Storia

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    22.3.1923, radiazione della regia nave Puglia

    di Carlo Di Nitto e Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Il regio ariete torpediniere “Puglia” (incrociatore protetto), classe “Lombardia” o “Regioni”, dislocava 3096 tonnellate a pieno carico. Era stato impostato nel mese di ottobre 1893 nell’Arsenale di Taranto. Varato il 22 settembre 1898, era entrato in servizio il 26 maggio 1901.
    Come le altre unità della stessa classe, la costruzione di questo incrociatore fu più ispirata ai servizi stazionari oltremare piuttosto che ad un impiego di squadra, a causa della sua scarsa velocità e protezione. Nonostante ciò, si rivelò una nave con ottime qualità nautiche in grado di assicurare grande stabilità, galleggiabilità ed ottima manovrabilità con mare grosso, doti queste che favorivano ampia precisione nei tiri delle artiglierie di bordo.
    Il 3 giugno 1901, subito dopo la sua entrata in servizio, partì per l’Australia e l’Estremo Oriente. Per circa un anno svolse diverse missioni lungo le coste della Cina, della Corea e del Giappone. Ripartì per l’Italia il 19 novembre 1902 e, dopo aver toccato diversi porti dell’oceano Indiano, rimpatriò il 7 gennaio 1903.
    Nel luglio successivo fu dislocato nei porti dell’America Centrale e delle Antille e navigò anche verso le coste del Brasile e del Plata; quindi dopo aver attraversato lo Stretto di Magellano, risalì lungo le coste americane del Pacifico fino a San Francisco. Diresse quindi verso il Giappone e la Corea. Il 15 giugno 1905 rientrò in Italia, a Taranto, dopo due anni di servizio in acque d’oltremare. Dopo aver effettuato lavori di manutenzione, il 16 dicembre 1907 ripartì per nuove missioni in America, e  in Cina dove stazionò a Shangai fino al 28 dicembre 1909.

    Nel 1911, durante la guerra italo – turca, fu destinato in Mar Rosso dove operò attivamente in crociere di sorveglianza anti contrabbando e di bombardamento di truppe nemiche. In particolare, affondò ad Akaba la cannoniera turca Alish, tagliò il cavo telegrafico Gedda – Suakim e catturò diversi sambuchi.
    Nel 1914 assunse la classifica di nave posamine e durante la Grande Guerra effettuò numerose missioni per la posa di sbarramenti offensivi e difensivi nell’Adriatico. Nel gennaio 1917 raggiunse le acque libiche, dove stazionò fino all’ottobre successivo. Dopo il rimpatrio per lavori, venne nuovamente utilizzato nel Canale di Otranto per la posa di mine.
    Dopo la guerra, nel 1919, fu stazionario a Spalato dove la sera dell’11 luglio 1920 si verificarono gravi incidenti fra slavi e italiani. Nel corso dei torbidi rimase ucciso il comandante C.C. Tommaso Gulli, alla cui  memoria fu decretata la Medaglia d’Oro al V.M.
    Nel maggio 1921 ritornò in Italia e nel giugno successivo, a Livorno, iniziarono i lavori di trasformazione definitiva in nave posamine.
    Il 22 marzo 1923 venne radiato e destinato alla demolizione ma si decise che la sua parte prodiera, con la bandiera di combattimento, fosse donata al poeta Gabriele d’Annunzio che ne dispose la collocazione nel parco della sua villa del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera dove è tuttora visibile.
    Il suo motto fu “Morte sfidando, morte dissemino”
    ONORE AI CADUTI

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra”
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IN NAVE APULIAM, TARENTI DEDUCTAM

    A Taranto c’era un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    La costruzione dell’Arsenale di Taranto fu decretata dal Parlamento con la legge n. 833 del 29 giugno 1882 che stanziava l’allora somma di lire 9.300.000. I lavori iniziarono nel settembre 1883 con la costruzione di:
    – un canale di comunicazione, fra la rada (mar Grande) ed il mar Piccolo;
    – un muro di cinta (lato est);
    – un bacino di raddobbo, il Principe di Napoli, capace di ricevere le più grandi navi da guerra;
-uno scalo di costruzione;
    – le officine occorrenti per il bacino e lo scalo;
    – un magazzino per i viveri e due grandi cisterne d’acqua;
    – una gru idraulica da 160 t.

    Il 21 agosto 1889 l’arsenale fu inaugurato alla presenza di Re Umberto I.
La Direzione Generale fu realizzata a livello della città nuova al termine di quello che sarebbe diventato l’asse centrale dello sviluppo urbanistico di Taranto (via D’Aquino – via Di Palma).
    L’Arsenale Militare Marittimo, progettato anche per la costruzione di navi, vede impostare il 14 marzo 1894 la sua prima unità da guerra, l’Ariete-torpediniere Puglia, varata il 22 settembre 1898 alla presenza dei Principi di Napoli.

    Seguiranno la costruzione del bacino galleggiante GO 9, del rimorchiatore S. Andrea, del ferry-boat Messina per le FF.SS., dei rimorchiatori Sperone, Capo Circeo e Capo Rizzuto, delle motocannoniere Lampo e Baleno ed infine dell’unità da sbarco Quarto varata il 18 marzo 1967, anno in cui la Marina Militare decise di abbandonare le nuove costruzioni per dedicare le proprie risorse ai soli compiti di supporto e mantenimento in efficienza della flotta.

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    Amedeo Cacace (Sorrento, 2.2.1919 – Savona, 22.3.2020)

    di Antonio Cimmino (A.N.M.I. Stabia) e Luca Ghersi (Presidente Gruppo A.N.M.I. Savona)

    (Sorrento, 2.2.1919 – Savona, 22.3.2020)

    ADDIO COMANDANTE

    amedeo cacace - www.lavocedelmarinaio.comNasce a Sorrento il 2 febbraio 1919. Dal 1953 residente a Savona ove, fino al 1984, è stato Pilota del Porto. Fondatore e socio dell’A.N.M.I. di Savona. Imbarcato sui sommergibili con il grado di Sottotenente di vascello durante la guerra, dopo il congedo fu promosso Capitano di Fregata Ruoli Onore.
    Sommergibilista, fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare sul campo con la seguente motivazione:
“Imbarcato su un sommergibile durante una missione oceanica di eccezionale durata, dava costante prova di ottime qualità militari e di carattere contribuendo con la propria assiduità al perfetto funzionamento dei servizi di bordo e quindi al successo della missione stessa.
Nelle azioni di guerra eseguite ed in particolar modo nell’attacco ad una nave portaerei fortemente scortata che portava all’affondamento dell’unità nemica, benché conscio del rischio, con la pronta ferma esecuzione degli ordini assicurava il successo dell’azione”.
Oceano Atlantico, 25 luglio 1943
 Regio sommergibile Cagni (R.D. 2 giugno1944).
    Attestato Medagliadi Bronzo al Valor Militare ad Amedeo Cacace - www.lavocedelmarinaio.comIl Comandante Amedeo Cacace è stato insignito anche di 6 Croci di Guerra al Valor Militare (C.G.V.M.), prestò servizio come ufficiale di rotta sui regi sommergibili Baracca, Zoea, Cagni, Bragadino e Menotti. Sul sommergibile Cagni compì la più lunga navigazione di guerra eseguita da unità navale italiana durante il secondo conflitto mondiale durata ben 137 giorni.
    Il Comandante Cacace congedatosi, prestò servizio in seguito sui Liberty e dal 1953 al 1984 nei piloti del Porto di Savona dove ricoprì dal 1972 sino alla pensione il ruolo di Capo dei Piloti.
    Maggiori notizie biografiche si possono trovare nel capitolo dedicato al Comandante pubblicato nel libro “Marinai Savonesi” edito dal Gruppo nel 2007 in occasione del 50° anniversario di fondazione; l’opera tratta la biografia di 8 importanti Marinai Savonesi alcuni molto conosciuti altri meno ma che diedero tutti lustro alla nostra Forza Armata”.

    Auguri Comandante
    di Luca Ghersi
    Grande Festa per i Marinai del Gruppo ANMI Vanni Folco di Savona, oggi 2 Febbraio 2020 è il compleanno del nostro decano il Capitano di Fregata(RO) Amedeo Cacace, sommergibilista, classe 1919 che compie perciò 101 anni.
    Il Comandante Cacace è insignito di Medaglia di Bronzo al Valor Militare e 6 Croci di Guerra al Valor Militare (CGVM) ed ha prestato servizio come ufficiale di rotta sui Regi Sommergibili Baracca, Zoea, Cagni, Bragadino e Menotti. Sul sommergibile Cagni compì la più lunga navigazione di guerra eseguita da unità navale italiana durante il secondo conflitto mondiale durata ben 137 giorni. Il Comandante Cacace congedatosi, prestò servizio in seguito sui Liberty e dal 1953 al 1984 nei piloti del Porto di Savona dove ricoprì dal 1972 sino alla pensione il ruolo di Capo dei Piloti.

