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    Pasquale Ambrosetti (Torre Annunziata (NA), 9.9.1923 – Mare, 22.9.1943)

    Vincenzo Marasco e Antonio Papa – Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”

    (Torre Annunziata (NA), 9.9.1923 – Mare, 22.9.1943)

    Alla lieta e cara memoria del Marinaio Ambrosetti Pasquale, Figlio di Torre Annunziata.

    Aprendo la cartella che raccoglie i pochi documenti che narrano dell’ultimo istante di vita di Ambrosetti Pasquale, perso in quelle righe dattiloscritte, mi sono dovuto fermare un attimo per riflettere, attonito in un doveroso silenzio. Perché, di fronte ad una storia del genere, il silenzio è forse l’unico modo per assimilarla e per ricordare in modo giusto, come meritano tantissimi altri casi, questo giovanissimo figlio della nostra amata cittadina.

    Pasquale nasce nel ventre nella città e crebbe tra quei popolosi e stretti vicoli sorti a ridosso delle Mascatelle dagli inizi dell’800. Così, Pasquale, figlio di Enrico e di Maria Cirillo, il 9 settembre del 1923 vide la luce in Via Giardino al civico 10.
    La guerra fagocita giovani, presto riservò la sua chiamata anche per Pasquale. Così in un attimo, da quella specie di grembo materno rappresentato dagli angusti vicoli di Torre Annunziata, si ritrovò a La Spezia per essere arruolato negli equipaggi della Regia Marina, per poi essere destinato sul fronte di mare delle isole greche dell’Egeo Meridionale, in forza al Comando Marina di Rodi.
    L’8 settembre 1943, oltre a segnare le sorti dell’Italia, della folle idea espansionistica fascista e quelle di migliaia e migliaia di nostri soldati abbandonati a loro stessi su più fronti, segna anche la vita di Pasquale.
    Dopo la rovinosa caduta italiana, ai soldati tedeschi venne impartito dai loro vertici di rendere prigionieri tutti i militi italiani e di deportarli. A coloro che invece avessero scelto la non resa, l’ordine perentorio era quello di passarli per le armi: fucilati!
    In pochi giorni i comandi italiani delle isole dell’Egeo vennero presi dai nazisti. A Rodi, dove vi era una delle guarnigioni della Marina e dell’Aeronautica più importanti, i tedeschi, preso il comando, ne ordinarono subito la deportazione di 2100 tra avieri e marinai. All’uopo venne requisito il piroscafo Donizetti, nave cargo italiana lì arrivata il 19 settembre carica di cannoni e materiali di artiglieria. Scaricato il materiale bellico, Kleemann, ufficiale tedesco che reggeva il comando dell’isola, diede l’ordine di imbarcare gli italiani sul piroscafo, lì dove però a malapena vi potevano esserci stipati 700 uomini. L’operazione venne affidata al colonnello Arcangioli, il quale dopo aver superato i 1600 uomini imbarcati e accortosi che lo stivaggio degli italiani stava diventando un “enorme carnaio”, bloccò di sua spontanea volontà le operazioni, opponendosi alla crudeltà tedesca. Benché i nazisti, dopo averlo deposto, continuarono le operazioni si resero conto che dopo i 1800 soldati imbarcati davvero non vi era più spazio a bordo, accettando così, in parte quanto detto dal colonnello italiano.
    A bordo del Donizetti vennero così imbarcati 1835 uomini, 256 in meno rispetto all’ordine dato. Tra i marinai vi doveva essere anche il giovanissimo Pasquale.

    Il 22 sera il piroscafo, scortato da una silurante con equipaggio tedesco, molla gli ormeggi e tenendosi sotto la costa orientale dell’isola diresse verso Nord Ovest. All’1.10 del 23, si ritrovò a Capo Prasso, l’estrema punta meridionale dell’isola, quando venne ingaggiato dal cacciatorpediniere britannico Eclipse. La sciagurata opera dell’unità inglese fu rapidissima. Dall’ordine di far partire i siluri passarono pochi istanti che la Donizetti, col suo carico di italiani, centrata a morte, colò a picco. Nel vortice il piroscafo italiano tirò con se, sul fondo dell’Egeo, 600 avieri, 1110 marinai, 114 sottufficiali e 11 ufficiali.
    Senza una lista dei nominativi imbarcati a riempimento a bordo, nessuno mai seppe i nomi dei soldati imbarcati su quella nave. Pasquale, non essendo mai più stato individuato sull’isola di Rodi, venne indicato come possibile vittima di quella immane sciagura, che ad oggi è intesa come la prima grande tragedia italiana dell’Egeo.
    Alla famiglia le prime notizie sulla sorte di quel loro figlio vennero inviate solo nel giugno del 1946.


