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  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    10.4.1943, La Maddalena e il cimitero dei Marinai della Regia Marina

    di Giovanni Presutti (*)

    Questo racconto tratto dal mio libro “Dai monti al mare tra i loro segreti incanti” è dedicato all’ammiraglio Carlo Bergamini, ai Marinai della regia corazzate Roma e del regio incrociatore Trieste, ai Marinai che non fecero rientro alla base e al Capo di 1^ classe “scelto” Carmine Trigilio (superstite della regia nave Roma).
    Per gentile concessione a www.lavocedelmarinaio.com (vietata ogni duplicazione di immagini e dello scritto, anche parziale, senza la necessaria autorizzazione).

    Il cimitero, che da uno dei rilievi più alti dell’isola accoglie tutti i venti dell’arcipelago, potrebbe essere definito il “cimitero dei marinai”. In esso hanno trovato sepoltura non soltanto i marinai locali ma di ogni parte d’Italia, deceduti in quest’isola o nelle sue acque. E quello della Maddalena é sempre stato un popolo di marinai.
    La natura già da millenni aveva concepito l’arcipelago, oggi invidiato da mezzo mondo, bello e seducente. Mi piace pensare per questo, molti morti del regio incrociatore pesante Trieste, affondato il 10 aprile 1943 nelle acque tra Palau e La Maddalena, finirono galleggiando col vento di ponente sui nostri scogli di Padule e Nido d’Aquila: vollero tornare a bordo di quest’isola.nave, per udire ancora l’urlo del maestrale e del mare in perpetuo con quell’alto cimitero dei marinai. Camposanto che, a guisa di sentinella delle acque dell’Arcipelago, respira i venti che impregnati di “scavicciu” (elicriso), di lentisco, d’erica in fiore e di gioiose ginestre, portano fin lassù il sapore della salsedine. La notte sembra unire i marinai isolani, periti in mari lontani, a quelli morti sulle nostre navi da guerra in queste acque e rimasti senza un fiore in fondo al mare. Ora, da morti, tutti presenti, tornano a navigare in eterno a bordo di questa nave che la natura ha incastonato tra le scogliere granitiche del mare di Sardegna.
    Così, ogni sera quando il frastuono dei vivi cessa, pare udirsi ancora dal megafono di bordo la voce del comandante: Prora, salpa! Poppa molla!, mentre il nostromo incalza nelle svelte manovre di disormeggio.
    Allora, sembra vedersi srotolare nel cielo delle Bocche di Bonifacio, la dolorosa pergamena con le toccanti parole dell’ammiraglio Carlo Bergamini ai suoi marinai, quando dovette partire da La Spezia per consegnare la sua flotta agli Alleati. Ma, fedele al giuramento fatto alla Patria, deviò invece per La Maddalena, trovando la morte con 1254 uomini a bordo della regia corazzata Roma, colpita da aerei tedeschi e colata a picco nelle acque dell’Asinara.

    Cosicché, al tramonto, quando di solito certi fenomeni atmosferici si placano, con la bonaccia, nelle acque dell’affondamento pare percepirsi l’incessante riecheggiare della parte finale di quel proclama:
    “ …ciò che conta nella storia dei popoli, non sono i sogni e le speranze e le negazioni della realtà, ma la coscienza del dovere compiuto fino in fondo, costi quel che costi”.
    E i gabbiani candidi, leggeri e alti nel cielo, cessano i loro acuti gridi per dare risalto a queste parole che si affidano a tutti i venti del quadrante per essere ripetute in perpetuo. Solidale con i gabbiani, le imbarcazioni a vela a decine silenziosamente sciamano dalle isole minori dell’arcipelago per far ritorno alla Maddalena.
    Isola superba e ammaliatrice, ha sviluppato e trafitto di dolcezza il cuore di tutti i marinai che vi hanno posto piede. Basta una sferzata di vento, un odore di mirto o di rosmarino selvatico, perché si ritrovino tutti con gli occhi lucidi di commozione, che rispecchiano le straordinarie trasparenze di questo mare e i delicati riflessi dorati quasi metallici di alcune calette di sabbia rosa.
    Quasi ogni giorno al vespero, un maddalenino, militare o borghese, pianta una nuova croce in quell’aereo cimitero e mentalmente ripete commosso le suggestive note del silenzio fuori ordinanza, mentre il vento porta fin lassù il fischio del nocchiere che annuncia l’ammainabandiera in tutti gli edifici militari dell’Isola.
    Al tramonto, sulle navi in navigazione, raccolta la bandiera tra le braccia di un marinaio, il più giovane ufficiale legge la Preghiera del Marinaio, la cui parte finale, nel pensiero di ognuno di bordo, viene affidata all’amico vento per essere trasportata alla famiglia di ciascuno di loro:
    “… Benedici, o Signore, le nostre case lontane, le care genti. Benedici nella cadente notte il riposo del popolo, benedici noi che per esso vegliamo in armi sul mare!” .
    Ma domani è un nuovo giorno ed é bello porgere l’orecchio al vento che, dopo il fischio dell’alzabandiera, reca le toccanti note dell’inno dei sommergibilisti. E nell’isola riprende la vita di sempre, mentre i forti venti tornano alla loro consueta, incessante opera di scolpire nel tempo i macigni dell’arcipelago in fantasmagoriche figure.

    Tratto dal libro Dai Monti al Mare tra i loro segreti incanti di Giovanni Presutti (Longo S.p.A Bolzano maggio 2016).
    Il libro è un tributo d’amore al paese d’origine dell’autore, Campo di Giove, “Cuore Verde d’Abruzzo” e a quello in cui vive da diversi decenni, La Maddalena, splendida isola del mare di Sardegna
    Testi e foto di Giovanni Presutti per gentile concessione a www.lavocedelmarinaio.com (diritti riservati dell’autore).

