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    10.2.1932, entra in servizio la regia nave Bartolomeo Colleoni

    a cura Carlo Di Nitto, Antonio Cimmino, Salvatore Amodio

    Il regio incrociatore leggero Colleoni, classe “di Giussano” o “Condottieri”, dislocava 6900 tonnellate.
    Varato il 21 dicembre 1930 presso i Cantieri Ansaldo di Genova, entrò in servizio il 10 febbraio 1932.
    Il 19 luglio 1940 il “Colleoni” (comandato dal C.V. Umberto Novaro, Medaglia d’Oro al Valor Militare) unitamente al gemello “Bande Nere” si trovava a poco più di sei miglia da Capo Spada (isola di Creta). Vennero intercettati da una soverchiante formazione navale britannica. Ne scaturì un violento combattimento nel corso del quale il “Colleoni” venne ripetutamente centrato dal tiro nemico.
    Colpito gravemente nell’opera viva e con incendio a bordo, l’unità rimase immobilizzata alla mercé del nemico. Venne finito dai siluri dei cacciatorpediniere “Hyperion” ed “Ilex”.
    Affondò alle ore 09.00 portando con sé 121 Marinai.
    Invece, nel corso delle ostilità, i CC.TT. fotografati ebbero, in altre occasioni, le seguenti perdite di Marinai:
    – Libeccio : 27 Caduti
    – Grecale : 31 Caduti
    – Scirocco : 234 Caduti
    ONORE AI CADUTI!

    Una bella immagine del Regio Incrociatore “Bartolomeo Colleoni” in manovra a Venezia. In secondo piano, la 10^ squadriglia Cacciatorpediniere composta (da sinistra) dai Regi CC.TT. “Libeccio”, “Grecale”, “Scirocco” e “Maestrale”.

    di Antonio Cimmino




    … era il 19 luglio del 1940. Per non dimenticare, mai.


    Nicola Manzo era nato a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), era imbarcato sul Regio Incrociatore Colleoni dove fu ferito durante il combattimento e con un braccio asportato dalle esplosione.


    Pietro Turi era nato a Castellammare di Stabia (Napoli), naufrago e successivamente prigioniero in India e Inghilterra.


    L’incrociatore fu affondato dal cacciatorpediniere inglese Ilex e Havock nella battaglia di Capo Spada (Creta) del 19 luglio 1940.
    Nella battaglia morirono 129 marinai mentre i 525 naufraghi furono raccolti dalla squadra navale inglese ed avviati alla prigionia.

    Battaglia Capo Matapan: due strani, misteriosi e inquietanti episodi
    di Salvatore Amodio

    segnalato da Carlo Di Nittto

    Ciao Ezio, 
    ti inoltro un articolo a firma Salvatore Amodio, pubblicato sul notiziario dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia del Mese di Marzo 1996, in occasione del 55° anniversario della tragica battaglia navale di capo Matapan. In quel luttuoso evento, accaduto il 29 marzo 1941, la Regia Marina Italiana perse cinque splendide unità: gli incrociatori pesanti “Fiume”, “Pola”, “Zara” e i Cacciatorpediniere “Alfieri” e “Carducci”. Nello scontro e nei giorni successivi trovarono la morte 2331 Marinai italiani. 
    Nell’articolo sono riportati due strani ed inquietanti episodi, già noti agli studiosi di storia navale, ai quali ancora oggi non si riesce a dare una spiegazione razionale.

    ACCADDE ALL’ALBA PRIMA DELLO SPUNTAR DEL SOLE
    “… Durante l’ultima guerra il marinaio Giovanni Pinta era imbarcato sul “Fiume” quando l’incrociatore fu mortalmente colpito dal fuoco delle corazzate inglesi nel corso della battaglia di Capo Matapan. Il comandante Giorgi aveva dato l’ordine di abbandonare la nave, quand’erano risultati inutili tutti i tentativi di spegnere gli incendi divampati a bordo, e si era lasciato affondare con essa.
    Un gruppo di superstiti, vagando alla deriva su una zattera, senz’acqua e senza viveri, fu raccolto dopo cinque giorni; ma all’alba del secondo giorno…
    All’alba del secondo giorno vissero un’esperienza, che Giovanni Pinta una volta a terra narrò ad un suo ex comandante, l’ammiraglio Aldo Cocchia (noto storico navale n.d.r), il quale ne fece oggetto di un articolo pubblicato da “Il Tirreno” dell’’11 febbraio 1951.
    “Fu all’alba, poco prima che spuntasse il sole, (cito dall’articolo del com.te Cocchia) – mi disse Pinta. Mare, soltanto mare, un mare calmo, oleoso. Non avevamo da bere né da mangiare e qualcuno di noi già smaniava per la disperazione, ma la nave la scorgemmo tutti, un quattro – cinque miglia lontano da noi. Spuntava dal mare: lo capimmo subito. Prima gli alberi, il fumaiolo, il torrione. Chi di noi non avrebbe riconosciuto il “Fiume”?

    “Venne fuori il ponte di comando, poi spuntarono i cannoni. Affiorò fin quasi alla coperta, ma con una lentezza che ci pareva di morire. Qualcuno urlò, ma in quello scafo apparso su dal mare c’era qualcosa che non dava gioia, qualcosa che agghiacciava, invece di rallegrarci.
    “Per un lungo istante fummo convinti che il “Fiume” si sarebbe avvicinato, che sarebbe venuto a prenderci, che ci avrebbe tolto dall’agonia nella quale vivevamo… La nave rimase ferma lì, per un po’ di tempo, senza riuscire a venir fuori tutta, poi, poco a poco, quasi insensibilmente, scomparve”.
    Questo fu l’episodio narrato da Giovanni Pinta al suo superiore; alcuni uomini, sperduti sul mare, “rivedono” la loro nave affondata due notti prima col suo comandante. Fu un episodio vissuto in uno stato particolare, di disagio e di angoscia, ma vissuto da più uomini i quali, in seguito, confermarono il racconto di Pinta.
    Ma questo non fu il solo fenomeno fuori dell’ordinario verificatosi in occasione della tragedia di Capo Matapan; nello stesso scritto del comandante Cocchia viene riferito un altro fatto inspiegabile.
    In quella battaglia primo ad essere colpito fu il nostro incrociatore “Pola” che, in preda alle fiamme, rimase immobilizzato in mezzo al mare. In suo soccorso mossero gli incrociatori “Fiume” e “Zara” scortati da quattro caccia. Purtroppo anch’essi erano destinati a subire la stessa sorte del “Pola”, come s’è visto dall’episodio precedente a proposito del “Fiume”.
    Le nostre navi, dunque, navigavano in soccorso del “Pola” ignare di essere state, a loro volta, già rilevate dai radar avversari. Questa nuova apparecchiatura, della quale gli italiani erano privi, ebbe peso determinante sull’esito di quella sfortunata battaglia.
    Gli inglesi rilevarono le nostre navi e poi individuarono “prima attraverso i radar e poi direttamente, un incrociatore tipo “Colleoni” a proravia delle due maggiori “Fiume” e “Zara”, quasi battistrada della formazione italiana.

    “Lo videro tutti dalle navi britanniche, lo videro e ci spararono contro, finché quello, incendiato, non si allontanò dal campo di battaglia…”
    L’avvistamento e l’azione che ne seguì furono annotate dall’ammiraglio Cunningham, comandante della formazione avversaria, nel suo rapporto ufficialeAnche i superstiti del “Pola”, che assisté inerte allo scontro, affermarono di aver visto un “Colleoni” abbandonare in fiamme il campo.
    Ebbene risulta con assoluta certezza, da varie fonti storiche che esaminarono minuziosamente, minuto per minuto, tutto quanto avvenne durante quella battaglia, che “nessun’altra nave italiana” si trovava in quelle acque quella notte, oltre quelle che navigavano in soccorso del “Pola”.
    Non solo, ma “lo strano è che proprio in quelle acque dell’Egeo – prosegue in comandante Cocchia – circa otto mesi prima di Matapan, l’incrociatore “Colleoni” era affondato combattendo valorosamente contro il “Sidney” britannico”.
    Dunque il “Colleoni” non poteva essere. Nessuna altra unità navale italiana si trovava in quelle acque.
    Contro chi spararono gli inglesi?
    Anche questo fu un fenomeno di allucinazione collettiva?
    Si noti che anche l’apparecchiatura radar rilevò il presunto battistrada in testa alla nostra piccola formazione.
    Questi interrogativi rimasero senza risposta”.

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    Edoardo Campana (Molfetta, 8.2.1925 – Biserta, 17.12.1942)

    
di Claudio Confessore

 e Michele Balducci

    banca-della-memoria-www-lavocedelmarinaio-com(Molfetta, 8.2.1925 – Biserta, 17.12.1942)

    ….Ignazio Castrogiovanni e quelle strane coincidenze.

    …riceviamo e con immenso orgoglio pubblichiamo.

    Salve dott. Vinciguerra,
    vorrei chiederle, se possibile, di ricordare nel gruppo de “La voce del marinaio” della ricorrenza odierna dell’affondamento, il 17 dicembre di 75 anni fa, della regia nave “Aviere” (silurata da un sommergibile britannico “Splendid”.

    Mi chiamo Michele Balducci, sono il pronipote del marò Campana Edoardo, uno dei duecento marinai periti nel naufragio. Della vicenda vi siete occupati più volte grazie anche alle informazioni di Lucio Campana, mio cugino. A distanza di tanti anni, finalmente, abbiamo potuto commemorare la memoria di questo nostro parente – eroe della patria.

    Di seguito le scrivo alcune righe sulla cerimonia di commemorazione e alcune foto. Grazie. Questa mattina si è svolta la commemorazione del caduto Campana Edoardo, ufficialmente disperso in mare, perito alla giovanissima età di 17 anni durante il secondo conflitto mondiale. Il giovanissimo marò era infatti imbarcato sulla regia nave Aviere, salpata da Napoli e affondata nel Canale di Sicilia da due siluri lanciati dal sommergibile britannico Spendid il 17 dicembre 1942.