    Come Presidente del Gruppo ANMI Vanni Folco di Savona mi sento di dire che oggi è una di quelle giornate che entra nella Storia della Marina Militare perché il caro Amedeo non è soltanto il decano del Gruppo ma probabilmente lo è anche di tutta la Componente Sommergibilistica Italiana. Una lettera di auguri, oltre a quella scritta dal Sindaco Ilaria Caprioglio, è stata inviata anche dal Comandante dei Sommergibili Italiani l’Ammiraglio Andrea Petroni così come fece anche il suo predecessore Ammiraglio Dario Giacomin nel 2015 in occasione del suo 96esimo genetliaco. Siamo estremamente orgogliosi di avere tra noi il Comandante Cacace, un Marinaio che con il suo carattere schivo e determinato e con il suo agire sempre inappuntabile è sempre stato di esempio, stimolo e sprone per le nostre attività. Buon Compleanno Comandante Cacace, che i venti e le onde ti siano sempre propizi…

    Marinai Savonesi Presenti

    Estratto della biografia del Comandante Cacace pubblicata nel volume “Marinai Savonesi” edito dal Gruppo ANMI Vanni Folco di Savona nel 2007 in occasione del 50° anniversario della sua fondazione

    Nella casa del comandante Cacace abbondano i ricordi e le testimonianze di quella che è una vera e propria tradizione: il padre, il nonno e altri ancor prima facevano parte di una famiglia sorrentina da sempre legata alle attività marinare e, già a partire dal secolo XIX, numerosi “antenati” navigarono con navi a vela, brigantini e “vapori” in Mediterraneo e in Atlantico, prima con la bandiera borbonica e poi con quella italiana. Ed ecco quindi un altro aspetto, profondamente umano, di Amedeo Cacace e cioè il forte legame e l’ancor più forte ricordo di quanti, nella sua famiglia, lo hanno preceduto sul mare in tempi ormai lontani: quadri di velieri, diplomi, fotografie d’epoca non sono solamente una “galleria di ricordi”, ma costituiscono anche un insieme dal grande valore storico e documentale. Ma torniamo a Amedeo Cacace che nasce, per l’appunto a Sorrento, il 2 febbraio 1919; nella medesima cittadina campana frequenta tutte le scuole dell’obbligo e, successivamente, il locale Istituto Tecnico Nautico “Nino Bixio”, uscendone diplomato nel 1938 per il settore “coperta”. Era quello il periodo in cui, appena concluso il conflitto civile spagnolo, si stavano addensando sull’Europa le nubi che avrebbero portato allo scoppio della seconda guerra mondiale. La Regia Marina stava perseguendo da tempo un notevole programma di potenziamento per il quale erano richiesti uomini e mezzi, e fu quindi quasi “d’obbligo” per Amedeo Cacace fare domanda per l’ammissione ad uno dei corsi per la nomina a ufficiale di complemento. Arruolato come marinaio semplice il 26 ottobre 1939, fu ammesso all’Accademia Navale di Livorno il successivo 1° novembre e ottenne la nomina a guardiamarina di complemento (Corpo di Stato Maggiore) il 7 giugno 1940. Il nostro comandante, con arguzia e senso della fatalità tutti partenopei, ricorda i pochi giorni successivi al 7 giugno: “Subito dopo la nomina a guardiamarina, per me e per tanti altri giovani ufficiali, iniziò l’attesa – quasi spasmodica – della destinazione: attesa destinata ad una breve durata perché ricevetti ben presto il telegramma “per lista imbarchi” in base al quale appresi che dovevo raggiungere il sommergibile Maggiore Baracca. Era il 10 giugno 1940, e non fu questa l’unica volta in cui una data storica per l’Italia si incrociò con le mie personali vicende in Marina…” Il sommergibile Maggiore Baracca era uno dei sei nuovi battelli appartenenti alla classe “Marconi”: da poco varato dai cantieri OTO del Muggiano, stava completando le ultime fasi dell’allestimento in attesa della consegna alla Regia Marina. Amedeo Cacace imbarcò sul Baracca, alla Spezia, il 12 giugno e partecipò alle numerose attività (imbarco di viveri e dotazioni, controllo e calibrazione di armi e apparecchiature) che coinvolsero l’equipaggio prima della consegna dell’unità alla Regia Marina, avvenuta il 10 luglio 1940. Seguì un breve ma intenso periodo di addestramento al termine del quale – insieme ad altri sommergibili, il Baracca ricevette l’ordine di trasferirsi in Atlantico alle dipendenze del “Comando Superiore delle Forze subacquee italiane in Atlantico”, che sarebbe diventato pienamente operativo a Bordeaux dal settembre 1940. Gli accordi tra la Kriegsmarine e Regia Marina, infatti, prevedevano la partecipazione di quest’ultima alla guerra sottomarina in Atlantico, e la scelta italiana per una base logistico-operativa per i propri sommergibili cadde sul porto fluviale di Bordeaux, ubicato sulla Garonne, a una cinquantina di chilometri a monte della via fluviale d’accesso al Golfo di Biscaglia, originata dalla confluenza della Garonne e della Dordogne nell’ampio estuario della Gironde. Dalla “B” (“Beta”), lettera iniziale di Bordeaux, venne tratta la denominazione di “Betasom” (Bordeaux – Comando sommergibili) che, da allora, non soltanto nei documenti ufficiali – ma anche nell’immaginario collettivo – avrebbe contraddistinto la base atlantica dei battelli della Regia Marina. “Ricordo i momenti, emozionanti, del passaggio in immersione dello stretto di Gibilterra… All’epoca la sorveglianza a/s britannica non era pressante e continua come sarebbe stata nei mesi successivi e, partiti dalla Spezia il 31 agosto, forzammo Gibilterra il 7 di settembre… Raggiungemmo subito la zona d’agguato cui eravamo stati destinati, a Nord-Ovest di Madera, ma non incontrammo alcun traffico. Il 1° ottobre, mentre già stavamo facendo rotta verso Bordeaux, venne avvistato un mercantile nemico di medio tonnellaggio. Fermatolo ed appreso che si stava dirigendo verso Belfast con un carico destinato all’Inghilterra, demmo tempo all’equipaggio di mettersi in salvo sulle scialuppe, dopodiché affondammo la nave a cannonate. Si trattava del mercantile greco Agios Nikolaos, che venne affondato in posizione 40° N – 16°55’ W…” Dopo alcune settimane trascorse a “Betasom”, al comando del capitano di corvetta Enrico Bertarelli il Baracca fu destinato a una nuova missione in Atlantico e raggiunse la sua zona di agguato, a Ovest delle coste scozzesi tra i meridiani 15° e 20° W, ove si trattene tra il 1° e il 17 novembre 1940. Il Baracca attaccò, senza tuttavia affondarli, un piccolo mercantile (il 31 ottobre, durante la navigazione di trasferimento) e una petroliera (il 9 novembre). Il 16 novembre, ricevuto un segnale di scoperta di un convoglio diretto a ponente, ne tentò l’avvicinamento; durante la navigazione di rientro, la sera del 18 novembre, il battello italiano intercettò il piroscafo da carico britannico Lilian Moller che venne affondato con due siluri. Ma, sull’affondamento del Lilian Moller, lasciamo la parola al C.te Cacace: “Mi trovavo di servizio sulla falsatorre e, con il binocolo, avvistai il fumo di un piroscafo all’orizzonte. Passai subito tutte le informazioni al Comandante, che si trovava dabbasso in camera di manovra, e il Baracca si mise ben presto all’inseguimento del mercantile nemico. La cosa risultò parecchio difficile, perché eravamo ormai all’imbrunire e – in quelle latitudini – l’oscurità cala presto ed è subito molto fitta… non persi quindi mai di vista il fumo del piroscafo continuando a segnalarne la posizione… Alla fine raggiungemmo la distanza utile per il lancio e, con due siluri, colpimmo il Lilian Moller che affondò in posizione 52°57’N – 18°05’W. Purtroppo non vi furono sopravvissuti…”

