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    28.10.1932, iniziano i lavori al monumento nazionale del Marinaio d’Italia

    di Giorgio Gianoncelli e Marino Miccoli (*)

    Il Monumento Nazionale al Marinaio d’Italia è costruito sul porto della città di Brindisi nella Regione Puglia, sulla costa del mare Adriatico, tra Bari a Nord e Otranto a Sud. La costruzione del Monumento proposta dal Ministero della Marina, è decisa il 20 giugno 1925 con il patronato di Vittorio Emanuele III Re d’Italia.
    Per la raccolta dei fondi necessari, la scelta della città e il bando di concorso per il progetto, è costituito un Comitato presieduto dalla Lega Navale.
    Il bando di concorso tra 92 progetti presentati è vinto con il motto: “Sta come torre” dall’Architetto Dott. Luigi Brunanti assieme allo scultore Amerigo Bartoli.
    I lavori di costruzione iniziano il 28 ottobre 1932.
    Il Comune di Brindisi dona il terreno necessario e copre le spese per le opere murarie laterali, del parco e del viale alberato d’accesso.
    L’imponente monumento è inaugurato e consegnato alla Regia Marina il 4 novembre 1933, alla presenza del Re d’Italia Vittorio Emanuele III.

    Perché il Monumento nella città di Brindisi
    La città di Brindisi è scelta perché il porto marittimo nella Prima Guerra mMondiale è la base navale naturale delle grosse unità italiane e alleate per il controllo dell’Adriatico e per lo svolgimento delle operazioni navali nel Mediterraneo, inoltre a Brindisi, il 12 novembre 1918 il Capo di Stato Maggiore della Regia Marina Ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel firrma il Bollettino della Vittoria sul mare della Grande Guerra.

    Monumento Nazionale al Marinaio d’Italia
    di Marino Miccoli

    “STA COME TORRE” questo era il nome del progetto con cui l’architetto Luigi Brunati e lo scultore Amerigo Bartoli vinsero, nel 1932, il concorso nazionale indetto dalla Lega Navale per la realizzazione di un monumento al Marinaio d’Italia. Al concorso furono presentati ben 92 progetti, che furono esposti a Roma nel Luglio del 1932. Ma bisogna fare qualche passo indietro nel tempo, esattamente nell’anno 1924, quando una delibera del comune di Brindisi stanziò “50 mila lire” per la costruzione del suddetto monumento.
    Nel 1925 il duce accettava la proposta brindisina di divenire Presidente onorario del comitato d’onore per la costruzione del monumento.
    A capo del comitato cittadino vi erano due personalità: il grande ammiraglio Thaon de Revel e il podestà Serafino Giannelli. Tutti i componenti del comitato si diedero da fare per raccogliere i fondi necessari alla costruzione, organizzando feste, lotterie e sottoscrizioni. Anche il celebre tenore Tito Schipa diede il suo contributo tenendo concerti in diverse città italiane.

    Giunse il 28 ottobre 1932 (anniversario della marcia su Roma) e si diede inizio ai lavori di edificazione, eseguiti dall’impresa Simoncini di Roma e diretti dall’architetto progettista, Luigi Brunati. Il materiale usato è quanto di meglio poteva offrire il Salento: la pietra di carparo. Questa magnifica quanto versatile materia assume una stupenda colorazione dorata sotto i raggi del sole. Per impreziosire il monumento fu usata anche la rinomata pietra di Trani. Ai lati della base furono collocate le grandi ancore appartenute alle corazzate della flotta sconfitta, le navi austriache “Viribus unitis” e “Teghetoff”. Due cannoni, appartenuti a sommergibili austriaci, furono collocati ai piedi del monumento che ha la forma di un gigantesco timone. Ai due lati di questo due fasci littori.

    I lavori terminarono l’anno seguente e il 4 novembre 1933 (anniversario della Vittoria) il maestoso monumento, alto ben 54 metri, fu inaugurato con una grande manifestazione a cui presenziò il re Vittorio Emanuele III.
    Nel 1955, all’interno della nicchia situata quasi in cima al monumento, fu collocata la statua della Madonna Stella Maris, donata dall’Arcidiocesi al termine dell’Anno Santo.
    Nel 1968, a seguito del dragaggio dell’avanporto di Brindisi, fu recuperata la campana della Regia Corazzata Benedetto Brin (affondata ivi nel 1915) e per decisione del Comando Marina, questa fu collocata all’interno del Sacrario del Monumento, laddove vi è anche conservata un’urna contenete la “Sabbia di El Alamein”.
    La prima domenica di ogni mese, alle ore 11:00, viene celebrata una santa Messa presso la cripta sottostante.

    Note aggiuntive
    Le ancore poste sul piazzale superiore del Monumento al Marinaio di Brindisi sono quelle dell’incrociatore leggero austriaco Saida ceduto nel 1920 alla Regia Marina in ottemperanza al trattato di pace con l’Austria, ed entrato in vigore il 1921.
    Le ancore al momento dell’inaugurazione non facevano parte del monumento in quanto, l’architetto Brunati e l’ingegnere Bertoli, ritenevano che esse disturbavano, per le loro proporzioni, certi rapporti di armonia. Esse furono sistemate non prima del 1938.
    L’incrociatore Saida prese poi il nome di “Venezia”. Il suo gemello l’incrociatore Helgoland fu ceduto anch’esso all’Italia nel 1920, entrò in servizio nel 1923 e prese il nome di “Brindisi”.
    Claudio Confessore

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome. Giorgio Gianoncelli è deceduto il 7.9.2022.

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    28.10.1989, Giovanni Paolo II benedice la Madonnina di Betasom

    di Giorgio Gianoncelli e Ciro Laccetto (*)

    Prigioniera in Francia, poi in Italia,
    infine libera è venerata a Maricosom di Taranto

    “Num de Madon gh’nem doo, v’ouna in’sul Dom e l’altra a Betasom”.
    (Dai sommergibilisti milanesi reduci di “Betasom)

    Nessuno potrà mai negare che i marinai per quanto religiosamente pigri, oltre alle stelle luminose in cielo, lassù, non abbiano anche un Santo di riferimento; non visibile, ma intimo, del quale tengono nel portafogli l’immagine consunta accanto a quelle della mamma e della morosa. L’uomo manifesta la sua fede nello spirito celeste nei momenti in cui è chiamato a dare se stesso per una causa comune e nel caso d’entrata in crisi della politica tra Nazioni, i soldati chiamati a difendere gli interessi di tutti hanno il loro punto di forza morale nella triade Mamma, Dio e Patria.
    È così che i sommergibilisti di “Betasom, per essere tutti uniti nell’ascesa spirituale al cielo dopo il ritorno dalle missioni negli abissi dell’Atlantico, hanno ideato di raccogliersi a protezione sotto il manto celeste della Madonna in cielo. Raccolti i soldi da tutti gli Equipaggi (31), comprano un artistico simulacro di Madonna con Bambino in braccio alla cui base c’è la scritta “La Sainte Vierge” e firmata dallo scultore Garcia Serras. La statua è affidata al Cappellano della Base, il Gesuita Padre Carlo Messori Roncaglia, che subito impartisce la Santa benedizione e la ribattezza come da volontà dei sommergibilisti:
    “La Madonnina di Betasom”.
    Con il cataclisma militare dell’8 settembre 1943 i francesi sequestrano la base navale con tutto quello che c’è compresi gli arredi sacri della Cappella. Da allora sulla sorte della “Madonnina di Betasom” è calato il silenzio e come internata in campo di prigionia anche Lei segue le sorti dell’armistizio.
    Al termine della guerra, con il rientro dei reduci di “Betasom” dalle loro sorti, negli ambienti associativi tra i ricordi raccontati negli incontri cominciano a chiedersi e chiedere dove mai sia finita la loro “Madonnina”.
    Piano piano la voce si espande e come il tam tam nella jungla, raggiunge ogni sommergibilista reduce della Base Atlantica e, bisogna dirlo, a dare forza alla richiesta sono i sommergibilisti milanesi con la loro rivista mensile dal titolo “Aria alla rapida” che negli anni ’60/’70 insistono affinché i Cappellani Militari indaghino sulla scomparsa del simulacro della loro Santa protettrice. L’insistente richiesta arriva un giorno sul tavolo del Cardinale Ordinario Militare che incarica il Cappellano dell’Esercito don Aldo Negri, distaccato in Francia per il suo ministero, di cercare e possibilmente trovare la “Madonnina”.
    Don Aldo indaga e trova la “Madonnina” nella Cappella della “casa del Soldato” proprio a Bordeaux e dopo lunghe, faticose trattative, perché i francesi ne rivendicano il diritto di proprietà come “preda bellica”, il buon Cappellano riesce ad ottenerla e… liberarla dalla lunga prigionia.
    Don Aldo Negri porta in Italia la Sacra statuetta, ma non dice niente a nessuno e la tiene… prigioniera nella sua abitazione in Piemonte. Il Cappellano dell’Esercito si è legato con affetto molto spirituale alla statuetta dei Sommergibilisti, ma questi non ci stanno perché è “La Madonnina di Betasom”, lo spirito di molti sacrifici e di… sacrificati per una causa generale, perché è il viatico all’inizio della missione, il sostegno durante, il conforto al ritorno e l’accoglienza dell’anima per quanti non sono tornati.
    Nella primavera dell’anno 1984 i Reduci di Bordeaux in raduno nella città di Ravenna con i loro colleghi Francesi, inglesi e tedeschi informano il Comandante della nascente flotta Sommergibili italiana, Ammiraglio Giuseppe Arena, dell’esistenza presso la casa del parroco piemontese della loro preziosa “Madonnina”. L’Ammiraglio non esita a mettere in movimento la Squadra Diplomatica per ottenere e consegnare al culto dei marinai dei battelli, quella “Madonnina”.
    Non è facile vincere la resistenza del Cappellano dell’Esercito, ma alla fine capisce che quel Simulacro doveva trovare legittima sistemazione a perenne ricordo degli Arditi dell’Atlantico, Caduti e Reduci di “Betasom”.
    Il 2 giugno 1985 la “Madonnina di Betasom” entra al Comando Marina dei Sommergibili nella città di Taranto, accolta con tutti gli onori dovuti e alla cerimonia religiosa, officiata congiuntamente da Padre Carlo Messori Roncaglia e don Aldo Negri, riceve un nuovo battesimo ed ora è venerata con il nome di “Santa Maria dei Sommergibilisti”.
    Il 28 ottobre dell’anno 1989 il Sommo Pontefice Paolo Giovanni II, in visita alla città di Taranto, impartisce la Sua speciale benedizione a “Santa Maria dei Sommergibilisti”.