    La breve cerimonia si è svolta presso la Stele dedicata “Ai Marinai molfettesi dispersi in mare” nel Cimitero di Molfetta alla presenza di Don F. de Lucia e dei familiari del caduto. A distanza di 75 anni, la vicenda della giovane vita spezzata nel fiore degli anni, sta ancora una volta a testimoniarci che in guerra non esistono vincitori, né vinti: in guerra, a perdere, è tutta l’umanità…

    …ricevemmo e con infinto orgoglio e riconoscenza pubblichiamo questo articolo anche in memoria di Edoardo Campana sollecitati e stuzzicati dalla memoria del nipote Lucio Campana che, a distanza di tanto tempo ricorda ancora con infinito affetto lo zio.

    Egregio sig. Ezio,
 confermo che nell’albo d’Oro della Marina è riportato che Campana Edoardo è deceduto il 17.12.1942 e viene indicato come disperso. La data coincide con il siluramento del regio cacciatorpediniere Aviere.
Consiglio a Lei e ai lettori del blog la lettura del secondo capitolo del libro “Guerra di Mare di Maffio Maffi del 1917” scritto a guerra ancora in corso in cui si narra del Guardiamarina Ignazio Castrogiovanni e del suo “primo siluramento”.
    Alla figlia di Castrogiovanni, deceduta recentemente, regalai  l’estratto del libro.
    Cordiali saluti
 Claudio Confessore

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    Il Marò Campana Edoardo nato a Molfetta l’8 febbraio 1925 è stato imbarcato sul regio cacciatorpediniere Aviere i qualità di Specialista Direzione Tiro. E’deceduto il 17.12.1942 disperso nel Canale di Sicilia a nord di Biserta in 38°00’ Nord – 010°05’ Est posizione dell’affondamento della suddetta unità navale.

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    Il Comandante Ignazio Castrogiovanni

    ignazio-castrogiovanni-foto-marina-militareTra i morti e dispersi anche il Comandante Ignazio Castrogiovanni, che, dopo aver radunato ed incoraggiato gli uomini, cedette il proprio posto su una zattera ad un marinaio sfinito e scomparve in mare. Alla sua memoria fu conferita la medaglia d’oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Già valoroso combattente della guerra 1915-18, riprendeva il suo posto di combattimento nel conflitto 1940-43, confermando elevate doti di perizia e di ardimento.
Comandante di Squadriglia Cacciatorpedieri in ardue missioni ed in vittoriosi scontri navali, si distingueva per elevato spirito aggressivo e leggendario valore. Al comando di altra Squadriglia Ct. effettuava nuove, rischiose missioni di guerra, finché – durante scorta a motonave veloce lungo rotte aspramente contrastate dall’avversario – la sua unità veniva affondata in seguito ad insidioso fatale attacco subacqueo. Animato da nobile senso di altruismo e permeato dei più alti doveri di comandante, si preoccupava unicamente della salvezza dell’equipaggio. Naufrago in un mare gelido ed avverso, benché estenuato nelle forze cedeva con sublime altruismo il suo posto su zattera ai più bisognosi; e scompariva poi nei flutti suggellando con generoso sacrificio la nobile esistenza tutta dedicata alla Patria e alla Marina” (Canale di Sicilia, 17 dicembre 1942).

    Altre decorazioni

    • Medaglia d’Argento al Valore Militare (Basso Adriatico, novembre 1916);
    • Medaglia d’Argento al Valore Militare (Tobruk, luglio 1940);
    • Medaglia d’Argento al Valore Militare sul Campo (Mediterraneo centrale, giugno 1942);
    • Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Africa settentrionale, marzo 1941);
    • Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Mediterraneo centrale, gennaio 1942);
    • Medaglia di Bronzo al Valore Militare sul Campo (Africa settentrionale 1940 – Mediterraneo Centrale 1942);
    • Croce di Guerra al Valore Militare sul Campo (Mediterraneo centrale, 1941-1942);
    • Croce di Ferro tedesca di 2a Classe (ottobre 1942).

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    Ultima missione del regio cacciatorpediniere Aviere
    Il regio cacciatorpediniere Aviere, con il gemello Camicia Nera, salpò da Napoli il 16 dicembre 1942 di scorta alla motonave tedesca Ankara diretta a Biserta.
Giorno 17 dicembre 1942, alle ore 11.15 in 38°00’ Nord – 010° 05’ Est fu colpito da due siluri lanciati dal sommergibile britannico P.228 Splendid. La nave si spezzò in due ed affondò rapidamente.
A bordo dell’Aviere c’erano 250 uomini (secondo altre fonti 220): di questi, un centinaio fecero in tempo ad abbandonare la nave, ma nessuno dei superstiti fu raccolto dal Camicia Nera o dall’Ankara, che si allontanarono a tutta velocità. L’affondamento della nave era stato così rapido e violento che solo due zattere di salvataggio, oltre a vari rottami, si erano staccate dalle sovrastrutture. Quando, durante il pomeriggio, le torpediniere Calliope e Perseo raggiunsero i naufraghi, solo 30 erano ancora vivi, tra cui il Comandante in Seconda ed un Ufficiale di macchina che successivamente morì.
    Maggiori notizie sulla regia nave Aviere sono reperibili al seguente link:
    
http://it.wikipedia.org/wiki/Aviere_%28cacciatorpediniere%29



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    Le coincidenze
    Il 16 ottobre 1916 la regia torpediniera Nembo, con truppe a bordo, partì da Valona diretto a Santi Quaranta per scortare il piroscafo Bormida. Tra Valona e Saseno il convoglio fu attaccato dal sommergibile austroungarico U 16.
Il Nembo (stazza T. 340) fu silurato ed affondò rapidamente spezzato in due, nel punto 40°08’ N 019°30’ E, a poche miglia da Santi Quaranta nei pressi di una località conosciuta come Strade Bianche. L’U 16, Comandante Zopa, fu speronato dal Bormida
Su 55 uomini che formavano l’equipaggio del Nembo, 32 affondarono con la nave o scomparvero in mare (tra di essi il comandante Russo, il comandante in seconda, tenente di vascello Ceccarelli, ed il direttore di macchina, tenente del Genio Navale Meoli). I 23 superstiti furono recuperati da navi italiane o raggiunsero la costa a nuoto, come fece un gruppo di quattro naufraghi tra i quali il guardiamarina Ignazio Castrogiovanni, che rifiutarono di essere salvati da una zattera con a bordo alcuni superstiti dell’U 16.
Le coincidenze della vita vogliono che il Comandante Castrogiovanni che si era comportato eroicamente da Guardiamarina a seguito di un siluramento nella Prima Guerra Mondiale, eroicamente morì a seguito di altro siluramento nella Seconda Guerra Mondiale.
A lui la Marina Militare ha intitolato il centro addestramento reclute di Taranto (MARICENTRO).

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    Sergio Denti (Prato, 3.6.1924 – Pontassieve, 8.2.2018)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    (Prato, 3.6.1924 – Pontassieve, 8.2.2018)


    Claudio Costa e la Ronin Film Production, nella loro vasta produzione, propongono anche eccezionali documenti storici, con interviste e filmati, frammenti di un passato recente della nostra italica storia.
    Proprio agli amanti della nostra storia non può certamente passare inosservato il racconto degli “MTM 548 e di Sergio Denti”.
    Sergio Denti falsificando i documenti di identità si arruola nella Regia Marina appena l’Italia entra in guerra. Ha sedici anni. Per due anni viaggia sulla Torpediniera Orsa, ed è protagonista di imprese eroiche meritando tre Croci al valor Militare.
    Dopo l’8 settembre, si arruola nella Decima Flottiglia Mas , agli ordini di Borghese. Sarà decorato con una medaglia di bronzo al V.M. La notte del 17 Aprile 1945, Sergio Denti a bordo del suo barchino MTM 548 carico di tritolo, scorge nel buio il cacciatorpediniere Trombe. Inizia il suo attacco… Danneggia irrimediabilmente la nave ma viene catturato dai francesi. Fugge e torna in Italia.
    Per il suo passato nella “Decima” viene imprigionato a Taranto, ma presto rilasciato e affidato a James Angleton, dei servizi segreti americani, che sta reclutando ex combattenti per una possibile guerra contro i comunisti che vogliono insorgere e prendere il potere in Italia. Sergio grazie ad Angleton riceve denaro e cibo, ed aiuta ex combattenti come lui a rimettersi in sesto. Tra questi “Raimondo Vianello” e i fratelli, che in quei giorni sono alla fame come molti reduci di Salò. La guerra con i comunisti non ci sarà, nel ‘46 la monarchia perde al referendum e Sergio torna alla vita civile, visto che la Marina Militare lo allontana, perché ha militato nella repubblica di Salò.
    Sergio diventa mercante d’arte.
    Viene riavvicinato dalla Marina in modo indiretto tramite l’Ammiraglio Gino Birindelli, che lo vuole con lui nella P2 di Licio Gelli, per il suo passato eroico. Ma Sergio dei giorni eroici ricorda soprattutto gli insegnamenti del suo Comandante Junio Valerio Borghese…

    MTM 548 durata 50 min. Colore 1:85
    EXTRA: l’MTM visto da vicino (Riprese realizzate presso
    il Museo della scienza e tecnologia LEONARDO DA VINCI di Milano).
    Una produzione Ronin Film Production
    Contatti diretti per richiesta DVD:
    roninfilmproduction@libero.it

    Sergio Denti
    da un artico di Liberohttps://digilander.libero.it/rsi_analisi/denti.htm