    Il Maggiore Baracca rientrò nuovamente a Bordeaux, dove Amedeo Cacace trovò ad attenderlo gli ordini che lo trasferivano nel teatro operativo del Mediterraneo; tuttavia, sono numerosi i ricordi delle due missioni in Atlantico: “Ogni volta che uscivamo o entravamo dall’estuario della Gironde venivamo attaccati da velivoli britannici, e fummo sempre molto fortunati a non essere colpiti e affondati; questi momenti erano forse i più drammatici di ogni missione… La vita a bordo non era delle più facili, al fine di non intasare l’unico WC presente a bordo l’equipaggio utilizzava la coperta per l’espletamento delle proprie necessità “corporali” ma – se non altro – nella nostra permanenza all’esterno potevamo avvalerci di capi di abbigliamento pesanti forniti dagli alleati germanici… Infatti, eravamo stati destinati in Atlantico avendo in dotazione il normale vestiario previsto per le consuete missioni in Mediterraneo, e il freddo si era fatto sentire sin da subito durante la nostra prima navigazione oceanica. Al rientro da questa missione i tedeschi ci fornirono così di cappotti, impermeabili in tela cerata, maglioni ecc. che consentivano di proteggerci dal freddo durante il servizio in falsatorre e in coperta…” Il guardiamarina Cacace imbarcò sul sommergibile Zoea (uno dei tre battelli posamine della classe “Foca”) il 2 febbraio 1941, e il battello iniziò subito a venire impiegato per il trasporto di rifornimenti verso il fronte dell’Africa settentrionale. La scelta dello Zoea (e di altri sommergibili) per questo particolare ruolo era dovuta al fatto che gli ampi spazi presenti a bordo per il trasporto delle mine potevano essere utilizzati per stivare viveri, munizioni e combustibili. Fu questa una particolare attività che coinvolse numerosi battelli italiani durante tutto il conflitto, e testimonia non soltanto le difficili condizioni (e le missioni spesso “impossibili”) in cui operavano i sommergibili adibiti a questo compito, ma soprattutto la precarietà della situazione “trasporti” verso il fronte libico, precarietà che rendeva necessario l’impiego di unità militari, anche di superficie. Ad esempio, come ricordato nel capitolo sull’Amm. Marabotto, nel corso di una di queste missioni andarono perduti gli incrociatori Alberto di Giussano e Alberico da Barbiano, e durante le ultime fasi della campagna di Tunisia furono numerosi i cacciatorpediniere (diversi dei quali furono affondati da mine e nel corso di attacchi aerei) impiegati per il trasporto veloce di truppe e rifornimenti. L’importanza dell’attività dello Zoea e degli altri battelli impiegati per il rifornimento dell’Africa settentrionale è testimoniata da questo episodio che Amedeo Cacace ricorda ancora con orgoglio: “Eravamo appena giunti a Bardia al termine di una missione di rifornimento nel maggio 1941 e l’equipaggio stava procedendo allo sbarco del carico, costituito da 80 tonnellate di benzina in fusti da 40 litri. All’improvviso, giunsero sottobordo allo Zoea alcune autovetture “Horch” tedesche con le insegne del Deutsche Afrika Korps, e da queste discesero diversi ufficiali che indossavano la classica divisa khaki dei militari germanici destinati in Africa. Subito non facemmo caso alla presenza degli ufficiali, ma la nostra sorpresa fu grande quando a bordo si presentò il generale Erwin Rommel, comandante dell’Afrika Korps! Il generale Rommel, come ci disse l’interprete, aveva voluto venire personalmente a bordo dello Zoea per ringraziare l’equipaggio che aveva trasportato del prezioso combustibile, in assoluto il rifornimento più importante per i suoi reparti corazzati che, nella mobilità e nella rapida dislocazione sul fronte, individuavano la loro arma vincente…”
    Alcune settimane dopo, durante un’altra missione di rifornimento, lo Zoea abbatté, con le sole mitragliere di bordo, un quadrimotore “Sunderland” della RAF: fu questo uno dei pochi casi di tutto il conflitto in cui un nostro sommergibile riuscì ad abbattere uno di questi micidiali idrovolanti utilizzati dall’aviazione britannica proprio per la caccia ai battelli italiani e tedeschi, tanto nel Mediterraneo quanto nell’Atlantico. Il 14 ottobre 1941 Amedeo Cacace sbarcò dallo Zoea che, qualche giorno prima, era “affondato” all’ormeggio della banchina sommergibili di Taranto a causa di un’errata manovra delle valvole di presa a mare, durante un ciclo di lavori in arsenale. Poiché i lavori di recupero e ripristino del battello avrebbero richiesto diverse settimane, con il “pagato” del 18 novembre 1941 il GM Cacace ricevette ordini per un “temporaneo imbarco” sul nuovo, grande sommergibile Ammiraglio Cagni, entrato in servizio nell’aprile precedente. Amedeo Cacace rimase a bordo del Cagni sino al 3 gennaio 1942, ma in un futuro a lui ancora sconosciuto avrebbe nuovamente imbarcato, e per lungo tempo, su questo battello… Il 4 gennaio 1942 ripresero le navigazioni con lo Zoea, e Amedeo Cacace partecipò anche a una missione di trasporto rifornimenti a Lero: partito da Taranto lo Zoea diede fondo a Porto Lago, sulla costa meridionale di Lero (Dodecaneso italiano), rientrando subito dopo alla base di partenza. Ripresero quindi le “consuete” missioni di trasporto carburanti e munizioni in Africa settentrionale, e nel corso di una di queste… “… fummo avvicinati da un velivolo sconosciuto che iniziò una serie di manovre sospette, manovrando come se si stesse preparando ad attaccarci con bombe o siluri. In considerazione della forte superiorità aerea britannica nella zona, e visti i movimenti del velivolo ritenuto nemico, venne battuto il “posto di combattimento” e gli armamenti delle nostre mitragliere fecero fuoco più volte contro l’aeroplano, tuttavia senza colpirlo. Dopo aver circuitato parecchio sopra lo Zoea, il velivolo si avvicinò (sempre con movimenti “sospetti”) e solo allora potemmo osservare le insegne tedesche sulle ali e sulla fusoliera. Cessammo immediatamente il fuoco, ma i piloti germanici – evidentemente quasi per vendicare l’ “affronto” subito – fecero fuoco contro lo Zoea a distanza e senza colpirlo, quando sapevano benissimo che il mancato rispetto da parte loro delle procedure per l’identificazione era stato la causa della nostra reazione. Fummo lieti, qualche tempo dopo, quando giunse a bordo una lettera proveniente dal comando del X° CAT , con la quale venivano rivolte scuse ufficiali allo Zoea per l’errato comportamento dell’equipaggio di quel loro velivolo…”
    La permanenza di Amedeo Cacace a bordo dello Zoea, interrotta da un “temporaneo imbarco” (1° / 22 aprile 1942) sul Marcantonio Bragadin, si concluse il 5 settembre 1942. Amedeo Cacace, nel frattempo promosso sottotenente di vascello, ricevette ordini per raggiungere a La Maddalena il sommergibile oceanico Ammiraglio Cagni con l’incarico di ufficiale di rotta. Al comando del CF Carlo Liannazza, il Cagni lasciò la base sarda il 6 ottobre, e sei giorni dopo forzò lo stretto di Gibilterra. Il 3 novembre 1942, all’interno della propria zona di operazioni nel Golfo di Guinea, con un attacco diurno in immersione, il Cagni silurò e affondò il mercantile britannico Dagomba (di 3.845 t.s.l.), Si trattava di un piroscafo isolato, disperso dal convoglio TS 23 che aveva lasciato Takoradi (Ghana) diretto nella Sierra Leone. Dell’equipaggio del Dagomba sopravvissero 23 uomini, e a bordo del Cagni si pensò di soccorrere i marinai britannici, che apparivano in difficoltà a bordo delle scialuppe di salvataggio, a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Ricorda con semplicità il C.te Cacace: “Portammo il Cagni in emersione tra i detriti dell’affondamento, nelle vicinanze delle scialuppe di salvataggio. Facemmo comprendere, a gesti e a parole, le nostre intenzioni e, una volta affiancate le due scialuppe, passammo ai superstiti viveri, acqua, generi di conforto e anche una carta nautica ove segnammo la rotta che avrebbero dovuto seguire per raggiungere la costa più vicina. Si trattava di uomini come noi, e c’era solo da sperare che – se ci fossimo dovuti trovare nelle loro condizioni – ci potesse venire riservato il medesimo trattamento…”
    Il comportamento dell’equipaggio del Cagni trova riscontro in quella che è sempre stata una norma di comportamento degli equipaggi italiani in generale, e di quelli dei nostri sommergibili destinati in Atlantico in particolare. Tutti conoscono la vicenda del Cappellini che, al comando del CC Salvatore Todaro, la notte sul 15 ottobre 1940, intercettò in Atlantico il piroscafo armato belga Kabalo, che venne affondato a cannonate. Dopo l’affondamento, il comandante Todaro decise di rimorchiare la lancia di salvataggio della nave vicino a terra, e quando quest’ultima cominciò a fare acqua, trasferì l’equipaggio del piroscafo sul sommergibile. I 26 naufraghi trovarono sistemazione nella falsatorre, e dopo tre giorni di navigazione, furono sbarcati in una insenatura dell’Isola Santa Maria delle Azzorre. L’umanità e il coraggio del Comandante Todaro (che in seguito avrebbe comandato i reparti d’assalto di superficie della Xa Flottiglia MAS, cadendo in combattimento il 13 dicembre 1942) sono passati alla storia e non necessitano di ulteriori commenti: l’equipaggio del Cagni, il 3 novembre 1942, seppe ugualmente tenere alto l’onore della Regia Marina in circostanze del tutto analoghe. Il 29 novembre 1942, durante la navigazione verso il Capo di Buona Speranza, il Cagni attaccò col siluro il piroscafo greco Argo, affondandolo in posizione 34°53’S – 17°54’E.
    Continuano i ricordi del C.te Cacace: “Era previsto che il Cagni, grazie alle sue grandi dimensioni e all’elevata autonomia, si dirigesse verso l’Oceano indiano per continuare la lotta al traffico mercantile alleato nelle acque ad Est dell’Africa meridionale. Tuttavia, a Sud del capo di Buona Speranza non fu possibile incontrare un’unità ausiliaria tedesca che avrebbe dovuto rifornirci di nafta; facemmo quindi rotta verso nord e nella zona dell’equatore ci incontrammo con il sommergibile Tazzoli. Purtroppo, le avverse condizioni meteo impedirono di trasferire a bordo di quel battello otto siluri che aveva ancora in dotazione; iniziammo quindi la navigazione di rientro verso Bordeaux e, il 15 febbraio 1943, fummo attaccati da un “Sunderland” britannico nel Golfo di Biscaglia. I danni non furono gravi, ma le raffiche di mitragliera partite dal quadrimotore uccisero un Sergente armaiolo e ferirono un cannoniere…” Anche se il Cagni non poté completare la sua missione, questa crociera durò 136 giorni ed è quindi la più lunga navigazione di guerra eseguita da una nave militare italiana nel corso del secondo conflitto mondiale. Come riporta la storia ufficiale della Marina, “… nel corso di questa missione … il Cagni diede prova di essere comandato ed equipaggiato da uomini di grande capacità professionale e di possedere un elevatissimo grado di efficienza; non ebbe infatti a lamentare avarie di alcun genere …”. Il Cagni partì da Bordeaux per la sua ultima missione il 29 giugno 1943, al comando del CF Roselli Lorenzini: questa volta gli ordini erano ancora più complessi perché era previsto che il battello italiano, dopo aver attaccato il traffico nemico in Atlantico e nell’Oceano Indiano, raggiungesse Singapore. Una volta giunto nel porto asiatico, il Cagni avrebbe dovuto imbarcare un carico di rame e stagno (metalli fondamentali per l’industria bellica dell’Asse) e fare rientro a “Betasom” in navigazione occulta, senza esplicare attività offensiva durante la navigazione di rientro. Il 25 luglio 1943, nel Golfo di Guinea alle ore 01.45 locali, il Cagni avvistò un convoglio britannico composto da una grande nave da guerra scortata da alcuni cacciatorpediniere e corvette. L’ufficiale di rotta (si trattava proprio del STV Cacace…) diresse con perizia il battello nella manovra di attacco al convoglio e, in breve tempo, il Cagni lanciò una salva di siluri contro la nave più grande della formazione nemica, identificata come una portaerei ausiliaria. Due siluri giunsero a segno, e a bordo del Cagni (immersosi nel frattempo per sfuggire alla reazione a/s delle unità di scorta), furono udite due distinte esplosioni. Il Comandante Roselli Lorenzini ritenne pertanto di aver affondato l’unità inglese, e manovrò con perizia il battello sino alle ore 17.00, quando cessò finalmente il lancio di bombe di profondità da parte dei caccia e delle altre navi scorta britanniche. L’unità attaccata era in realtà l’incrociatore ausiliario HMS Asturias, una grande nave passeggeri armata con numerosi pezzi di artiglieria ed equipaggiata con una catapulta e due idrovolanti. Ancorché gravemente danneggiato dai siluri del Cagni, l’Asturias – assistito da una corvetta e rimorchiato da una nave salvataggio olandese, riuscì a raggiungere Freetown il 1° agosto. I danni furono tuttavia gravissimi, e l’Asturias poté rientrare in servizio solamente parecchi mesi dopo la fine del conflitto. Per la perizia, il coraggio e la freddezza dimostrate nell’azione, Amedeo Cacace fu in seguito decorato con una Medaglia di Bronzo al V.M., ma il nostro comandante preferisce rimarcare che “L’attacco all’Asturias ebbe luogo proprio il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo depose il Capo del Governo dando avvio a quella drammatica serie di eventi che avrebbero portato all’8 settembre… Captammo difatti alla radio le trasmissioni provenienti dall’Italia che ci informavano su questo evento, ma tutti a bordo del Cagni avevano fatto il loro dovere e avevano l’intenzione di continuare a farlo: certo, lo spirito dell’equipaggio era ben diverso da quello delle missioni precedenti, poiché da tempo sapevamo tutti che la guerra aveva preso una brutta china e poteva ormai essere considerata perduta. Ma lo spirito di corpo, l’attaccamento alla Regia Marina e l’amor di Patria ci consentivano di continuare le nostre attività e di portare avanti la nostra missione con abnegazione e senso del dovere…”. Il 28 agosto 1943 il Cagni entrò nell’Oceano Indiano, facendo rotta verso Singapore alla massima velocità consentita dai suoi motori diesel quando, l’8 settembre, vennero ricevute a bordo alcune trasmissioni radio provenienti dall’Inghilterra che comunicavano l’avvenuta firma dell’armistizio; nei giorni successivi, queste notizie furono confermate anche da Radio Roma, insieme alle istruzioni di raggiungere porti alleati dirette a tutte le navi italiane. “Il Comandante Roselli Lorenzini seppe gestire, al tempo stesso con ‘democrazia’ e fermezza, la situazione: alcuni uomini dell’equipaggio intendevano proseguire la navigazione, altri avrebbero preferito rientrare a Bordeaux… Alla fine il comandante seppe convincere tutti che il nostro dovere era quello di eseguire gli ordini impartiti da S.M. il Re. Probabilmente aveva già capito che – solo così facendo – la Regia Marina poteva mantenere quanto più possibile intatte la sua forza e la sua credibilità, e ben presto tutti convennero con Roselli Lorenzini che questa era la via da seguire… Facemmo quindi rotta verso Durban (costa orientale del Sud-Africa), ed entrammo in quel porto alle 23.30 del 19 settembre 1943…”.
    I rapporti con le locali autorità britanniche non furono subito dei migliori: agli iniziali sospetto e diffidenza fecero seguito anche veri e propri atti di prevaricazione: “Un giorno verso la fine di settembre alcuni ufficiali della Royal Navy salirono a bordo e cominciarono a impadronirsi di binocoli, sestanti, strumentazione varia e altri elementi dell’allestimento… (ciò – tra l’altro – in contrasto con le clausole armistiziali in base alle quali le Regie Navi non avrebbero mai dovuto ammainare la bandiera, mantenendo quindi inalterate le proprie prerogative e sovranità – n.d.r.). … Il comportamento di Roselli Lorenzini fu, come in tutte le altre occasioni, fermissimo ed esemplare: “sbarcò” senza tanti complimenti gli ufficiali della Royal Navy e comunicò al locale Comando britannico che era pronto anche ad autoaffondare immediatamente il Cagni se simili episodi si fossero ripetuti. La durezza e la chiarezza con cui il nostro comandante si rivolse agli inglesi consentirono di sbloccare ben presto la situazione e, dopo i primi di ottobre, l’equipaggio del Cagni (che viveva in condizioni disagiate a bordo del battello), fu trasferito a terra in un campo ove – con svariate comodità – erano alloggiati numerosi ufficiali della Marina britannica…” La situazione era mutata completamente, e gli italiani del Cagni seppero ben presto acquisire una posizione di “preminenza”: “Una volta giunti nel campo a terra, il personale di cucina del Cagni avviò subito un “servizio mensa” che – con le non molte risorse disponibili – consentiva tuttavia di disporre di un “menù” ottimo e abbondante, secondo le migliori tradizioni della cucina italiana. La fama dei nostri cuochi fu anzi tale che gli ufficiali inglesi che alloggiavano insieme a noi facevano la fila (e pagavano regolarmente il conto…) pur di poter pranzare e cenare alla nostra mensa…” Il Cagni fu sottoposto ad un ciclo di lavori di raddobbo nell’Arsenale di Durban, e l’8 novembre 1943 iniziò la navigazione di rientro verso l’Italia. Dopo aver sostato a Mombasa e Aden, il battello transitò nel Canale di Suez giungendo ad Haifa, ove l’equipaggio trascorse le festività natalizie. Ricorda ancora il C.te Cacace: “Durante la nostra permanenza ad Haifa salirono a bordo ufficiali del genio navale delle Marine britannica e americana; tutti rimasero stupiti dalle caratteristiche tecniche del nostro battello, le cui prestazioni ed armamento ne facevano una vera e propria unità “oceanica” paragonabile alle migliori realizzazioni della Kriegsmarine, della Royal Navy e dell’U.S. Navy. In particolare, il possente armamento (14 tubi lanciasiluri, con una dotazione massima di 42 armi, e due cannoni da 100/47) facevano dei battelli della classe “Cagni” delle unità potenti e ben equilibrate, contraddistinte da ottime doti di velocità e autonomia. E’ un vero peccato che gli altri tre battelli della classe (Ammiraglio Caracciolo, Ammiraglio Millo e Ammiraglio Saint-Bon) siano andati perduti poco dopo l’entrata in servizio, anche perché impiegati in ruoli diversi da quelli per cui erano stati progettati e costruiti… il solo Ammiraglio Cagni sopravvisse al conflitto e fu demolito nel 1948…” Il 4 gennaio 1944 il Cagni ormeggiò a Taranto, alla banchina sommergibili dell’Arsenale, concludendo una missione iniziata più di sei mesi prima a Bordeaux nel corso della quale erano state affondate due navi alleate, danneggiata una terza, con il periplo dell’Africa e durante la quale erano avvenute le drammatiche vicende – navali, militari e politiche, ma soprattutto umane – che avevano coinvolto le vite e le coscienze degli uomini dell’equipaggio successivamente alla proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943. Poche settimane dopo, Amedeo Cacace si congedò dalla Regia Marina che – in seguito alle riduzioni di mezzi e personale dovute alla nuova posizione di co-belligeranza assunta dall’Italia – favoriva l’ “esodo” di talune aliquote di personale, ormai eccedente le proprie necessità. Il STV Cacace prese quindi servizio a bordo del mercantile Sfinge che, sin dalle prime settimane successive all’armistizio, era impiegato nel cabotaggio tra i porti dell’Italia meridionale. La permanenza del nostro comandante a bordo dello Sfinge si protrasse sino al 1946, quando entrò a far parte dei cinquanta equipaggi italiani che, a bordo della m/n Sestriere, furono inviati negli Stati Uniti per prendere in carico i primi “Liberty” destinati all’Italia, in base al “Piano Marshall”, per la ripresa dei traffici mercantili nazionali. Per un certo tempo, Amedeo Cacace navigò anche su una di queste unità: il Sirena (ex Alexander Mitchell), sbarcando nel 1952. Sul finire del 1952 Amedeo Cacace ebbe notizia che il Corpo dei Piloti del Porto di Savona bandiva un concorso per coprire alcune nuove posizioni: con lo spirito di intraprendenza che lo aveva caratterizzato negli anni di guerra, il nostro comandante partecipò al concorso risultando vincitore e – dal 1953 al 1984 – fece parte dei Piloti della nostra città. Anzi, dal 1972 e sino alla pensione, ricoprì l’incarico di Capo dei Piloti del Porto di Savona, meritando la stima di tutti gli operatori dello “shipping” (e non solo savonese…) per le sue doti professionali e di profonda umanità. Nel frattempo, transitato alla forza “ausiliaria” della Marina Militare, Amedeo Cacace venne promosso più volte, sino a raggiungere il suo attuale grado di Capitano di Fregata del Ruolo d’Onore del Corpo di Stato Maggiore. Uno solo è oggi il rammarico di Amedeo Cacace, e le sue parole sull’argomento sono forse la migliore conclusione di queste note: “Nel 1986, per il tramite dell’Ufficio Storico della Marina Militare, ricevetti la copia di una lettera inviata da un ex-marittimo inglese, Mr. David Mac Connell, imbarcato sull’Asturias all’epoca del siluramento da parte del Cagni il 25 luglio 1943. Mr. Mac Connell richiedeva notizie sul sommergibile che aveva silurato la sua nave in Atlantico, e i responsabili dell’Ufficio Storico mi avevano inviato la lettera in quanto – già all’epoca – ero uno dei pochi ufficiali “superstiti” dell’equipaggio del Cagni… Ancora oggi sono veramente dispiaciuto di non aver avuto la possibilità di organizzare un incontro con questo ex-nemico che, prima di tutto, era un uomo e un marinaio come me e che, anche se su un fronte opposto al mio, aveva condiviso le mie medesime esperienze di mare e di guerra negli anni ormai lontani del secondo conflitto mondiale…”