    a cura Ciro Laccetto (*)

    Durante il 2° conflitto mondiale la statua, acquistata con le offerte dei sommergibilisti atlantici, era posta nella cappella della base di Bordeaux (Betasom).
    A Lei tutti i sommergibilisti, premurosamente assistiti da Padre Messori Roncaglia, amatissimo Cappellano di Betasom, si rivolgevano nelle lunghe missioni oceaniche, al ritorno alla base, nei momenti di difficoltà e di pericolo.
    Nel convulso e travagliato periodo successivo all’armistizio, complesse furono le vicende “vissute” dalla Cappella e dalla Madonnina.
    Padre Messori Roncaglia era stato rimpatriato per causa di forza maggiore; la Cappella, rimasta inizialmente quale preciso e tangibile riferimento spirituale, fu via via privata di tutti gli arredi ed anche la sacra immagine della Madonnina divenne, purtroppo, “preda di guerra”.
    Vane furono le affannose ricerche dei nostri marinai trattenuti in terra francese.
    Grandissimo merito va ad un cappellano dell’esercito, Don Aldo Negri che, in Francia per il suo ministero, venuto in contatto con i marinai e raccolti i loro sentimenti e la loro ansia di ritrovare la statua cui tanto erano legati, si adoperò con caparbia volontà , ricercandola tenacemente ed amorevolmente.
    Dopo incredibili vicissitudini Don Negri ritrovò la Madonnina che era stata collocata nella “Casa del Soldato” francese di Bordeaux, con l’aiuto di alcuni italiani riuscì a recuperarla e la affidò ad una famiglia del luogo.
    Al momento del rimpatrio, egli portò la statua in Italia, custodendola e venerandoaa, in questo ultimo quarantennio, nella sua casa natia in Piemonte.
    Insieme a Padre Messori, ancora una volta e come sempre affettuosamente presente tra noi, a Don Negri ed a molti sommergibilisti atlantici che abbiamo il privilegio di ospitare, accogliamo oggi, con orgoglio e devozione, la sacra immagine quale prezioso retaggio di memorie, eroismi, sacrifici, tradizioni che faremo quanto umanamente possibile per custodire nel modo più geloso e degno.
    Nel fausto giorno del ritorno della Madonnina di Betasom tra i sommergibilisti.
    Maricosom, 2 giugno 1985.

    Santa Maria dei Sommergibilisti

    Dal Mare d’Atlantico
    al Mare Nostrum
    con orgoglio e tenerezza di figli
    nella Tua dolce immagine Ti collochiamo
    a Santa Maria dei Sommergibilisti
    e Tu affretta la gloria dei cieli
    ai nostri fratelli nelle acque sommersi
    e Tu continua a proteggere noi superstiti
    nella diuturnità di una vita degna
    e Tu addita ai navigatori nuovi d’Italia
    le rotte della giustizia e della pace
    Betasom 1940 Taranto 1985
    Base Atlantica Base Sommergibili


    (*)  per conoscere gli altri loro articoli digita sul motore di ricerca del blog il loro nome e cognome.
    Ciro Laccetto è deceduto il 25 giugno 2018.
    Giorgio Gianoncelli è deceduto il 7.9.2022.

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    28.10.1938, entra in servizio la regia nave Calliope (3^)

    a cura Carlo Di Nitto

    La regia torpediniera “Calliope” (3^), classe “Spica”, serie “Alcione”, dislocava 1050 tonnellate.
    Fu varata il 16 aprile 1938 presso i Cantieri Ansaldo di Genova Sestri ed entrò in servizio nella Regia Marina il 28 ottobre dello stesso anno.
    Durante il 2° conflitto mondiale svolse intensa attività di ricerca, caccia antisommergibile e scorta ad unità maggiori.
    Il 16 giugno 1940, in sezione con la torpediniera gemella Polluce, contribuì all’affondamento del sommergibile britannico “Grampus”.
    Complessivamente, fino al settembre 1943, effettuò 117 missioni di scorta a navi mercantili isolate o convogliate e 21 missioni di guerra di vario genere, percorrendo in totale oltre 77.500 miglia.
    Nel corso di tali missioni la regia nave Calliope fu spesso in contatto anche con forze aeree avversarie e la sua reazione contraerea abbatté in diverse azioni, sei degli apparecchi attaccanti recuperando gli equipaggi di cinque di essi.
    Purtroppo il 21 luglio 1943, durante una di queste azioni, mitragliata, dovette lamentare 7 Marinai morti e 28 feriti.

    All’armistizio dell’8 settembre 1943 raggiunse Malta in ottemperanza agli ordini; ma già l’ 8 ottobre veniva nuovamente impiegata.
    Al temine delle ostilità, dopo brevi periodi di inattività, fu sottoposta a lavori di rimodernamento che le consentirono di continuare servizio di squadra nell’ambito NATO fino al 1° agosto 1958, data della sua radiazione.
    Onore ai suoi Caduti.
    Per saperne di più visitare la mia pagina:
    https://digilander.libero.it/carandin/calliope.htm

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    28.10.1934, impostazione della regia nave Littorio

    di Carlo Di Nitto

    La regia corazzata Littorio (classe omonima) dislocava 45963 tonnellate. Costruita nei cantieri Navali Ansaldo di Genova, era stata impostata il 28/10/1934, varata il 22/8/1937 ed era entrata in servizio il 06/05/1940.
    Nel corso della guerra effettuò un numero di azioni limitato rispetto alle sue potenzialità belliche, ma ciò fu rispondente alla situazione della guerra navale nel Mediterraneo, dove non si venne mai a creare alcun presupposto strategico tale da giustificare un confronto diretto fra flotte contrapposte.
    Il 26 luglio 1943, con la caduta del fascismo venne rinominata “Italia”.
    Al termine delle ostilità, per l’applicazione del Trattato di Pace, venne compresa fra le navi da cedere alle Potenze vincitrici. In particolare l’ “Italia” (ex “Littorio”) era stata destinata agli Stati Uniti che comunque rinunciarono al diritto di acquisizione, imponendone però la demolizione. Venne pertanto radiata il 1° giugno 1948 e avviata allo smantellamento

    Con le sue possenti gemelle “Vittorio Veneto”, la sfortunata “Roma” e la “”Impero” (mai entrata in servizio), la “Littorio” ha rappresentato la migliore realizzazione italiana nello sviluppo delle navi di linea, quando ormai queste navi cominciavano già ad essere superate e sostituite, nelle strategie belliche navali, dalle portaerei.

    Nonostante il suo limitato numero di azioni belliche, la “Littorio” dalla triste notte di Taranto del 12 novembre 1940 al 9 settembre 1943 ebbe a lamentare la perdita di oltre 50 Marinai.
    Onore ai Caduti.

    Varo della Regia Nave da Battaglia (Corazzata) LITTORIO – 22 agosto 1937

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    28.10.1939, varo del regio sommergibile Alpino Bagnolini e Dante Daini

    di Gian Luca Daini, Antonio Cimmino e Claudio Confessore
    https://cronache-di-storia.webnode.it/

    Il regio Alpino Bagnolini fu il primo sommergibile italiano ad ottenere un successo nella seconda guerra mondiale: intorno all’una del 12 giugno 1940, infatti, al comando del capitano di corvetta Franco Tosoni Pittoni, lanciò un siluro contro l’obsoleto incrociatore leggero britannico Calypso (4180 t) che insieme al gemello Caledon stava procedendo fra Creta e Gaudo: la nave fu colpita e affondò con 39 uomini nel punto 34°03’ N e 24°05’ E, mentre il Bagnolini uscì indenne dal bombardamento con cariche di profondità condotto dai cacciatorpediniere della scorta. L’incrociatore britannico Calypso, affondato dal Bagnolini Successivamente se ne decise l’invio in Atlantico.