    Nasce a Prato, allora provincia di Firenze, il 3 giugno 1924. Dopo la scuola elementare, giovanissimo, entra come allievo nello studio del noto pittore Ottone Rosai. Il suo destino sembra poter essere la pittura, ma il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra. Sergio Denti ha sedici anni compiuti da sette giorni. La pittura è bella, ma i tempi richiedono un altro tipo di impegno. Il giovane ama fervidamente la sua Patria e ritiene di dover, anche lui, dare un contributo per la vittoria delle armi italiane.
    Il mare ha sempre avuto, per il giovane Sergio, un fascino irresistibile. E inevitabile, perciò, che il suo contributo di combattente scelga di darlo arruolandosi in marina. Ma per la sua giovane età servirebbe il consenso del padre che è restio a concederlo. Non sarà questo a fermarlo. Falsifica la firma del padre, si presenta a La Spezia dove viene arruolato e inviato presso la scuola C.R.E.M. di San Bartolomeo quale allievo torpediniere. La Domenica del Corriere gli dedicherà una foto quale più giovane marinaio d’Italia. In meno di un anno conclude brillantemente il periodo di addestramento e, il 30 aprile 1941, viene destinato al Comando Marina di Trapani e imbarcato sulla regia torpediniera “Orsa”. Finalmente è in grado di dare il suo contributo di combattente. Non ha ancora diciassette anni. Il primo ottobre è nominato Comune di 1^ Classe e in data 16 dicembre 1941 riceverà il suo primo encomio solenne con la seguente motivazione:
    Destinato su una bettolina allo scarico di materiale bellico, in una zona attaccata da aerei nemici, rimaneva al suo posto contribuendo efficacemente ad allontanare e mettere al sicuro il materiale esplodente.
    Nei due anni successivi Sergio Denti, sempre sulla regia torpediniera “Orsa” parteciperà ad oltre quaranta missioni. Le nostre truppe in Africa Settentrionale hanno continuo bisogno di rifornimenti e i convogli necessitano di essere scortati per proteggerli dagli attacchi nemici. Anche la torpediniera “Orsa” sarà continuamente impiegata in queste missioni e, nel corso di queste varie missioni, riuscirà ad affondare quattro sommergibili nemici. Il contributo del torpediniere Denti sarà sempre determinante ed egli riceverà un secondo encomio solenne con la seguente motivazione:
    Imbarcato su torpediniera, durante un’azione di caccia contro un sommergibile nemico, cooperava con serenità e tenacia a determinarne l’affondamento. Mediterraneo Centrale 22 maggio 1942.
    Infine, con determinazione del 12 giugno 1942, gli verrà conferita la Croce al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Destinato alle armi a.s. su Torpediniera, durante una prolungata caccia contro un sommergibile nemico, assolveva il suo compito con serenità e coraggio, contribuendo con la sua opera all’affondamento dell’unità subacquea avversaria. Mare Jonio 5 aprile 1942.

    Nel maggio 1943, affascinato dalle leggendarie imprese della X^ Flottiglia Mas, sentendosi pronto per più ardimentose imprese, fece domanda per entrare a far parte di questo reparto.
    Ma il 24 agosto 1943, giorno dell’assassinio di Ettore Muti, Denti rimane ferito nel corso di un’azione di guerra. Naturalmente viene sbarcato e ricoverato all’ospedale di Tolone. Sarà, poi, durante la convalescenza a Firenze, che lo coglierà la notizia della capitolazione dell’8 settembre. Sono i giorni dello sfacelo delle forze armate. Quasi tutti, abbandonate le armi, cercano di tornare a casa. Ma Sergio Denti, appena diciannovenne ma ormai veterano, rifiuta il prolungamento della licenza di convalescenza e cerca di ritrovare la sua “Orsa”. Così giunge a La Spezia, dove trova, sotto il tricolore che sventola al Muggiano, Junio Valerio Borghese con la sua Decima che non ha deposto le armi.
    Sergio Denti non ha esitazioni: si presenta presso la Caserma San Bartolomeo e, finalmente, riesce ad arruolarsi nella mitica X^ Flottiglia Mas. Viene presentato al comandante Borghese e, su sua domanda, viene assegnato a quei reparti di élite che sono i Mezzi d’Assalto. La Scuola dei mezzi d’assalto di superficie “Gruppo Todaro”, comandata dal Tenente di Vascello Domenico Mataluno, da La Spezia si trasferisce a Sesto Calende sul Lago Maggiore e qui, nel dicembre 1943 inizia l’attività addestrativa teorico-pratica sui M.T.M. (Motoscafo Turismo Modificato), M.T.S.M. (Motoscafo Turismo Silurante Modificato), M.T.S.M.A. (Motoscafo Turismo Silurante Modificato Allargato).
    E il 1° Gennaio 1944 (XXII°) il Sottocapo Sergio Denti riceve il “Brevetto di pilota dei mezzi d’assalto di superficie” firmato dal Comandante Borghese e dal Sottosegretario di Stato Contrammiraglio Sparzani.
    Il 22 gennaio 1944, come è noto, avvenne lo sbarco degli “alleati” ad Anzio/Nettuno per cui divenne urgente attivare al massimo le nostre forze offensive in quella zona del Mar Tirreno. Così le forze d’assalto della marina repubblicana trasferiscono subito, con una autocolonna, uomini e materiali da Sesto Calende a Fiumicino, dove viene allestita la base “X”. E già il 20 febbraio viene effettuata la prima missione che attacca e fa colare a picco una nave pattuglia alleata. E comincia l’impari lotta fra la potente flotta alleata e i minuscoli barchini d’assalto della Decima. Le missioni sono rese difficili dalla potenza di reazione del nemico, dalle non rare avarie dei mezzi e anche dalle cattive condizioni del mare, ma l’attività continua ottenendo anche lusinghieri successi. Intanto a Fiumicino la base “X”, ora comandata dal Ten.Vasc. Gustavo Fracassini, si arricchisce di uomini e mezzi giunti con una seconda autocolonna. Per i nostri assaltatori il livello di pericolo è alto. Spesso i barchini vengono intercettati e attaccati duramente. Nel mese di marzo anche l’M.T.S.M di Capo Boccato e Sergio Denti venne mitragliato da aerei nemici, per fortuna senza danni ai due combattenti. Ma si arrivò a Giugno e alla caduta di Roma. Inevitabilmente la base “X” dové essere spostata in Toscana, nella tenuta di San Rossore. Le missioni continuarono. Il 14 giugno 1944 tre mezzi del tipo S.M.A. uscirono in missione. Su uno dei tre c’era anche Sergio Denti. Purtroppo una formazione aerea inglese li attaccò e affondò tutti e tre i mezzi. Dei sei piloti due furono colpiti e scomparvero fra i flutti. Denti, che si era gettato in mare, vide il suo copilota Luigi Taccia riverso sul barchino in fiamme e tornò indietro malgrado il mitragliamento fosse ancora in corso e risalì sul barchino cercando di portargli soccorso, ma lo trovò ormai spirato. Allora si rituffò e nuotò per tutta la notte e per tutto il giorno successivo per molte miglia. Solo verso sera, ormai vicino alla spiaggia, fu raccolto da soldati tedeschi. La sua condotta in combattimento gli valse l’abbraccio commosso del Comandante Borghese e la medaglia di bronzo con la seguente motivazione:
    Secondo pilota di un mezzo d’assalto, durante un trasferimento in cui l’intera squadriglia veniva distrutta da una formazione aerea nemica, dava prova di grande serenità e sprezzo del pericolo. Essendo stato colpito il suo mezzo da una diecina di colpi di mitraglia che avevano provocato un incendio nel deposito di benzina, si gettava in acqua. Perdurando ancora l’attacco aereo ed il mitragliamento, non scorgendo più il suo primo pilota, risaliva sul mezzo in fiamme per portargli soccorso. Esempio luminoso di sprezzo del pericolo, cameratismo e senso del dovere. Acque del Tirreno 14 giugno 1944 – XXII”.


    E così, di mese in mese, i barchini della Decima, con missioni quasi quotidiane, costituirono una seria minaccia e grande apprensione per il nemico, che subì apprezzabili perdite. Purtroppo anche i nostri fragili mezzi che così coraggiosamente si esponevano, subirono dolorose perdite in uomini e mezzi. Ma non si fermarono. E dimostrarono al mondo intero che la Repubblica Sociale Italiana era al suo posto di combattimento e riscattava, così, l’onore dei combattenti italiani. Avvicinandosi il pericolo di uno sbarco in Provenza, verso la fine di agosto un reparto dotato di una ventina di mezzi si dislocò prima a Villafranca, porticciolo a est di Nizza e, poi, a San Remo. E le azioni continuarono indefessamente. Fino alla fine. E’ la notte fra il 16 e il 17 aprile 1945. Siamo ormai agli ultimi giorni di guerra. La linea gotica sta cedendo. Il 10 è caduta Massa, l’11 Carrara e i Nisei tentano di scendere in Lunigiana per tagliare la ritirata alle truppe che iniziano a ritirarsi dalla Garfagnana, ma i barchini della Decima sono ancora in missione: l’ultima. Occorre qui lasciare la parola al comandante Nesi che mirabilmente descrive l’azione:
    “La torpediniera francese Trombe era in pattuglia la notte fra il 16 e il 17 aprile a 14 miglia a sud di Oneglia, quando Zironi e Malatesti la avvistarono. Quella notte erano usciti unitamente all’M.T.M. del S.C. Sergio Denti. Mentre lo S.M.A. 312 aggirava la torpediniera da sud per cercare di attrarre la sua attenzione, Denti lanciò il suo M.T.M carico di esplosivo da 500 metri di distanza in piena velocità. A 100 metri si lanciò in mare e balzò sul salvagente. L’M.T.M. si schiantò contro la fiancata destra verso prua. L’esplosione capovolse il salvagente di Denti che venne sbalzato in mare. Non vedendo più il battellino di salvataggio, Denti si mise a nuotare, osservando la nave colpita. Fu ritrovato al mattino da una unità francese e catturato. Trasportato a Nizza, riuscì a fuggire ed a rientrare in Italia poco prima della fine del conflitto”. E il protagonista di questo audacissimo attacco non aveva ancora ventun’anni. Il Trombe, gravemente danneggiato, non essendo più in grado di muoversi verrà rimorchiato a Tolone. Il Comandante della Base Ovest Ten.Vasc. Gustavo Fracassini propose di conferire al Pilota Sergio Denti la Medaglia d’Oro al Valor Militare sul campo. Purtroppo Fracassini moriva nove giorni dopo per una vile imboscata dei partigiani. Ed eravamo agli ultimi giorni di guerra.

    La guerra è ormai finita e Sergio Denti è prigioniero a Taranto. Ma la sua competenza, la sua determinazione e bravura di combattente non sono passate inosservate anche in campo nemico. Così James Angleton, dei servizi segreti americani, che sta reclutando ex combattenti per una possibile guerra contro i comunisti che vogliono insorgere e prendere il potere in Italia, lo fa liberare e lo arruola. Denti ne ricaverà anche una retribuzione con la quale aiuterà reduci della R.S.I. in gravi situazioni di indigenza. Fra questi il noto Raimondo Vianello. Poi il pericolo comunista svanirà e Denti tornerà alla vita civile perché la Marina lo caccerà “per aver prestato servizio continuativo a carattere operativo nella Marina della RSI (X^ MAS)”. Ritornato, quindi, definitivamente alla vita civile, Denti ritornerà alla passione giovanile per l’arte e diventerà un importante gallerista e mercante d’arte. Senza mai dimenticare i camerati e l’epopea della X^ Flottiglia Mas.
    Sergio Denti è deceduto il 8 febbraio 2018  a Pontassieve.

  • Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Il nastro del berretto dei marinai

    di Guglielmo Evangelista (*)

    Il nastro del berretto dei marinai che porta scritto il nome della nave su cui sono imbarcati o la destinazione a terra è molto importante perché è un fattore che incentiva lo spirito di corpo e permette di riconoscere a prima vista i membri dello stesso equipaggio quando non sono a bordo.
    Oggi che si usa soprattutto il berretto con visiera e che i “comuni” sono numericamente scarsi ha perso molto del suo valore, ma un tempo quando su un vascello o su una corazzata imbarcavano  centinaia e centinaia  di persone era un altro discorso.
    Riconoscere i commilitoni nelle risse di taverna aveva un suo valore così come  un ufficiale, in qualsiasi altra occasione, poteva subito individuare se chi teneva un comportamento scorretto faceva parte del suo equipaggio e… mandarlo a rapporto.
    Fin da quando i marinai portavano un cappello a larga tesa, di panno in inverno e di paglia in estate, la base della calotta era decorata con un nastro.
    Fermo il nome della nave per il personale imbarcato, nel Regno di Sardegna sul cappello di chi era destinato a terra campeggiava  la scritta “Corpo Reale di mare” che, dopo l’unità d’Italia, fu modificata in “Reale Marineria Italiana”.


    Nel 1873 cambiò ancora la scritta in “Regia Marina” inquadrata da due stellette, divenendo simile a quella attuale ma è da tenere presente, fermo come sempre il colore nero e i caratteri in giallo, le stellette potevano essere verdi, bianche o rosse a seconda dei tre Dipartimenti dell’epoca (rispettivamente 1° La Spezia, 2° Napoli, 3° Adriatico).
    E’ da notare che all’epoca anche quasi tutti i sottufficiali portavano un cappello analogo e per loro il nastro era bordato di due filettature dorate spesse 2 millimetri.
    Per tutti la lunghezza era di un metro e l’altezza di  3,5 centimetri e di conseguenza, una volta annodato, le due punte sporgevano libere sulla nuca, usanza mantenuta fino al 1914.
    Con l’adozione del berretto tondo, assai più pratico perché si poteva ripiegare e offriva una minore presa al vento, la scritta, posizionata anteriormente, divenne molto più visibile; le sue dimensioni  furono ridotte nel 1919.
    Il nastro fu in qualche modo protagonista di un fatto di guerra. Il 7 luglio 1915 l’incrociatore Amalfi fu silurato da un sommergibile nemico e, durante l’affondamento, una pala dell’elica che ancora ruotava tranciò di netto il braccio al direttore di macchina capitano Turcio. Il comandante della nave, capitano di vascello Riaudo che si trovava a poca distanza, soccorse il malcapitato e, strappato a un marinaio il berretto, con il nastro riuscì a contenere l’emorragia fino all’arrivo dei soccorsi salvandogli la vita.
    Abbiamo trovato traccia di numerose  diciture campeggianti sui berretti dei marinai dell’epoca che non erano imbarcati e di coloro che, pur non appartenendo specificamente all’armata di mare, portavano però la medesima divisa.

    Ecco l’elenco, che sicuramente presenta qualche lacuna:
    – Regia Marina
    – Regia Accademia Navale (per gli allievi)
    – R. Capitanerie di porto
    – Rgt San Marco
    – Marinaio di porto
    – Servizio fari                            “                                   
    – Regia Scuola Sommergibili
    – Regia Scuola Cannonieri (anche Regia Scuola Meccanici, Timonieri Furieri, Motoristi, Nocchieri, Carpentieri,  Semaforisti)
    – Scuole C.R.E.M.
    – Sanità Marittima
    – R. Guardia di Finanza
    – Pubblica Sicurezza

    Nelle colonie gli Ascari di Marina portavano il nastro applicato diagonalmente al tarbush, il loro caratteristico copricapo.
    E’ appena il caso di accennare che la tradizione del nastro esisteva anche per i marinai della marina mercantile benché l’uniforme fosse solitamente portata solo da quelli delle navi passeggeri.
    Le cose si facevano un po’ più complicate quando si trattava di nastri con il nome di una nave.
    Nell’800 era previsto che il nome fosse preceduto solo dalla generica dizione “nave”. Di fatto le tipologie erano tante, ma ufficialmente la flotta comprendeva solo “navi da battaglia” e “navi sussidiarie” ripartite in varie classi a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche e quindi una dizione generica era sufficiente.
    Solo nel XX secolo comparvero  denominazioni più specifiche e i nastri si uniformarono.
    Nel 1926 sul Giornale Ufficiale della Marina furono pubblicate nuove disposizioni che prevedevano che il nome fosse preceduto dalla classificazione, abbreviata, del tipo di unità. Se essa era contrassegnata da un numero, era prevista la dizione completa. Quindi:
    – R.N. Regia nave
    – R.Espl. Regio esploratore
    – R.C.T. Regio cacciatorpediniere
    – R.T. Regia torpediniera (ma R. torpediniera 52 AS)
    – R.Somm. Regio sommergibile (Ma R.sommergibile H23)
    – Nave Reale Savoia (per il personale imbarcato su tale unità)
    – M.A.S.   (Senza altre distinzioni per tutti gli equipaggi dei MAS)
    – R. Cap. di porto (per il personale delle Capitanerie da poco militarizzate)
    – Regia Marina (per tutto il personale non imbarcato e il personale imbarcato sulle navi ausiliarie di piccole dimensioni, come i rimorchiatori)

    A partire dal gennaio 1941, per evitare di fornire informazioni al nemico sulla dislocazione o sull’affondamento di unità, i nastri del personale imbarcato portavano solo quattro indicazioni:
    – Squadra navale
    – Sommergibili
    – Regie navi
    – Siluranti (aggiunto nel 1942)

    I nastri non furono utilizzati nel periodo della Repubblica Sociale Italiana perché il tradizionale berretto fu sostituito da un basco.
    Nel dopoguerra furono molte le diciture conservate: ovviamente tutte persero i riferimenti alla monarchia e la scritta per il personale generico  divenne “Marina Militare” mentre ancora per qualche tempo sopravvisse l’indicazione del tipo di unità che poi per tutte fu sostituita con quella di “nave”.
    La varie scuole adottarono i nastri con la scritta “Scuole C:.E.M.M.” oggi modificata in “Scuola sottufficiali”.
    Altre scritte particolari sono, ad esempio:
    – Elicotteri M.M.
    – Sommergibili
    – Capitanerie di porto
    – Naviglio militare (per il personale imbarcato sulle navi di uso locale).

    Dello stesso autore:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2020/06/nastrini-e-decorazioni-2/
    (*) per visionare gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Giuseppe Corso (Trapani, 2.2.1909 – 31.5.1990)

    di Giovanni Serra(Trapani, 2.2.1909 – 31.5.1990)

    … riceviamo e con immenso orgoglio pubblichiamo.

    Ciao Ezio  ti invio la storia del nonno marinaio di mia moglie.
    Cari Saluti Giovanni Serra.

    Nato il 2 febbraio 1909 e deceduto il 31 maggio 1990 a Trapani.
    Arruolato per la ferma di mesi 28 dal Consiglio di Leva Marittima di Trapani con la classe 1909, classificato Maró  e lasciato in congedo illimitato in attesa dell’avviamento alle armi.
    Il 30 novembre 1928 giunto alle armi (Deposito C.E.M.M. Messina) e classificato definitivamente Cannoniere S.T. , il 25 febbraio 1929 classificato Comune di 1^classe, il 1° dicembre1929 promosso Sottocapo Cannoniere S. T. e congedato il 13 settembre 1936.
    Incorporato nella Milmart di Trapani il 15 agosto 1939 e congedato 23 luglio 1943.
    Fu imbarcato sulla regia nave Da Recco dal 22 marzo 1929 al 27 luglio 1931.
    Dal 15 agosto 1935 al 13 luglio 1936 fu destinato presso Marina Trapani.

    Dal 15 gennaio 1939 al 25 agosto 1941 fu destinato presso la Milmart 8^ Legione Trapani. Frequentò la Scuola Stereo telemetristri Milmart di Gaeta.
    Partecipò alle operazioni di guerra del Mediterraneo e gli fu conferita la Croce al Merito di Guerra in virtù del R. O. 14 dicembre 1942 N°1729 per la partecipazione alle azioni durante il periodo bellico 1940-1943 con determinazione del Comando Militare Territoriale di Palermo in data 22 settembre1952 n°9851.
    Fu insignito dell’alta Onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica dal Presidente Giuseppe Saragat nel 1971.

  • Attualità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Domenico Di Palo (Afragola (NA), 31.1.1922 – Mare, 2.12.1942)

    di Claudio Confessore e Ferdinando Di Palo 

    (Afragola (NA), 31.1.1922 – Mare, 2.12.1942)

    … e il Convoglio H.

    Buongiorno signor Ezio,
    vorrei sapere, se è possibile, quando e dove è caduto mio zio Di Palo Domenico, sottocapo della Marina Militare, nato ad Afragola (Napoli), non so la data di nascita e ne la data della morte. Il corpo è stato recuperato e esumato nel cimitero di Afragola. Dalle notizie che avevo avuto da mio padre, che era sottocapo nel Battaglione San Marco, so che questo mio zio ha fatto le scuole C.R.E.M. a Pola ed era a bordo di una nave da guerra affondata nel Mediterraneo, forse nel periodo invernale.
    Grazie del suo interessamento, con cordialità Di Palo Ferdinando.

