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    Fortuna Novella (Carloforte (CA), 25.9.1880 – Mahon, 26.6.1969)

    di antonio.cipollina@virgilio.it

    (Carloforte (CA), 25.9.1880 – Mahon, 26.6.1969)

    …la storia di Fortuna Novella, le vicende dell’affondamento della corazzata Roma e dell’internamento a Port Mahon (Spagna) degli equipaggi dell’incrociatore Attilio Regolo e dei cacciatorpediniere Carabiniere, Fuciliere e Mitragliere.

    Fortuna Novella
    Nata a Carloforte (Cagliari) il 25 settembre 1880. La famiglia era originaria di Santa Margherita Ligure. I nonni paterni Antonio Novella e Fortuna Brichetto si trasferirono a Carloforte nel 1813 per la pesca del corallo. Andò sposa l’8 maggio 1902 a Antonio Riudavetz, confettiere di Mahon (Spagna).

    Il fatto – Settembre 1943
    L’Europa  è nel turbine dalla seconda guerra mondiale alla quale anche l’Italia partecipa dal giugno 1940. In un primo tempo le vicende belliche sembrano favorevoli all’Italia e alla Germania ma con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti le cose cambiano e l’Italia è costretta ad arrendersi. La notizia dell’armistizio viene diffusa l’8 settembre 1943. La stessa notte le squadre navali italiane ancorate a La Spezia e a Genova ricevono l’ordine di salpare per sfuggire ai tedeschi che potrebbero occupare i porti.
    Della squadra navale ancorata a Genova, al comando dell’ammiraglio Luigi Biancheri, fanno parte gli incrociatori “Garibaldi”, “Duca D’Aosta”, “Duca degli Abruzzi” e la torpediniera “Libra”.
    Nella notte, alle ore 2.25 del 9 settembre, la flotta ordinata, silenziosa e ubbidiente, lascia il Golfo di La Spezia diretta a La Maddalena e, passando a Nord di Capo Corso, si riunisce, alle ore 6.30, alla 8^ Divisione incrociatori, partita da Genova. Destinazione La Maddalena, in Sardegna, dove è previsto anche l’arrivo del Re. Al centro della formazione le tre corazzate, a sinistra e a dritta le due divisioni incrociatori e le due squadriglie di cacciatorpediniere.
    Alle ore 9.00 la formazione fa rotta per 218°, accosta per rotta Sud, passando a ponente della Corsica.
    Alle ore 10.00 viene avvistato un ricognitore inglese che fa alcuni larghi giri e si allontana.
    Alle 10.29 viene avvistato un ricognitore tedesco.
    Poco dopo le 12.00 la formazione assume la linea di fila con i sei incrociatori in testa e i cacciatorpediniere ai fianchi delle corazzate.
    L’isola dell’Asinara è già in vista. Una squadriglia di cacciatorpediniere riceve l’ordine di entrare in porto a La Maddalena.
    Quest’ordine viene tempestivamente modificato alle ore 14.45 da Supermarina che comunica che La Maddalena è stata occupata dai tedeschi. Immediata inversione di rotta delle unità navali.
    Sono le ore 15.10, al largo dell’Asinara in cielo appaiono, in tre ondate, 15 aerei bombardieri bimotore tedeschi “DO-217/K2 decollati dall’aeroporto di Istrés presso Marsiglia. Gli aerei lanciano bombe: le tristemente note “FX/1400” radiocomandate. Le navi rispondono al fuoco ma inutilmente: gli aerei volano a 6-7 mila metri d’altezza.
    Alle ore 15 e 47 la corazzata “Roma” viene colpita due volte. La prima bomba cade tra i due complessi da 90 di dritta (n.9 e n.11) a un metro dalla murata, trapassa lo scafo causando una grossa falla e scoppia in mare. L’esplosione sotto lo scafo blocca due delle quattro eliche sistemate a poppa. Una immediata caduta della velocità della nave sotto i 16 nodi. Quattro caldaie poppiere e le relative macchine si allagano. La seconda bomba colpisce la “Roma” alle 15.52 fra il torrione di comando , vicinissimo al fumaiolo di prora, e la torre n.2 di grosso calibro. La bomba perfora il ponte corazzato, il locale turbodinamo e scoppia nel locale motrice di prora. La nave è ferita a morte La torre 2 è proiettata in mare.
    Sono forse 2000 tonnellate di acciaio che sono strappate violentemente dalla nave. La corazzata si ferma, sbanda di 10 gradi a dritta. Poi le fiamme raggiungono il deposito di munizioni di prora, la santabarbara: l’esplosione è terribile. La grande nave, orgoglio della Marina Militare italiana, 46000 tonnellate di stazza, si spezza in due e affonda rapidamente trascinando con se 1393 marinai di cui 1193 dell’equipaggio della nave e 200 del Comando Forze Armate da Battaglia presenti a bordo della Nave Ammiraglia.
    Fra essi l’ammiraglio Carlo Bergamini, il contrammiraglio Stanislao Caraciotti, il comandante della nave C.V. Adone Del Cima e ottantacinque ufficiali.

