri dei cacciatorpediniere “Hyperion” ed “Ilex”.
    Affondò alle ore 09.00 portando con sé 129 Marinai.
    Invece, nel corso delle ostilità, i CC.TT. fotografati ebbero, in altre occasioni, le seguenti perdite di Marinai:
    – Libeccio : 27 Caduti
    – Grecale : 31 Caduti
    – Scirocco : 234 Caduti
    ONORE AI CADUTI!

    Una bella immagine del Regio Incrociatore “Bartolomeo Colleoni” in manovra a Venezia. In secondo piano, la 10^ squadriglia Cacciatorpediniere composta (da sinistra) dai Regi CC.TT. “Libeccio”, “Grecale”, “Scirocco” e “Maestrale”.

    Battaglia Capo Matapan: due strani, misteriosi e inquietanti episodi
    di Salvatore Amodio

    segnalato da Carlo Di Nittto

    Ciao Ezio, 
    ti inoltro un articolo a firma Salvatore Amodio, pubblicato sul notiziario dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia del Mese di Marzo 1996, in occasione dell’anniversario della tragica battaglia navale di capo Matapan. In quel luttuoso evento, accaduto il 29 marzo 1941, la Regia Marina Italiana perse cinque splendide unità: gli incrociatori pesanti “Fiume”, “Pola”, “Zara” e i Cacciatorpediniere “Alfieri” e “Carducci”. Nello scontro e nei giorni successivi trovarono la morte 2331 Marinai italiani. 
    Nell’articolo sono riportati due strani ed inquietanti episodi, già noti agli studiosi di storia navale, ai quali ancora oggi non si riesce a dare una spiegazione razionale.

    ACCADDE ALL’ALBA PRIMA DELLO SPUNTAR DEL SOLE
    “… Durante l’ultima guerra il marinaio Giovanni Pinta era imbarcato sul “Fiume” quando l’incrociatore fu mortalmente colpito dal fuoco delle corazzate inglesi nel corso della battaglia di Capo Matapan. Il comandante Giorgi aveva dato l’ordine di abbandonare la nave, quand’erano risultati inutili tutti i tentativi di spegnere gli incendi divampati a bordo, e si era lasciato affondare con essa.
    Un gruppo di superstiti, vagando alla deriva su una zattera, senz’acqua e senza viveri, fu raccolto dopo cinque giorni; ma all’alba del secondo giorno…
    All’alba del secondo giorno vissero un’esperienza, che Giovanni Pinta una volta a terra narrò ad un suo ex comandante, l’ammiraglio Aldo Cocchia (noto storico navale n.d.r), il quale ne fece oggetto di un articolo pubblicato da “Il Tirreno” dell’’11 febbraio 1951.
    “Fu all’alba, poco prima che spuntasse il sole, (cito dall’articolo del com.te Cocchia) – mi disse Pinta. Mare, soltanto mare, un mare calmo, oleoso. Non avevamo da bere né da mangiare e qualcuno di noi già smaniava per la disperazione, ma la nave la scorgemmo tutti, un quattro – cinque miglia lontano da noi. Spuntava dal mare: lo capimmo subito. Prima gli alberi, il fumaiolo, il torrione. Chi di noi non avrebbe riconosciuto il “Fiume”?

    “Venne fuori il ponte di comando, poi spuntarono i cannoni. Affiorò fin quasi alla coperta, ma con una lentezza che ci pareva di morire. Qualcuno urlò, ma in quello scafo apparso su dal mare c’era qualcosa che non dava gioia, qualcosa che agghiacciava, invece di rallegrarci.
    “Per un lungo istante fummo convinti che il “Fiume” si sarebbe avvicinato, che sarebbe venuto a prenderci, che ci avrebbe tolto dall’agonia nella quale vivevamo… La nave rimase ferma lì, per un po’ di tempo, senza riuscire a venir fuori tutta, poi, poco a poco, quasi insensibilmente, scomparve”.
    Questo fu l’episodio narrato da Giovanni Pinta al suo superiore; alcuni uomini, sperduti sul mare, “rivedono” la loro nave affondata due notti prima col suo comandante. Fu un episodio vissuto in uno stato particolare, di disagio e di angoscia, ma vissuto da più uomini i quali, in seguito, confermarono il racconto di Pinta.
    Ma questo non fu il solo fenomeno fuori dell’ordinario verificatosi in occasione della tragedia di Capo Matapan; nello stesso scritto del comandante Cocchia viene riferito un altro fatto inspiegabile.
    In quella battaglia primo ad essere colpito fu il nostro incrociatore “Pola” che, in preda alle fiamme, rimase immobilizzato in mezzo al mare. In suo soccorso mossero gli incrociatori “Fiume” e “Zara” scortati da quattro caccia. Purtroppo anch’essi erano destinati a subire la stessa sorte del “Pola”, come s’è visto dall’episodio precedente a proposito del “Fiume”.
    Le nostre navi, dunque, navigavano in soccorso del “Pola” ignare di essere state, a loro volta, già rilevate dai radar avversari. Questa nuova apparecchiatura, della quale gli italiani erano privi, ebbe peso determinante sull’esito di quella sfortunata battaglia.
    Gli inglesi rilevarono le nostre navi e poi individuarono “prima attraverso i radar e poi direttamente, un incrociatore tipo “Colleoni” a proravia delle due maggiori “Fiume” e “Zara”, quasi battistrada della formazione italiana.