    Motivazioni delle decorazioni conferite al Comandante Amedeo Cacace
    Medaglia di bronzo al V. M. – Sottotenente di vascello “Imbarcato su Sommergibile Oceanico che durante la lunga missione negli Oceani Atlantico ed Indiano affondava una grande Portaerei Ausiliaria attaccata all’interno delle Siluranti di scorta, recava all’efficienza dei servizi il contributo delle proprie elevate qualità militari e professionali e con la pronta e precisa esecuzione degli ordini assicurava il successo del vittorioso attacco”. Oceano Atlantico e Oceano Indiano, 29 giugno 1943 -2 gennaio 1944.
    Croce di guerra al V. M. – Aspirante Guardiamarina “Sottordine alla rotta di un sommergibile oceanico, nel corso di due lunghe missioni di guerra nell’Oceano Atlantico dimostrava profondo entusiasmo e continuo attaccamento al servizio; in particolare, durante l’affondamento col siluro di un grosso piroscafo armato nemico, era di ausilio al Comandante dimostrando alto senso del dovere e sereno sprezzo del pericolo”. 8 gennaio 1941.
    Croce di guerra al V. M. – Guardiamarina “Imbarcato su un sommergibile, impiegato in una serie di dure missioni di rifornimento, si prodigava con entusiasmo senza misurare fatica e rischio, dimostrando dedizione al dovere, sereno coraggio ed alto senso di amor di Patria”. Maggio – agosto 1941.
    Croce di guerra al V. M. – Guardiamarina “Imbarcato su sommergibile, impiegato in una serie di dure missioni di rifornimento, si prodigava con entusiasmo senza lisurare fatica e rischio, dimostrando dedizione al dovere, sereno coraggio ed alto senso di amor di Patria” Ottobre – dicembre 1941
    Croce di guerra al V. M. – Guardiamarina “Imbarcato su sommergibile, in una missione di guerra coadiuvava con serenità e ardimento il Comandante nella efficace reazione ad attacchi di aerei nemici, contribuendo all’abbattimento di un grosso apparecchio da bombardamento”. 14 novembre 1941.
    Croce di guerra al V. M. – Sottotenente di Vascello “Imbarcato su Unità subacquea partecipava con entusiasmo alla preparazione del battello per lunga missione atlantica. Durante detta missione collaborava col Comandante per 137 giorni spiegando nella quotidiana durissima fatica spirito di sacrificio. Durante il passaggio dello Stretto di Gibilterra, l’affondamento di due mercantili e durante attacco aereo avversario esplicava con calma ed entusiasmo il proprio compito. Oceano Atlantico, 6 ottobre 1942 – 20 febbraio 1943.
    Croce di guerra al V. M. – Sottotenente di Vascello “Ufficiale di rotta di Sommergibile durante il terzo anno della guerra 1940-43, partecipava a numerose missioni di guerra, in acque contrastate dal nemico, assolvendo in ogni circostanza il proprio incarico con coraggio, abnegazione ed elevato sentimento del dovere”. Mediterraneo Orientale -Atlantico, 10 giugno 1942 -8 settembre 1943.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Recensioni,  Storia