    Sulla corazzata Roma al momento dell’affondamento erano presenti (precisazione del Com. Pier Paolo Bergamini):

    A) COMANDO IN CAPO FORZE NAVALI DA BATTAGLIA

    Presenti Dispersi e deceduti Superstiti
    Ufficiali 28 28 =
    Sottufficiali 62 60 2
    S.C. e Com. 138 112 26


    B) EQUIPAGGIO CORAZZATA ROMA

    Presenti Dispersi e deceduti Superstiti
    Ufficiali 87 57 30
    Sottufficiali 217 171 46
    S.C. e Com. 1489 965 524

    TOTALI
    2021 1393 628

    Anche la corazzata “Italia” viene colpita, ma la micidiale bomba radiocomandata attraversa la fiancata della nave ed esplode in acqua. La nave può proseguire. Sul mare in calma relitti e molti naufraghi. Vengono recuperati 628 superstiti tra i quali molti feriti e 25 cadaveri.

    Il comando viene assunto dall’ammiraglio Romeo Oliva. La flotta punta verso Sud. L’Attilio Regolo e i cacciatorpediniere Carabiniere, Fuciliere e Mitragliere si fermano e raccogliere pietosamente i 25 morti e parte dei 628 superstiti, proseguono poi per Port Mahon, capoluogo di Minorca (Baleari), in Spagna.
    (Le torpediniere “Impetuoso” e “Pegaso”, anch’esse impegnate nel recupero dei morti e dei superstiti, proseguono poi per l’isola di Majorca dove vengono autoaffondate).
    La Spagna è neutrale: la convenzione internazionale prevede che le navi impegnate in guerra possano sostare solo 24 ore nei porti neutrali. Le navi non si riforniscono di nafta da tanti giorni. E’ impossibile riprendere la navigazione senza quei rifornimenti che la Spagna non può concedere.


    L’intervento di Fortuna Novella (Mamma Mahon)
    Appena venuta a conoscenza che gli equipaggi di alcune navi militari italiane si trovano in difficoltà si precipita al porto in aiuto dei connazionali.
    Lei, la sola italiana residente a Mahon cura i feriti, procura da mangiare, trova le medicine, tiene i contatti con le famiglie in Italia, corre in camposanto dove depone fiori sulla tomba dei 25 marinai sepolti. Interviene presso le autorità locali onde evitare l’internamento e grazie alla sua azione, anche se le navi vengono internate, agli equipaggi viene concesso di restare a bordo e muoversi liberamente.
    Le porte di casa Riudavetz-Novella e quelle di Villa Fortuna vengono aperte ai 1800 marinai della formazione. Gli equipaggi delle navi sono composti da marinai perlopiù giovanissimi che tanto sentono la lontananza dell’Italia e della propria famiglia.
    Mamma Fortuna o Mamma Mahon, così sarà chiamata quella piccola Signora dagli occhi azzurri, fa loro da madre. Li nutre, li cura e distribuisce loro consigli, affetto e anche gli abiti del defunto marito. Quando scendono a terra delle navi quei 1800 marinai sanno dove andare. Le case della dolce Signora danno loro il sapore della vita domestica e quel calore di italianità che li aiuta a superare quei momenti difficili.
    Una testimonianza per tutte, quella dell’ufficiale cagliaritano Enrico Lay, che scrive sull’album di casa Novella:
    A scuola mi hanno insegnato che la fortuna è una donna cieca o bendata che ha la facoltà di dare il bene o il male. A Mahon ho scoperto che Fortuna è una donna dagli occhi buonissimi che parlano prima della bocca”.

    Trascorrono così 16 mesi, la partenza avviene il 15 gennaio 1945. I nostri giovani marinai salutano la loro benefattrice che li abbraccia uno per uno. Ha le lacrime agli occhi. I suoi figlioli, come ama chiamarli, piangono con lei.
    Le navi si allontanano. Mamma Mahon agita le braccia con un fazzoletto in segno di saluto. I marinai, migliaia di mani tese verso di lei, fissano l’immagine di Fortuna Novella per imprimerla un’ultima volta nella loro mente. Infine Mahon scompare alla loro vista.
    Fortuna Novella non dimentica i morti della corazzata “Roma” sepolti a Mahon. Cura che sulle croci venga sistemata una targhetta col nome del defunto e non fa mancare preghiere e fiori.