    “Lo videro tutti dalle navi britanniche, lo videro e ci spararono contro, finché quello, incendiato, non si allontanò dal campo di battaglia…”
    L’avvistamento e l’azione che ne seguì furono annotate dall’ammiraglio Cunningham, comandante della formazione avversaria, nel suo rapporto ufficialeAnche i superstiti del “Pola”, che assisté inerte allo scontro, affermarono di aver visto un “Colleoni” abbandonare in fiamme il campo.
    Ebbene risulta con assoluta certezza, da varie fonti storiche che esaminarono minuziosamente, minuto per minuto, tutto quanto avvenne durante quella battaglia, che “nessun’altra nave italiana” si trovava in quelle acque quella notte, oltre quelle che navigavano in soccorso del “Pola”.
    Non solo, ma “lo strano è che proprio in quelle acque dell’Egeo – prosegue in comandante Cocchia – circa otto mesi prima di Matapan, l’incrociatore “Colleoni” era affondato combattendo valorosamente contro il “Sidney” britannico”.
    Dunque il “Colleoni” non poteva essere. Nessuna altra unità navale italiana si trovava in quelle acque.
    Contro chi spararono gli inglesi?
    Anche questo fu un fenomeno di allucinazione collettiva?
    Si noti che anche l’apparecchiatura radar rilevò il presunto battistrada in testa alla nostra piccola formazione.
    Questi interrogativi rimasero senza risposta”.

    Leonardo Ardente
    di Carmela Ardente

    (Porto Empedocle (AG), 12.2.1918 – 19.10.1984)

    … riceviamo e con orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Qualche tempo fa curiosando su internet ho trovato le memorie di alcuni marinai che come mio papà erano stati imbarcati sul Bartolomeo Colleoni e sopravvissuti al suo affondamento.


    Leggendo quelle testimonianze mi sono tornati in mente i racconti che raramente faceva mio papà, che si possono sovrapporre a quelle degli altri marinai: chiamato per il servizio militare nel ’38, quando dovevano congedarlo fu trattenuto per l’entrata in guerra dell’Italia.

    Mia mamma, allora sua fidanzata, lo rivide dopo più di 7 anni quando finalmente rientrò dall’India. Stentò a riconoscerlo, tanto il tempo e le prove della vita l’avevano cambiato, era partito un ragazzo allegro spensierato, pieno di entusiasmo, e ritornava un uomo taciturno e solitario. Mia mamma raccontava che quando entrò a casa come prima cosa prese la chitarra che si dilettava a suonare prima della partenza e la ruppe dicendo che quel ragazzo non c’era più…

    Per concludere voglio ricordare i giovani marinai, che ebbero la fortuna di ritornare vivi, non ebbero nessun riconoscimento dalla loro patria tranne una croce di ferro. I miei genitori dovettero emigrare dalla Sicilia per un lavoro.  Tutto ciò che ebbe mio padre, come reduce di guerra, furono diecimila lire date a mia mamma sulla pensione di reversibilità quando lui era mancato già da qualche anno.
    Ormai non ci sarà più nessuno dei giovani di quella generazione e anche noi figli cominciamo ad avere la nostra età, per questo ho deciso di scrivere queste righe perché la memoria non vada del tutto perduta e far si che si rifletta sempre, se c’è ne fosse ancora di bisogno, su che grande follia è la guerra.
    Saluto tutti coloro che leggeranno abbracciandoli nel ricordo dei nostri cari,
    Carmela Ardente.

    P.s. Mio papà si chiamava Leonardo Ardente era nato il 12 febbraio 1918 a Porto Empedocle (AG) e ci ha lasciati il 19 ottobre 1984.
    Carmela Ardente (28.12.2021 ore 15.25)

    Buonasera signora Carmela Ardente,
    grazie per la commovente e condivisibile testimonianza.
    Fecero (quasi) tutti il loro dovere, a noi non resta che implorare perdono per i “miseri” e pietà per i “deboli”.
    Qualora decidesse che questa sua testimonianza, così come è, venisse pubblicata sotto forma di articolo, ci in invii una (più) foto del suo papà Leonardo in modo da ricordarlo, ad imperitura memoria, nella banca della memoria, sia per data di nascita che per dipartita.
    Riceva gradito un abbraccio grande come il mare del perdono della Misericordia Divina.
    Pancrazio “Ezio” (28.12.2021 ore 16.48)

    Gentile signor Ezio,
    ho fatto passare qualche settimana prima di risponderle, alla fine ho deciso di inviare alcune foto come lei mi ha proposto. Non nego che  sono lusingata al pensiero che mio papà possa essere visto da molti, che sulle sue immagini si posi lo sguardo di chi attraverso queste possa ricordare persone care.
    Le foto sono varie, alcune non è necessario commentarle, quella in cui ci sono i commilitoni con le toghe è stata fatta in Cina durante la Campagna d’Oriente, erano giovani, avevano voglia di scherzare.