    Noi il giovane Pasquale, ragazzo torrese ventenne e fiero, non lo abbiamo dimenticato!
    Evviva il marinaio Ambrosetti Pasquale!

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    Angelo Vassallo (22.9.1953 – 5.9.2010)

    … a distanza di 12 anni dalla morte ripubblichiamo l’articolo a Lui dedicato da Gabriella Fogli, per non dimenticare mai.

    (22.9.1953 – 5.9.2010)

    “Stamattina sono per mare dalle cinque. Ho preso due aragoste, le porto a mio figlio che ha un ristorante qui in paese. Noi siamo legati al nostro territorio. Abbiamo coscienza del nostro territorio, i cittadini hanno capito che è la nostra prima ricchezza. Basta guardare il nostro porto: lo abbiamo ristrutturato e messo a posto noi. Eppure, alla fine il proprietario è lo Stato. Noi abbiamo fatto mutui per quarant’anni, investiamo e costruiamo per arricchirlo, ci lavorano tanti nostri giovani; e lo Stato cosa fa? Addirittura nell’assegnazione delle banchine, lo Stato preferisce i privati che si arricchiscono e non ci lasciano neanche un euro, mentre il comune, con i soldi che guadagna dalle concessioni, riesce a manutenere questa struttura e perfino a destinare una parte dei guadagni nei servizi per i nostri cittadini.
    Abbiamo costruito un caffè letterario nel paese più piccolo. Abbiamo realizzato un lungomare pedonale a Pioppi, dove altrimenti la gente non sapeva nemmeno dove incontrarsi. Stiamo costruendo un centro nautico che gestiranno dei ragazzi disabili.
    Ed entro la prossima estate rifaremo tutto il piazzale a fronte del porto. Per avere la concessione della struttura, che ci costa un sacco di soldi, abbiamo dovuto fare causa allo Stato. Cose da pazzi. Noi siamo una delle poche realtà in Italia ad arricchire lo Stato. Lo Stato invece fa profitti e basta.”
    (Angelo Vassallo, 22.9.1953 – 5.9.2010).

     

    Questo scriveva Angelo Vassallo, e forse in queste righe c’è una parte del perché della sua morte. Pochi di noi lo conoscevano, era un sindaco di una cittadina come tanti, ma lui svolgeva il suo compito in un territorio particolare, una “perla” in mezzo a tanta immondizia, un uomo che ha cercato in ogni modo, con il sostegno dei suoi collaboratori e dei cittadini tutti di mantenere “pulita” l’anima della città prendendo a schiaffi degli spacciatori, vigilando su chi acquistava certe ville che passavano di mano pronta cassa. Queste ville sono il segnale usato dalla Camorra per far sapere che è arrivata, pronta a controllare il posto.
    Ad ogni modo, al di là di quelle che sono le indagini e che riguardano la magistratura, come semplice cittadina vorrei proporre due semplici osservazioni:
    – poteva la camorra tollerare che una persona come Vassallo fosse di esempio ed incoraggiamento per altri amministratori nella lotta per liberare il territorio? Vi pare plausibile? Francamente credo di no, al di là degli interessi in ballo, qui c’è in gioco ben altro, è una lotta di poteri, ed eliminare Vassallo significa mandare un messaggio forte e chiaro: o con noi, o contro di noi, peccato che il contro di noi non sia ammesso …
    Era prevedibile un attentato? Si poteva ipotizzare la necessità di una scorta? Non godendo di nessuna protezione per i killer, chiunque fossero, è stato semplice eliminarlo.

    ELIMINARE … stiamo parlando di un uomo, un marito, un padre. Un uomo è stato tolto alla sua famiglia, dei figli sono stati privati del proprio papà, una comunità del proprio primo cittadino, e tutti quelli che ancora credono in certi valori hanno perso un esempio.
    Tra qualche giorno i giornali non se ne occuperanno più, se non saltuariamente. Il mondo corre i fretta, si brucia tutto in pochi attimi, poi … cala in silenzio. Ma la sua famiglia è ormai segnata da un dolore immenso che non cade nel dimenticatoio, no… ogni giorno dovrà fare i conti con il posto a tavola vuoto, con la mancanza della sua presenza che forse solo il tempo potrà alleggerire, ma non dimenticare.