    Il Bagnolini partì da Trapani il 9 settembre 1940 e nella notte fra il 14 ed il 15 passò lo stretto di Gibilterra, rimanendo poi in agguato al largo di Oporto dal 15 al 27 settembre e riportando un affondamento, quello del trasporto spagnolo Cabo Tortosa (3302 tsl), nave neutrale e adibita a servizio civile da Huelva a Bilbao ma indicata erroneamente come al servizio degli Alleati dai servizi segreti. Il 30 settembre il sommergibile giunse a Bordeaux, sede della base atlantica italiana di Betasom. Il 28 ottobre salpò per la seconda missione ma dovette tornare in porto perché danneggiato dal maltempo; arrivò a Bordeaux il 15 novembre. L’8 dicembre partì per una nuova missione a ovest dell’Irlanda e undici giorni più tardi colò a picco il piroscafo britannico Amicus (3660 tsl); il 1o gennaio 1941 si scontrò con i cannoni con il peschereccio armato Northern Pride e al contempo tentò il siluramento di una nave identificata come incrociatore ausiliario, azione priva di risultati ma che pose il comandante Tosoni Pittoni in luce di fronte ai comandi sia italiano che tedesco. Lo stesso giorno il Bagnolini fu anche danneggiato da un aereo, che riuscì a respingere e a danneggiare a sua volta. Nel gennaio 1941 si pensò di assegnarlo assieme al gemello Giuliani ad una scuola sommergibili a Gotenhafen, ma si decise poi di destinarvi il solo Giuliani (in seguito avrebbero frequentato tale scuola il nuovo comandante del Bagnolini, tenente di vascello Mario Tei, un ufficiale e 7 vedette del sommergibile).
    Il 23 luglio 1941, mentre operava a ovest dello stretto di Gibilterra, colpì un piroscafo ed una nave cisterna, senza però riuscire ad affondarli. Nel gennaio-febbraio 1942 operò a sud delle Azzorre senza cogliere alcun risultato.
    Nel maggio 1942 fu in missione al largo del Brasile ed il 27-28 del mese colpì una nave cisterna di circa 11.000 tsl, danneggiandola. Il 15 settembre 1942 partì per una nuova missione durante la quale avvistò due navi e subì caccia antisommergibile da parte di un cacciatorpediniere; rientrò infine a Bordeaux il 17 novembre senza aver concluso nulla. Fra il 14 febbraio ed il 13 aprile 1943 operò al largo di Bahia, venendo danneggiato da un attacco aereo.
    Se ne decise poi la modifica per poter compiere missioni di trasporto per l’Estremo Oriente; i lavori ebbero termine nel luglio 1943 e il sommergibile sarebbe dovuto partire il mese successivo, ma i tedeschi, prevedendo una prossima resa dell’Italia agli Alleati, decisero di trattenerlo a Bordeaux dove ancora si trovava all’armistizio. L’11 settembre 1943 venne catturato, incorporato nella Kriegsmarine con equipaggio misto italo-tedesco e ribattezzato U. IT. 22. Fino ad allora il Bagnolini aveva svolto 11 missioni di guerra (3 in Mediterraneo ed 8 in Atlantico), percorrendo complessivamente 46.413 miglia in superficie e 3908 in immersione. Il 26 gennaio 1944 partì per l’Asia nella sua prima missione al servizio dei tedeschi (si trattava di una missione di trasporto); il 22 febbraio fu colpito da un velivolo statunitense a circa 900 miglia dall’Isola di Ascensione, riportando danni allo scafo e perdite di carburante; chiese un appuntamento con un sommergibile rifornitore circa 500 miglia a sud di Città del Capo ma l’11 marzo 1944, quando fu arrivato nel punto concordato per il rifornimento, fu affondato da tre idrovolanti PBY Catalina nel punto 41°28’ S e 17°40’ E, con la morte di tutto l’equipaggio di 43 uomini (tra cui 12 italiani: il tenente del Genio Navale Carlo Rossilla, 4 sottufficiali, 4 sottocapi e 3 marinai).

    Caratteristiche tecniche
    Alpino Bagnolini classe “Liuzzi”
    Tipo: sommergibile di grande crociera
    Cantiere: Franco Tosi Taranto
    Impostazione: 15.12.1938
    Varo: 28.10.1939
    Entrato in servizio: 22.12.1939
    Dislocamento:
    – in superficie: 1.166,00 t
    – in immersione: 1.484,00 t
    Dimensioni:
    – Lunghezza: 76,10 m
    – Larghezza: 6,98 m
    – Immersione: 4,55 m
    Apparato motore superficie:
    – 2 motori Diesel Tosi, 2 eliche
    – Potenza: 3.420 cv
    – Velocità max. in superficie: 17,80 nodi
    – Autonomia in superficie: 1.617 miglia a 17,8 nodi e 6.409 miglia a 8,0 nodi (carico normale) – 3.401 miglia a 17,8 nodi e 13.204 miglia a 8,0 nodi (in sovraccarico)
    Apparato motore immersione:
    – 2 motori elettrici di propulsione Ansaldo
    – Potenza: 1.250 cv
    – Velocita max: 8,60 nodi
    – Autonomia in immersione: 8,0 miglia a 8,0 nodi – 108 miglia a 4,0 nodi
    Armamento:
    – 4 tls AV da 533 mm, 6 siluri da 533 mm
    – 4 tls AD da 533 mm, 6 siluri da 533 mm
    – 1 cannone da 100/47 mm (290 proiettili)
    – 4 mitragliatrici 13.2 in affusti binati a scomparsa (12.000 colpi)
    Equipaggio: 7 ufficiali, 50 tra sottufficiali e marinai
    Profondità di collaudo: 100 m
    Fu affondato da attacco aerei l’11 marzo 1944

    Note
    a cura Antonio Cimmino e Claudio Confessore
    L’8 settembre 1943, trovandosi a Bordeaux, il regio sommergibile Bagnolini venne requisito dai tedeschi, fu ridenominato U.IT.22 e fu inviato in missione verso Singapore con 12 marinai (equipaggio misto italo-tedesco) per trasporto materiali.
    Il giorno 11 marzo 1944, nei pressi di Capo Buona Speranza, venne affondato da idrovolanti Catilina del 279° Squadron sudafricano.
    Il 26 gennaio 1944 partì per la sua prima missione di trasporto per Singapore sotto bandiera tedesca.
    Il 22 febbraio al largo dell’isola di Ascensione riportò danni allo scafo a seguito di un attacco di un aereo USA. Poiché il danno aveva prodotto perdite di carburante era stato programmato un rifornimento 500 miglia a Sud di Capo di Buona Speranza con un U-Boot .
    L’11 marzo 1944, quando arrivò sul punto di rendez-vous, fu attaccato da tre idrovolanti tipo PBY Catalina del 279° Squadron sudafricano ed affondò in PSN 41°28’ S – 017°40’ E.
    Morirono 43 uomini, tra cui i seguenti 12 italiani:

    Ten G.N. Rossilla Carlo (nominativo presente nell’elenco della RSI ma i dati di nascita non sono disponibili);

    Capo 3a Classe Buosi Bruno di Alessandro nato a Riva Del Garda (TN) il 16/10/1910;
    2° Capo Balestrieri Domenico di Gaetano nato a Napoli il 16/07/1906;
    2° Capo Mazzoni Giuseppe di Egidio nato a Pisa il 01/01/1916;
    2° Capo Valenti Bruno di Alfredo, nato a La Spezia il 08/01/1917;
    Sottocapo Pacitti Vincenzo di Luigi nato a Terni il 11/05/1922;
    Sottocapo Petrelli Serafino di Leonardo nato a Canino (VT) il 06/05/1921;
    Sottocapo Tini Supero di Giulio nato a Terni il 28/07/1918;
    Sottocapo Zampieri Giordano di Ildegardo nato a Sondrio il 20/11/1918;
    Comune Armitano Leone di Gioacchino nato a Torino il 24/02/1922;
    Comune Zarelli Lindo di Francesco nato a Vallinfreda (Roma) il 15/05/1920;
    Comune Bartolozzi Renato di Vincenzo nato a Civitavecchia il 20/10/1922.

    In merito ai nominativi si rileva che sono reperibili solo nell’elenco della RSI, disponibile su Internet, poiché nell’Albo d’Oro della Marina Militare non sono inclusi coloro che aderirono alla Repubblica Sociale. Per l’equipaggio del Bagnolini l’unica eccezione, per motivi attualmente non conosciuti, è il Comune Bartolozzi Renato il cui nominativo è riportato sia nell’Albo d’Oro (in cui anziché Comune è scritto Camicia Nera) sia nell’elenco dei caduti della RSI.
    E’ infine da evidenziare che nell’Albo d’Oro è presente un ulteriore nominativo di un Sottocapo del Bagnolini che risulta deceduto sul fronte Algerino in data posteriore alla fine della guerra:
    Sottocapo Silurista Baldan Dino nato il 20 ottobre 1919 a La Spezia deceduto sul fronte Algerino il 03 dicembre 1946.
    Motto: Compagni vendicatemi gridato dall’alpino Attilio Bagnolini quando fu ucciso in Africa nel 1936.

    Il marinaio Dante Daini, nato a Calcinato il 29 maggio 1921, fece parte del regio sommergibile Alpino Bagnolini, classe Liuzzi, con mansione di cannoniere durante la Seconda Guerra Mondiale. Prese parte alle varie missioni fino alla sua cattura e di tutto l’equipaggio del sommergibile da parte dell’esercito nazista, l’11 settembre 1943. In seguito fu deportato e imprigionato in un lager tedesco in Germania nei pressi della città di Amburgo, dove vi rimase fino alla conclusione del conflitto mondiale. Ritornò in patria dalla sua famiglia, dove visse felicemente gli ultimi anni della sua vita senza mai dimenticare gli orrori della prigionia e della guerra.
    Il 1° aprile 1980 gli fu conferito, dal Ministero della Difesa, il distintivo d’onore Volontari della Libertà.

    E’ deceduto a Calcinato (BS) il 30 ottobre 1974.