    Onore ai caduti
    Nel 1950, a ostilità concluse, la Marina militare italiana decide di onorare i caduti che riposano a Mahon. Le salme vengono composte in un nuovo monumento di marmo dello scultore Armando D’Abrusco.
    Novella Fortuna partecipa alla cerimonia il 29 settembre. Agli occhi degli ufficiali italiani giunti a Mahon per assistere alla cerimonia quella donna piccola già avanti negli anni di cui tanto hanno sentito parlare in Italia sembrò, sotto il profilo morale, un gigante e le parole dell’ammiraglio Ferrante Capponi ne dettero conferma:

    Vi è una persona in Mahon alla quale noi dobbiamo molta gratitudine: la signora Fortuna Novella. Essa ha svolto in passato una preziosa opera di assistenza ai nostri equipaggi e dimostra tuttora verso i caduti che sono qui sepolti una cura pia ed amorevole della quale è soltanto capace un’anima nobile e generosa mossa da amor patrio e carità cristiana”.

    Riconoscimenti in Patria
    Trascorrono sette anni. In questo periodo la storia di cui Fortuna Novella fu protagonista si diffonde in tutta Italia. Le famiglie dei marinai beneficiari del grandioso atto di bontà vogliono conoscere questa donna per ringraziarla ed ascoltare dalla sua voce l’intera vicenda.
    La Marina Militare Italiana la invita più volte a Roma. Fortuna Novella è indecisa. Infine si convince e il 20 settembre del 1952 vola a Barcellona e da qui, su un aereo della Lai, a Roma.
    E’ ospite della Marina Militare Italiana. Viene accolta con tutti gli onori. Gli alti ufficiali della marina le rendono omaggio.
    Parlano di lei radio e giornali. Il Santo Padre Pio XII la riceve in udienza privata. Incontra i parenti dei caduti che consola. La chiamano da ogni parte d’Italia, riceve centinaia di lettere: da Chioggia, la madre di un marinaio morto, Atonia Regner , le scrive:

    Siamo povera gente, ma venite a trovarci per dirci com’è la tomba del povero Giorgio. Noi abitiamo in Calle del Teatro…”

    Fortuna Novella dirà:

    Andrò e dirò alla madre di Giorgio che mai mancano i fiori sulle tombe dei marinai. Ho anche disposto che il 2 novembre siano deposte corone sui loculi e sia detta una messa per quei poveri morti. Poi tornerò io…

    Riceverà l’anno successivo dal Presidente della Repubblica italiana Luigi Einaudi un’ alta onorificenza “La stella della solidarietà italiana di prima classe“.

    L’arrivo in Sardegna e a Carloforte
    Parte quindi per la Sardegna e giunge a Cagliari.
    Anche qui tanti incontri: Fortuna Novella rievoca presso la base navale quei 16 mesi in cui fu madre di 1800 marinai. Infine a Carloforte, suo paese natale. Manca dal 1923. Un’auto della Marina la trasferisce a Portovesme. L’attende una nave del Comando militare.
    Sul molo di Carloforte, in attesa, migliaia di persone. Quasi tutto il paese. Barche pavesate a festa. La banda musicale. Il Sindaco, altre autorità civili e religiose e tante braccia alzate in segno di saluto. Un saluto che vuole essere un ringraziamento per aver , con la sua opera di straordinaria generosità e amor patrio, onorato l’Italia e la sua Carloforte.
    Ritornerà a Mahon dopo Natale dello stesso anno per vegliare sulle tombe dei 25 marinai che sono sepolti là, lontani dalla loro Patria.
    Morirà a Mahon il 26 giugno 1969. La lapide della Sua tomba porta la seguente incisione:

    Che il suo Spirito possa essere sempre conservato ai nostri giovani.

    Di lei scrisse, in data 22 marzo 2000, l’amm. Marcello Vacca Torelli, uno dei superstiti di nave “Roma”, all’epoca guardiamarina:

    Plaudo all’iniziativa sorta a Carloforte di onorare degnamente quella che i marinai definirono la loro “Mamma” e che io credo sia stato un vero “Angelo di bontà”; ricordo con quanto affetto e devozione tutti ne parlavano e quanta riconoscenza aveva suscitato.


    Bibliografia
    2 febbraio 1945 – La Rinascita – Taranto
    “Navi italiane in Ispagna. Dopo l’armistizio. La signora Fortuna Novella, l’unica italiana di Mahon. Il saluto del porto spagnolo”

    settembre 1952 – Tempo – Roma
    “Tutti suoi figli i superstiti della << Roma >>”

    ottobre 1952 – Orizzonti
    “1.800 marinai la chiamavano Mamma”

    ottobre 1952 – Oggi – Roma
    “La mamma dei marinai ha avuto 1.800 figli. E’ giunta dalla Spagna Fortuna Novella, la prima donna che sulle bare dei marinai della “Roma”…

    24 ottobre 1952 – L’Unione Sarda – A.De Martis
    “Affettuose accoglienze a Mamma Mahon da parte dei concittadini a Carloforte”

    Sardegna fieristica – Aprile-Maggio 1996 – Francesco Birocchi
    “Angelo Biondo dagli occhi azzurri. Fortuna Novella, un personaggio da Libro Cuore nel turbine della seconda guerra mondiale”