    Poi c’è una foto con mia mamma, allora fidanzata e la foto del matrimonio, celebrato ad aprile del 1947.


    Decida lei quale pubblicare.

    La ringrazio e la saluto calorosamente Carmela Ardente.
    Le riscrivo i dati relativi al mio papà:
    Leonardo Ardente  nato a Porto Empedocle (AG)  il 12/02/1918  marinaio sull’incrociatore Bartolomeo Colleoni,  sopravvissuto all’affondamento dell’incrociatore  da parte della marina Inglese.


    Mi scusi signor Ezio, nella mail che le ho inviato ho dimenticato di scrivere la data in cui mio papà ci ha lasciati: era il 19 ottobre 1984. Grazie ancora, Carmela Ardente
    (29.1.2022 ore 23.32).

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    19.7.1944, affondamento della regia nave Savoia

    di Carlo Di Nitto

    Nel 1923 si decise di costruite un nuovo yacht reale al posto del vecchio “Trinacria”, ormai antiquato. Si utilizzò quindi lo scafo del mercantile “Città di Palermo” che era stato impostato presso l’Arsenale di La Spezia. Lo scafo, completato, fu varato il 1° settembre 1923 e destinato a panfilo reale.
    Dopo il varo, la trasformazione per il nuovo compito avvenne presso i Cantieri Navali Riuniti di Palermo.
    Dislocava 5280 tonnellate ed entrò in servizio il 1° agosto 1925. Adempì a numerosi compiti di rappresentanza e durante la guerra rimase inattivo nel porto di Ancona dove fu sorpreso dall’armistizio. Si cercò di farlo partire con equipaggio raccogliticcio ma ciò non ne impedì la cattura da parte dei tedeschi.
    In previsione del conflitto il Savoia era stato armato, per la difesa ravvicinata, con quattro cannoni da 76/45, che rimasero però sempre inutilizzati.
    Venne affondato ad Ancona per bombardamento aereo il 19 luglio 1944.

    Nel dopoguerra il relitto fu recuperato e demolito.
    Il suo motto fu: « Sempre avanti Savoia ».

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    19.7.1992

    a cura Marinaio di Spirito Santo e gruppo fb Noi Poliziotti per sempre

    Ricordiamo chi erano gli “angeli di Borsellino”, gli agenti della scorta che hanno perso la vita nell’attentato di Palermo del 19 luglio 1992 in via D’Amelio, medaglie d’oro al valore civile.
    Agostino Catalano: Caposcorta, 43 anni. Sposato, aveva perso la moglie ed era rimasto solo con le sue due figlie. Appena poche settimane prima aveva salvato un bambino che stava per annegare in mare di fronte alla spiaggia di Mondello.

    Walter Eddie Cosina: 31 anni, nato in Australia, era arrivato volontariamente a Palermo qualche settimana prima, subito dopo la strage di Capaci, dalla Questura di Trieste. E’ morto durante il trasporto in ospedale. Ha lasciato la moglie Monica.

    Emanuela Loi: 24 anni, Emanuela è la prima donna poliziotto entrata a far parte di una squadra di agenti addetti alla protezione di obiettivi a rischio. Entrata nella Polizia di Stato nel 1989 insieme alla sorella Claudia (che però non venne ammessa), viene trasferita a Palermo due anni dopo. Avrebbe dovuto sposarsi quello stesso anno. Era tornata a casa, a Sestu, per un’influenza ed era rientrata il 16, nonostante la madre e il medico gli avessero chiesto di trattenersi fino al 20.

    Claudio Traina: 26 anni. Arruolato in Polizia giovanissimo, dopo essere stato a Milano e Alessandria, aveva ottenuto da poco il trasferimento nella sua città: Palermo. La madre, in un intervista rilasciata al programma La storia siamo noi, ricorda: “Quando accesi la televisione litigavo con la giornalista che stava dando la notizia: ‘Vigliacca dimmi che non è vero!’”

    Vincenzo Fabio Li Muli: 22 anni. Il più giovane della pattuglia. Da tre anni nella Polizia di Stato, aveva ottenuto pochi mesi prima la nomina ad agente effettivo. La sorella racconta con amarezza la consapevolezza del fratello che, in fondo, sapeva a cosa stava andando incontro: “Qualche sera prima mi chiese di ricordargli come si recitava il padre nostro”.