    Buongiorno signor Ferdinando Di Palo,
    se mi manda una o più foto di suo zio Domenico, pubblico l’articolo su di Lui e su di quello che gli è accaduto e, in calce allo stesso diamo le opportune doverose informazioni su come comportarvi per le ricerche. In attesa di un suo gradito riscontro e consenso, cordiali saluti Ezio

    Signor Ezio Vinciguerra buongiorno,
    ho ricevuto la sua risposta alla mia a-mail e la ringrazio del suo interessamento e impegno.
    Purtroppo di mio zio ho una solo foto in divisa che mi accingo a spedire. Lui è il marinaio posto al centro tra gli altri due che non conosco.
    Mi ha colpito il sorriso di gioventù di tutti e tre. Ripeto il suo nome: Di Palo Domenico e non Di Paolo Domenico come molti si confondono.

    Le mando poi, se possono interessare, alcune foto del mio papà quando nel 1936 fu inviato, con il Battaglione San Marco, nella concessione italiana a Shanghai ( Cina) durante il conflitto Cina-Giappone.
    Cordiale saluti  – Ferdinando Di Palo

    1. La rotta della morte
    Alla fine del 1942 la guerra in Africa volgeva al peggio, con i trasporti si dovevano assicurare i rifornimenti per le truppe sul nuovo fronte della Tunisia e provvedere ad urgenti rifornimenti per l’Esercito in ritirata dalla Libia. Da fine novembre, quindi, nacque l’urgente esigenza di incrementare i rifornimenti per il fronte tunisino ed iniziò la battaglia dei convogli per la Tunisia sulla “rotta della morte”, termine impiegato per indicare la rotta obbligata tra le due sponde del Mediterraneo, per l’elevato numero di vite umane perdute e di buona parte dei mezzi navali e mercantili: su 344 mercantili solo 52 giunsero a destinazione senza danni; ne furono affondati 154 e 138 furono danneggiati.


    Tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1942 venne programmato un primo grande convoglio per l’Africa Settentrionale con vari gruppi partenti da Napoli, Palermo e Trapani ma l’idea venne quasi subito scartata e si preferì programmare partenze separate.

    2. Partenza dei convogli
    Il 30 novembre partirono da Napoli i seguenti convogli:
    – Convoglio B
    partito da Napoli alle 14:30 del 30 novembre, destinazioni Sfax, Biserta e Tunisi composto da 5 mercantili (Arlesiana, Achille Lauro, Campania, Menes e Lisboa) scortati da 5 Torpediniere (Sirio, Groppo, Orione, Pallade e dalle 17:10 del 1° dicembre dalla torpediniera Uragano). Alle 19:35 dello stesso giorno si aggregarono anche i Cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Ascari;

    – Convoglio C
    partito da Napoli alle 23:00 del 30 novembre destinazione Tripoli composto da 3 mercantili (Chisone, Veloce e Devoli) scortati da 4 torpediniere (Lupo, Aretusa, Sagittario, Ardito).
    In serata dello stesso giorno un aereo tedesco riportò nel porto di Bona (Algeria) la presenza di unità da guerra Alleate. Supermarina, preoccupata per tale avvistamento, chiese una ulteriore ricognizione per il tramonto del giorno successivo e rinviò al giorno dopo la partenza dei convogli G e H, in attesa dei rapporti della ricognizione aerea ordinata su Bona.
    Il 1° dicembre 1942 avvenne la partenza dei seguenti convogli:

    – Convoglio G
    partito da Palermo alle 09:00 del 1° dicembre destinazione Biserta, composto dalla sola petroliera Giorgio scortata da 2 unità (Cacciatorpediniere Lampo e Torpediniera Climene);

    – Convoglio H
    partito da Palermo alle 10:00 del 1° dicembre destinazione Biserta composto da 4 mercantili (Aventino di 3794 tonnellate, Puccini di 2422 tonnellate, KT 1 di 850 tonnellate e Aspromonte di 976 tonnellate, quest’ultima, in porto a Trapani, si unì al gruppo alle 20:00) scortati da 5 unità (i Cacciatorpediniere Da Recco, Camicia Nera, Folgore e le Torpediniere Procione e Clio). Il Comandante del Da Recco fu designato come Caposcorta.
    Il mercantile più veloce del convoglio H era l’Aspromonte che poteva procedere a 16 nodi ma per via delle altre unità la velocità del convoglio fu di 10 nodi. Per tal motivo, i convogli H e G sarebbero rimasti in contatto per quasi tutta la traversata nonostante il convoglio della cisterna Giorgio sia partito un’ora prima.

    3. ULTRA
    Alan Mathison Turing (23 giugno 1912 – 7 giugno 1954) è stato uno dei più grandi matematici del XX secolo. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu impiegato come crittografo presso il “Department of Communications” britannico per decifrare i codici usati nelle comunicazioni dai tedeschi che avevano sviluppato una macchina denominata “Enigma”. Turing con i suoi collaboratori creò “Colossus”, un calcolatore ante-litteram, che decifrava velocemente i codici tedeschi creati con “Enigma”.
    Per tale motivo la partenza dei nostri convogli fu segnalata il 29 novembre 1942 all’Ammiragliato britannico dagli specialisti dell’intelligence di Bletchley Park. Il termine “Ultra” è stato spesso usato come sinonimo della decrittazione dei predetti codici.
    I britannici misero in atto il solito copione per tenere segreta la violazione dei codici della macchina ULTRA; sul cielo delle nostre unità giunse la loro ricognizione aerea in modo che fosse attribuito a questa la scoperta della presenza in mare dei convogli.
    L’esistenza di tale sistema divenne nota a metà degli anni Settanta e confermò che le accuse di tradimento rivolte alla Regia Marina sia interne alla Forza Armata sia fatte dai tedeschi fossero prive di fondamento.
    Al termine della guerra Turing cadde in depressione e si ritirò a vita privata ed il 7 giugno 1974 fu ritrovato morto. Ufficialmente la causa fu attribuita a un suicidio mediante cianuro e sul luogo dell’evento fu trovata anche una mela con l’impronta di un morso (il cianuro era nella mela?). Altre fonti parlano di un omicidio attribuendo l’uccisione ai servizi segreti britannici poiché personaggio non controllabile ed omosessuale; questa teoria non è però supportata da prove documentali.
    Turing viene considerato uno dei padri dell’informatica e la casa costruttrice di computer “Apple”, in sua memoria scelse come suo logo una mela morsicata.

    4. Il convoglio “H”
    Il convoglio H trasportava 1766 militari ripartiti sull’Aventino e sul Puccini, 698 t di munizioni e materiali a bordo del KT1 tedesco, 32 autoveicoli, 4 carri armati e 12 cannoni da destinare all’Afrika Korps. Comandante della scorta e del Da Recco era il Capitano di Vascello Aldo Cocchia, Comandante del Camicia Nera il Capitano di Fregata Adriano Foscari, Comandante del Folgore – alla sua prima missione – il Capitano di Corvetta Ener Bettica, Comandante del Procione il Capitano di Corvetta Renato Torchiana, Comandante del Clio era temporaneamente il Comandante in seconda, Tenente di Vascello Vito Asaro, poiché il Comandante era malato. Nessuno dei Comandanti della scorta aveva navigato in precedenza con il Comandante del Convoglio C.V. Cocchia.
    Per facilitare le comunicazioni su tutte le navi mercantili, eccetto il KT 1, erano stati installati degli apparati radio ad onde ultracorte del cui impiego erano incaricati alcuni Guardiamarina provenienti da Incrociatori. A bordo del Da Recco era anche presente un Ufficiale come osservatore ed un operatore di collegamento tedesco per richiedere in caso di necessità l’intervento aereo germanico.
    I comandanti delle unità da guerra e delle navi mercantili del convoglio H con, in aggiunta, gli ufficiali alle comunicazioni delle singole unità furono convocati il 30 novembre a bordo del Da Recco per una riunione di coordinamento. Furono date istruzioni in caso di minaccia aerea o di sommergibile, le formazioni da assumere ed i segnali da scambiare. In caso di incontro con navi di superficie nemiche le direttive date prevedevano un automatismo poiché non si poteva escludere che il capo scorta potesse avere difficoltà di comunicazioni oppure che fosse colpito o affondato prima che potesse dare ordini.
    Tali direttive prevedevano che dopo le 24:00 tutte le unità di scorta dovevano essere pronte a sviluppare la massima velocità ed in caso di contatto con il nemico:

    • Da Recco, Camicia Nera e Procione dovevano immediatamente attaccare;
    • le navi mercantili, scortate da Folgore e da Clio, dovevano subito assumere la rotta di allontanamento più rapida, nascoste dalle cortine fumogene delle Torpediniere.

    Tutte le disposizioni date a voce vennero messe per iscritto e prevedeva tutti i casi che potevano verificarsi, si cercava di essere pronti a tutte le evenienze, anche agli eventi più improbabili. Alle 14:40, alle 15:00 e alle 15:15 Supermarina intercettò le comunicazioni degli aerei britannici che riportavano rispettivamente gli avvistamenti in mare dei convogli B, C e G.
    Nello specifico, il 1° dicembre salparono da Bona gli incrociatori leggeri britannici HMS Aurora (Capt. W.G. Agnew, nave su cui imbarcava il Vice Ammiraglio C.H.J. Harcourt, comandante della formazione), HMS Argonaut (Capt. E.W.L. Longley-Cook) e HMS Sirius (Capt. P.W.B. Brooking) e i cacciatorpediniere HMS Quentin (Comandante A.H.P. Noble) e l’australiano HMAS Quiberon (Comandante H.W.S. Browning). Con la velocità di 27 nodi avrebbero intercettato i convogli «H» e «G» intorno alla mezzanotte.
    Al tramonto, Supermarina chiese a Maricolleg Frascati (Ufficio di collegamento con le Forze germaniche in Italia) l’esito della ricognizione sul porto di Bona. Poiché non si era stabilito il contatto né con l’aereo tedesco né con quello italiano che erano stati inviati in missione Maricolleg Frascati suppose che fossero stati abbattuti. Intanto, alle 19:00 partì da Bona la Forza Q composta da 3 incrociatori leggeri inglesi (Aurora, Argonaut e Sirius) e 2 Cacciatorpediniere canadesi (Quentin e Quiberon).
    Dalle 20:00 sia il convoglio G che quello H sono sorvolati da aerei che li illuminano con bengala e poco dopo, alle 20:15, Supermarina intercettò le comunicazioni degli aerei britannici che riportavano l’avvistamento del convoglio H, l’ultimo che mancava, che continuò ad essere illuminato, senza attacchi, sino alle 24:00.