    (*) Giovanni Presutti, nato a Campo di Giove, vi trascorre la prima giovinezza fino ai venti anni quando si arruola nella Marina Militare con la specializzazione di segretario.
    Ogni anno in agosto ritorna per un breve periodo alla sua casa paterna.
    Nel corso di circa quarant’anni di servizio , tra diverse destinazioni a terra e imbarchi, approda nell’isola sarda di La Maddalena, dove crea la sua nuova famiglia e vi risiede.
    In Marina frequenta corsi professionali negli Istituti militari, uno a Venezia e due a La Maddalena. Raggiunge il massimo grado di sottufficiale.
    Dedica il suo tempo libero all’approfondimento culturale e all’innata passione per le lettere. Diviene giornalista pubblicista. Ha collaborato per due anni alla pagina culturale del quotidiano “L’Isola” e a diverse riviste specializzate con articoli di critica artistica e letteraria. E’ inserito su svariate antologie e su alcuni libri di scrittori delle epopee garibaldine, del brigantaggio postunitario e di specifici episodi della Seconda Guerra Mondiale. Ha pubblicato quattordici libri. E’ Membro dell’Istituto Internazionale di Studi “G. Garibaldi”, sezione regionale Sardegna. Ha ottenuto diversi riconoscimenti e lusinghiere citazioni su quotidiani, riviste e libri. E’ stato nominato Accademico di Merito “ad honorem” dal “Centro Cultural, Literario, e Artistico” de “O Jornal de Felgueiras” (Portogallo). Nominato Accademico di Merito per meriti acquisiti nel campo delle lettere, dall’Accademia Culturale d’Europa, sezione italiana di Viterbo.

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    Salvatore Pelosi (Montella, 10.4.1906 – Terranova di Sibari, 21.10.1974)

    di  Ottaviano De Biase

    (Montella, 10.4.1906 – Terranova di Sibari, 21.10.1974)

    Salvatore Alfonso Nicola Pelosi, di Silvio e Adelina Giannetti, nasce a Montella (AV) il 10 aprile 1906. Dopo le elementari e gli studi classici, nel 1921 entra in Accademia Navale di Livorno. Nel 1926 consegue la nomina a Guardiamarina e imbarca sulla nave da battaglia Caio Duilio. Nel 1928 passa sull’incrociatore Libia e parte per una missione in Estremo Oriente. Tra il 1928 e il 1930 lo ritroviamo prima a Tientsin, in Cina, presso il Distaccamento della nostra Marina, e poi presso un reparto del Battaglione San Marco dislocato a Chinhgwantau.
    Nel 1930 rientra in Italia e partecipa al Corso Superiore presso l’Accademia Navale di Livorno, ove consegue la specializzazione di Direzione di Tiro. Al termine viene promosso Tenente di Vascello ed imbarca sul cacciatorpediniere Bettino Ricasoli e poi sull’esploratore Pantera con l’incarico di Direttore di Tiro di bordo; prosegue infine sull’incrociatore Bolzano ove gli si affida l’incarico di Ufficiale di Rotta.
    Nel 1933 lo ritroviamo a Pola dove familiarizza con i Sommergibili lì destinati e dove s’incontra frequentemente con il suo conterraneo questore Giovanni Palatucci (Montella, 31 maggio 1909 – Dachau, 10 febbraio 1945). Stesso anno imbarca sull’incrociatore Gorizia a bordo del quale, tra l’ottobre 1935 e il maggio 1936, prende parte al conflitto Italo-Etiopico. Tra il 1936-1938 è di nuovo in Italia per assumere il Comando di una Squadriglia di Mas in Sicilia e poi per partecipare alla guerra civile spagnola, al comando di una torpediniera. Nel 1937 arriva ad Addis Abeba, a Dessié, sul Lago Haik. Nel 1938 viene promosso Capitano di Corvetta. Nell’aprile del 1939 prende il Comando del sommergibile Torricelli, della 41,ma Squadriglia Sommergibili: destinazione, Africa Orientale, con sede a Massaua fin dal 1935, ove partecipa a varie ed eroiche missioni di guerra. Ed è là, racconto in un libro a lui dedicato, che il 23 giugno 1940, al comando del Torricelli, si scontra con le forze navali inglesi: zona di operazione, Mar Rosso, Golfo di Perin, conclusosi con l’affondamento di alcune navi inglesi e dello stesso Torricelli.
    Un gesto di alto eroismo riconosciuto dagli stessi avversari i quali gli concedono gli Onori delle Armi e il plauso degli stessi ammiragli comandanti presenti a Massaua.
    Segue, in stato di prigionia, assieme ai restanti suoi uomini, a bordo del Piroscafo Takliva, per l’India, ove viene rinchiuso nei campi dapprima di Ahmadnagar, presso Bombay, e poi in quelli di Ramgarh, nell’India Meridionale.