    Arrivederci Angelo, non ci siamo incontrati in questa vita, forse ci incontreremo nell’altra.

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    Renzo Galimberti (Lissone 3.4.1923 – Mare, 22.9.1943)

    di Marino Miccoli

    (Lissone 3.4.1923 – Mare, 22.9.1943)

    Ricordando il Marinaio fuochista morto a 20 anni sul piroscafo Sgarallino.

    Era un Marinaio giovanissimo Renzo Galimberti quando perì nell’affondamento del piroscafo Andrea Sgarallino su cui prestava servizio.
    Originario di Lissone, una bella e produttiva cittadina confinante con la città di Monza, capoluogo della Brianza verde ed operosa, prima di indossare la divisa della Regia Marina era stato un operaio del mollificio Cagnola.
    Della classe 1923, la morte lo ghermì improvvisamente a soli 20 anni, mentre prestava servizio sulla sua Unità con la qualifica di Marinaio Fuochista.
    Il piroscafo, (di circa 730 tonnellate di stazza, lungo 56 metri e largo 8, che portava il nome di un patriota: il colonnello Andrea Sgarallino, livornese, il quale con Garibaldi partecipò all’impresa dei Mille) era stato varato nel 1930, nel nuovissimo Cantiere Navale Odero-Terni di Livorno, con materiali e tecniche ritenuti all’avanguardia per quei tempi. La cronaca dell’epoca al riguardo scrisse: “oltre ad avere qualità nautiche indiscutibili, comodità immense per i passeggeri e l’equipaggio, è stato curato così minuziosamente nei suoi particolari e con un tal buon gusto da farlo sembrare un pacchetto in miniatura”.
    Navigava per i servizi di linea nell’Arcipelago Toscano quando allo scoppio della guerra, nel 1940, viene requisito dalla Regia Marina.
    Armato con due cannoncini e mimetizzato con apposita livrea, fu ribattezzato nave ausiliaria posamine F.123 e destinato a servizi militari.

    Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 riprese il servizio di trasporto passeggeri (civili e militari da e per l’isola d’Elba), recapito della posta e di approvvigionamento derrate e merci varie con la terraferma. Quando i tedeschi occuparono l’isola d’Elba la nave fu confiscata e le venne imposto di inalberare la bandiera del III Reich; questo fatto unitamente al suo aspetto di nave da guerra contribuirà al verificarsi del suo tragico affondamento, avvenuto la mattina del 22 settembre 1943. Il piroscafo, comandato dal STV Carmelo Ghersi, stava effettuando la traversata tra Piombino e Portoferraio carico di militari e civili italiani; quando giunge nelle acque di Nisporto, a circa un miglio di distanza dall’isola d’Elba, venne silurato dal sommergibile britannico Uproar. Vedendo la nave mimetizzata militarmente e battente bandiera tedesca, il comandante del sommergibile non esitò ad attaccare ordinando il siluramento. Sono le 9.49 quando due siluri esplodono spezzando il piroscafo in due tronconi; purtroppo l’affondamento è immediato e avviene una strage. Nella tragedia periscono circa trecentotrenta persone innocenti, proprio quando il piroscafo era giunto a poche centinaia di metri dall’attracco. Soltanto quattro furono i sopravvissuti.

    Oggi il relitto si trova, adagiato sul fondale, spezzato in due, a circa 66 metri, nel punto Lat. 42° 50’ N – Long. 010° 21’ E .

    Dalle amare parole di una testimone che all’epoca era dodicenne, la signora Marisa Burroni, si può comprendere quale fu l’entità della tragedia:

    […] Ricordo che la nave era avvolta dalle fiamme e da un denso fumo, dopo pochi minuti le fiamme si spensero e lo Sgarallino era scomparso sotto al mare. Quel giorno infame un vento leggero faceva giungere a tratti le urla di quei disperati. Ricordo che tutti correvano verso il porto e io feci lo stesso. So che i soccorsi partirono molte ore dopo il siluramento perché c’era la paura che quel maledetto sommergibile fosse ancora lì per colpire ancora. Non dimenticherò mai le decine di corpi esanimi distesi dal molo del Gallo fino a quasi la porta di ingresso di Portoferraio. La gente voltava i cadaveri per vedere se riconoscevano amici o parenti mentre alcune donne portavano le lenzuola per coprire quei poveri corpi, ma più di tutto ho chiaro nella mente il corpicino di un bimbo vestito di celeste; che Dio maledica la guerra, tutte le guerre.”