    Almanacco di Cagliari- Anno 1998 – Carmelo Concas
    “Fulgido esempio di bontà.. Tra il 10 settembre 1943 e il 15 gennaio 1945 una signora carlofortina, Fortuna Novella, si prodigò in tutti i modi per dare sepoltura ai caduti della corazzata <<Roma>> ed aiutare 1.800 marinai italiani internati a Minorca”

    Aprile 1957 – Notiziario della Marina “Crociere ed esercitazioni”
    Arturo Catalano Gonzaga Di Cirella – Edizioni Mursia
    “Per l’onore dei Savoia. 1943-1944: da un superstite della corazzata Roma”

    Sergio Baldazzi – Nettuno
    Com.te PierPaolo Bergamini Roma
    Francesco Cestra Roma
    Leopoldo Bombardini Messina


    Per ulteriori approfondimenti

    Cipollina Antonio
    Via Corvetto, 30
    09014 –  CARLOFORTE (Cagliari)
    Tel. 0781.856271 – 338.9314007 – 368.3124893
    e-mail: antonio.cipollina@virgilio.it

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    Era il 26 giugno 1999

    di Roberta Ammiraglia88
    https://www.ammiraglia88.it
    https://www.mondovespucci.com

    …quando è arrivata questa busta che custodisco tra le cose preziose!

    … riceviamo e pubblichiamo questo bellissimo racconto.

    L’altro giorno, mentre cercavo un altro cimelio, ho potuto “accarezzare” questa busta “storica” (che coincidenza, compie venti anni!). Ho anche potuto toccare con mano e rileggere la lettera che conteneva, indirizzata a me personalmente: era la conferma per una futura visita alla nave scuola Amerigo Vespucci.
    Praticamente l’ufficio mittente, della nostra fantastica Marina Militare, aveva preso in carico la mia domanda ed ora … ero in lista! Che emozione! Ce l’avevo fatta, un giorno avrei potuto ammirare il Vespucci dal vero!
    La lettera informava anche che la nave era impegnata però nella Campagna Addestrativa e perciò avrei dovuto attendere l’autunno per salire in visita.
    Nessun problema, finalmente dopo anni di ricerche, e lettere inviate a vari indirizzi, ero arrivata all’Ente giusto (e chi pensava di dover disturbare proprio “i militari”!) e un sogno si stava realizzando! La mia domanda era arrivata ed ero in elenco! Ora iniziava veramente a concretizzarsi la possibilità di ammirare dal vero quel fantastico veliero che, fin da bambina, mi aveva affascinata.
    Ricordo ancora molto bene la disponibilità e la gentilezza dei componenti di quell’ufficio.
    A causa di alcune vicissitudini, non sono salita con quella visita “prenotata”, ma come “normale” cittadina che si è messa in fila … anche se la nave era ancora in manutenzione e non si presentava al meglio. Ma perché perdersi comunque l’occasione?
    Ricorderò sempre quei momenti dell’attesa in fila e poi l’avvicinarsi sempre di più al concretizzarsi del sogno … io ero lì! Ero veramente al cospetto della Regina dei Mari! Il sogno diventava sempre più realtà, prima nel percorrere lentamente lo scalandrone e poi … non c’erano dubbi, ero effettivamente a bordo! Io!
    Anche se non era completamente visitabile e non si presentava nel massimo splendore, il suo fascino appariva comunque! E’ stato comunque interessantissimo vedere come è il “mondo” all’interno dell’Arsenale … se fosse stata “a posto” non avrei potuto scoprire alcune particolarità del bel mondo navale che qui in Trentino non ci sono!

    Da lì, da quella busta e da quella lettera ufficiale, dalla prima volta che ho messo piede a bordo è partito, o meglio è proseguito sempre più risoluto il rincorrersi con quello storico ed affascinante veliero che, posso proprio dirlo, ha gettato l’ancora ben fissata al fondale del mio cuore!
    Ora che è prossimo a salpare con gli Allievi dell’Accademia Navale    giugno 2019 – dopo esattamente 20 anni da quella lettera, non posso fare altro che lasciarlo solcare i mari e dirgli: “mio” caro Vespucci, buona “ricorrenza” e buon vento!

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    Giovanni Barbini (Venezia, 25.6.1901 – Rosignano Marittimo, 25.9.1998)

    a cura  Andrea Trincas

    (Venezia, 25.6.1901 – Rosignano Marittimo, 25.9.1998)


    Giovanni Barbini nasce a Venezia il 25 giugno 1901, diplomato all’Istituto Nautico di Venezia nel 1921, viene chiamato nella Regia Marina per svolgere il servizio militare.
    Viene nominato Guardiamarina nel 1922 e nel giugno del 1923 si rafferma intraprendendo così la carriera militare.