    Il convoglio G fu attaccato e alle 21:56 la cisterna Giorgio (Comandante militare Tenente di Vascello Italo Cappa) venne colpita a prua a dritta da un siluro lanciato da un aereo britannico rimanendo immobilizzata e le due torpediniere di scorta riuscirono a salvarla dalla completa distruzione occultandola con cortine di nebbia. A bordo del mercantile appruato e sbandato sulla dritta, si sviluppò un violentissimo incendio, alimentato dal carico di carburante. Il personale di bordo riuscì a domare l’incendio alle 23:35 con il personale rimasto incolume, mentre gli uomini feriti dall’esplosione furono trasbordati sul capo scorta il Cacciatorpediniere Lampo, Capitano di Corvetta Antonio Cuzzaniti e sulla Torpediniera Climene, Tenente di Vascello Mario Colussi. Poiché ci voleva molto tempo da parte del Climene per prendere a rimorchio il Giorgio, la Torpediniera doveva recuperare prima le sistemazioni paramine, il Comandante del Lampo decise di imbarcare anche tutto il personale rimasto sulla cisterna Giorgio sulla sua unità e sul Climene per portarlo a Marettimo e ritornare all’alba in zona per far rimorchiare la cisterna lasciata alla deriva.
    Intanto il convoglio H continuava nella sua navigazione e Supermarina alle 23:01 inviò al Da Recco le disposizioni per il pilotaggio che le Torpediniere della scorta dovevano fare nelle vicinanze del porto di arrivo ed alle 23:30 ordinò al convoglio H di impiegare una Torpediniera per dragare di prora. Il compito venne assegnato dal Comandante del convoglio, il CV Cocchia, alla Torpediniera Procione. Tale disposizione si incrociò con una notizia giunta a Supermarina alle 23:30 che un aereo tedesco aveva avvistato alle 22:40 la Forza Q britannica a nord di Biserta che procedeva ad alta velocità con rotta 090° (in realtà la rotta era 104°). L’avvistamento era stato comunicato con notevole ritardo perché il velivolo aveva la radio in avaria e quindi poté farlo solo dopo l’atterraggio. Roma rilanciò alle 23:40 “all’aria” il segnale di scoperta ed una rapida valutazione della situazione portò alle seguenti valutazioni:

    • il convoglio C era lontano dalla minaccia a nord di Pantelleria;
    • il convoglio G era già sotto attacco e non rappresentava più un obiettivo;
    • il convoglio B era a rischio ma essendo più indietro di quelli G ed H si sarebbe sicuramente comportato come la situazione richiedeva, inoltre aveva la scorta del gruppo Maestrale inviato a protezione del convoglio di ritorno da una missione di posa di mine;
    • il convoglio H veniva stimato già a ridosso delle secche di Skerki e degli sbarramenti di mine e non conveniva ordinargli un cambiamento di rotta e poteva proseguire per la sua destinazione perché le navi britanniche potevano piombare sul convoglio nel momento critico di cambiamento di formazione.
      Il Da Recco dopo aver ricevuto l’informazione dell’avvistamento alle 00:05 ordinò un’accostata ad un tempo di 90° sulla sinistra ed alle 00:17 un’accostata ad un tempo sulla dritta per tornare sulla rotta precedente, ordine che il Puccini non ricevette ed entrò in collisione con l’Aspromonte mentre del KT1 non si seppe più nulla poiché non era in possesso di radio e gli ordini che aveva avuto alla partenza erano quelli di seguire il Puccini, e non fu fatto.

    Il tempo passa inesorabile, il Da Recco attende ancora che gli siano comunicati eventuali ordini, siamo ormai al 2 dicembre ed alle 00:21 il radar dell’unità britannica Aurora avvista il convoglio H. Alle 00:30 il Da Recco rompe gli indugi e chiede disposizioni in relazione all’avvistamento delle 23:40. Solo dopo questa richiesta Supermarina percepisce che il convoglio H era in ritardo rispetto a quello che aveva stimato.
    Il Folgore, che si trovava di poppa al convoglio rilevò la presenza delle navi nemiche con il «Metox» (primo intercettatore di frequenza radar costruito da una piccola ditta francese durante l’occupazione tedesca) ma era tardi poiché alle 00:35 sul convoglio H giunsero i primi colpi della Forza Q sulla motozattera KT 1.

    Alle 00:38 il comandante Cocchia ordinò alla scorta di attaccare ed i tre Cacciatorpediniere (Da Recco, Camicia Nera e Folgore) diressero contro il nemico mentre il Clio azionò i fumogeni per cercare di nascondere i mercantili vicino a lui ed il Procione, che era in testa alla formazione, andò all’attacco con ritardo per la necessità di dover prima tagliare i cavi dei paramine che aveva a mare per essere libero di manovrare. Ne seguì una mischia nella quale le unità italiane agirono isolatamente contro la formazione nemica e le azioni condotte furono le seguenti:

    • il Procione, dopo essersi liberato dei cavi dei paramine, prese contatto con il nemico ma venne subito colpito da due proiettili che provocarono ingenti danni. Continuò, comunque, la manovra di avvicinamento al nemico con l’intenzione di lanciare i siluri che però non poterono essere lanciati per avaria. Raggiunta da altri tre colpi d’artiglieria che danneggiarono l’impianto del timone. Immobilizzata, con incendi a bordo, locali allagati e gravi danni, la Torpediniera rimise in moto solo alle 01.45 e diresse a bassa velocità verso La Goletta (Tunisia);
    • il Cacciatorpediniere Folgore lasciò la scorta del Puccini, anticipando l’ordine che poco dopo fu dato dal Comandante Cocchia, si buttò ripetutamente all’attacco. L’azione venne inizialmente diretta contro l’Aurora, contro cui vennero lanciati tre siluri, senza risultato. Diresse, successivamente, il lancio dei siluri contro il Sirius riportando l’impressione di averlo colpito. Inquadrato dai colpi nemici, colpito ed avvolto da vari incendi continuò a bordo, continuò a sparare sino a quando i gravi danni e l’acqua che invadeva la nave costrinsero il Comandante a far salire il personale in coperta per abbandonare la nave. Il Comandante, Capitano di Corvetta Bettica, scomparve con la nave alle 01:16;
    • il Camicia Nera, che proteggeva il fianco destro del convoglio, dopo aver aperto il fuoco con i pezzi da 120 mm, serrò le distanze sino a 2000 metri e alle 00:43 lanciò una prima salva di 3 siluri che non colpirono i bersagli. Nonostante il fuoco nemico l’azione fu ripetuta ma anche la successiva salva di tre siluri non andò a segno. All’01:07 si portava nuovamente all’attacco ma numerosi colpi caddero intorno alla nave per cui alle 01:14 ripiegò per non essere distrutta. Terminato lo scontro il Cacciatorpediniere, insieme al Clio, iniziò la ricerca ed il recupero dei naufraghi;
    • la Torpediniera Clio, che al momento dell’attacco era intenta ad assistere la motonave Puccini coinvolta nella collisione con l’Aspromonte fu l’unica che non andò al contrattacco attenendosi alle disposizioni impartite prima della partenza dal Caposcorta di nascondere i mercantili con cortine fumogene. Nonostante tale azione i mercantili vennero tutti colpiti e/o affondati. Alle 01:21 sotto il tiro delle artiglierie britanniche l’unità cessò l’emissione delle cortine fumogene ed allontanandosi, per sottrarsi al tiro avversario, sparò 4 salve con gli impianti poppieri da 100 mm. Quando l’azione britannica terminò ritornò indietro ed iniziò la ricerca di naufraghi e di eventuali mercantili che fossero scampati alla distruzione;
    • il Da Recco, dopo aver ordinato alle altre unità di andare al contrattacco, diresse contro le unità britanniche aprendo il fuoco con i pezzi da 120 mm sia con tiro battente che, per rendere visibili gli avversari alle nostre navi, con tiro illuminante. Condusse un’altra azione di fuoco dalle 00:50 alle 00:57, sino a quando la Forza Q non scadde di poppa. Il Cacciatorpediniere cesso il fuoco e fece rotta verso est per riavvicinarsi alla formazione nemica. Alle l’01:30, avvistati gli avversari a circa 4000 metri di distanza, l’unità manovrò per avvicinarsi senza essere vista per portarsi a distanza di lancio dei siluri; ma a circa 2000 metri dalle navi britanniche, una colonna di scintille emessa dal fumaiolo prodiero ne svelò la posizione. La reazione dei britannici fu immediata; la prima salva di quattro colpi cadde a poca distanza dal Da Recco ma la seconda andò a segno: due proiettili distrussero l’impianto prodiero ed altri due colpirono il deposito munizioni dello stesso impianto provocando una violenta esplosione che investì l’intera zona prodiera, e la plancia uccidendo od ustionando tutti i presenti. Morì od ebbe gravi ustioni la metà dell’equipaggio ed il Comandante Cocchia rimase gravemente ustionato. La Forza Q non diede il colpo di grazia al Da Recco che, nel frattempo, su disposizione del direttore di macchina Capitano del Genio Navale Cesare Petroncelli, aveva fermato le macchine per consentire al Comandante in Seconda, Capitano di Corvetta Pietro Riva, di intervenire con il personale ancora abile per estinguere l’incendio. La difficile situazione dell’unità e la richiesta di aiuto furono messe a conoscenza delle altre unità e delle navi mandate da Supermarina in soccorso grazie all’iniziativa dell’ufficiale alle comunicazioni, Tenente di Vascello Alfredo Zambrini, ed al Sergente radiotelegrafista Mario Sforzi, che nonostante fossero entrambi ustionati, riuscirono a rimettere in funzione un radiosegnalatore.