    Nel 1945 che rientra in Italia gli sono conferiti i gradi di Capitano di Fregata, con data retroattiva dal 1942. Seguono il conferimento della M. O. V. M., e la nomina a Capo di Stato Maggiore del Comando Sommergibili; il 21 luglio, conduce all’altare Francesca Paola Tripodo. Il figlio Giancarlo nasce a Messina il 12.11.1947.
    Nel 1948 assume il comando del cacciatorpediniere Alfredo Oriani ed è promosso Capitano di Vascello. Dal 1948 al 1949 frequenta l’Istituto di Guerra Marittima. Dal 1949 al 1951 assume dapprima il Comando della Marina Militare Italiana in Somalia e subito dopo quella di Capo di Stato Maggiore presso il Comando in Capo del Basso Tirreno. Dal 1951 al 1953 assume il Comando delle Forze Navali Costiere. Segue, nel 1953, sull’incrociatore Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, su cui ricopre l’incarico di Capo di Stato Maggiore della 2^ Divisione Navale.
    Dal luglio 1954 è Capo di Stato Maggiore del Comando Militare Marittimo Autonomo in Sicilia. Il 1 gennaio 1957 è promosso Contrammiraglio; dopodiché, frequentato il Centro Alti Studi Militari, assume l’incarico di Ispettore delle Scuole CEMM di La Maddalena e di Presidente della Commissione Ordinaria di Avanzamento con sede a Roma. Nel maggio 1961 viene promosso Ammiraglio di Divisione ed assume il Comando del Gruppo Dragamine. Dal 1962 al 1963 è alla guida del Comando Militare Marittimo Autonomo in Sicilia, con sede a Messina. Nel 1964 è promosso Ammiraglio di Squadra; con tale grado ricopre la carica di Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e Canale d’Otranto, ricoprendo anche dall’ottobre 1967 la carica di Presidente del Consiglio Superiore delle FF. AA., Sezione Marina.

    Dall’Ottobre 1967 ad aprile 1969 è Presidente (Sezione Marina) del Consiglio Superiore delle FF. AA.
    L’11 aprile 1969 è collocato in ausiliaria per limiti di età. Dal 1969 al 1974 copre la carica di Presidente dei Cantieri Navali di Taranto (Gruppo Fincantieri).
    La sera del 21 ottobre 1974, al termine di un fine settimana in famiglia, lascia Messina e alla guida della sua auto parte alla volta di Taranto, dove, alle otto del mattino, era atteso da una importante riunione di lavoro: muore sulla statale ionica, al seguito di un incidente automobilistico, nei pressi di Terranova da Sibari.


    Le tre foto: riceve la visita del generale Eisenhower, consegna a Bari della bandiera di guerra del nuovo Torricelli, attuale sommergibile Salvatore Pelosi.

  • C'era una volta un arsenale che costruiva navi,  Marinai,  Marinai di una volta,  Recensioni,  Storia

    Pericle Ferretti (Bologna, 10.4.1888 – Napoli, 12.2.1960)

    di Antonio Cimmino

    (Bologna, 10.4.1888 – Napoli, 12.2.1960)

    Nasce a Bologna il 10 aprile 1888. Ingegnere navale ed ufficiale del Genio, fu direttore dell’arsenale di Napoli e al regio stabilimento delle costruzioni navali di Castellammare di Stabia.
    Dal 1912 al 1916 fu sotto direttore dello stabilimento e si applicò allo studio dei problemi relativi al varo delle navi ed a quello delle motrici a vapore. Successivamente progettò un sistema che consentiva una migliore alimentazione con aria esterna dei locali motori dei sommergibili (lo Schnorchel italiano).
    Nel 1935 progetto il “sommergibile tascabile” (MSI veloce) i cui esemplari finirono, nel 1943, preda bellica degli U.S.A..
    Notevole anche il suo contributo alla costruzione della nuova nave da guerra “Duilio”.
    A lui si deve la nascita dell’Istituto nazionale dei motori del Consiglio nazionale delle ricerche a Napoli. Nella città partenopea fu titolare della cattedra di meccanica applicata alle macchine nella facoltà di ingegneria dell’Università Federico II.
    Salpò da Napoli per l’ultima missione, in quella città che amò tanto, il 12.2.1960.

    Si consiglia la lettura del seguente articolo:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/03/gli-ingegneri-navali-della-marina-militare/

  • Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    10.4.1876, inizia la campagna idrografica di nave Washington

    Mario Veronesi (*)

    La prima nave idrografica italiana

    Costruito alla Seyne (Forges et Chantiers de la Mediterranée), varato nel 1854 con il nome di Helvetie . Acquistato a Marsiglia da Angelo Bertani per conto della Marina siciliana nel 1860. Ad inizio giugno 1860, durante l’impresa dei Mille, la nave venne acquistata dalla Marina dittatoriale siciliana di Giuseppe Garibaldi che la ribattezzò Washington e la impiegò per il trasporto delle truppe. Il contratto d’acquisto fu firmato a Marsiglia l’8 giugno 1860 da parte dei delegati garibaldini Paolo Orlando e Giuseppe Finzi, con il cittadino statunitense William de Rohan come acquirente fittizio. Sotto il Regno d’Italia disciolta la Marina dittatoriale siciliana, il Washington, entrò in servizio, il 17 marzo 1861, nella neocostituita Regia Marina, come pirotrasporto ad elica. Partecipa alla guerra in Adriatico del 1866 come prima nave ospedale italiana, con una dotazione di 100 letti,  cinque medici, un farmacista, un cappellano e 20 infermieri. A differenza delle navi ospedale del XX secolo, tuttavia, il Washington, che era qualificato come “ospedale navigante aggregato all’armata”, pur essendo dotato di sistemazioni ed attrezzature mediche, rimaneva a tutti gli effetti una nave ausiliaria. Proseguendo negli anni successivi al servizio trasporto materiali per la Regia Marina, sino al 1876, anno in cui venne attrezzato ed armato per il servizio idrografico. Anche durante il periodo di impiego come idrografica, non mancherà di mostrare la propensione agli atti di salvataggio come nel caso del terremoto di Ischia, del settembre 1883.
    Il 10 aprile 1876 il Washington al comando del del C.F. Carlo Rossi iniziò quella lunga e laboriosa attività nel campo dell’idrografia e delle scienze nautiche che lo resero benemerito nella nostra Marina in questo importante servizio. Da quell’anno il  Washington percorse il Mediterraneo ed i mari del vicino medio oriente, per la raccolta degli elementi geodetici, topografici e di scandaglio, occorrenti per l’elaborazione delle carte nautiche e dei portolani dei mari nazionali e coloniali. Nella sua prima campagna idrografica, mosse da La Spezia il 25 aprile, toccando diversi luoghi, ma rimanendo nelle acque nazionali, concluse questa sua prima campagna  sempre a La Spezia il 19 ottobre.
    Nel 1894, partenza da La Spezia il 6 agosto, al comando del  C.F. Gaetano Cassanello per l’annuale campagna, con rientro nel porto ligure il 2 ottobre. Sarà l’ultima campagna idrografica dall’ormai anziana unità.