    Di seguito riporto alcuni toccanti e significativi versi di una ballata popolare composta sui tragici fatti accaduti quel giorno.

    LA BALLATA DELLO SGARALLINO
    Il ventidue settembre
    partiva da Piombino
    ben carico di gente
    l’ “Andrea Sgarallino”
    […]

    Erano tutt’a bordo, erano ben stipati
    e in più di trecento non sono più tornati

    Si sentono le grida
    si sentono le urla
    si chiama il capitano
    e non è certo burla

    Si sentono le grida
    nessuno è più al sicuro:
    “Buttarsi tutt’a mare,
    che sta a arrivà un siluro!”

    Erano tutt’a bordo, erano ben stipati
    e in più di trecento non sono più tornati

    Ma non féciono in tempo,
    nessun s’era buttato;
    che ci fu l’esplosione
    dell’ordigno scoppiato

    Ma non féciono in tempo,
    nessun s’era salvato;
    e per trecentotrenta
    il tempo s’è fermato

    Erano tutt’a bordo, erano ben stipati
    E in più di trecento non sono più tornati

    Aspetta aspetta al molo
    la gente ‘un vé arrivare
    la nave di ritorno
    e inizia a lagrimare

    Aspetta aspetta al molo
    la gente ode vociare
    che l’Andrea Sgarallino
    or giace in fondo al mare!

    Questi tristi versi, dettati dal grande e profondo sentimento di cordoglio popolare, ci aiutano a comprendere quale immane tragedia avvenne quel giorno e ci spronano a riflettere e a tenere sempre presente quanto grande, importante e inestimabile sia il valore rappresentato dalla pace tra le nazioni.

    Il 29 maggio 2013 la sezione A.N.M.I. di LISSONE – gruppo Brianza- è stata intitolata al Marinaio Fuochista Renzo Galimberti e sul monumento dei Caduti del mare di Lissone è stata deposta una targa commemorativa.
    Desidero inoltre evidenziare che considero bello e assai significativo il fatto che una sezione dell’ANMI come quella di Lissone (alla quale sono iscritto) sia stata intitolata a un MARINAIO, ossia non a un blasonato Ammiraglio o un famoso Comandante, ma mi piace ribadirlo, a un Marinaio fuochista che a soli 20 anni è perito nell’espletamento del suo prezioso servizio in sala macchine.
    Oggi 22 settembre 2022, nel 79° anniversario dell’affondamento del piroscafo Andrea Sgarallino, desidero ricordare il sacrificio di Renzo Galimberti e dei Marinai componenti l’Equipaggio nonché la scomparsa dei numerosi Civili che vi erano trasportati. Attraverso il lodevole sito de LA VOCE DEL MARINAIO ne onoriamo la memoria rivolgendo loro il nostro deferente pensiero.

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    Luigi Fusco (Sepino (CB), 26.3.1924 – Mare, 22.9.1943)

    di Vincenzo Campese (*)

    (Sepino (CB), 26.3.1924 – Mare, 22.9.1943)

    S.O.S. RICHIESTA FOTO E ULTERIORI NOTIZIE

    Una vicenda che vede coinvolto il Marinaio Luigi Fusco nato a Sepino (CB) il 26 marzo 1924 – In servizio presso il Porto di Taranto – morto il 22 settembre 1943 a seguito dell’affondamento del rimorchiatore Sperone della Regia Marina saltato su una mina tedesca.
    L’8 settembre 1943, giorno della proclamazione dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, nella rada del Mar Piccolo di Taranto, si trovavano due motosiluranti tedesche la S 54 e la S 61. Vi era poi la motozattera MFP 478 comandata anch’essa da un sottufficiale, che aveva da poco sbarcato le sue ventidue mine tipo TMA/B al deposito di Buffoluto.