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    Ottavio Battista (Mola di Bari, 28.10.1915 – Mare, 13.12.1941)

    di Associazione “il Mondo Solidale”

    (Mola di Bari, 28.10.1915 – Mare, 13.12.1941)

    … e la regia nave Alberico da Barbiano.

    Ottavia Battista era un marinaio caduto durante la Seconda Guerra Mondiale  nato a Mola di Bari il 28 ottobre 1915. E’ stato imbarcato sul regio incrociatore leggero Alberico da Barbiano affondato durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Battaglia di Capo Bon il 13 dicembre 1941. Aveva 26 anni.
    L’Alberico da Barbiano era un incrociatore leggero della classe Alberto di Giussano della Regia Marina, battezzato in onore del cavaliere e capitano di ventura del XV secolo Alberico da Barbiano.

    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento 6.954 tonnellate a pieno carico
    Lunghezza: 160 mt.
    Larghezza: 15,5 mt.
    2 eliche. Potenza: 95.000 HP
    Velocità: 37 nodi
    Combustibile: 1.250 t di nafta
    Autonomia: 3800 miglia a 16 nodi
    Era armato da:
    8 cannoni da 152/53 mm.
    6 cannoni da 100/47 mm
    2 mitragliere da 40/39 mm.
    8 mitragliere da 13,2 mm.
    4 tubi lanciasiluri da 533 mm.
    2 aeroplani
    Equipaggio: 507

    Ottavio Battista era un marinaio imbarcato su  questo incrociatore che trovò la morte, insieme ad altri 534 Caduti, per l’affondamento della nave da parte di 4 navi inglesi.
    Il 12 dicembre 1941 l’incrociatore Alberico da Barbiano lasciò il porto di Palermo insieme alla nave gemella Alberto di Giussano per trasportare rifornimenti urgenti di carburante per aerei da Palermo a Tripoli.
    Venne intercettato al largo di Capo Bon da quattro cacciatorpediniere nemici (i britannici Sikh, Legion e Maori e l’olandese Hr. Ms. Isaac Sweers).

     

    Prima di avere il tempo di reagire (solo poche mitragliere poterono aprire il fuoco), la nave, centrata da almeno tre siluri lanciati dal Sikh, dal Legion e dal Maori, e da varie cannonate, s’incendiò all’istante, senza scampo per chi si trovava sottocoperta.

    Fuori controllo, la nave italiana andò alla deriva scosso da varie esplosioni, e affondò, capovolgendosi, alle 3.35 del 13 dicembre 1941, a meno di dieci minuti dall’inizio dell’attacco.
    Su 784 uomini dell’equipaggio i morti furono 534, fra di loro l’ammiraglio Antonino Toscano, comandante della IV Divisione, ed il comandante della nave.
    Il Cigno (nave di scorta), mancato dai siluri degli avversari, si prodigò per raccogliere i naufraghi, in condizioni disperate: sulla superficie del mare, piena di nafta, si svilupparono molti incendi, cui si aggiunsero i pescecani giunti sulla zona.

    Con l’aiuto di pescatori tunisini e di un idrovolante italiano, furono recuperati 687 naufraghi, poi trasportati a Trapani.
    Nella Battaglia di Capo Bon del 13 dicembre 1941 navi alleate affondarono due incrociatori italiani l’incrociatore Barbiano e il Giussano, uccidendo 817 persone. Una pagina nera, nella storia della Marina.

    Ma che cosa avvenne quella notte? E perché questo scontro segnò i destini della guerra? Il 1941 fu un anno durissimo per la Marina italiana.
    Il 21 ottobre 1941, la Gran Bretagna aveva inviato a Malta la “Forza K”, un gruppo di navi che affondavano sistematicamente i convogli italiani diretti alle colonie in Africa. In un solo mese, era arrivato a destinazione meno del 40% dei carichi di carburante e di armi.  Era la “guerra dei convogli”, organizzata per indebolire le forze dell’Asse in Africa. Di fronte al rischio che le truppe inglesi avanzassero in Libia, impossessandosi dello strategico porto di Bengasi, a dicembre 1941 il governo italiano aveva deciso di inviare un grosso carico di munizioni e carburante a bordo di navi veloci.
    La missione fu affidata ai 2 incrociatori leggeri: l’Alberico da Barbiano e l’Alberto di Giussano. Le navi dovevano caricare viveri, materiali e armi nei porti di Brindisi e di Palermo, per poi dirigersi a Tripoli il 9 dicembre, costeggiando la Tunisia.
    Ma l’operazione partiva male.
    Le navi che dovevano scortare gli incrociatori (Bande Nere e Climene) erano in panne: così la scorta fu affidata alla sola torpediniera Cigno. In più non era possibile la copertura aerea da Tripoli, perché in Libia mancava il carburante per gli aerei.  Così fu deciso di caricare sui due incrociatori diverse tonnellate di benzina per aerei, ma non nelle solite lattine impiegate per il trasporto su unità da guerra, bensì in fusti, la cui tenuta non era oltretutto ermetica. I fusti furono caricati in coperta, nella zona poppiera: un carico esplosivo, che rendeva gli incrociatori vulnerabili a ogni attacco, sia aereo che navale.
    In totale il carico imbarcato era di 100 tonnellate di benzina avio, 250 di gasolio, 600 di nafta e 900 di viveri, oltre a 135 militari destinati a Tripoli: un equipaggio di 1.504 persone, più 155 a bordo del Cigno.La missione era pericolosa: lo scafo degli incrociatori leggeri non era idoneo per resistere ai siluri né ai tiri d’artiglieria e l’unico loro punto di forza, la velocità (potevano toccare i 37 nodi, pari a 68,5 km/h) per risparmiare nafta in modo da poterne scaricare di più a Tripoli, fu imposta la velocità di 22 nodi (40,7 km/h).  Così, non volendo giocare la carta della velocità, si cercò in tutti i modi di tenere segreta la missione e, per evitare incontri con i ricognitori provenienti da Malta, si era decisa una rotta più a occidente delle isole Egadi.
    L’arrivo a Capo Bon era previsto alle 2:00 del 13 dicembre; poi si doveva puntare alle isole Kerkennah, dove la 4a Divisione doveva incontrarsi con le torpediniere Calliope e Cantore, per essere scortata fino a Tripoli, con arrivo previsto alle 13:00.
    Per proteggere la spedizione, la Marina dispose alcuni pattugliamenti aerei lungo a est e a ovest di Capo Bon.
    Un ricognitore avvistò 4 cacciatorpediniere britannici a 60 miglia da Algeri, diretti a Capo Bon e i tedeschi avevano avvisato il comando italiano che di notte alcuni piroscafi inglesi avrebbero lasciato Malta per Gibilterra.
    Per i caccia la Marina italiana calcolò la loro ora di passaggio a Capo Bon: ipotizzando una velocità costante a 20 nodi (quella calcolata dai ricognitori) sarebbero arrivati alle 5:00, se avessero aumentato a 28 nodi alle 3:00, un’ora dopo gli italiani. Così non fu considerato necessario annullare la missione o accelerare la velocità di navigazione. Ma l’Italia non aveva fatto i conti con il servizio di decrittazione britannico “Ultra”, in grado d’intercettare e decifrare i messaggi in codice inviati dalle forze dell’Asse con la macchina Enigma.
    Gli inglesi seppero tutto nei dettagli, comprese le velocità degli incrociatori, e inviarono contro gli italiani 4 cacciatorpediniere già in rotta verso l’Egitto (Sikh, Maori, Legion e Sweers): dopo aver lasciato Algeri aumentarono la velocità a 30 nodi.
    Intanto, le navi italiane (il Cigno in testa, seguito dal da Barbiano e dal di Giussano) arrivarono a Capo Bon alle 3:00 del 13 dicembre: ma la Marina non lo seppe e non ordinò di recuperare il ritardo.
    Poco prima, alle 2:45, le unità italiane sentirono un rumore d’aereo: era un ricognitore della Raf di Malta, che aveva individuato le nostre navi.
    La Cigno allertò il da Barbiano con i proiettori luminosi, ma lo scambio fu notato dai cacciatorpediniere britannici, che si stavano avvicinando a Capo Bon a grande velocità.
    Il comandante Toscano allertò il convoglio: alle 3:20 il da Barbiano invertì la rotta mettendo le macchine alla massima forza e comunicò la manovra alle altre due navi. Il di Giussano lo seguì; il Cigno non se ne accorse e proseguì fino alle 3:25, quando invertì la rotta, restando distanziato a sud.
    Sul da Barbiano intanto, l’ammiraglio ordinò di aprire il fuoco contro le navi nemiche, ormai distanti solo 300 metri.
    Ma dal Sikh erano partiti 4 siluri: due colpirono il da Barbiano sulla sinistra, causando un’esplosione e un incendio. Il Legion lanciò 6 siluri, uno dei quali colpì il di Giussano.
    Alle 3:26 il Maori si accanì contro il da Barbiano in fiamme, falciando il ponte di comando e lanciandogli contro due siluri, uno dei quali andò a segno.  Il da Barbiano, colpito al centro e a poppa, sbandò e affondò in 4-5 minuti, in un inferno di nafta e benzina in fiamme.
    Il di Giussano, colpito da un siluro e da due granate, privo di energia per utilizzare le artiglierie, con il centro nave sconvolto dallo scoppio del siluro, sbandava sempre più.
    Prima che l’incendio in sala macchine si propagasse ai fusti di benzina in coperta, il comandante ordinò di abbandonare la nave. Alle 4:42 il di Giussano si spezzò in due e affondò.
    Il Cigno, mancato dai siluri degli avversari, si prodigò per raccogliere i naufraghi, in condizioni disperate: sulla superficie del mare, piena di nafta, si svilupparono molti incendi, cui si aggiunsero i pescecani giunti sulla zona. Con l’aiuto di pescatori tunisini e di un idrovolante italiano, furono recuperati 687 naufraghi, poi trasportati a Trapani: nello scontro erano morte 817 persone.