    Filippo Montesi (Fano, 11 maggio 1963 – Roma, 22 marzo 1983)

    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    (Fano, 11 maggio 1963 – Roma, 22 marzo 1983)


    Croce di Guerra al Valor Militare con la seguente motivazione:
«Militare del contingente di pace nel Libano, in servizio di pattugliamento notturno, veniva attaccato con raffiche di mitra e lancio di bombe. Ferito gravemente in più parti, dando prova di abnegazione, incitava i commilitoni a reagire, invitandoli a non curarsi di lui.»
    Beirut (Libano), 15 marzo 1983.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    22.3.1965, quella tragica collisione fra le navi Castore e Etna

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    …dedicato a tutti gli equipaggi dei Marinai di una volta di Nave Castore e ai loro familiari in memoria di Aristide, Vittorio, Domenico e Franco. Per non dimenticare, mai!

    Era il 22 marzo 1965, ore 21 15, nave Etna entrava in collisione con nave Castore, un minuto di raccoglimento, per ricordare con questo scritto:

    – Sottocapo F.O. Duse-Aristide 1943/3° di Chioggia (VE);
    – Marinaio F.C. Celli Vittorio-1943/4° di Castel del Monte-(AQ);
    – Marinaio F.O. Franzese Domenico 1943/6° di Napoli;
    – Marinaio R.D. Pardini Franco 1944/5° di Savona.

    Tutti deceduti nella collisione 10 miglia a levante di Punta Stilo.
    Di seguito si trascrive la cronaca della collisione, come riportata dal Bollettino di Informazione della Marina Militare n.3-4 Aprile 1965.

    COLLISIONE AVVENUTA AL LARGO DI PUNTA STILO FRA LE NAVI “ETNA” E “CASTORE” LA SERA DEL 22 MARZO
    La sera del 22 marzo c.a. 10 miglia a levante di Punta Stilo, durante una esercitazione di protezione di convoglio nella quale nave Etna rappresentava il convoglio e Castore e Rizzo ne costituivano la scorta, le prime due unità entravano in collisione fra loro. Non appena avvenuta la collisione i comandi di nave Etna e della fregata Castore prendevano tutti i possibili provvedimenti ad assicurare la galleggiabilità e la sicurezza delle due unità, e su nave Castore si dava immediatamente inizio all’opera di soccorso degli uomini che si trovavano all’atto del sinistro nella zona danneggiata. Mentre su nave Etna i danni erano limitati nella zona di estrema prora, su nave Castore la prora dell’Etna era profondamente entrata nello scafo a circa 15 metri dalla poppa estrema, zona occupata dal locale equipaggio n. 6 e dal deposito BAS. La parte del Castore a poppavia dello squarcio, risultava praticamente troncata dal resto dello scafo e trattenuta ad esso unicamente dall’asse sinistro dell’elica, da cavi elettrici e da una lamiera del fasciame del lato sinistro.

    Accertata la situazione veniva effettuato il puntellamento di una paratia stagna principale a proravia della zona danneggiata e venivano messi in atto tutti i possibili provvedimenti atti a prevenire ulteriori danni quali incendi ecc ed iniziava contemporaneamente l’opera dei soccorso del personale che si trovava nella zona devastata dall’urto.
    Successivamente si provvedeva anche ad assicurare con mezzi di fortuna il troncone poppiero della nave alla parte anteriore della stessa, onde evitare che improvvisi movimenti del troncone potessero produrre ulteriori danni alla parte restante della nave, alta quale esso era collegato come già detto dall’asse sinistro dell’elica.
    Nell’ardua opera svolta dal personale di bordo per assicurare la galleggiabilità dell’unità danneggiata e per dare soccorso agli infortunati, è risultato palesemente prezioso l’ottimo grado di efficienza raggiunto dal personale grazie ai periodici tirocini di addestramento al Servizio di sicurezza che tutti gli equipaggi seguono presso il Centro addestramento servizi di sicurezza di Taranto. Mentre nave Etna scortata dal CT Indomito raggiungeva con i propri mezzi Taranto la sera del 23, il Castore, veniva preso a rimorchio dal Rizzo e scortato dal Garibaldi nella notte fra il 23/24 raggiungeva Messina e veniva immesso immediatamente in bacino.
    Purtroppo l’incidente oltre ai danni materiali ha causato la dolorosa perdita di quattro componenti dell’equipaggio del Castore ed il ferimento di altri 11 componenti dell’equipaggio.
    Le vittime sono:

    – Sottocapo FO Duse Aristide 1943/3°;
    – FO Celli Vittorio 1943/4°;
    – Franzese Domenico 1943/6°;
    – Pardini Franco 1944/5°.

    Accertata la mancanza dei quattro uomini subito dopo l’incidente, navi ed elicotteri ne iniziavano le ricerche protrattesi sino all’alba del giorno successivo, purtroppo, senza alcun risultato.
    Le salme di due delle quattro vittime e precisamente …
    Il 25 marzo nella seduta pomeridiana della Camera dei Deputati l’On. Mario Marino Guadalupi, Sottosegretario alla Difesa ha detto:
    “Anche a nome del Ministro e degli altri Sottosegretari alla difesa, mi sia consentito esprimere la nostra fraterna partecipazione e cordoglio a questo momento di lutto e di dolore della Marina Militare”.
    Dopo aver succintamente descritto le circostanze nelle quali era avvenuta la collisione lo Onorevole Guadalupi ha così proseguito:
    “L’incidente è avvenuto mentre parte del personale si trovava nel locale investito per il turno di riposo. Pur nella sua gravita va considerato fra i rischi conseguenti l’addestramento delle marine da guerra e non è certo nuovo nella storia delle varie marine. Possiamo dire che nella nostra Marina militare essi sono fortunatamente molto rari: La collisione nel suo aspetto tecnico navale, nelle sue causali, come per ogni eventuale responsabilità, dovrà essere esaminata nelle dovute forme regolamentari.
    Le circostanze successive cui l’incidente ha dato luogo pur nella sua tragicità, hanno messo in luce l’alto grado di addestramento degli equipaggi, il cui comportamento è risultato superiore ad ogni elogio, sia come disciplina che come addestramento marinaro. I marinai del Castore infatti, lavorando in condizioni estremamente difficili, si sono prodigati all’estremo per soccorrere i feriti e salvare l’unità basti pensare che per salvare uno dei feriti rimasto imprigionato fra le lamiere, sono state necessarie oltre tre ore di lavoro nella zona più esposta e con rischi non lievi per coloro che lo eseguivano. Si deve a questo magnifico comportamento che l’incidente non abbia assunto ben più tragiche conseguenze e proporzioni. Altro elemento decisamente positivo e l’ottima qualità delle nuove costruzioni navali. Malgrado l’entità dello squarcio e dei danni riportati, l’unità ha conservato la sua galleggiabilità sia immediatamente dopo l’urto che durante tutte le operazioni di soccorso e rimorchio, consentendo così il rimorchio ed il ricovero nel porto di Messina, l’unità potrà cosi essere presto ripristinata nella su a piena efficienza.
    Una magnifica e chiara testimonianza sul comportamento degli equipaggi di fronte alla sciagura è quella offertaci dai giornalisti imbarcati sulle varie unità per assistere all’esercitazione, molti dei quali hanno avuto la possibilità di assistere da vicino a tutte le operazioni di soccorso.
    Una inchiesta per accertare le eventuali responsabilità, è stata immediatamente disposta dal Comando in Capo della Squadra Navale secondo le normali procedure in vigore.
    Nel pomeriggio del 25 Marzo si sono svolti a Messina i solenni funerali del Sc Fo Aristide Duse e del Fo Vittorio Celli le cui salme erano state recuperate nella parte danneggiata della nave, e nella notte trasferite ai loro paesi di origine. Mentre le salme del Fo Domenico Francese e del RD Franco Pardini risultano disperse in mare”.