    Nel marzo del 1927 viene promosso Sottotenente di Vascello e Tenente di vascello nel novembre 1936.
    Il 19 novembre 1939 assume il comando della regia torpediniera Angelo Bassini.
    Nel 1940 assume il comando della regia torpediniera Nicola Fabrizi.

    Nella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940 la regia nave Fabrizi, mentre scortava un convoglio nell’Adriatico meridionale, viene attaccata da quattro incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere inglesi. Nella battaglia che ne seguì, la nave contrattaccò nel tentativo di attirare il fuoco nemico e  fu gravemente danneggiata ma l’eroico equipaggio al comando di Giovanni Barbini si portò fino a Valona

    Nella battaglia Giovanni Barbini fu gravemente ferito e, nonostante le gravi perdite di sangue da una gamba ferita, rifiutò l’aiuto del per sodale sanitario di bordo fino, per l’appunto, la su a nave raggiunse il porto.

    Per quanto sopra, per la sua risoluta difesa del convoglio di fronte a un nemico superiore, Giovanni Barbini fu insignito della Medaglia d’Oro al Valore Militare.

    In seguito fu trasferito al Dipartimento Navale di Venezia e fu promosso Capitano di corvetta.
    Aderì alla Repubblica Sociale Italiana, e fu nominato Podestà di Venezia fino al 1945.
    Nel marzo 1947, a richiesta, transita nell’ausiliaria.
    Nel settembre del 1952  viene richiamato in servizio in Sardegna, assume il comando di nave Ebe e ritorna  al Comando Navale Autonomo di Venezia.
    Nel febbraio 1955 passa nella riserva, anche se rimane in servizio attivo fino al luglio 1956, in qualità di direttore della Fondazione Cini e comandante della nave da addestramento Giorgio Cini.
    Il 1° luglio 1961 fu promosso Capitano di vascello.
    Morì a Rosignano Marittimo il 25 settembre 1998 (*).

    Il 31marzo 2006 la città di Cagliari gli  dedica una via sul mare.

     

    Notizie tecniche/storiche regia nave Nicola Fabrizi (fonte www.agenziabozzo.it)

    Nome

    Nicola Fabrizi

    Tipo

    cacciatorpediniere dal 1918 al 1929
    torpediniera dal 1929 al 1953
    dragamine dal 1953 al 1957

    Classe

    Giuseppe La Masa

    Unità

    Giuseppe La Masa
    Angelo Bassini
    Agostino Bertani  (dal 1921 Enrico Cosenz)
    Benedetto Cairoli
    Giacinto Carini
    Nicola Fabrizi
    Giuseppe La Farina
    Giacomo Medici

    Cantiere

    Odero – Sestri Ponente, Genova

    Impostazione

    1° settembre 1916

    Varo

    18 luglio 1917

    Completamento

    1918

    Servizio

    12 luglio 1918

    Dislocamento

    normale 840 t
    pieno carico 875 t

    Dimensioni

    lunghezza 73,5 m
    larghezza 7,3 m
    immersione 3 m

    Motore

    2 turbine a vapore
    4 caldaie
    potenza 16.000 hp
    2 eliche

    Velocità

    30 nodi

    Autonomia

    2.230 miglia a 13 nodi

    Combustibile

    nafta 150 tonn.

    Protezione

    //

    Armamento

    4 cannoni da 102 mm / L canna 45 calibri
    2 cannoni da 76 mm / L canna 30 calibri
    4 tubi lanciasiluri da 450 mm

    Equipaggio

    99

    Disarmo

    //

    Radiazione

    1° febbraio 1957

    Destino

    demolita 1957

    Note tecniche

    Derivate dalla classe Rosolino Pilo, erano attrezzate per l’utilizzo come posamine, lancio di torpedini da getto e dragaggio in corsa.
    Nel 1940 l’unità fu portata in cantiere per essere rimodernata. I lavori di modifica comportarono la sostituzione dell’armamento con la rimozione di tre cannoni da 102 mm, la sostituzione dei pezzi da 76 mm con 8 mitragliere da 20 mm e la sostituzione di due tubi lanciasiluri da 450 mm con 3 da 533 mm.
    Alle due unità sopravvissute al secondo conflitto mondiale venne montato un cannone da 102mm/L35, due mitragliere binate antiaeree da 20mm ed un impianto per il dragaggio mine.