    Il Comandante tedesco della S 54 K-D Schmidt, alle ore 21:28 aveva ricevuto dal comandante della 3ª Flottiglia,  l’ordine di lasciare al più presto il porto di Taranto, poco prima della mezzanotte chiese all’ammiraglio di squadra Bruto Brivonesi, comandante del Dipartimento marittimo Jonio e Basso Adriatico, l’autorizzazione a far partire le tre navi in ore notturne per un porto della Grecia, motivandolo con il timore di trovare all’alba unità navali britanniche in prossimità della base.
    Richiese anche il permesso di spostare le due motosiluranti dal Seno di Levante del Mar Piccolo, ove si trovavano decentrate, “a San Pietro per distruggere i congegni di accensione delle torpedini elettriche depositate in detta isola” dalla marina germanica. Schmidt assicurò che le motosiluranti «non avrebbero compiuto atti ostili entro le acque territoriali italiane», al che Brivonesi acconsentì alle sue richieste, facendo però accompagnare le due motosiluranti tedesche da due motoscafi italiani.
    Quella stessa notte arrivò una telefonata dal deposito munizioni di Buffoluto, in cui si domandava come comportarsi nei riguardi della motozattera germanica che con minacce pretendeva di reimbarcare le sue mine. L’ammiraglio Brivonesi capo del Dipartimento o un suo subalterno rispose: “È roba loro dategliele”.

    Quindi, le due motosiluranti tedesche S-Boote e la motozattera MFP, salparono alle 2.30 dal Mar Piccolo, passarono il canale navigabile e – nonostante che il CinC avesse disposto di tenerle sotto sorveglianza fino al passaggio delle ostruzioni esterne del Mar Grande, la MFP, contravvenendo all’impegno preso, disseminò tranquillamente le sue 24 mine nel Mar Grande tra le 3:15 e le 4:00 di quella notte senza che nessuno se ne accorgesse, e senza che nessuno notasse al passaggio delle ostruzioni esterne che non aveva più le mine sul ponte.
    L’operazione di posa mine, iniziata a poche centinaia di metri dall’imboccatura del canale navigabile, e proseguita nel Mar Grande con le navi che continuavano a procedere in linea di fila, anche per non fornire sospetti.
    Il 9 Settembre, ad iniziare dalle ore 17:00, gli incrociatori britannici cominciarono ad entrare nel Mar Grande e, mentre si portavano all’attracco nel porto mercantile per iniziare lo sbarco delle truppe, furono seguiti dalle corazzate che si ancorarono in rada. Verso le ore 24:00, mentre l’operazione per mettere a terra soldati era in pieno svolgimento, il posamine veloce Abdiel, che si era ancorato nel Mar Grande a circa 700 metri per sud-sudovest dal castello aragonese e quindi all’entrata del canale che porta al Mar Piccolo, ruotando sull’ancora finì su una delle mine magnetiche tedesche, posate nella notte precedente. In quel momento (erano le 00:15 del 10 settembre), l’Abdiel stava sbarcando i suoi quattrocento soldati del 6º battaglione paracadutisti (Royal Welsh).
    L’esplosione della mina TMA/B, fortissima, fu udita in ogni angolo del porto, ed il posamine, con le paratie dello scafo squarciate, si spezzò in due tronconi e affondò in soli due minuti.  Con l’Abdiel si persero 48 uomini dell’equipaggio, 6 ufficiali, e 101 soldati. I feriti furono 126, tra cui 6 marinai, e 150 le tonnellate di materiale perduto, sotto forma di armi ed equipaggiamenti per le truppe, incluse 8 Jeep, 76 cannoni controcarro e munizioni. Le perdite umane potevano essere molte di più se gli uomini della nave non si fossero trovati in coperta a causa del caldo opprimente nei locali inferiori.

    L’affondamento del rimorchiatore Sperone nel Porto di Taranto
    Le perdite causate dalle mine magnetiche tedesche non furono limitate a quella del solo Abdiel, dal momento che alle ore 13:50 del 22 settembre, durante un normale spostamento all’interno del Mar Grande, si verificò un’esplosione che determinò l’affondamento del rimorchiatore italiano Sperone (86 tsl) dopo aver urtato una mina tedesca.  Il rimorchiatore, al comando del 2° capo nocchiere Elio Cesari, effettuava il consueto servizio di trasporto viveri e merci varie per gli insediamenti militari sulle Isole Cheradi (San Pietro e San Paolo). In poco tempo l’imbarcazione si inabissò. A bordo c’erano 148 uomini, tra equipaggio, personale di passaggio e militari che si recavano in libera uscita dall’Isola di San Pietro a Taranto. Di questi, 51 furono i feriti, 97 le vittime. Tra le vittime anche il marinaio molisano Luigi Fusco.
    Ciò avvenne mentre dragamine italiani e Alleati stavano lavorando in un’opera di bonifica nel Mar Grande che, in una quindicina di giorni portò alla distruzione di ventuno mine.
    Il tragico affondamento dello Sperone è ricordato con una targa in marmo posta su un edificio dell’Isola di San Pietro