    Generalità
    Dopo l’entrata in vigore del trattato di pace, che impose la consegna a nazioni ex nemiche o la demolizione di un elevato numero di unità navali la Marina Militare Italiana sì trovò di fronte all’urgente problema del rinnovamento ed ampliamento delle esigue ed in massima parte usurate forze navali. Nel 1950 un primo modesto programma di ammodernamento e di nuove costruzioni venne presentato in Parlamento per l’approvazione della prima parte, di cui facevano parte gli “Avviso scorta“, studiati interamente dal Comitato progetti navi della Marina Militare, che rappresentavano un tipo di nave completamente nuovo per le nostre forze navali e che si possono considerare come le prime unità costruite nel dopoguerra guerra con criteri veramente moderni.
    Il via alle costruzioni venne dato nel 1951, ma l’inizio vero e proprio si ebbe soltanto il 15 Maggio 1952 con la posa sullo scalo dei Cantieri Navali di Taranto dei primo troncone prefabbricato di nave “Canopo” il “Centauro” prototipo della serie venne invece impostato a Livorno nei Cantieri Arnaldo, il 17 Maggio dello stesso anno la costruzione delle due navi paragonabili nelle caratteristiche e nell’armamento ai più recenti tipi contemporanei di “DE” americani ed alle fregate Francesi della classe “Le Corse”, procedette con grande lentezza.
    Lo scafo nudo e vuoto del Centauro venne varato il 4 Aprile del 1954, dopo circa due anni di permanenza sullo scalo, mentre quello del “Canopo” scendeva in mare dopo tre anni, il 2 Febbraio del 1955. Anche l’allestimento non fu più spedito; la verità era che la mancanza di fondi, dovuta alle difficoltà economiche del dopo guerra nel quale ancora si dibatteva l’Italia, pesò su tutte le costruzioni navali di quel periodo. Un aiuto venne dagli Stati Uniti, che alla fine del 1953 ordinarono altre due unità gemelle classificandole DE 10290 e DE 1021; queste, a costruzione finita vennero assegnate all’Italia, che le denominò rispettivamente “Cigno” e “Castore” nonostante fossero state impostate una con due e l’altra con tre anni di ritardo rispetto alle gemelle del programma Nazionale, Cigno e Castore, costruite off-shore, furono consegnate alla Marina Militare contemporaneamente al Centauro ed al Canopo; anzi il Cigno addirittura prima.

    L’iscrizione di queste quattro unità nei quadri del navigli militare avvenne in tempi successivi: Centauro e Canopo classificati con definizione prettamente Italiana come avviso scorta, vennero iscritti il 15 Novembre 1951, prima della costruzione, con decreto P.R. riportato dalla G.U. annata 1952 dispensa n°15, Cigno e Castore vennero invece iscritti al momento della lo ro consegna alla Marina. Il Cigno fu anch’esso classificato come avviso scorta e iscritto il 7 Marzo 1957.
    A partire dai 10 Aprile 1957 le prime tre unità entrate in servizio cambiarono la classificazione da avviso scorta a fregate A/S, con decreto del P.R. datato 13 maggio 1957 e riportato sul G.U. annata 1957 dispensa n°17. Pertanto il Castore, consegnato per ultimo, entrò in servizio subito con la classifica di “Fregata Antisom” e iscritto nei quadri del naviglio militare in data 14 luglio 1957. Prime unità di costruzione post bellica, di disegno completamente nuovo, di linea gradevole ma piuttosto tozza, con scafo “flush deck” e prora a cutter, le fregate della classe Centauro non hanno una velocità molto elevata, ma buone doti di manovrabilità ed ottime qualità marine. Partendo dall’altra prora a cutter delle corvette della classe Albatros ma con forme piene, il ponte di coperta corre continuo, con ampio cavallino, fini alla poppa, che è piuttosto stretta ed affilata con specchio inclinato e leggermente tondeggiante. Notevole, dal punto di vista della sicurezza, è la compartimentazione dello scafo. Tra un compartimento e l’altro, come del resto in tutte le nuove costruzioni, sono state abolite le porte, in modo da evitare punti di indebolimento delle paratie stagne che dividono fra loro i vari locali. Questo fatto ha anche portato ad una maggiore robustezza strutturale ; infatti ogni paratia diventa in questo modo, non solo stagna ma continua nel senso della resistenza.
    Lo scafo a bordi arrotondati, e completamente privo di oblò, i quali potrebbero costituire un’eventuale via d’acqua quando l’unita, per una qualsiasi ragione, dovesse trovarsi in condizioni critiche di galleggi abilità e di stabilità. Non solo: l’abolizione degli oblò ha reso più resistenti le murate evitando altresì l’ingresso all’interno dello scafo di eventuali nebbie radioattive dovute ad esplosioni nucleari. Le sovrastrutture, armonicamente disposte, hanno su queste navi un notevole sviluppo, constano di un voluminoso cassero centrale spostato verso proravia che prosegue verso poppa in una lunga e larga tuga e sormontato da una costruzione a due piani. Per la prima volta, dopo molti anni, ricompaiono su unità di modesto tonnellaggio, due fumaioli, dì non grandi dimensioni, che, disposti simmetricamente rispetto alla prora ed alla poppa contribuiscono a dare una certa eleganza e sveltezza alla linea non troppo slanciata di queste fregate.

    Le sistemazioni interne sono molto curate, anche se un a certa deficienza di spazio si fa sentire a causa del voluminoso apparato motore a vapore, delle forme stellate della prora e della poppa e del numero di apparecchiature ed automatismi installati. Questi ultimi non certo sviluppati come sulle unità di più recente costruzione, hanno consentito di ridurre il numero degli uomini imbarcati, richiedendo però per ognuno di essi una specializzazione più spinta.
    L’equipaggio è alloggiato in tre locali, uno a poppa e due a prora sottocoperta e sotto copertino, gli uomini dormono in cuccette ribaltabili. La mensa equipaggio, organizzata tipo tavola calda, è ubicata sulla sinistra del cassero centrale ed e raggiungibile sia dai locali prora sia da quelli di poppa senza uscire in coperta. I sottufficiali hanno i loro camerini da uno o più posti, alcuni all’interno del cassero, altri sottocoperta i in mediatamente a proravia dei locale caldaie di prora, ed il loro quadrato si trova nella tuga in coperta a centro nave immediatamente a proravia del secondo fumaiolo. I camerini degli ufficiali sono invece ubicati, parte sulla dritta del cassero centrale e parte, compreso l’alloggio del comandante ed il quadrato, nel piano inferiore della tuga sovrapposta al cassero stesso.
    I principali locali di comando, per il governo della nave sia in navigazione che in combattimento, si trovano distribuiti nella sovrastruttura principale. Anteriormente a questa tuga si ha il ponte di comando, molto ampio ed aperto, per la protezione del personale di guardia dal vento e dai colpi di mare, lo stesso è dotato di schermi aerodinamici vetri abbassabili e, nella centrale, di un tettino in plexiglas che lascia ampia visibilità superiore.
    La timoneria chiusa si trova al centro della grande plancia dietro la timoneria, nel piano superiore della tuga, abbiamo la Centrale Operativa di Combattimento C.O.C le Stazione operativa radar. Al piano inferiore, sotto il ponte di comando la centrale Antisom e più a poppavia la stazione R.T. principale, Centrale AS-SIOC Antisom servizio informazioni operazioni combattimento.
    La centrale di tiro di tiro principale è posta sotto coperta a centro nave, mentre una stazione di tiro secondaria trova posto nella piccola tuga posta a poppavia del secondo fumaiolo.
    Caratteristica di queste fregate è il grande albero a tripode che sorge anteriormente al primo fumaiolo e che, oltre a sostenere le antenne dei radar ed una piattaforma con proiettore e dotato di un pennone per la manovra delle bandiere da segnalazione largo quanto l’intera nave. Un altro albero più picciolo s’innalza dalla sovrastruttura a poppavia del fumaiolo del secondo fumaiolo. Data la non eccessiva velocità operativa di queste navi, un solo timone semi compensato di ampia superficie e sufficiente a conferire loro buone qualità manovriere.
    Le ancore di posta sono due, a marre articolate tipo Hall, e come su tutte le unità di piccolo tonnellaggio manovrabili da un solo argano elettrico posto sull’estrema prora.
    L’apparato motore è costituito da due gruppi di turbine a vapore Ansaldo, indipendenti fra loro e posti in due compartimenti stagni separati ed agenti ognuno su un’elica mediante ingranaggi di riduzione. Ogni gruppo si compone di un a turbina ad alta pressione che ha incorporata la palettatura di crociera e di una turbina di bassa pressione che ha incorporata la palettatura per la marcia indietro. II vapore necessario al funzionamento delle turbine è prodotto da due moderne caldaie POSTER WHEELER, la cui temperatura di esercizio è di 410°c e la pressione di 43atm. La potenza complessiva sviluppata dall’apparato motore è di 22.000HP, capace di imprimere all’unità una velocità massima di circa 26 nodi. Detta velocità non è molto elevata ma è sempre tale di consentire a queste unità di avere la necessaria prevalenza sul convoglio scortato, per maggiore sicurezza e per poter continuare la navigazione anche con una sola elica, in caso di colpo a bordo l’apparato motore e diviso in due gruppi distinti ed autosufficienti. Il gruppo più a proravia, che a gisce sull’elica di dritta, consta di una caldaia la cui canna fumaria finisce nel fumaiolo prodiero e di un gruppo turbo riduttore posti in due locali separati e contigui. Il gruppo di sinistra è analogo al precedente e la canna fumaria sfoga nel fumaiolo poppiero.