    Note storiche

    Il 3 novembre 1918 una formazione composta dalla RN Giuseppe La Masa e dai cacciatorpediniere AudaceGiuseppe Missori e Nicola Fabrizi salpò da Venezia per Trieste.
    A queste unità si aggregarono le torpediniere Climene e Procionesalpate da Cortellazzo e la formazione gettò le ancore nel porto di Trieste alle 16.10.
    Il Generale di Corpo d’Armata Carlo Ilarione Petitti di Roreto, imbarcato sulla Giuseppe La Masa, proclamò solennemente l’annessione della città all’Italia.
    Nel 1929 l’unità fu declassata a torpediniera, alternando compiti nella Flotta a periodi di disponibilità.
    Il 10 giugno 1940, all’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, la Fabrizi faceva parte insieme alle gemelle Giacomo MediciAngelo Bassini ed Enrico Cosenz alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere di base a Brindisi.
    L’11 novembre 1940 salpava da Valona in servizio di scorta ad un convogli composto dai mercantili PremudaCapo VadoAntonio Locatelli e dal piroscafo Catalani.
    Poche ore dopo il convogli venne intercettato dagli incrociatori britannici OrionAjaxSydney scortati dai caccia Nubian e Mohawk.
    Dopo scambio di colpi, nonostante il coraggioso comportamento della Nicola Fabrizi, lanciatasi al contrattacco, il convoglio venne interamente affondato e l’unità, danneggiata, dovette riparare a Valona. Nel combattimento ebbe 15 morti e 17 feriti.
    Nel 1941 l’unità fu sottoposta ai lavori; vennero rimossi due cannoni da 102 mm, sostituiti i pezzi da 76 mm con 6 mitragliere da 20 mm ed eliminati due tubi lanciasiluri da 450 mm.
    Rimessa nel servizio di scorta, il 7 settembre 1941 portò da Napoli a Messina i mercantili Spezia e Livorno.
    Il 21 settembre 1943 le gemelle Nicola Fabrizi e Giacinto Carini si consegnarono agli Alleati a Malta.
    Il 5 ottobre le due unità salparono da Malta per tornare in patria, utilizzate principalmente nei servizi di scorta lungo le coste dell’Italia meridionale sino al termine del conflitto.
    Nel 1953 la Nicola Fabrizi venne declassata a dragamine con l’identificativo M 5333.
    1.2.1957 venne radiata e passò alla demolizione.
    Motto: Pari ai cimenti superiore alla fortuna

    (*) Nel giorno del funerale di Giovanni Barbini il Gazzettino di Venezia pubblicò il seguente articolo:

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni

    25.6.2017, in ricordo di Francesco Simeone

    di Giuseppe Bizzarro

    Il 25 giugno 2017 ci ha lasciati il C° Elettricista Francesco Simeone, corso 87, colpito da tumore.
    Questa famiglia di Marinai si unisce alla famiglia del nostro caro fratello di mare, in questo tristissimo anniversario per noi marinai per sempre.
    Il 20 giugno 2017 aveva inserito quest’ultimo post nel suo profilo facebook dandoci la felice notte.
    Felice notte a te Francesco, riposa in pace Francesco fra i flutti dell’Altissimo. Amen.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    25.6.1857, la spedizione di Sapri e il capitano del porto di Ponza

    di Guglielmo Evangelista (*)

    Me ne andavo un mattino a spigolare

    Quando vidi una barca in mezzo al mare

    Era una barca che andava a vapore,

    e alzava una bandiera tricolore

    All’isola di Ponza si è fermata,

    è stata un poco e poi si è ritornata…

    La poesia “La spigolatrice di Sapri” di Luigi Mercantini (Ripatransone, 19 settembre 181 – Palermo, 17 novembre 1872), scritta nel 1858 e studiata da tutti alle elementari, prosegue con toni lirici, inneggiando alla fallita spedizione di Carlo Pisacane e presentandola in una realtà distorta e eroica.
    La fermata a Ponza, sulla rotta per Sapri, però non è una licenza poetica ma avvenne effettivamente perché c’era l’intenzione di liberare i prigionieri politici che vi erano tenuti in carcere. Ma cosa accadde veramente nell’isola partenopea? Niente di buono e lo vedremo.

    L’ANTEFATTO
    La spedizione  fu organizzata da Carlo Pisacane (Napoli, 22 agosto 1818 – Sanza, 2 luglio 1857), già ufficiale dell’esercito borbonico e già coinvolto in Italia e Francia in alcuni episodi a volte boccacceschi e a volte criminali e partì da Genova il 25 giugno 1857 servendosi del piroscafo a elica Cagliari diretto a Tunisi che fu sequestrato con la complicità, mai giuridicamente documentata ma altamente probabile, dei due macchinisti inglesi Wuott e Park e del capitano Antonio Sitzia.
    L’intento era quello di sbarcare nell’Italia meridionale, suscitare una rivolta antiborbonica e proclamare una repubblica….mica poco per soli 25 cospiratori.
    Benché Pisacane orbitasse vicino all’eterogeneo gruppo dei mazziniani, era piuttosto lontano ideologicamente dal suo capo: sostanzialmente era anarchico, ateo , rivoluzionario per partito preso e pronto al sacrificio anche se inutile: in altre parole un terrorista.
    Nei suoi scritti successivi il Mazzini sembra piuttosto scettico sui risultati e sull’organizzazione della spedizione: dà le colpe ai contrattempi e agli avversari, ma si capisce che fin dall’inizio non ne era entusiasta.
    Non c’entrò neppure lo zampino di Cavour sempre pronto a sfruttare a suo favore ogni evento, perché Pisacane era sorvegliato dalla polizia sabauda sia per la sua condotta sia perché ferocemente repubblicano e quindi non era un Garibaldi, individuo spesso ingombrante ma alla fine sempre fedele sostenitore dei Savoia e facilmente manipolabile.