    SIAMO ALLA RICERCA DI FOTO DI OTTAVIO BATTISTA

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    Riccardo Grazioli Lante della Rovere (Roma, 21.4.1887 – 28.10.1911)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra, Antonio Cimmino e Giorgio Gianoncelli

    banca-della-memoria-www-lavocedelmarinaio-com(Roma 21.4.1887 – 28.10.1911)

    Nasce a Roma il 21 aprile 1887, dopo aver conseguito la maturità classica, a soli 17 anni entrava nell’Accademia Navale di Livorno, uscendone con il grado di Guardiamarina nel 1907 e conseguendo poi la promozione a Sottotenente di Vascello
il 15 maggio 1910.
    Da allievo dell’Accademia prese imbarco, per le crociere d’istruzione, sulle navi scuola “Vespucci” ed “Etna”, navigando nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, dove ebbe modo di visitare l’Irlanda e la Scozia, e quindi nel Mar del Nord fino al Baltico.
Già nelle sue prime destinazioni d’imbarco, dopo l’Accademia (nave Regina Margherita e nave Vesuvio), il Sottotenente di Vascello Grazioli ebbe modo di distinguersi per il suo carattere pieno di entusiasmo e di coraggio.

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    Nel 1909 prese imbarco sull’incrociatore “Puglia” destinato ad una crociera in estrema Oriente. Con tale nave risalì il fiume Yan-se-Kiang sino ad Han Kew e Nan Kim, poi visitò le coste fino a Sakaline e Shan-Hai-Kwan, dove era un distaccamento di marinai italiani.
 Nel 1910, sbarco dal “Puglia” e venne destinato al Distaccamento Marina di Pechino, posto a difesa della Legazione Italiana in Cina, restando presso quel Comando per oltre 18 mesi.
 Appassionato rocciatore ed esploratore, durante la permanenza a Pechino, il Grazioli effettuò un viaggio nella Mongolia Meridionale (Manciuria) e con la sola compagnia di guide locali visitò il bosco sacro, presso le tombe imperiali Tum-Ling, ancora non conosciuto dagli europei; al rientro riportò una mappa del percorso ricca di dati ed appunti.
    Il 7 luglio fece rientro in Italia e a fine settembre prese imbarco sulla Regia Nave “Marco Polo” con la quale si doveva trovare, il mese successivo, impegnato nelle operazioni militari per l’occupazione di Homs (Libia), nel conflitto italo – turco del 1911 – 1912.
    Il 23 ottobre 1911, in vista di una offensiva delle truppe italiane sul Magreb, ricevette l’ordine di recarsi a terra con l’incarico di verificare le posizioni assunte dai reparti da sbarco e dai bersaglieri e ricavarne dati utili per il tiro delle artiglierie di bordo. Eseguì prontamente e brillantemente l’ordine e, rientrato a bordo con le notizie richieste, chiese ed ottenne di ritornare a terra per meglio stabilire i collegamenti tra le truppe combattenti a terre e le unità navali. Nel corso di questa seconda missione, saputo che il suo collega Corradini era stato costretto ad abbandonare il comando della batteria di Marina colà operante poiché ferito, corse a sostituirlo, riuscendo a riorganizzare ed a motivare quel nucleo di marinai scossi per le gravi perdite ed esauriti per i continui attacchi e gli ininterrotti combattimenti. Sotto la sua guida l’intera batteria rientrò dietro le linee italiane e nei giorni seguenti si riorganizzò a difesa del settore assegnato.
    Il giorno 28 ottobre la batteria fu nuovamente e ripetutamente attaccata da soverchianti forze arabo-turche costituite da due reparti, di circa 500 armati ciascuno, convergenti sulla batteria da direttrici diverse. Verso le 11,30 l’attacco delle forze avversarie, strenuamente contrastato dalla batteria di Marina e da una un plotone di bersaglieri al comando del Tenente Martini, raggiunse il massimo della intensità. Quando il Martini cadde mortalmente ferito alla tempia da una pallottola di fucile, Grazioli Lante assunse il comando anche di quel reparto, esponendosi ove maggiore era il pericolo, per rincuorare i combattenti e meglio incitarli a contrastare il nemico avanzante.
    Cadde al proprio posto di comando colpito mortalmente alla testa da tre pallottole nemiche.
    Il 30 ottobre il feretro del valoroso ufficiale, sul quale era stata posta una corona di palme a simbolo di gloria e di dolore per la Marina tutta, ricevuti gli onori militari solenni sotto bordo della nave “Marco Polo” veniva imbarcato sulla nave ospedale “Regina Margherita” dell’Associazione Cavalieri Italiani del S.O.M. di Malta.
    A Tripoli la salma fu poi trasbordata sul piroscafo “Enrichetta” ed il 2 novembre sbarcata a Napoli, e da questa città trasferita a Roma dove, alla presenza del Ministro della Guerra, del Ministro della Marina, di rappresentanti di Casa Savoia, delle massime autorità politico-militari della capitale e con la partecipazione di un reparto di bersaglieri combattenti ad Homs, si svolse la maestosa cerimonia dei funerali dell’Eroe. Il feretro, avvolto dalla bandiera della nave “Marco Polo”, venne sepolto al cimitero del Verano a Roma, nella cappella di famiglia.
    La sua morte fu pianta da tutta l’Italia e numerosi poeti, come Guido Mazzoni, Fausto Salvadori e Alfredo Baccelli scrissero odi in memoria di questo purissimo eroe. Lo stesso Gabriele D’Annunzio, nella sua famosa composizione poetica “La canzone dei trofei”, piange la morte di Riccardo Grazioli Lante della Rovere.
    Onorificenze
    Medaglia d’Oro al Valor Militare (alla memoria)
 concessa con la seguente motivazione:
    Il 23 ottobre ad Homs, dopo aver compiuto arditamente una prima missione a terra sul terreno battuto dal fuoco nemico, sbarcato una seconda volta per raccogliere notizie, affidò ad altri l’incarico avuto di portarle a bordo e di propria iniziativa accorse a sostituire il Comandante la batteria da sbarco rimasto ferito. 
Rianimò ed infuse nuovo ardimento negli uomini esausti per le perdite subite, le fatiche e il digiuno; provvide a raccogliere il materiale gravemente danneggiato e, malgrado l’oscurità della notte e il non interrotto fuoco nemico, attraverso gravi difficoltà del terreno, ricondusse la batteria al completo dei trinceramenti.
 Il 28 ottobre pure ad Homs, esempio ai suoi di eroica fermezza, comandò la batteria da sbarco della sua nave esponendosi arditamente al fuoco nemico per dirigere il tiro, finché cadde mortalmente ferito”. 
(Homs, 23 – 28 ottobre 1991)
 R.D. 27 novembre 1912.

    In suo onore la città di Roma, in ricordo dell’eroico suo cittadino, volle intitolargli una via cittadina e, nel quartiere Pianciano in via Tevere, anche una scuola elementare.

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    La Marina nel giugno 1912, per meglio ricordare ai posteri la figura dell’eroico ufficiale, nell’isola di Ajo Kyriaky-Stampalia (Dodecanneso – Mar Egeo), costruì ed armò una batteria navale, con annessa caserma, che intitolò a questa fulgida figura di eroe.
    Successivamente, nel 1921, il rimorchiatore d’altura “Falco” dopo essere stato trasformato in cannoniera di scorta, assumeva la nuova denominazione “ Grazioli Lante Riccardo”. L’unità costruita presso i cantieri navali inglesi di Aberdeen, venne varata nel 1912 ed entrata in servizio nel 1915. Dopo la trasformazione in cannoniera venne aggregata alle Forze Navali del Basso Adriatico e Mar Jonio fino al 1936.
    Dal 1936 al 1938 fu impiegata come “Nave Servizio Fari” e nel 1939 quale dragamine alle dipendenze del Comando Marina della Libia Orientale. Per il primo semestre del 1940 l’unità riprese la propria attività di cannoniera di scorta, operando alle dipendenze del Comando in Capo del Dipartimento M.M. di Taranto per passare poi nuovamente alle dipendenze del Gruppo N.U.L. di Taranto, ad operare quale nave servizio fari. La nave Grazioli Lante fu definitivamente radiata alla fine del 1941.