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/09/22-9-1943-regio-rimorchiatore-sperone/

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    Giuseppe Masala (Cagliari 18.1.1921 – 22.9.2010)

    di Ugo Masala (*)

    (Cagliari 18.1.1921 – 22.9.2010)

    Ciao Ezio, come stai?
    Qui sull’Isola tutto bene. Sto impegnando il mio tempo a fare la ricerca genealogica di tutta la mia parentela, e in particolare su mio padre. Lui purtroppo adesso non c’è più, dal 2010,  è stato uno dei Marinai Prigionieri degli Alleati nella Grande Guerra.
    Ho reperito il suo Foglio Matricolare che mi conferma ciò che lui mi ha sempre detto. E’ stato catturato a Biserta l’8 maggio 1943, e poi portato in prigionia a Marlborough in Inghilterra sino al giorno della liberazione risalente alla data del 17 maggio 1946.

    Mi chiedevo se magari nelle tue informazioni, fra i lettori del tuo blog, risulti qualche notizia di mio padre Giuseppe, in particolare sto’ cercando di capire esattamente in quale Indirizzo e Campo il mio papà ha trascorso i 3 anni di prigionia.

    Lui si Chiamava Masala Giuseppe nato a Cagliari il 18.01.1921 e deceduto a Cagliari il 22 settembre 2010., era un elettricista. Chissà se capito nei miei viaggi a Londra vorrei tanto andarci. Un Caro Saluto, attendo tue e vostre notizie al seguente indirizzo facebook: https://www.facebook.com/ugo.masala

    Caro Ezio, ho avuto modo di soffermarmi sulle storie pubblicate nel sito e della ”Banca della Memoria”. Si evincono in esso tante belle storie che mi portano a fare una riflessione. “Io non so se mio padre abbia tutti i requisiti per poter essere ammesso affianco a queste persone. Quello che so è che anche lui, nel suo piccolo, da buon soldato del Re, è stato catturato ed è stato prigioniero degli Alleati.

    Sono partito con il foglio di seguito allegate, per le valutazioni del caso:

    Spero di averti fornito tutta la documentazione del caso, hai carta bianca su qualsiasi cosa tu voglia pubblicare e far conoscere ai lettori. Sono altresì convinto che tu gli sappia dare il giusto valore e ne sappia fare sicuramente buon uso.

    Un grande Abbraccio, e grazie di tutto. A presto Ugo.

    P.s. Per finire Chiaramente – Croce al Merito di Guerra in virtu’ del R.D. 14.12.1942 n° 1729 con determ. Stato Maggiore Marina in data 30.06.1963 n° 120284.

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    Mario Mastrangelo (La Spezia, 10.1.1900 – Cefalonia, 22.9.1943)

    a cura Antonio Cimmino

    Medaglia d’Oro al Valor Militare

    (La Spezia, 10.1.1900 – Cefalonia, 22.9.1943)

    “Comandante di Marina a Cefalonia, all’atto dell’armistizio, eseguiva con decisione e senza esitazione alcuna gli ordini relativi allo sgombero del naviglio. Intuita tra i primi la possibilità e l’utilità di una pronta azione contro i tedeschi, ne fu strenuo assertore presso il Comando dell’Isola.
    In un ambiente quanto mai eccitato per la divisione degli animi, manteneva salda la disciplina tra i reparti di Marina a Lui affidati e, presa l’iniziativa di reagire con le proprie batterie, quantunque in minorate condizioni fisiche, manteneva il comando, dando prova di attaccamento al dovere ed elevato spirito aggressivo durante lunghi ed accaniti combattimenti.
    Catturato, veniva barbaramente trucidato dal nemico che vedeva i Lui uno dei promotori di quella disperata ed eroica resistenza. Faceva così olocausto della vita alla Patria, tenendo alto l’onore delle armi e lasciando ai posteri fulgido esempio di alte virtù militari”. (Arrotoli – Cefalonia 8-24 settembre 1943).