    A PONZA E A SAPRI
    La nave, caduta facilmente in mano ai rivoluzionari,  arrivò 27 giugno nel porto di Ponza con il pretesto di un’avaria alla macchina: fu alzata la bandiera di richiesta del pilota, incarico ricoperto da tale Giosuè Colonna, che come salì a bordo fu sequestrato sotto la minaccia delle armi e la stessa sorte subirono gli impiegati della sanità marittima.
    I cospiratori, non visti, cominciarono a sbarcare:   i pochi soldati della guarnigione tentarono di opporsi ma il coraggioso tenente Cesare Balsamo fu subito freddato con un colpo di pistola.
    Entrati in paese cominciarono a percorrere le strade gridando “Viva la libertà” e “Viva la Repubblica” sventolando una bandiera rossa:  furono in netta minoranza le grida  “Viva l’Italia”e si videro sventolare pochi tricolori.
    Vi furono varie sparatorie, morti e feriti da entrambe le parti, finché i soldati si sbandarono:  il comandante della guarnigione  venne portato a forza a bordo del Cagliari ed obbligato a sottoscrivere ordini di consegna di materiali, munizioni e le chiavi della prigione.
    Il Maggiore era accompagnato dal Comandante del porto Montano Magliozzi, Terzo Pilota della Real Marina (1). Mentre gran parte della popolazione di era rifugiata nelle campagne,  il resto della giornata e della notte successiva trascorse in una serie di eccessi e saccheggi: vi furono vari tentativi di omicidio contro cittadini e militari – specialmente sottufficiali che non si lasciarono né intimidire né circuire –  fortunatamente andati a vuoto, ferimenti, furti e vandalismi.
    Fu incendiata la Capitaneria e l’alloggio del comandante fu saccheggiato, così come furono devastati e incendiati la sede della Gendarmeria e tutti gli uffici pubblici, distruggendo carte e archivi.
    Alla scorridora della Marina di stanza nel porto (2), cioè mutatis mutandis l’antenata delle attuali delle motovedette delle Capitanerie, fu inchiodato il cannone e venne fatta affondare (3).
    Bisogna ammettere che il Pisacane e i suoi, essendo in tutto venticinque, non avrebbero potuto fare tanto danno: in realtà uscirono allo scoperto un buon numero di fiancheggiatori che più che covare ostilità per il governo approfittarono del momento per fare i propri comodi e le proprie vendette personali e, tanto meno, i detenuti per reati comuni liberati dal carcere  si lasciarono sfuggire l’occasione per delinquere.

    Li disser ladri usciti dalle tane,

    ma non portaron via nemmeno un pane

    Cosi prosegue la poesia: forse non vi furono furti a Sapri perché avevano già “fatto il pieno” a Ponza…
    Tra l’altro, va detto che Pisacane non sapeva che i politici si trovavano a Ventotene (altra prova dell’approssimazione con cui fu organizzata la spedizione) e fra tutti i galeotti liberati i detenuti politici erano solo undici  e, a onor del vero, tennero un comportamento estremamente cauto e diffidente come capirono con che razza di banda avevano a che fare.
    Finalmente il Cagliari rilasciò tutti gli ostaggi e ripartì sbarcando poi la sua schiamazzante compagnia a Sapri. Dopo alterne vicende, male armati, senza appoggi e dopo aver vagato nel Cilento, fra Padula e Sanza cominciò il macello.

    E tra ‘l fumo. E gli spari e le scintille

    Piombaron loro addosso più di mille

    I contadini, tutt’altro che intenzionati ad ascoltare i proclami e a ribellarsi, al contrario coadiuvarono volentieri i soldati e i Gendarmi infierendo con ferocia sui rivoltosi.
    Carlo Pisacane e Giovan Battista Falcone, organizzatori della spedizione, non sopravvissero: il primo fu forse massacrato dai contadini, il secondo si suicidò.
    Anche se questa mattanza non può che suscitare oggi ribrezzo e disapprovazione, è la fine conseguente ad un’azione male organizzata, mal comandata e mal condotta.
    E ciò che è peggio, Pisacane sapeva a priori come sarebbe finita, ma l’aura del martirio, dell’inutile dimostrazione, è dura a morire anche fra i terroristi dei nostri tempi.