    Con la fine della diciannovesima campagna il vecchio  Washington chiuse anche le sue interrotte attività di nave idrografica della Marina che aveva costituito per tanti anni una magnifica scuola di addestramento e di lavoro nel settore specifico del servizio idrografico, per i comandanti e per gli ufficiali dedicatisi in questi studi. Un poderoso rendiconto cui sono legati la storia e lo sviluppo della produzione cartografica marina nazionale, per l’eccellenza di metodi, scrupolosità di lavoro ed esattezza d’esecuzione. Nel 1895, sostituito da altre unità più corrispondenti alle esigenze sempre più progredite del servizio idrografico, il  Washington disarmò, iniziando in quell’anno nell’arsenale di La Spezia, i lavori di trasformazione e di adattamento per essere adibito quale deposito semoventi di torpedinieri.  Espletando questo nuova attività  sino al 1904, anno in cui venne disarmato con regio decreto del 25 luglio e radiato.

    Caratteristiche tecniche
    Scafo in ferro – lunghezza m. 62,10; larghezza m. 8,72
    Immersione a prua m, 3,00, a poppa m. 4,20
    Dislocamento 1058 tonnellate
    Un elica, forza della macchina 340 cavalli
    Carico normale di carbone 180 tonnellate
    Equipaggio: 81 uomini, 8 ufficiali (annuario 1890).

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    …la prima nave ospedale della regia Marina.

    Era venerdì del 1° giugno 1866 quando il piroscafo a elica Washington fu modificato in nave ospedale capace di contenere un centinaio di posti letto destinati ai degenti. 
La nave era appartenuta ai francesi con il nome di Helvetie ed aveva un equipaggio composto cinque medici, un farmacista, un cappellano e 20 infermieri.

    Nella primavera del 1876 cambiò stato d’uso in nave idrografica e, anche durante questo tipo di impiego, fu utilizzata in opere di salvataggio come nel caso del terremoto di Ischia del settembre 1883. 
Dal 1897 fu impiegata come deposito torpedini a La Spezia.
    Venne definitivamente radiata il 25 luglio 1904.

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    10.4.1915, affondamento del Leon Gambetta

    di Pier Francesco Liguori

    AVVERTENZA: Le notizie sono in parte estratte da un articolo di Pier Francesco Liguori edito per il centenario dell’affondamento il 10 aprile 2015 da CULTURA SALENTINA Rivista (on line) di pensiero e cultura meridionale.

    Chi non ha visto il film “Tutti insieme appassionatamente” con Julie Andrews che nel 1966 commosse il mondo e che ebbe 10 nominations all’Oscar (ne vinse poi ben 5) e non ne ricorda la trama? È ambientato a Salisburgo (Austria) nel 1938 e narra le vicissitudini della famiglia di un Comandante sommergibilista austriaco, eroe della 1^ guerra mondiale, che in previsione dell’Anschluss i nazisti intendono precettare per la loro Marina. Vi starete chiedendo: cosa c’entra tutto questo con il Leon Gambetta? Ebbene quel Comandante della Marina Imperiale Austriaca vedovo e padre di ben 7 figli è Georg Ritter von proprio il Comandante dell’U-Boot 5 autore dell’affondamento del Leon Gambetta. Malgrado la sua tragicità l’evento rimane pressoché sconosciuto a causa di altri accadimenti ben più tragici che catturano l’attenzione dell’opinione pubblica come l’affondamento del Lusitania (7 maggio 1915) con le sue 1.400 vittime e la sanguinosa sconfitta militare inglese dei Dardanelli. L’intera storia merita di essere raccontata anche perché ancora una volta rimase sconosciuto ai molti il coraggio, l’altruismo e l’accoglienza delle popolazioni Salentine (quelle stesse che tra qualche mese saranno coinvolte anche nell’esodo dell’esercito Serbo).