    A centro nave, infine, fra i locali e dei due gruppi si trova la centrale elettrica principale che alimenta rutti i circuiti di bordo per mezzo di tre diesel alternatori Mayback per una potenza complessiva erogata di 200Kw. I locali abitati delle sovrastrutture possono essere ventila te mediante normale circolazione d’aria: ognuna delle quattro fregate è dotata anche di un impianto di condizionamento completo a ciclo chiuso o aperto per tutti i locali abitati ed operativi, che unitamente ad un impianto di lavaggio esterno ed ad un sistema automatico di allarme e rivelazione, permette alle navi di permanere ed operare in zona di ricaduta radio attiva. Pur trattandosi, in fondo, di navi di transizione, esse sono provvedute di apparecchiature radar ed ecogoniometriche di notevole sensibilità i cui dati vengono elaborati dalla Centrale Operativa di Combattimento, dalla centrale di tiro e della centrale antisom, che permettono una costante valutatone del la situazione, sia nell’aspetto generale operativo che in quello specifico della minaccia nelle varie forme.
    All’entrata in servizio le apparecchiature elettroniche di scoperta presentavano delle diversità rispetto alle attuai i identiche per tutte le unità della serie Centauro e Canopo avevano un radar americano ASP/NS 6 per scoperta aeronavale con copertura fino a 250 Km. Cigno e Castore costruite off-shore montavano invece un radar Microlambda di costruzione nazionale.
    Nei 1960 l’apparecchiatura è stata uniformata e da allora tutte e quattro le unità della classe montavano il radar ASP/ NS 6. Oltre al radar principale si aveva in una coffa più sopraelevata quasi in testa all’albero, un radar Selenia di costruzione nazionale di scoperta in superficie su bassi siti fino a circa 9 Km.
    Nel 1964 questo tipo di radar è stato sostituito con uno Jason di tipo più moderno. L’apparecchiatura ecogoniometrica per la ricerca dei sommergibili immersi costa di un sonar panoramico ad alta frequenza di costruzione americana, tipo AN/SQS-11A, il cui proiettore sporge sotto la chiglia verso prora entro un bulbo carenato. Per quanto riguarda l’armamento, possiamo dire che nonostante il lungo periodo di allestimento di queste navi, l’adozione di armi moderne antiaeree e antisom fece si che alla loro entrata in servizio le fregate della classe “Centauro” erano navi senz’altro all’altezza dei tempi e perfettamente idonee alla scorta dei convogli. L’armamento antiaereo e navale comprendeva: 4 cannoni da 76/62 mm AA Oto Melara, i cannoni da 76, in una sistemazione binata a canne sovrapposte che, geniale nella concezione, non ha però dato i risultati di praticità sperati e che non sarà quindi ripetuta su nessuna altra unità, erano armi modernissime progettate per un’eventuale complesso a quattro canne mediante accoppiamento di unità binate. Il caricamento era completamente automatico e continuo, con elevata frequenza di tiro: 60 colpi al minuto. Rispetto al tipo SMP 3 imbarcato sulle corvette della classe Albatros e da cui questi derivano, presentando soltanto l’innovazione del caricamento continuo per mezzo di apposite norie a qualsiasi elevazione, ciò che consentiva la più elevata cadenza di tiro. Le due torrette abbinate erano asservite ad una centrale D.T. tipo NSG con radar di tiro MLT 4 ed ad una colonnina di direzione tiro. 4 mitragliere antiaeree Breda-Bofors da 40/70 mm. in impianti binati posti su apposite piazzole a destra e sinistra della tuga centrale a poppavia del secondo fumaiolo, i due impianti di mitragliere antiaeree erano asserviti elettronicamente a due colonnine di punteria Galileo OG 1 poste in apposite piazzole nella tughetta poppiera, immediatamente a poppavia del secondo fumaiolo. Queste armi però, benché ottime e di funzionamento preciso e sicuro, furono le ultime ad essere imbarcate su unità di notevole tonnellaggio. Esse infatti ritenute ormai superate per la relativa efficacia dimostrata dal tiro antiaereo ravvicinato contro i moderni reattori, non compariranno mai più su navi nuove, avendo la Marina Militare Italiana adottato come calibro antiaereo il 76 mm 2 Lanciarazzi trinati da 105 mm telecomandali per il tiro notturno, a completamento dell’armamento antiaereo e navale, i due impianti si trovano sul cassero centrale, uno per lato, immediatamente a proravia del ponte di comando. L’armamento antisom all’entrata in servizio, era composto di: 1 lanciabas lungo trinato tipo Menon, posto a prora sul cassero immediatamente a poppavia delta torre da 76 mm. 4 Lanciabas Menon corti, disposti in coperta due per lato quasi a centro nave, ma leggermente spostati verso poppavia. 2 Guide fisse per il lancio di siluri antisom da 553 mm. posta sulla tuga fra i due fumaioli, una a dritta ed una sinistra denominata tuga siluri. 1 tramoggia da 10 bombe torpedini da getto, posta ad estrema poppa al centro dello specchio. Il lanciabas trinato da 305 mm., progettato e costruito interamente in Italia, deriva dal Limbo Inglese e può lanciare una salva di tre grosse bombe antisom ad una distanza massime di 1500m, sparate le tre cariche l’arma va ad una massima elevazione di 90° e viene automaticamente ricaricata, mentre le spolette vengono ricaricate direttamente dalla Centrale Antisom, in base ai dati forniti dall’ecogoniometro, la gittata viene regolata mediante variazioni della potenza della carica di lancio, l’arma piuttosto ingombrante, e racchiusa in una torretta brandeggiante da cui sporgono le ire lunghe canne. I lanciabas pirici Menon posti sui due lati della nave, sono stati sostituiti insieme alle due guide lanciasiluri poste sulla tuga centrale. su tutte e quattro le unità, negli anni 1963/64con due lanciasiluri trinati antisom tipo Mark 32 posti sui due lati della nave nella posizione di centro nave dove antecedentemente erano piazzati i lanciabas corti Menon nel 1966 venne dato corso ad un programma di ammodernamento e trasformazione delle quattro unità che rimasero in servizio fino alla metà degli anni ’80.

    Caratteristiche Tecniche
    Nave Castore F553

    Tipologia: Fregata
    Motto “Ardisco ad ogni impresa”
    Impostata il13/3/1955 – varata 8/7/1956
    In servizio dal 14/7/1957fino alla fine degli anni ’80
    Dislocamento: standard1680-tonn.; normale-2137-tonn.
    Dimensioni: Lunghezza F.t.m.103,14; Larghezza m.12
    Immersione: p.c.m.3,83
    Apparato-motore: 2caldaie Poster Wheeler; 2 gruppi turbo riduttori F.Tosi, BP e condens.Ansaldo
    Potenza: 22.000HP
    Velocità:26 nodi
    Combustibile: 400tonn. nafta
    Autonomia: 3.020 miglia a 12nodi; 2.860 miglia a 18 nodi; 1250 miglia a 26 nodi
    Armamento iniziale:
    – 4 cannoni da 76/72 mm in due torri binate
    – 4m mitragliere da 40/70 mm. in due imp. binati
    – 2 lanciarazzi trinati da 105mm. illuminanti
    – 2 lanciasiluri AS da 503 mm(fino al 1963)
    – 4 lanciabas Menoncorti (fino al 1963)
    – 2 impianti trinati lanciasiluri A.S. Mark 32 (dal 1963)
    Dopo la trasformazione:
    – 3 cannoni da 76/72 mm Oto-Melara in tre torrette singole
    – 2 lancia-lanciarazzi trinati da 105 mm. illuminanti
    – 1 lanciabas lungo trinato Menon
    – 2 impianti lanciasiluri trinati A.S. Mark32
    Equipaggio: 13 Ufficiali; 222 Sottufficiali e Comuni
    Affondata il 30 marzo 2001 al largo di Civitavecchia mentre veniva rimorchiata in Turchia per essere demolita.

    Dicevano dell’accaduto i marinai imbarcati su nave Castore che si sono riuniti nel gruppo facebook ai seguente link:

    https://www.facebook.com/groups/nave.castore/?fref=ts
    https://www.facebook.com/pages/EQUIPAGGIO-NAVE-CASTORE/102105953160370

    “…per i caduti nell’adempimento del dovere, che furono i nostri migliori amici ed ebbimo la fortuna di conoscerli, rimasero e rimarranno sempre nei nostri cuori, e di tutti coloro che nel tempo furono imbarcati su ch’ella meravigliosa NAVE CASTORE.
    Aristide Duse, Vittorio Celli, Domenico Francese, Franco Pardini adesso riposate in pace. Ci ricorderemo di voi nei prossimi raduni.”