    Per quanto riguarda i mercantili:

    • il KT1 affondò verso le 00:40, fu la prima nave ad essere affondata. Di predetta motozattera si erano perse notizie dal momento della accostata ordinata dal Da Recco e non avendo a bordo la radio e non essendoci nessun superstite non fu possibile conoscere quanto accadde;
    • l’Aventino (Comandante civile Capitano di lungo corso Giovanni Duili, Comandante Militare Capitano di Corvetta richiamato Pietro Bechis), alle 00:38 iniziò l’accostata per invertire la rotta come ordinato dal Da Recco ma venne subito illuminato da un proiettore e sottoposto a violento tiro d’artiglieria da parte dell’Aurora e dell’Argonaut. Sul sinistro dell’Aventino intanto si profilò la minaccia di un’altra unità nemica (doveva trattarsi del Quiberon che si era allontanato dalla linea di fila delle unità britanniche) che costrinse l’unità ad interrompere l’accostata assumendo una rotta quasi parallela a quella della Forza Q. Intrappolato dai due lati il piroscafo cercò di rispondere al fuoco con le sue mitragliere ma alle 00:55 circa fu colpito da 1 o 2 siluri lanciati dall’Argonaut e/o dal Sirius (entrambi lanciarono asserendo di aver colpito un mercantile). I siluri o lo scoppio di una caldaia dovuto a qualche colpo provocarono una violenta esplosione causando una strage tra i circa 1100 uomini trasportati. Il mercantile si inabissò verso le 00:55 nel punto di coordinate 37°43’N- 011°16E, 5 miglia ma ovest del banco di Skerki trascinando con sé gran parte delle truppe trasportate, che non riuscirono a raggiungere in tempo la coperta. Il comandante civile Duili scomparve con la nave insieme al Direttore di Macchina Bartolomeo Portolan, anche lui dalmata come il Comandante, nel tentativo di organizzare il salvataggio delle truppe e dell’equipaggio. Il Comandante militare Bechis, gravemente ferito, si salvò abbandonando la nave per ultimo e fu salvato dopo essere rimasto oltre dieci ore in acqua;
    • il Puccini fu colpito al centro sul lato dritto, subito dopo l’Aventino, ed i violenti incendi e le esplosioni convinsero il Comandante militare (Tenente di Vascello di complemento Mario Vinelli) ed il Comandante civile (Capitano di lungo corso Marcello Bulli) a dare l’ordine di abbandonare subito la nave. Nonostante ciò ci furono molti morti e fra essi i due Comandanti. Il Puccini rimase Immobilizzato alle 01:08 sia per i colpi delle navi del Regno Unito che per il cannoneggiamento da parte del sommergibile britannico Seraph (il battello in transito in quell’aria, che poi abbandonò in tutta fretta, non era a conoscenza dell’azione della Forza Q) e restò sino in galleggiamento sino alle 15:00 quando, valutata l’impossibilità di rimorchiarlo, il Camicia Nera l’affondò in PSN 37°40’N-011°16’E;
    • L’Aspromonte, Comandante il Tenente di Vascello di complemento Gaetano Zolese, si allontanò dal convoglio incrementando la velocità a 17 nodi ed accostando sulla dritta assunse una rotta per ovest – nord ovest prima e dalle 00:40 per 065° sottraendosi al tiro iniziale delle unità britanniche. Continuò indisturbata sino alle 01:10 con tale rotta, procedette poi zigzagando credendo di essere attaccata con siluri sino alle 01:20 quando l’Aurora inquadrò il mercantile che evitò le prime 6 o 7 salve zigzagando ma non le successive sparate sia dell’Aurora che delle altre unità britanniche che caddero a bordo provocando gravi danni. Fu colpita subito la plancia ed i presenti furono tutti uccisi o feriti gravemente tranne il Comandante che, ferito di striscio alla schiena, si mise personalmente al governo della nave continuando la manovra di zigzagamento finché un proiettile non mise fuori uso il timone. Il disperato tentativo di manovrare la nave con i motori non evitò che alle 01:29 a seguito di una violentissima esplosione, il traghetto affondò di poppa in posizione 37°43’ N e 011°16’ E, portando con sé, oltre all’equipaggio civile militarizzato, i 41 membri dell’equipaggio militare (6 Sottufficiali e 35 Sottocapi e Marinai).

    5. I soccorsi
    Quando il Da Recco comunicò dopo le 20:00 del giorno 1 che il convoglio H era sorvolato ed ombreggiato da aerei britannici, Supermarina dispose le seguenti azioni:

    • che la Nave Soccorso Capri, già in mare dalle 13:40 del giorno 1, seguisse a distanza il convoglio H;
    • che un rimorchiatore fosse tenuto pronto a Marettimo;
    • l’uscita dal porto di Palermo della Nave Soccorso Laurana, prevista inizialmente per le 22:30 ma effettuata alle 24:00 per la presenza di nebbia artificiale nel porto per allarme aereo.

    Dopo aver ricevuto la comunicazione di “Piroscafi in fiamme” dal Da Recco alle 01:15 del giorno 2 Supermarina ordinò:

    • l’urgente uscita da Trapani per la zona dello scontro dei Cacciatorpediniere Pigafetta e Da Noli;
    • l’invio in zona della Nave Ospedale Toscana e dei Mas 563, 576, della Ms 32.

    Intanto in zona, dalle ore 03:15, il Camicia Nera era impiegato nella ricerca naufraghi, mentre la Torpediniera Clio, che aveva intercettato la cisterna Giorgio alla deriva alle 04:00, assistita da due MAS rimarrà in zona sino alle 06:15 quando il Lampo gli ordinerà di scortare il Climene mentre rimorchiava il Giorgio sino a Trapani. Il Climene fu sostituito nel suo compito alle 09:15 dal rimorchiatore Liguria proveniente da Trapani ma le precarie condizioni di galleggiamento della cisterna imposero la decisione di portarla ad incagliarla alle 21:15 a Punta Troia (Trapani). Intanto, dopo aver disposto il rimorchio, il Lampo alle 07:30 avendo ricevuto la richiesta di aiuto da parte del Da Recco, dirigeva verso la zona del sinistro e coordinava le operazioni di ricerca naufraghi con il Camicia Nera ed iniziò ad imbarcare i feriti dal Da Recco. Tale attività continuò fino all’arrivo in zona del Cacciatorpediniere Da Noli (Capitano di Fregata Pio Valdambrini) e del Cacciatorpediniere Pigafetta (Capitano di Vascello Del Minio) ed essendo il Comandante di quest’ultimo il più anziano sulla scena del disastro della battaglia, assumeva il Comando delle operazioni e disponeva che:

    • il Pigafetta prendesse a rimorchio il Da Recco (di poppa) e facesse rotta verso Trapani scortato dai MAS 563 e 576;
    • il Lampo, già impegnato nel recupero dei feriti dal Da Recco, li trasferisse sul Da Noli che aveva a bordo il medico e poi si disponesse a protezione del Pigafetta/Da Recco;
    • il Da Noli trasferisse i feriti più gravi sulla nave Capri appena questa sarebbe giunta in area ed al termine di disporsi a protezione del Pigafetta/Da Recco, operazione che eseguì alle 11.24 dopo il trasbordo di 40 ustionati;
    • il Camicia Nera e le altre unità di rimanere in zona per la ricerca di naufraghi.

    A rinforzare il dispositivo di ricerca naufraghi nell’area dello scontro alle 09:10 erano giunte anche le Torpediniere Partenope (Capitano di Corvetta Gustavo Lovatelli) e Perseo (Tenente di Vascello Saverio Marotta), in mare dalle 02:15 del giorno 1 per un’attività antisommergibile sulla rotta Trapani – Biserta. Avendo intercettato la richiesta di aiuto del Da Recco, informando Marina Trapani, il Comandante Lovatelli d’iniziativa aveva deciso di sospendere l’attività e di dirigere in soccorso al convoglio H. Nelle vicinanze del Puccini dove erano presenti il Perseo, il Numana ed il Camicia Nera giunse, altresì, alle 15:00 il Da Noli, che il Pigafetta aveva distaccato alle 11:54, allo scopo di coordinare le operazioni di soccorso. Infine, alla scorta del Da Recco alle 15:00 si aggiunse al Lampo anche il Clio che anziché rientrare a Trapani, come gli era stato ordinato dal Climene al termine della sua attività di scorta del rimorchio del Giorgio, chiese di aggregarsi al gruppo.

    6. Mattino del 2 dicembre 1942
    La situazione il mattino del 2 dicembre era la seguente:

    Convoglio H

    • KT 1 affondato alle 00:40 circa;
    • Aventino affondato alle 00:55 circa;
    • Puccini immobilizzato alle 01:08 ed affondato alle 15:00 dal Camicia Nera;
    • Cacciatorpediniere Folgore affondato alle 01:16;
    • Aspromonte affondato alle 01:29;
    • Cacciatorpediniere Da Recco gravemente danneggiato e rimorchiato a Trapani;
    • Torpediniera Procione danneggiata e, con i propri mezzi, giunta a nel porto di La Goletta (Tunisia) alle 08:00;
    • Cacciatorpediniere Camicia Nera indenne;
    • Torpediniera Clio indenne.

    Convoglio G

    • Cisterna Giorgio danneggiata, prima arrenata nella zona di Trapani e successivamente trasportata in tale porto. Il 21 marzo 1943, mentre la stavano rimorchiando per portarla Genova per i lavori di riparazione, fu affondata con un siluro dal sommergibile britannico Splendid;
    • Nessun danno alle unità di scorta.

    Convoglio B
    Il convoglio B che aveva accostato alle 22:30, che sin dall’inizio aveva visto in lontananza di prora sinistra i bengala e successivamente molti altri in direzione del convoglio H, accostò per levante e successivamente per 150° per non avvicinarsi troppo alle unità sotto attacco per trapani, alle 01:00 su ordine del Cacciatorpediniere Nave Maestrale dirigesse per Palermo.

    Convoglio C
    Il convoglio C fu seguito durante la giornata del 2 da aerei di Malta; al tramonto, all’altezza delle boe di Kerkenah, fu attaccato da aerosiluranti che incendiarono un piroscafo. La torpediniera Lupo, rimasta in zona per recuperare i naufraghi, fu sorpresa, cannoneggiata ed affondata, verso la mezzanotte, da una Squadriglia di Cacciatorpediniere britannici.

    Forza Q
    Il gruppo navale britannico non subì perdite nello scontro a fuoco con le navi italiane ma durante il rientro a Bona fu attaccato da aerosiluranti tedeschi del KG.26 e da Ju-88s del II FK, uno di questi colpì con una bomba da 500 kg. l’HMS Quentin che affondò in 4 minuti (alle 06:40) in posizione 37º32’N, 08º32’E. Persero la vita nel naufragio 20 uomini. Il Quentin aveva affondato insieme al Quiberon il smg. Italiano Dessiè pochi giorni prima (28 novembre 1942) davanti Annaba.