    La storia
    Siamo nella primavera del 1915, l’Italia con l’annuncio della sua neutralità ha già rinunciato a rinnovare il patto della Triplice Alleanza, anzi ad aprile ha, segretamente, sottoscrive un patto con l’Intesa che la vincola ad entrare in guerra entro un mese. In previsione di questo evento la Francia invia una squadra navale composta da quattro incrociatori corazzati (tra cui il Leon Gambetta) per chiudere l’Adriatico ed interdire alla Marina Imperiale Austriaca ogni tentativo di uscita dall’antico Golfo di Venezia. La linea di pattugliamento si sviluppa sulla congiungente Santa Maria di Leuca- Othoni (meridiano 18°22’N).
    Dal canto suo anche la Marina Imperiale vuole assumere il controllo del Basso Adriatico e operativamente lo fa in forma occulta facendo operare in zona degli U Boote con il compito di attaccare e segnalare le unità nemiche in entrata nell’Adriatico. Tecnologicamente i sommergibili hanno un enorme vantaggio rispetto alle navi di superficie che non dispongono di apparati idonei alla scoperta dei battelli quando in immersione.
    È in questo quadro generale che avviene l’incontro/scontro tra il Leon Gambetta e l’U-Boot 5.
    È la notte tra il 26 ed il 27 aprile l’incrociatore, comandato dal Capitano di Vascello Georges Henri André e avendo a bordo il Contrammiraglio Victor Baptistin Sénès, Comandante la piccola squadra navale, è in pattugliamento. A mezzanotte (circa) il piccolo sommergibile austriaco (16 uomini di equipaggio più il Comandante), uscito da Cattaro in Montenegro due giorni prima, emerge per ricaricare le batterie. Favorito dal chiarore lunare (la luna è già transitata allo zenith e mancano appena tre giorni al plenilunio) il sommergibile vede all’orizzonte la sagoma imponente della nave nemica. Rapidamente il Comandante von Trapp decide di attaccare; si immerge e quando a quota periscopio (8 mt sotto il pelo dell’acqua) riavvista il Gambetta lancia una coppiola di siluri in rapida successione. Il primo siluro perfora la corazza, penetra nello scafo colpendo la sala macchine e la centrale elettrica mentre il secondo esplose subito dietro il ponte principale. La “Léon Gambetta” si inclina immediatamente di 15 gradi sul lato di sinistra. La nave è ferma e inclinata e al buio si trova, quindi, nell’impossibilità di lanciare l’SOS come anche di mettere a mare le scialuppe di salvataggio. L’incendio divampa per tutto lo scafo i superstiti parlano di scene da inferno dantesco; altri asseriscono di aver visto tra i bagliori delle fiamme il piccolo U 5 a qualche centinaio di metri con in torretta il Comandante che osserva impassibile l’agonia dell’incrociatore (a fine guerra Von Trapp dichiarerà, invece, di essersi rapidamente allontanato, in immersione, dalla zona quando si era reso conto che la nave affondava).
    Una sola scialuppa rimase a galla e su questa imbarcarono un centinaio di naufraghi che diressero verso la costa salentina; alle 08.30 quando in vista della costa venne presa a rimorchio da alcune imbarcazioni di pescatori e trainata fino all’approdo di S.M. di Leuca. La notizia dell’affondamento fu immediatamente trasmessa dal Capo posto della postazione semaforica di Leuca, C° Sandri, al Comando Marina di Brindisi ed all’Ammiragliato di Taranto. Da Brindisi il comandante della Base fece uscire in soccorso due torpediniere, la PN 33 (*) comandata dal Gualtieri Gorleri e la PN 36(*) comandata da Enrico Viale, queste a 24 nodi diressero sul punto del siluramento dove giunsero alle 13,20. Alla fine la 33 salvò 26 naufraghi e 12 la 36. Da Taranto l’Amm. Cerri fece uscire la 2a Squadra di cacciatorpediniere (Impavido, Indomito, Intrepido, Irrequieto, Impetuoso ed Insidoso) al comando del C.V. Orsini (su Nave Impavido) per raggiungere il luogo del disastro con viveri, coperte e medicinali.
    La sera del 27 aprile, quando le operazioni di salvataggio furono ultimate si contarono 58 corpi senza vita recuperati, 137 sopravvissuti dei quali 108 imbarcati sulla scialuppa di salvataggio, 27 salvati dalle PN (secondo alcune fonti 26) e 2 dal CT Indomito. I dispersi furono considerati 533, ma il giorno dopo salirono a 684 tra cui il Comandante André, il Contrammiraglio Sénès e molti ufficiali che non avevano abbandonato la nave.
    L’incertezza nella conta dei sopravvissuti che assegna 26 salvataggi al posto di 27 alle due torpediniere, dà ampio credito ai racconti dei pescatori anziani del mio paese secondo cui la scialuppa di salvataggio venne rimorchiata in porto dalle imbarcazioni più piccole mentre le quattro più grandi (a 8/10 vogatori) che la notte erano state impegnate nella pesca alle sardine con la rete grande (in salentino chiamata “la chiance” , in italiano rete a cianciolo da circuizione) diressero a remi verso il largo nella direzione del punto d’affondamento della Leon Gambetta alla ricerca di altri naufraghi (ovviamente non sapevano che stavano arrivando in zona anche le navi militari). Raccontavano d’aver salvato qualche marinaio oltre ad aver recuperato dei corpi senza vita(**).
    I 26 o 27 recuperati dalle torpediniere furono sbarcati a Brindisi accolti dalla popolazione con vini pregiati, sigari, sigarette, frutta e una cesta di fiori composta con i colori francesi e italiani.
    Il Console Francese raccontava che quando giunse a Leuca le 58 vittime recuperate erano state tutte identificate e composte nel cimitero di Castrignano del capo e che le Autorità locali già pensavano di dedicare loro un monumento commemorativo.
    I sopravvissuti furono trasferiti a Siracusa e “internati” (l’Italia era ancora formalmente neutrale ed a Siracusa era presente una forte colonia di tedeschi fortemente gallofobi al punto che si era anche pensato in una parte attiva alla vicenda essendo stato notato qualche giorno prima un sommergibile in acque siciliane.
    Qualche settimana dopo l’Italia entrò in guerra sicchè i naufraghi del Leon Gambetta il 30 maggio furono portati a Malta da dove vennero rimpatriati.