    Dello stesso argomento sul sito:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/02/spq5/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2012/09/2-raduno-nazionale-nave-castore/

     

  • Attualità,  Recensioni,  Storia,  Un mare di amici

    Auguri di buon compleanno a Mario Cipollini

    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Mario Cipollini, soprannominato dai tifosi Re Leone oppure SuperMario, è stato il principe degli sprinter italiani. Nato il 22 marzo del 1967 a Lucca, professionista dal 1989, fino al 2002 ha ottenuto ben 115 vittorie (in particolare con il team “Acqua&Sapone” “Cantina Tollo” e “RDZ”), di cui otto si segnalano in modo particolare: la tappa al Giro del Mediterraneo, la tappa di San Benedetto del Tronto alla Tirreno Adriatico, la Milano San Remo, la Gand-Wevelgem e le tappe di Monster, Esch-surAlzette, Caserta e Conegliano dell’85° Giro d’Italia.
    Dopo aver annunciato il suo ritiro dallo sport, nell’ottobre del 2002 ha sorpreso tutti con un’eclatante exploit: alla bella età di 35 anni ha vinto a Zolder, in Belgio, la 69^ edizione del Campionato del Mondo professionisti su strada coronando una carriera straordinaria nella quale brillano 181 successi, tra cui 40 tappe del Giro d’Italia, 12 del Tour de France, 3 della Vuelta e la prestigiosa Milano-Sanremo.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    21.3.1918, viene affondato il piroscafo Termini

    di Antonio Cimmino


    IN MEMORIA DI ANTONIO MIGLIACCIO E ADOLFO SCHETTINI

    Antonio Migliaccio, 1° ufficiale di coperta, marinaio di Meta, scomparve in mare a seguito del siluramento del piroscafo Termini avvenuto il 21 marzo 1918 al largo dell’isola di Milo.

    Antonio era il nonno del comandante Antonino Migliaccio insignito della Medaglia d’Oro Lunga Navigazione della Marina Mercantile.

    di Carlo Di Nitto
    Nell’affondamento del Piroscafo “Termini” venne dichiarato disperso Schettini Adolfo di Alessandro, nato a Gaeta il 06/06/0878, Capitano di Lungo Corso. Fu decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare (alla Memoria) con la seguente motivazione:
    “Imbarcato sul piroscafo “Termini”, di fronte al nemico ed al pericolo dava bella prova di disciplina e coraggio, rimanendo fermo al suo posto mentre la nave affondava e scompariva con essa, vittima cosciente del proprio dovere
    (Presso l’isola di Milo, 21 marzo 1918 – det. 21 giugno 1918).

    SIAMO ALLA RICERCA DI FOTO  ULTERIORI INFORMAZIONI

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Antonio Buzzelli (Ortona (CH), 21.3.1920 – Ortona (CH), 31.3.1998)

    di Paolo Polidoro

    (Ortona (CH), 21.3.1920 – Ortona (CH), 31.3.1998)

    S.O.S. RICHIESTA NOTIZIE E FOTO

    Arruolato per la ferma di mesi 28 nel giugno del 1939. Giunto alle armi nel deposito CEMM di Venezia e classificato allievo SDT, matricola 2248.
    Dal marzo 1940 al dicembre 1942 è stato imbarcato su una delle navi più prestigiose della Regia Marina, la corazzata Littorio assistendo come testimone imparziale agli eventi bellici che hanno visto protagonista quella Unità. E tra queste la triste notte (11/12 novembre 1940) di Taranto, il secondo scontro della Sirte del 22 marzo del 1942 e la battaglia di mezzo giugno 1942.
    A conclusione di quest’ultimo evento bellico l’unità riportò ancora danni e fu costretta a riparare a La Spezia per interventi. A seguito della inoperatività dell’unità i marinai qualificati SDT a ben poco servivano a bordo e quindi Antonio venne inviato nella Francia meridionale, allora sotto occupazione italiana, ed impiegato da gennaio a settembre 43 presso la batteria B3 nella fortificazione del vallo alpino occidentale e forse nella zona di Bardonecchia. (dati che vorremmo confermare).
    La caduta del fascismo e la firma dell’armistizio travolsero anche la vita di guarnigione di Antonio che il 9 settembre del 43, insieme ad altri giovani sfortunati, vennero fatti prigionieri dai tedeschi ed avviati verso la prigionia in Germania. Probabilmente furono trasportati da Tolone verso Metz e da qui presumibilmente a Treviri (Trier) verso i lager della zona per lavori forzati in miniera (dati che vorremmo confermare).
    Dopo 2 lunghi anni di inferno nell’agosto del 1945 venne rimpatriato e ad ottobre dello stesso anno congedato.
    Antonio dal carattere unico, un abruzzese di altri tempi forte e gentile come si diceva, era assai poco loquace.
    Mai sentii una lamentela, mai una imprecazione contro la sorte che gli aveva portato via i 5 anni migliori di gioventù o inveire contro i suoi carcerieri. Ricordo sempre quella sua fierezza di aver fatto il proprio dovere e di aver trascorso mesi bellissimi a bordo di nave Littorio e le giornate intere e le notti a dormire in SDA accanto alla sua mitragliera pronto a reagire ad attacchi aerei. Era molto ironico; un sorriso malinconico lo avvolgeva quando mi descriveva l’enorme quantità di fuoco vomitato dai grossi calibri da 381 nel corso delle azioni a cui aveva partecipato e si lasciava andare al commento:
    – “mi ricordo che abbiamo vuotato i Depositi munizioni ma i colpi non andavano a S”.
    E allora sorridendo sornione mi chiedeva:
    – ”ma ora le centrali di tiro delle vostre moderne navi sono finalmente precise?” .
    Gli occhi di quel marinaio fiero si inumidivano quando ripensava alla notte tragica di Taranto. Ricordava le luci che scrutavano il cielo alla ricerca, lassù, di aerei mentre la minaccia era sulla superficie del mare e lui sembrava sentisse ancora il dolore di quei 3 siluri che si conficcarono nello scafo di nave Littorio come nelle sue carni: e al mattino seguente lo spettacolo impietoso della sua nave ferita e di tutta la tragedia intorno in Mar Grande. Descriveva lo stupore del Comandante di nave Littorio e degli altri componenti lo staff che si aggiravano attoniti in coperta a rilevare i danni.
    Nel 1988 ricevette il distintivo di 2^ grado (argento) per lunga navigazione in guerra e lo autorizzarono a fregiarsi del brevetto d’onore di “Volontario della Libertà” ma che lui non ritirò mai in quanto considerava quel periodo sfortunato oramai sepolto e i suoi conti erano oramai chiusi con la storia.
    Antonio era il padre di mia moglie e purtroppo una brutta malattia ce lo ha portato via all’improvviso nel 1998 togliendoci la possibilità di fargli ancora qualche domanda per comprendere. Riposa in pace.
    Antonio è stato un uomo di rispetto e pieno di dignità e ha cresciuto la sua famiglia trasmettendo questi grandi valori della vita. Uno dei tanti italiani che hanno fatto rivivere la nostra Nazione delle sue vicissitudini di quella guerra; delle sue disgrazie non ci ha lasciato molto… e a noi, ora, curiosi, ci piacerebbe poter sapere dove ha trascorso la prigionia, in quali campi e se esistono testimonianze magari di altri commilitoni. Grazie.

    … riceviamo e pubblichiamo
    Buonasera Ezio. Da quanto riportato in un documento del Vaticano, un Buzzelli Antonio (non sono riportati altri dati anagrafici) si trovava nello Stalag XII F di Forbach (dal novembre 1944 localizzato a Freinsheim) con il numero di matricola 33279. Presumibilmente è poi stato spostato al comando di lavoro n° 2012.
    Roberto Zamboni (9.2.2021)

     

    Regia nave Littorio
    di Carlo Di Nitto

    La regia corazzata Littorio (classe omonima) dislocava 45963 tonnellate. Costruita nei cantieri Navali Ansaldo di Genova, era stata impostata il 28/10/1934, varata il 22/8/1937 ed era entrata in servizio il 06/05/1940.
    Nel corso della guerra effettuò un numero di azioni limitato rispetto alle sue potenzialità belliche, ma ciò fu rispondente alla situazione della guerra navale nel Mediterraneo, dove non si venne mai a creare alcun presupposto strategico tale da giustificare un confronto diretto fra flotte contrapposte.
    Il 26 luglio 1943, con la caduta del fascismo venne rinominata “Italia”.
    Al termine delle ostilità, per l’applicazione del Trattato di Pace, venne compresa fra le navi da cedere alle Potenze vincitrici. In particolare l’ “Italia” (ex “Littorio”) era stata destinata agli Stati Uniti che comunque rinunciarono al diritto di acquisizione, imponendone però la demolizione. Venne pertanto radiata il 1° giugno 1948 e avviata allo smantellamento

    Con le sue possenti gemelle “Vittorio Veneto”, la sfortunata “Roma” e la “”Impero” (mai entrata in servizio), la “Littorio” ha rappresentato la migliore realizzazione italiana nello sviluppo delle navi di linea, quando ormai queste navi cominciavano già ad essere superate e sostituite, nelle strategie belliche navali, dalle portaerei.

    Nonostante il suo limitato numero di azioni belliche, la “Littorio” dalla triste notte di Taranto del 12 novembre 1940 al 9 settembre 1943 ebbe a lamentare la perdita di oltre 50 Marinai.
    Onore ai Caduti.

    Varo della Regia Nave da Battaglia (Corazzata) LITTORIO – 22 agosto 1937