    7. Le vittime
    Nel combattimento persero la vita 2200 italiani su un totale di 3300 imbarcati sulle unità militari e sulle unità del convoglio H. In particolare, le perdite della Regia Marina furono di 286 uomini così suddivise:

    • 124 morti sul Folgore (4 Ufficiali, 13 Sottufficiali, 107 Sottocapi e Comuni);
    • 118 sul Da Recco (5 Ufficiali, 15 Sottufficiali e 98 tra Sottocapi e Marinai);
    • 3 sul Procione (due Sottufficiali e 1 Marinaio);
    • 41 sull’Aspromonte (6 Sottufficiali e 35 Sottocapi e Comuni).

    Morirono circa 200 componenti degli equipaggi civili o militarizzati dei mercantili e dei 1766 militari trasportati dall’Aventino e dal Puccini, se ne salvarono solo 239. Complessivamente vennero tratti in salvo un terzo del totale degli uomini imbarcati sulle navi del convoglio.
    Molti corpi furono ritrovati dopo molti giorni, alcuni anche dopo un mese, sulle spiagge delle Egadi e della Sicilia occidentale.

    8. Il rifornimento delle truppe italo – tedesche
    Benché ufficialmente viene indicata come “Difesa del Traffico”, la “Battaglia dei Convogli” ha visto, per tutti i trentanove mesi del conflitto, è stata un’attività imponente, massacrante, dove si sono verificati gli scontri più cruenti e dove si sono avute ingenti perdite.
    Nella pianificazione e nell’impiego delle forze e nello svolgimento dell’attività:

    • “………… Non si era preveduto e forse non era possibile prevedere che sarebbe stato necessario scortare grossi e frequenti convogli per il nord africa e per l’Albania. Ben presto quindi si dovette far ricorso ai cacciatorpediniere di squadra con il risultato di perderne qualcuno e di logorarli tutti più o meno rapidamente”. (“Il tramonto di una grande Marina” di Angelo Iachino);
    • ……….Il compito fu assolto dai nostri instancabili cacciatorpediniere con l’abnegazione, la bravura, il valore e la tenacia che erano loro tradizionali. Nel corso della guerra i nostri caccia hanno fatto di tutto: dalla scorta delle navi da battaglia, quelle rare rarissime volte, che tali navi hanno preso il mare, alle ben più impegnative scorte di convogli.” (“Convogli” di Aldo Cocchia).

    Il compito principale della Marina, che il Capo del Governo voleva offensivo su tutta la linea nel Mediterraneo e fuori, fu invece quello della protezione dei traffici per garantire il rifornimento delle nostre truppe impiegate fuori area, la protezione delle linee commerciali marittime per il rifornimento delle materie prime ed il contrasto dei rifornimenti dei nemici.
    Per molto tempo è stata attribuita alla Regia Marina la colpa per l’insuccesso della Campagna d’Africa delle truppe tedesche e del nostro Esercito e spesso si è data anche troppa importanza al ruolo di Malta, che comunque è stata una spina nel fianco per buona parte del conflitto, ma i numeri parlano chiaro e sono riportati nelle tabelle presenti nel Volume 1 “dati Statistici (2a edizione) del 1972 dell’USMM di cui si riporta di seguito la sintesi delle percentuali di personale e materiali giunti a destinazione:

    Libia
    Personale        91,6%
    Materiale        85,9%

    Tunisia
    Personale        93%
    Materiale        71%

    Se quindi si devono cercare giustificazioni per lo scarso rifornimento delle truppe italo – tedesche queste sono da ricercare principalmente:

    • nella scarsa disponibilità di rifornimenti disponibili in partenza;
    • nella scarsa produzione industriale per mancanza di materie prime;
    • al disastrato stato del trasporto ferroviario;
    • nelle scarsa capacità ricettive dei porti libici.

    Nelle guerre la logistica è fondamentale. La “rotta della morte” è stata una delle pagine più tristi della Regia Marina per il numero delle vittime; spesso si fanno dotte conferenze sulle principali battaglie (Punta Stilo, Gaudo, Matapan, Teulada, mezzo agosto, 1 e 2 Sirte, ecc…..) ma ci si dimentica di ricordare quelle unità e quegli uomini che con eroismo e a testa alta seppero reagire con valore contro nemici meglio organizzati, tecnologicamente più avanzati, con netta superiorità nel controllo aeronavale ed aiutati spesso da un efficiente sistema di intelligence (ENIGMA).

    9. Il Folgore ed il Sottocapo Motorista Di Palo Domenico
    Il comandante del Folgore Capitano di Corvetta Ener Bettica morì scegliendo di rimanere sulla sua nave che affondava. Gli fu conferita alla memoria la Medaglia d’oro al valor militare ed una nostra unità oggi porta il suo nome.
    Il Folgore aveva effettuato complessivamente 155 missioni di guerra (4 con le forze navali, 8 di caccia antisommergibile, una di bombardamento controcosta, 77 di scorta convogli, 14 addestrative e 51 di trasferimento o di altro tipo), percorrendo 56.578 miglia e trascorrendo 33 giorni ai lavori.
    Sul cacciatorpediniere era imbarcato il Sottocapo Motorista Di Palo Domenico nato ad Afragola (Napoli) il 31 gennaio 1922 deceduto quel tragico 02 dicembre1942. Il suo corpo fu recuperato e sepolto nel cimitero della città natale.
    I parenti se vogliono acquisire maggiori notizie possono richiedere:

    – il foglio matricolare da cui trarre notizie relative alla vita militare del Caduto al Centro Documentale (ex Distretti Militari) e/o all’Archivio di Stato competente per territorio, in base alla provincia di nascita;

    – la documentazione anagrafica (atto di nascita, atto di morte, ecc..) al Comune di nascita;

    – notizie/documenti relative alla definizione dello “status giuridico matricolare” del Caduto al Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati – III Reparto – viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;

    – le vicende storiche dell’unità all’ Ufficio Storico della Marina Militare (appaiono comunque esaustive le notizie riportate nel presente articolo che possono essere integrate con quanto riportato nei libri editi dallo Stato Maggiore Marina e dalle numerose notizie presenti su internet).

    – la verifica di eventuali onorificenze/decorazioni concesse al Caduto al Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare – V Reparto – 10^ Divisione Ricompense ed Onorificenze – viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma.

    Qualora al caduto competevano ma non sono state concesse/richieste onorificenze i parenti possono avanzare domanda secondo le modalità definite da predetto Reparto.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Giovanni De Cesare (Molfetta, 30.9.1911 – Amburgo, 28.1.1944)

    di Roberto Zamboni
    tratto dal sito www.dimenticatidistato.com

    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com

    (Molfetta, 30.9.1911 – Amburgo, 28.1.1944)

    MARINAIO DIMENTICATO DI STATO

    DE CESARE Giovanni, nato il 30 settembre 1911 a Molfetta (Bari) 1a, 10 – Deceduto il 28 gennaio 1944 – Sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo (Germania) 1a – Posizione tombale: riquadro 2 – fila S – tomba 46 1b. Fonti: 1a, 1b, 10 – Celestino Balacco (nipote).

    De Cesare Giovanni f.p.g.c. www.dineticatidistato.com

    Ricostruzione di Celestino Balacco (nipote)
    Roberto Zamboni per www.lavocedelmarinaio.com
    Le dico subito che nel leggere e guardare le foto sul suo sito ho avuto una stretta al cuore, perché ciò che lei ha fatto per suo zio, io l’ho fatto per mio nonno. In particolare la foto della cassetta avvolta nel tricolore e la «cronaca» del rimpatrio sono stati toccanti perché «vissuti». Per di più io ho fatto tutto da solo e consultare il suo lavoro mi avrebbe agevolato tantissimo!
    Dunque, mio nonno De Cesare Giovanni, dopo un assurdo silenzio dello Stato che lo aveva dichiarato solo disperso per tantissimi anni, è stato prima scoperto in Germania, poi traslato in Italia ed infine onorato con la concessione delle medaglie da me.

    de-cesare-giovanni- riesumazioni ad amburgo-2

    Ma quanto mi è costato in termini di tempo e di pazienza! […] E pensare che i documenti sulla sua sorte esistevano tutti: addirittura ho trovato l’atto di requisizione della sua nave da parte della Regia Marina! Ma tutti hanno taciuto, anche in occasione di spostamenti della salma! […]

    de-cesare-giovanni-iscrzione monumentale del cimitero italiano di amburgo

    Mio nonno fu iscritto alla «Gente di Mare» del Compartimento marittimo di Bari.
    Nel 1932, dopo la scuola militare CREM (Corpo Reale Equipaggi Marittimi) di Pola, fu imbarcato sulla Regia Nave Libia e sul Regio Incrociatore Trento, come Marò Comune di 1a Classe della Compagnia del Battaglione San Marco. Terminò a Taranto il servizio di leva (28 mesi).
    Allo scoppio della seconda Guerra Mondiale fu imbarcato, come militarizzato, sulla nave requisita dalla Marina Mercantile Italiana «Corso Fougier» (1348 tonnellate) che assicurava i rifornimenti nell’Egeo.
    Al momento dell’armistizio, la nave fu catturata dai tedeschi a Patrasso e condotta al Pireo (dove sarebbe poi stata autoaffondata nel 1944 per ostruirne il porto).
    A seguito di ciò, mio nonno, il 9 settembre 1943 veniva catturato dai tedeschi e internato in Germania, dove moriva ad Emden (Bassa Sassonia), a causa di un bombardamento, il 28 gennaio 1944.

    de-cesare-giovanni a sinistra -in-cina (foto celestino Balacco)

    Fu inumato in prima sepoltura nel cimitero di Wilhelmshaven l’11 febbraio 1944, alla tomba feld cb 147.
    In data 21 febbraio 1958 i suoi resti furono traslati nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo.
    Dopo oltre 60 anni di sepoltura in Germania, con grandi difficoltà, è ritornato in Patria dove, dal 30 gennaio 2005 riposa nella chiesa / sacrario militare del cimitero della città natale di Molfetta. Alla sua Memoria sono state concesse la Croce al Merito di Guerra e la Medaglia d’Onore agli Italiani internati nei lager nazisti.

    de-cesare-giovanni-rimpatrio a Molfetta dei resti di