    Incrociatore corazzato “Leon GAMBETTA” (dall’articolo di Francesco Liguori)
    Varato il 26 ottobre 1902 nell’Arsenale di Brest, entrò in servizio nel luglio 1905. La nave dislocava 11.959 t., era lunga 146,5 m. e larga 21,4 m. con un pescaggio di 8,41 m. La propulsione era affidata a 3 motori a vapore per un totale di 28.500 hp. che le consentivano una velocità massima di 22,5 nodi e un’autonomia di 6.600 miglia nautiche a 10 nodi. L’armamento era costituito da 4 cannoni da 194/40 mm (su due torri binate), 16 cannoni da 165/45 mm (su quattro torri singole e sei binate), 24 cannoni da 47/40 mm (in impianti singoli), 2 cannoni da 37/20 mm (in impianti singoli), 2 tubi lanciasiluri da 450 mm (sommersi). La corazzatura variava dai 200 mm. della torre principale e del torrione di comando, ai 150 mm. Della cintura e ai 35 mm. del ponte.

    Il comandante Georg Ludwig von Trapp
    Georg Ludwig von Trapp nacque a Zara in Dalmazia, allora parte dell’Impero austro-
ungarico, il 4 aprile 1880. Figlio di August, ufficiale della marina austriaca, Georg seguì
le orme del padre ed entrò nell’accademia navale di Fiume, da dove uscì col grado di
Cadetto di II classe. Dopo numerosi imbarchi, von Trapp entrò nella U-Boot Waffe
dell’Imperial-Regia Marina col grado di Tenente di vascello. Il 22 aprile 1915 egli prese
il comando dell’U-5, con cui, cinque giorni dopo, affondò la “Léon Gambetta”. Ad agosto
fu la volta del sottomarino italiano “Nereide”, nei pressi dell’isola di Pelagosa. Alla fine
del conflitto, von Trapp aveva sostenuto ben 19 scontri navali, aveva affondato 2 navi da
guerra e 11 navi mercantili . Nel maggio del 1918, col grado di Capitano di corvetta, gli
venne affidato il comando della base dei sottomarini alle Bocche di Cattaro. Finita la
guerra, poiché nato a Zara, gli venne automaticamente concessa la nazionalità italiana. Si
trasferì quindi a Salisburgo e, alla vigilia dell’annessione dell’Austria al III Reich, con la sua numerosa famiglia passò in Italia (non in Svizzera come si è raccontato) e dall’Italia emigrò negli Stati Uniti. Morì a Stowe (USA) il 30 maggio.

    La stessa azione vista da parte austriaca
    (Tratta dal sito dell’Associazione legittimista Trono e Altare)

    La nave comparve al punto ed al momento previsto, 15 miglia al largo di Santa Maria di Leuca. Affondò in pochi minuti e quasi 700 uomini d’equipaggio non si salvarono.
L’azione non fece riflettere i francesi che non si fanno guerre in casa d’altri; a questo iniziarono a pensare solo dopo Dien Bien Phu. Tuttavia questo affondamento, unito al siluramento della corazzata Jean d’Arc, li fece sospendere le crociere nel medio ed alto adriatico, gli fece anche abbassare le line di pattugliamento.
    L’ultima azione che tentarono, fu di invadere il porto di Pola con un loro sommergibile, che tuttavia fu catturato, affondato, ripescato e messo agli ordini proprio di von Trapp con il nome di U 14.
Era una carretta indegna, i tedeschi si stupirono di come riuscisse a navigare e l’ammiraglio Haus aveva detto durante i lavori di riattamento, che quello era il suo Schmerzenkind (la pecora nera di casa).
Tuttavia era grande, veloce, poteva sostenere lunghe crociere, sostenere un cannone quasi come quello dei tedeschi e portava parecchi siluri: fu il nostro sommergibile che affondò più navi.
Noi iniziammo la guerra con 4 sommergibili funzionanti, piccole e vecchie carrette dei mari che asfissiavano ed avvelenavano i nostri equipaggi. Erano lenti e portavano solo due siluri; niente cannoni per un lungo periodo, i più vecchi avevano cannoncini da 3,7 cm le quali patrone rimbalzavano sulle lamiere dei vapori nemici.
Gli altri portarono in Adriatico quasi un centinaio di sommergili; l’Italia iniziò con oltre 40 di cui oltre metà in adriatico e terminò il conflitto con quasi 90. La Francia impegnò in Adriatico una ventina di grandi sommergibili, la Gran Bretagna una decina che stazionarono a Venezia.
I soccorsi tedeschi iniziarono ad arrivare nel maggio del 1915, dopo 10 mesi di guerra contro due potenze marittime, ma furono poco impiegati in Adriatico a parte le missioni di addestramento e la posa di mine da parte di un paio dei loro più piccoli UC.
I tedeschi invece, usavano l’Adriatico per uscire in mediterraneo, dove affondarono un numero incredibile di vecchie corazzate anglo francesi della flotta da sbarco nei Dardanelli, oltre ad affondare oltre 5 milioni di tonnellate di naviglio commerciale praticamente da soli e mettere in seria crisi di rifornimenti, la GB.
Oltre a questo, i tedeschi ci fornirono di alcuni sommergibili piccoli ma più affidabili, in cambio di alcuni nostri che avevano sequestrato nei cantieri germanici. E la nostra piccola flotta di sommergibili scalcinati, che non riuscì mai a tenerne in mare una decina contemporaneamente, vinse alla grande il confronto scacciando i francesi, tenendo alla larga i britannici e scacciando pure gli italiani, che dopo la perdita di due incrociatori corazzati e di una corazzata ad opera dei sommergibili, rinunciarono ad aggredire le nostre coste e tennero le grandi navi in porto.