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    Breve storia della caserma Grazioli Lante a Roma
    Con il trasferimento della capitale d’Italia da Firenze a Roma, avvenuto il 20 settembre 1870, il Ministero della Marina trovò la sua sede provvisoria presso il convento di Sant’Agostino, in via della Scrofa, mentre il personale militare alloggiò presso il convento francescano di via Sant’Andrea delle Fratte, requisito per l’esigenza.
    Risolto il grave problema della nuova sede ministeriale con la costruzione di Palazzo Marina, la cui inaugurazione ufficiale avvenne il 28 ottobre 1928, lo Stato Maggiore rivolse la propria attenzione al grave problema del personale militare accasermato in modo non adeguato nell’ex-convento. Venne allora prospettata l’idea di costruire una caserma all’interno dei giardini di Palazzo Marina, ma la ferma e tenace presa di posizione dell’architetto Magni ne fece decadere il progetto perché la realizzazione avrebbe rovinato, in modo irrecuperabile, l’estetica del Palazzo senza peraltro raggiungere lo scopo prefissato. Si dovette pertanto procedere alla ricerca di un sito idoneo, vicino al Ministero, cu cui poter realizzare una struttura capace di accogliere sia il numeroso personale in servizio presso il Ministero, sia quello destinato ai servizi generali e logistici della sede.
    L’area venne individuata nella zona del nuovo Quartiere della Vittoria, che si stava allora sviluppando sull’opposta sponda del Tevere, a poca distanza da Palazzo Marina. Dopo le necessarie pratiche burocratiche nel 1930 venne posta la “prima pietra”, e nel 1932 un primo lotto – del padiglione dell’ex Autoreparto – venne consegnato alla Marina.
    I lavori per il completamento dell’intero corpo edilizio proseguirono più o meno celermente, venendo anche interrotti per una vasta inondazione della zona a causa dell’eccezionale piena del Tevere nell’inverno del 1937. L’intera opera, fu ultimata nell’ottobre del 1938 e costituì, per l’epoca, un esempio di moderna funzionalità, capace di ospitare un migliaio di marinai.
    Il 28 ottobre, ricorrendo l’anniversario della morte del S.T.V. Grazioli Lante, con solenne cerimonia ufficiale alla quale parteciparono autorità militari, civili e religiose, la caserma venne intitolata all’eroe, e vi prese quindi sede il Distaccamento della M.M. di Roma.
 Dall’8 settembre 1943 al giugno 1944, con il trasferimento da Brindisi del Ministero della Marina, l’edificio venne occupato da vari reparti italiani e tedeschi.
    Alla liberazione di Roma, nel giugno del 1944, l’edificio venne occupato dalle truppe americane che vi installarono un Alto Comando ed, in parte, lo trasformarono in un attrezzato ospedale militare. Di conseguenza, il Ministero Marina, ritornato nella sua sede naturale, dovette provvedere a risistemare il proprio personale altrove. Così il personale militare dei servizi venne accasermato nella Scuola Media Statale di via Monte Zebio, nel requisito Albergo Clodio ed alcuni marinai furono ospitati presso la Caserma dei Granatieri di via Ferrari.
    Quando nel giugno del 1945 gl americani restituirono l’edificio alle autorità militari italiane, vi ritrovò immediata sede il Comando Marina e poi, dopo essere stati eseguiti alcuni lavori di predisposizione, il centro raccolta di militari sbandati e l’ufficio Stralcio per le pratiche di discriminazione del personale sbandato dopo l’8 settembre o aderente alla Repubblica Sociale Italiana. Soltanto nei primi mesi del 1947 venne ricostituito il Distaccamento, con il rientro di tutto il personale temporaneamente accasermato in precedenza presso le strutture citate in precedenza.
    Nel ventennio successivo l’edificio subì lavori di ampliamenti e di sopraelevazione per far fronte alle sempre crescenti esigenze di alloggiamento del personale.
Nel dicembre 1962, l’infermeria di corpo vene ampliata e dotata di idonee attrezzature e macchinari specialistici.
    Attualmente nella caserma Grazioli Lante hanno sede il Comando Militare Autonomo Marittimo della Capitale (istituito il 1° gennaio 2001); il Comando Distaccamento Marina Militare; un ridimensionato Servizio Sanitario (infermeria) con la 2^ sezione della Commissione Medica Ospedaliera di Taranto; l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia ed altri enti a scopi sociali e, naturalmente gli alloggi del personale.

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    La regia nave Marco Polo nella guerra italo-turca e la morte di Grazioli Lante

    di Antonio Cimmino

    antonio-cimmino-per-www-lavocedelmarinaio-com_1Nel 1911 la regia nave Marco Polo era inquadrata nell’Ispettorato Silurante, squadra formata dalla nave appoggio sommergibili Lombardia, l’incrociatore torpediniere Minerva, la corazzata Saint Bon, l’incrociatore corazzato Vettor Pisani, la 3° squadriglia cacciatorpediniere, la 1° sezione della 4° squadriglia cacciatorpediniere e altre siluranti dislocate nel Mar Adriatico.
    Dopo alcuni interventi davanti alle coste albanesi. La nave (al comando del Capitano di vascello Maffeo Scarpis), il 12 ottobre 1911, scortò a Tripoli – unitamente alla corazzata Saint Bon e le unità della 2° Divisione della II Squadra – un convoglio di 19 piroscafo con a bordo il Corpo di spedizione del Regio Esercito al comando del Generale Carlo Caneva.

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    Il Marco Polo, assieme alle unità della Divisione Navi Scuola della II Squadra Navale, fu destinato a proteggere lo sbarco di uomini e mezzi del corpo di spedizione in Tripolitania e di occupare le località costiere, nonché di mantenere le comunicazioni.
    Il 17 ottobre la nave, insieme all’incrociatore corazzato Varese, fu inviata a bombardare la zona di Homs, nonché fornì una batteria da 72 mm, completa di marinai da sbarco, da sistemare sulle alture allo scopo di proteggere i soldati che, verso ovest, si accingevano ad occupare il Margheb. La batteria ed il contingente da sbarco era comandata dal sottotenente di vascello Corrado Corradini Bartoli, successivamente decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Dopo aver tenuto lodevolissimo contegno nelle operazioni della forza da sbarco a Tripoli, il 23 ottobre 1911, ad Homs, dirigendo un reparto di artiglieria da sbarco, dimostrò calma e coraggio sotto il violento fuoco dei turco-arabi, mantenendo la sua serenità anche dopo essere stato ferito alla testa da un proiettile nemico”.

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    Nel frattempo il contingente dei bersaglieri, spingendosi troppo in territorio nemico, stava per soccombere. Il comandate del Marco Polo inviò a terra il sottotenente di vascello Grazioli Lante per avere la posizione delle truppe nemiche onde poter cannoneggiarle e permettere lo sganciamento dei soldati italiani. Con coraggio il sottendente, procuratosi un cavallo, si avventurò verso il Margheb e, tornato alla neve, fornì le coordinate necessarie per il cannoneggiamento di sgancio.
    Grazioli Lante tornò una seconda volta a terra il 28 ottobre per comandare la batteria dopo che il collega Corradini era stato ferito, lasciando un suo sottufficiale al comando dei pezzi.
    Nell’azione di difesa delle postazioni terrestri fu validamente collaborato dal 2° Capo cannoniere Emilio Signanini, anch’egli decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Destinato alla batteria da sbarco coadiuvava in modo lodevolissimo il proprio ufficiale. Caduto il Comandante della batteria ne assunse per qualche tempo il comando dirigendo il fuoco con calma e bravura sotto il fuoco nemico”.

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    Altri due cannonieri furono decorati con Medaglia d’Argento al Valor Militare.
    Il 2° Capo Meloni Michele (23 ottobre) con la seguente motivazione:
    Destinato alla batteria da sbarco coadiuvava con calma e coraggio l’ufficiale che la comandava sotto il violento fuoco nemico, rimanendo gravemente ferito al petto”.
    Il Sottocapo Orazietti Giulio (28 ottobre) con la seguente motivazione:
    …quantunque ferito ed invitato a ritirarsi, rimase fermo al suo posto di puntatore continuando il suo tiro sotto il fuoco del nemico”.

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    Durante i ripetuti attacchi dei turchi, fu ucciso anche il Tenente Luigi De Martini che, in trincea, comandava un plotone di bersaglieri. Grazioli Lante assunse anche il comando dei soldati.
    Circondante da preponderanti truppe nemiche ingrossate da centinaia di indigeni, inviò questo messaggio al comando dei bersaglieri:
    “Colonnello Maggiotto, Tenente De Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei, se possibile inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale. Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni. Grazioli”.
    Alla testa dei marinai e bersaglieri si battè valorosamente ma fu colpito mortalmente da tre pallottole in testa. Gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
    “Il 23 ottobre ad Homs, dopo aver compiuto arditamente una missione a terra sul terreno battuto dal fuoco nemico, sbarcato una seconda volta per raccogliere notizie, affidò ad altri l’incarico avuto di portarle a bordo e di propria iniziativa accorse a sostituire il comandante della batteria da sbarco rimasto ferito. Rianimò ed infuse nuovo ardimento negli uomini esausti per le perdite subite, le fatiche ed il digiuno; provvide a raccogliere il materiale gravemente danneggiato e, malgrado l’oscurità della notte e il non interrotto fuoco nemico, attraverso gravi difficoltà del terreno, ricondusse la batteria al completo nei trinceramenti. Il 28 ottobre, pure ad Homs, esempio ai suoi di eroica fermezza, comandò la batteria da sbarco della sua nave esponendosi arditamente al fuoco nemico per dirigere il tiro, finché cadde mortalmente ferito”.
    In una copia della Rivista Marittima dell’epoca, così viene descritta la morte del giovane ufficiale:


“Riccardo Grazioli non ha tempo di compiangere: ha visto morire il suo amico, ma pensa soltanto alla necessità del dovere. Scrive in fretta e manda come può un biglietto al colonnello Maggiotto avvertendolo della perdita di De Martino, e intanto assume prontamente il comando anche del plotone dei bersaglieri. E con una tranquillità di spirito incredibile attende alla batteria e al plotone insieme, alternando ordini e monti a quello e a questo, intento allo svolgersi dell’azione e sollecito a secondarla o combatterla come meglio convenga. Ma a lui pure, fiore purissimo dell’eroismo italiano, è prefissa una sorte non diversa da quella del suo nuovo commilitone. Egli si leva un momento sopra il muretto che maschera la batteria per guardare col binocolo l’effetto del tiro di questa, poi volge il capo per ordinare alcunché al plotone dei bersaglieri …. Una pallottola gli fora la tempia, lo fa stramazzare, folgorato, sulla terrazza.”