    Davide contro Golia… i nostri ufficiali ed i nostri equipaggi avevano una selezione ed un addestramento fenomenali, che li fecero ammirare addirittura dai britannici, da sempre incontrastati signori del mare.
    (*) Entrambe costruite a Napoli presso i Cantieri Navali Pattison.
    (**) Per uno strano scherzo del destino uno di questi pescatori partecipò anche al recupero del Cte e dei 17 superstiti del Smg. Pietro Micca attaccato ed affondato il 29 luglio 1943 dal smg. inglese Trooper a 3 miglia da Santa Maria di Leuca.

    dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/04/26-4-2015-a-castrignano-del-capo-celebrazioni-centenario-affondamento-incrociatore-leon-gambetta/

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Vittorio Vinaccia (Sant’Agnello di Sorrento, 10.4.1921 – 6.2.1995)

    di Antonio Cimmino

    (Sant’Agnello di Sorrento, 10.4.1921 – 6.2.1995)

    Il Guardiamarina Vittorio Vinaccia, matricola 55646, di Aniello e di Antonietta  del Giudice, nasce a Sant’Agnello di Sorrento il 10 aprile 1921, fra le varie destinazioni fu imbarcato sul regio cacciatorpediniere Bombardiere dove, purtroppo fu naufrago. Per il suo comportamento fu decorato con la seguente motivazione:
    “ … si portava in aiuto del Direttore di Macchina gravemente ferito, aiutandolo a raggiungere una zattera di salvataggio e sostenendolo per tutta la notte, aggrappato al fragile e piccolo galleggiante. Esempio di spirito di Altruismo” – Canale di Sicilia 17 gennaio 1943.

    L’11 marzo 1943 fu destinato al Comando Marina di Nizza, dopo l’Armistizio fu internato in Svizzera ed in Francia fino al 25 gennaio 1946.
    Fu decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare.
    E’ salpato per l’ultima missione il 6 febbraio 1995.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    10.4.1943, le regie navi Gorizia e Trieste

    di Salvatore Atzori e Antonio Cimmino

    Con la sconfitta di El Alamein e lo sbarco degli americani in nord africa (operazione TORCH, novembre 1942), iniziò il declino delle forze dell’asse in Africa. Man mano che le truppe retrocedevano, anche grazie alle nuove tecnologie che gli anglo americani svilupparono durante il conflitto, incominciarono per l’Italia le devastazioni dovute ai bombardamenti. I primi mesi del 1943, a partire da Cagliari (la città più martoriata), anche per la Sardegna iniziò a conoscere gli effetti dei bombardamenti a tappeto. Da alcuni mesi, a La Maddalena, vennero dislocati gli incrociatori pesanti Trieste e Gorizia (III Divisione), allo scopo di allontanarli dalle basi del sud ormai sotto torchio delle forze aeree anglo americane (analogamente a tutte le navi maggiori di primaria importanza).

    Il giorno 10 aprile 1943, era una giornata tranquilla. Nel primo pomeriggio, incominciò l’inferno.
 A diverse ondate, si verificarono dei bombardamenti su tre principali obiettivi:
    1) Gorizia;
    2) Trieste;
    3) Arsenale e Base Navale.

    (foto aerea del bombardamento dell’isola di Caprera 10.4.1943)

    I danni furono ingenti e le vittime tantissime. Il Gorizia gravemente danneggiato e con parecchi morti, riuscì a raggiungere La Spezia, dove terminerà la sua carriera senza mai rientrare in squadra. Il Trieste non fu fortunato e affondò a causa dei gravi danni subiti e con molte vittime. Recuperato agli inizi degli anni 50, trasferito a La Spezia e raddrizzato (vennero individuati al suo interno altri corpi); Anch’esso non rientrò mai in servizio anche se il suo scafo, per un certo tempo, venne tenuto in considerazione per essere trasformato in portaerei, ma alla fine venne demolito in Spagna. Per quanto riguarda la Base Navale, anche per essa ci furono vittime, gravi danni alle strutture e Unità Navali.
A nulla valsero le potenti e numerose batterie antiaeree dell’arcipelago e quelle dei 2 incrociatori. Gli attacchi vennero eseguiti da quote troppo elevate per la portata delle armi della piazzaforte.
    Dal Jackson Daily News (11 aprile 1943), la notizia dell’attacco da parte di un quotidiano americano.

    Il giorno precedente, quanto restava della III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia) fu trasferito da Messina a La Maddalena nel tentativo di allontanare le unità dai continui attacchi aerei angloamericani.
    Alle ore 14.45 del 10 aprile una formazione di 84 bombardieri attaccò duramente La Maddalena. I velivoli avevano dei precisi obiettivi:
    – 36 attaccarono il Gorizia;
    – 24 la base dei sommergibili;
    – 24 il Trieste.
    Prima di poter tentare una reazione, il regio incrociatore Trieste fu investito da più di 120 bombe che caddero attorno la nave. Una di queste aprì uno squarcio a poppa, due distrussero plancia e centrale del tiro, altre colpirono il fumaiolo prodiero ed i locali caldaie. Le esplosioni delle bombe cadute vicino allo scafo produssero altre falle. La nave, appoppatasi, fu abbandonata dall’equipaggio e affondò in meno di due ore, capovolgendosi. I morti furono 77 e i feriti gravi 75.