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    La famiglia Grazioli Lante della Rovere
    Saggio storico di Giorgio Gianoncelli (*)

    …dalle stelle del cielo della Valtellina al profumo di pane nelle scuderie del Vaticano alla gloria eterna.

    Duca di Magliano Vincenzo Grazioli di Cadelsasso (Sondrio, 22 settembre 1770 – Roma, 27 aprile 1857, progenitore del Conte Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
    Giovanni e Vincenzo Grazioli sono fratelli e nell’anno 1779, assieme al padre Lorenzo, partono da Cadelsasso, piccolo borgo nel comune di Civo sulla costiera dei Cek,   di fronte al grosso borgo di Morbegno, per raggiungere la città di Roma. Vincenzo ha solamente nove anni (1).
    Fin dai secoli precedenti l’emigrazione valtellinese nello Stato Pontificio, in particolare nella città di Roma, è favorita dall’alto Clero, che ha destinato loro una compagnia dell’annonaria. Poco o niente scolarizzati i valtellinesi, sono impiegati come macinatori di granaglie, facchini, misuratori con staio (2) per il grano e brente (3) per il vino.
    Vincenzo è il minore dei due fratelli. Il padre Lorenzo è il tipico rappresentante del genere di mercante/contadino dell’epoca, comunemente chiamati Mercanti di Vacche, perché sempre presenti sui mercati di bestiame, pronti a intermediare tra un venditore e un compratore, spesso, anche con qualche imbroglio.
    Vincenzo cresce nella Roma papalina, tra lavoro giovanile nelle botteghe di ogni genere e nella grande città, trova anche l’opportunità di scolarizzarsi e col tempo giusto entra nel turbine degli affari commerciali, con la praticità tipica dei valtellinesi operatori della terra e nello stesso tempo, mercanti/promotori del loro prodotto.
    Vincenzo non impiega molto a sviluppare i suoi commerci. I grandi latifondisti, tutti dell’area nobiliare intorno all’albero parassitario vaticano, cercano affittuari per i loro sterminati poderi e soldi a volontà per le dionisiache feste capitoline.
    Nel 1793 il padre rientra in Valtellina e lascia a Vincenzo la bottega di granarolo e lui non spreca il tempo. Sposa Maria Maddalena Miller, figlia di tedeschi panettieri nel rione Trevi e si trasferisce nella bottega dei suoceri dopo aver affittato la sua di granarolo. Da qui comincia l’ascesa commerciale di Vincenzo che incrementa il giro d’affari della bottega dei suoceri e avvia l’attività di mugnaio con dei mulini affittati, mossi dalle acque del fiume Tevere e al fratello Giovanni, affida la gestione della oramai ben avviata panetteria.
    Nell’anno 1802 in modo prematuro muore la moglie Maria, per Vincenzo è un duro colpo ma l’ottimo rapporto con i suoceri, oramai avanti con l’età, gli consente di continuare nella sua attività di oculato imprenditore annonario e nonostante il dolore per la perdita della consorte, Vincenzo non demorde dai suoi commerci e affari. Nello stesso anno prende in affitto una grossa tenuta agricola nell’agro romano, che lo inserisce tra i dignitari dei mercanti di campagna.
    Nel primo decennio dell’800 con Napoleone Bonaparte a Roma, Vincenzo Grazioli conclude un contratto per la fornitura di foraggio e paglia alle formazioni militari francesi. Questo contratto arricchisce in modo straordinario la cassaforte di Vincenzo Grazioli ma soprattutto è introdotto nelle stanze del Vaticano, dove viene a contatto con dignitari e Cardinali che contano.
    Per quanto il ricordo della prima compagna di vita sia importante, un giovane uomo senza la presenza dell’anima gemella è un po’ perso e allora, nell’anno 1806, Vincenzo, sposa Anna Londei, di 19 anni più giovane di lui che appartiene a una famiglia agiata di Ancona, il cui genitore, da ricco mercante di stoffe è anche il fondatore di una Banca di depositi e prestiti nella città di Roma.
    Vincenzo Grazioli è talmente attivo negli affari dell’agricoltura e delle sue dinamiche del periodo che sulla piazza romana pare non abbia rivali ed è addirittura inserito nel consiglio della Banca fondata dal suocero e governata da un cognato proprio per la sua caratteristica principale, quella del contadino/imprenditore e nell’anno 1814, con altri due funzionari della stessa banca, assume l’appalto della dogana della fida delle pecore per tutto l’agro pontificio, che mantengono per un decennio.
    Nell’anno 1823, dopo 17 anni di matrimonio, Vincenzo e Anna, danno alla luce il primogenito che chiamano Pio, naturalmente in onore ai nomi papalini di cui la famigliola gode di favori e dignità.
    Le notevoli disponibilità economiche di Vincenzo Grazioli, derivanti da tanta attività economico-finanziaria, gli consentono di costituire un notevole patrimonio immobiliare formato di beni rustici e urbani. Tra gli acquisti più espressivi c’è la tenuta di Castel Porziano nel settembre 1823, venduta poi nell’anno 1872 alla Casa Reale, oggi patrimonio della Presidenza della Repubblica Italiana.
    Per Vincenzo Grazioli è un susseguirsi da appalti e affari, da solo oppure in società con altri. Nell’anno 1831 si aggiudica l’appalto per la vendita della neve e del ghiaccio sia nella città di Roma sia nel circondario. Sempre nello stesso anno l’appalto per la fornitura del foraggio e la paglia per i cavalli dell’Esercito pontificio.
    Gli acquisti della tenuta di Castel Porziano e del ducato di Santa Croce di Corchiano, aprono al Grazioli le porte della nobiltà romana. Nel gennaio dell’anno 1836 dal papa Gregorio XVI, Vincenzo Grazioli, è elevato al rango di Barone; nel settembre 1851 il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, conferisce al Grazioli il titolo di Duca, trasmissibile agli eredi e nell’anno successivo, Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti di Senigallia (Ancona), gli riconosce lo stesso titolo per i territori pontifici.
    Nell’anno 1833 il Duca Vincenzo Grazioli di Cadelsasso in Valtellina, nato contadino, lavoratore instancabile fin dalla tenera età, poco scolarizzato, nella sua capacità intellettiva con l’interpretare il valore della terra e l’esaltazione della fatica dell’operatore agricolo, raggiunge l’apice tra i ranghi della nobiltà romana, e il Duca Vincenzo Grazioli, chiude il cerchio con l’acquisto di Palazzo Gottifredi, in via del Plebiscito nella città di Roma, che dopo un opportuno restauro, nell’anno 1835 diventa la residenza della famiglia Grazioli (4).
    Vincenzo Grazioli nello Stato del Vaticano è oramai uomo/imprenditore a tutto campo, non esiste  settore operativo in cui non appare la sua presenza, alla bella età di anni 81, in società con altri ottiene dal governo Vaticano la concessione per la bonifica di terre paludose nelle Valli di Comacchio.
    Vincenzo Grazioli muore nella sua residenza di via del Plebiscito il 27 aprile 1857 ed è sepolto accanto alla moglie Anna, nella cappella gentilizia di Santa Maria sopra Minerva.
    Persona di grande intraprendenza, valtellinese tenace come le rocce della valle, non troviamo nessun segno nella provincia di Sondrio per questa dignità raggiunta da un conterraneo di origini contadine. Il suo dinamismo affaristico gli ha fatto perdere le umili origini, senza rendersi conto che la base dei suoi successi, forse, li deve al carattere formativo di quando, bambino ancora, accudiva ai piccoli greggi di capre e pecore sui brik della costa dei Cek.

    Duca Pio Grazioli Lante della Rovere (Roma 1823 – Roma 1884)
    Con la scomparsa di Vincenzo Grazioli, Duca di Santa Croce di Corchiano, l’unico figlio nato nell’anno 1823 cui è imposto il nome Pio, eredita l’enorme patrimonio costruito negli anni dal padre.
    Nell’aprile dell’anno 1874 Pio Grazioli sposa donna Caterina Lante Montefeltro della Rovere, figlia di Giulio e di donna Maria Colonna e da quel momento la famiglia assume il nome di Grazioli Lante Della Rovere. Gli sposi danno alla luce quattro figli, Mario, Giulio, Riccardo e Maria.
    La famiglia per censo e per ricchezza è tra le prime nello Stato del Vaticano, oltre a vivere di mondanità e feste di rango, Pio Grazioli, sempre fedele e vicino al papa, fa ricostruire a sua totale spesa, la chiesa di San Giovanni della Malva in Trastevere.
    Alla morte del padre la famiglia non si disunisce ma continua con pari dignità e fastosità. I fratelli tutti trovano moglie e la sorella marito, sempre oramai nell’ambito delle famiglie blasonate.  Giulio, il secondogenito sposa la marchesa Maria Laveggi e come il nonno Vincenzo, ha un solo erede maschio che chiama Riccardo.