     

    Aniello Vanacore (Vico Equense, 8.1.1919 – Disperso, 10.4.1943)
    di Antonio Cimmino

    (Vico Equense, 8.1.1919 – Disperso, 10.4.1943)

    Nasce a Vico Equense l’8 gennaio 1919. Imbarcato sul regio incrociatore Trieste.
    Il 10 aprile 1943 aerei americani bombardano la base di La Maddalena.
    Vengono affondati il regio incrociatore Trieste (77 morti e 75 feriti gravi), le vedette foranee V143 Carmen Adele e V266 Eliana e i MAS 501 e 503; gravemente danneggiato il regio incrociatore pesante Gorizia (63 morti e 97 feriti) e, in maniera non grave, il regio sommergibile Mocenigo (1 morto e 2 feriti gravi):
    I regi sommergibili Aradam, Topazio e Sirena, sebbene non colpiti, hanno tra il personale a terra, rispettivamente 2 feriti (Aradam 1 ferito e 1 dispersi (Topazio) 3 morti e 10 feriti gravi (Sirena).

    Aniello Vanacore risultò disperso  in quell’attacco.

    Lorenzo Vesco (Sanremo, 10.8.1922 – La Maddalena, 10.4.1943)
    a cura Marinaio di Spirito Santo

    (Sanremo, 10.8.1922 – La Maddalena, 10.4.1943)

    10.4.1943, affondamento regia nave Gorizia
    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Caratteristiche tecniche e breve storia
    Incrociatore pesante Gorizia
    Classe Zara (Zara, Fiume, Pola e Gorizia)
    Cantiere OTO Livorno
    Impostazione 17 marzo 1930
    Varo 28 dicembre 1930
    Completamento 23 dicembre 1931
    Caratteristiche generali
    Dislocamento 13.660 (standard) tonnellate, 14.460 (pieno carico) tonnellate
    Lunghezza 182,8 metri
    Larghezza 20,6 metri
    Pescaggio 7,2 metri
    Profondità operativa metri
    Propulsione 8 caldaie a tubi d’acqua con surriscaldatori tipo Thornycroft 2 gruppi turboriduttori tipo Parsons 2 eliche a tre pale tipo Scaglia
    Potenza:95.000 HP
    Velocità 33 nodi
    Combustibile 2.350 tonnellate di nafta
    Autonomia 5.434 miglia a 16 nodi
    Equipaggio 31 ufficiali ed 810 marinai
    Sistemi difensivi
    Armamento artiglieria:
    8 cannoni 203/53 mm
    12 cannoni 100/47 mm
    4 mitragliere da 40/39 mm
    8 mitragliere da 13,2 mm
    Nel 1942 il Gorizia ebbe aumentato l’armamento contraereo con sistemazione di mitragliere su piazzole installate lateralmente alla torre numero due.
    Corazzatura verticale: 150 mm
    orizzontale: 70 mm
    torrette : 150 mm
    Mezzi aerei 2 Ro.43 con una catapulta del tipo Gagnotto a prua, l’aviorimessa per il ricovero dei due aerei, fu ricavata nella struttura dello scafo immediatamente a proravia della prima torre da 203.
    Costo dell’unità 112.700.000 lire.

    Il 10 aprile 1943 il regio incrociatore Gorizia fu attaccato da 36 aerei e fu presto colpito e messo fuori uso: il ponte fu sostanzialmente divelto dallo scafo, a bordo si svilupparono incendi, l’armamento fu distrutto e numerose falle si aprirono nello scafo.
    La nave fu ridotta ad un relitto galleggiante ed ebbe 63 morti (4 ufficiali, 6 sottufficiali, 53 marinai) e 97 feriti. Ciononostante si riuscì a ripararla in modo da consentirle di trasferirsi a La Spezia per evitare un sicuro affondamento (l’indomani, infatti, La Maddalena fu nuovamente attaccata da aerei).
    All’Armistizio la nave era ancora inutilizzabile e non poté prendere il mare. La sera del 9 settembre 1943 fu abbandonata dall’equipaggio e catturata dai tedeschi, che la abbandonarono dopo aver asportato tutto ciò che poteva essere usato.
    Nel 1945 fu trovato semiaffondato nel porto ligure e non si poté far altro che demolirlo.


    QUESTO ARTICOLO E DEDICATO A ARENA GIUSEPPE (1.11.1921 – 21.11.1941) E AI MARINAI CHE NON FECERO PIU’ RIENTRO ALLA BASE.

    Paolo Fumarola (Martina Franca, 16.5.1922 – Mare, 10.4.1943)
    di Francesco Ruggieri

    (Martina Franca, 16.5.1922 – Mare, 10.4.1943)

    …ricevemmo e con infinito orgoglio ripubblichiamo le tre foto di seguito.

    

Ciao Ezio,

    questo è mio zio, Marinaio Paolo Fumarola a Tripoli.

    Purtroppo è morto durante una scorta convoglio imbarcato sulla regia nave Gorizia il 10.4.1943.

    Abbiamo dato alla Patria sangue e onore …



    A Francesco Ruggieri
    
Buongiorno Francesco, so che il nostro Signore Gesù Cristo deciderà e premierà chi leggerà questa nota con il cuore, perché Lui sa che se ci siamo trovati con il cuore un motivo ci deve essere.

    Sono convinto che ognuno di noi ha un suo scopo nel mondo.
Il mio quello di amare la vita, il mare, la musica, la scrittura.

    Ognuno di noi è una particella di Dio che si rispecchia in un’altra particella di Dio e ognuno di noi, Marinai per sempre, questa notte guarderà la stessa luna e domani sarà riscaldato dallo stesso sole.
    Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    P.s. Ti voglio bene e …grazie di aiutarmi a rendere più sopportabili le mie giornate.