    Riccardo Grazioli Lante della Rovere (Roma, 21.4.1887 – Homs (Libia), 28.10.1911)
    E’ la personalità che assieme al bisnonno Vincenzo esalta l’interesse storico della provincia di Sondrio.
    Unico figlio maschio di Giulio Grazioli e di Maria Lavaggi, Riccardo, fin da ragazzo sogna di diventare uomo di mare e senza mezzi termini ai genitori, esprime l’agognato desiderio, che da studente, con determinazione, ripete; Ho deciso: io andrò per mare. Così, nell’anno 1904, all’età di 17 anni, Riccardo Grazioli Lante della Rovere entra in Accademia Navale nella città di Livorno per iniziare i corsi di studio per Ufficiali del Corpo di Stato Maggiore della Regia Marina Militare.
    Con pieno titolo e ottimi voti, l’Aspirante Guardiamarina Riccardo Grazioli Lante della Rovere, esce dall’Accademia Navale il mese di novembre dell’anno 1907, destinato su Nave Regina Margherita per il tirocinio pratico e l’avanzamento del grado.
    È questo il periodo in cui la Regia Marina di Guerra è impegnata con la delegazione militare italiana in Cina e il giovane ufficiale il mese di aprile 1908 è imbarcato sulla Torpediniera Vesuvio destinata a quella Delegazione.

    Riccardo Grazioli Lante della Rovere, in tempi diversi e attività differenti, mostra lo stesso determinato temperamento del bisnonno Vincenzo, super attivo in tutto e per tutto, mai domo di conoscere e sapere, parla correttamente le tre lingue europee francese, inglese e tedesco, studia gli l’idiomi cinese e Russo.
    Con l’avvicinarsi del periodo di rientro in Patria per il normale avvicendamento, il giovane Guardiamarina, non esita a recarsi a piedi presso il Comando della Delegazione, lontano 30 km., per chiedere di poter rimanere in Cina. Ottenuta l’autorizzazione, è destinato alla Guardia della Legazione Italiana e in questo periodo, visita la Manciuria, completa gli studi della lingua russa e quella cinese. Promosso sottotenente di vascello il mese di maggio 1911, è richiamato in patria.
    Dopo la regolare licenza di rientro in Patria, il Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli è destinato sull’ariete corazzato Marco Polo, assegnato all’Ispettorato Siluranti e nel settembre 1911, partecipa al conflitto armato contro l’Impero Ottomano. La guerra, chiamata Italo – Turca inizia il 29 settembre 1911.
    Il 12 ottobre 1911 l’ariete corazzato Marco Polo è assegnato alla Divisione Navi Scuola della Seconda Squadra Navale, con base a Tripoli. I compiti affidati alla divisione prevedono le operazioni di sbarco delle truppe, dei servizi e dei materiali, la protezione del corpo di occupazione in Tripolitania, il mantenimento delle comunicazioni con l’Italia, e l’occupazione di altre località costiere, secondo le disposizioni del comandante supremo delle forze italiane in Tripolitania.
    Il 17 ottobre, il Marco Polo è inviato a cooperare con l’incrociatore corazzato Varese e la torpediniera d’alto mare Arpia nel bombardamento di Homs, iniziato il giorno prima a seguito della mancata accettazione della resa delle autorità ottomane. All’alba del 18 il Marco Polo arriva davanti Homs, e secondo le direttive  inizia il bombardamento delle postazioni nemiche, che continua, a intervalli, fino alle ore 18,00, quando inizia a sventolare una bandiera bianca.
    Durante il combattimento del 23 Ottobre, i bersaglieri sono molto avanti e fanno fuoco in varie direzioni. Il Comandante del Marco Polo, privo d’informazioni, incarica il Sottotenente di Vascello Grazioli, di recarsi a terra per chiedere informazioni sulla posizione occupata dal nemico, non visibile da bordo.
    Riccardo Grazioli con un cavallo attraversa la linea di fuoco, osserva le posizioni nemiche e ritorna a bordo con le dovute informazioni. Vista l’attenta osservazione del Sottotenente, il Comando di bordo lo rimanda a terra per avere costanti e utili informazioni.
    Le notizie sulle posizioni relative delle forze italiane e nemiche permettono al Marco Polo di riprendere il fuoco con efficacia, consentendo ai reparti di poter rientrare nelle proprie linee di difesa attorno a Homs, senza subire gravi danni.


    Per la seconda volta a terra, il Signor Grazioli, è informato che il Comandante di una batteria della Regia Marina è ferito e trasportato all’Ospedale. Riccardo Grazioli affida la missione ricevuta all’aspirante guardiamarina di comandata sulla barca a vapore e con un cavallo dei carabinieri, parte per rimpiazzare il collega ferito, raggiunge la batteria ai piedi del Mergheb, quando comincia a imbrunire.
    Il personale della batteria è stremato dalle fatiche e dal digiuno, anche un po’ disorientato per la mancanza del Comandante e del capo-pezzo anch’egli ferito. Grazioli incontra gli uomini della batteria che stanno ripiegando su Homs; dopo averli rincuorati, si accorge che non tutti i pezzi sono stati portati via dalla postazione sull’altura. Con alcuni uomini, ritorna sul Mergheb e recupera il materiale. Raggiunge poi gli uomini della batteria, sotto il fuoco nemico.
    Il terreno, oltremodo accidentato, rende difficile il trasporto pesante carico. La batteria rientra presso la città di Homs completa, con tutti gli accessori. L’energia e la volontà del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli, riorganizza la batteria nella stessa trincea dove è sistemata un’altra  batteria della Marina con un plotone di bersaglieri al comando del tenente Luigi De Martini.
    Il 28 ottobre le forze turche e indigene attaccano le postazioni italiane, durante la sparatoria, De Martini è colpito a morte, e Riccardo Grazioli assume il comando anche del plotone di Bersaglieri e invia un biglietto, scritto a matita, al colonnello Maggiotto:
    “Colonnello Maggiotto, Tenente Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei , se possibile, inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale. Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni”.
    L’attacco del nemico continua: Riccardo Grazioli, nel cercare d’individuare meglio dove indirizzare i tiri della batteria, si espone alla fucileria nemica, e, mentre sta impartendo ordini, è colpito mortalmente alla testa da tre pallottole.
    Di quei pochi giorni che il Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere svolge le mansioni di comandante di batteria, il 2° Capo cannoniere Emilio Signanini, scrive una lettera al padre duca Giulio: Allora come sempre, lo abbiamo visto più che ordinare, lavorare per noi, Il vederlo affabile, sempre buono, non dormire nella notte per vegliare alla nostra difesa, il vederlo dividere con noi il suo vitto, sempre interessandosi del nostro benessere, ha fatto di lui per noi, che abbiamo visto in quei giorni, una persona sacra per cui tutti avremmo dato la vita. Il signor Grazioli è morto. Non abbiamo pianto: gli eroi non si piangono, non si piange chi come il nostro ufficiale muore sul campo dell’onore per la gloria d’Italia. È il 28 ottobre 1911.

    Dalle stelle del cielo della Valtellina al profumo di pane nelle scuderie del Vaticanoalla gloria eterna
    Le famiglie si compongono e si scompongono, gli avvenimenti si susseguono in apparenza lenti ma in realtà anche rapidi, e la vita degli umani è talmente corta che genera elementi di rapida trasformazione, sia in positivo sia in negativo. Come valtellinesi, di questa famiglia abbiamo avuto aspetti positivi: la forza dei contadini della montagna con la determinazione all’ascesa ai vertici della vita socio-economica della nascente nazione italiana, la caparbietà psicofisica del contadino Vincenzo Grazioli nato sotto le stelle della costiera dei Cek e il carattere, patriottico e altruistico del pronipote Riccardo, nato nella neo-capitale d’Italia che dona la vita  per la tutela della sua Nazione.
    Nonno Vincenzo lascia l’aspetto del suo cospicuo lavoro con il palazzo di via Plebiscito nella Capitale d’Italia e il giovane Riccardo, con una targa di bronzo, che ricorda il sacrificio della sua breve esistenza al mondo.
    La facciata del palazzo è decorata con pilastri portanti e capitelli. Al centro si apre il portone fiancheggiato da due colonne di ordine dorico di granito grigio e sormontato da un balcone e la targa in marmo e bronzo con il ritratto della Gloria commemora l’impresa del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere,romano per nascita, con una lunga radice e il cuore valtellinese, medaglia d’oro al valor militare, caduto ad Homs (oggi Al Khums), in Libia, il 28 ottobre1911 durante la Guerra Italo – Turca.

    La Caserma/Distaccamento “STV Riccardo Grazioli Lante della Rovere” della Marina Militare in Roma
    Tra gli anni 1937/38 la Regia Marina Militare costruisce la Caserma/Distaccamento nella città di Roma a fianco del Palazzo della Marina e il 28 ottobre 1938 è inaugurata e intestata a perenne ricordo del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere.
    Riccardo Grazioli Lante della Rovere, Ufficiale della Regia Marina di Guerra, patrimonio valoriale della storia e della gloria della Marina Militare e della Nazione è anche, per origini paterna, da considerare tra i Marinai delle Alpi Centrali, un valore a pieno titolo della Lunga linea blu della provincia di Sondrio.

    Note
    (*) 
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    (1) Vincenzo nasce il 22 settembre 1770 da Lorenzo e Maddalena Lombardini.
    (2) Staio: recipiente cilindrico in legno con un contenuto preciso di 5,00 Kg. di grano.
    (3) Grosso recipiente conico da spalla, con capienza di circa 60/65 litri di prodotto liquido, con un segno fisso alla misura di litri 50,00.
    (4) Dal 1989 una parte del  palazzo è concesso dal duca Giulio Grazioli Lante della Rovere, in affitto a Silvio Berlusconi, che lo ha eletto a propria residenza romana.