    EPILOGO 
    Il Cagliari, ripreso il mare, fu catturato al largo di Napoli dalle fregate borboniche Tancredi e Fieramosca e il governo, desiderando valersi del diritto di preda, diede vita con l’armatore genovese Rubattino a un lungo contenzioso. Intervennero il Piemonte, la Francia e la Gran Bretagna tanto che alla fine la nave venne rilasciata.
    I rivoltosi sopravvissuti, meno della metà dei 323 sbarcati a Sapri, vennero processati e fioccarono le condanne a morte, poi tramutate in ergastoli mentre dietro le pressioni dell’Inghilterra i due macchinisti inglesi vennero dichiarati non perseguibili per infermità mentale!
    Giovanni Nicotera, terzo organizzatore della spedizione e braccio destro di Pisacane fu l’unico a far parlare successivamente di sé. Dopo alcuni anni di disumane sofferenze  nella prigione di Favignana venne liberato nel 1860 da Garibaldi che seguì in molte avventure fino al 1867. Come spesso succede, il suo passato venne dimenticato: giurò fedeltà al re e fu ministro dell’interno per due volte distinguendosi – anche questo succede spesso – per la sua durezza nei riguardi delle agitazioni sociali e dei socialisti che un tempo l’avevano tanto affascinato.
    Possiamo concludere questa parte domandandoci quale influenza abbia avuto nella storia del nostro paese  l’infelice spedizione poi consacrata dall’agiografia storica e spacciata come uno dei punti più alti del processo dell’unificazione italiana. Praticamente nulla. Al massimo la vicenda processuale del Cagliari mise in luce la debolezza e l’isolamento del Regno delle Due Sicilie  a livello internazionale e fece suonare un campanello di allarme nella mente di Cavour che si risolse ad accelerare gli eventi rendendosi conto di come fosse facile che l’ordine conservatore sabaudo potesse essere facilmente scalzato da iniziative populiste.

    IL COMANDANTE MAGLIOZZI
    Nel corso delle cronache degli eventi verificatisi a Ponza nel giugno 1857  viene nominato più volte Magliozzi Montano, il Comandante del porto, impotente testimone e vittima degli avvenimenti: chi scrive ha cercato di sapere qualcosa di più su quest’ufficiale.
    Nativo di Gaeta, presumibilmente frequentò la locale scuola nautica e, approfittando del fatto che gli allievi degli istituti nautici erano privilegiati nei concorsi del corpo dei piloti della Real Marina – ufficiali fiancheggiatori di coloro, più titolati, che uscivano dalla Scuola di Marina di Napoli – dopo la necessaria pratica come allievo di pilotaggio, fu nominato Terzo Pilota il 30 gennaio 1850, sesto su dodici promossi, venendo destinato subito a Ponza. Nel 1853 figura Comandante della Scorridora n. 3, presumibilmente quella stazionaria nell’isola e di cui abbiamo già parlato e, di conseguenza, senza abbandonare l’incarico a terra.
    Salito al rango della cronaca con la spedizione del Pisacane, in seguito si sente parlare parecchio di lui: nel 1859 venne decorato della medaglia d’oro dell’Ordine di Francesco I per essersi distinto più di ogni altro nell’opera di spegnimento di un incendio in via Santa Brigida a Napoli e in quello stesso anno uscì il suo libro “Notizie storiche intorno all’invenzione e all’uso della bussola presso tutti i popoli antichi e moderni”, un lavoro accurato nel quale dimostra una buona preparazione tanto umanistica quanto tecnica.  Viene anche citato  in un’opera di Gaetano Caporale (4) “Sull’antico porto della valle del Sarno”.
    Il 7 febbraio 1861 viene nominato Pilota di 3^ classe nello Stato Maggiore dei Porti della  Marina Sardo-Italiana, grado equiparato a quello di guardiamarina di prima classe, con stipendio annuo di 1600 lire (5), venendo trasferito a Gallipoli.
    Nel 1864 succede qualcosa di poco chiaro: il nostro ufficiale viene sospeso dall’impiego a decorrere dal 1° settembre,  ma non è stato possibile appurare il perché benché vi siano indizi che si sia trattato della sottoscrizione di un’istanza collettiva avanzata da civili.
    Nel 1868 il Consiglio superiore dell’ammiragliato lo riabilitò, ma nel frattempo il Corpo dello Stato Maggiore dei porti era stato soppresso ed era scaduto il tempo per chiedere il passaggio nel nuovo Corpo delle Capitanerie di porto, così fu posto in aspettativa con due quinti della paga, neanche mille lire annue. Non fu più richiamato in servizio, tanto che nel 1876 – doveva avere più di sessant’anni –  fece la richiesta di essere collocato a riposo e della concessione dell’onorificenza di tenente di vascello in guiderdone dei tanti servizi resi alla patria. Certamente dopo oltre un quarto di secolo nello stesso grado qualcosa di più avrebbe meritato.
    Anche la vita privata di Magliozzi non fu felice: la moglie  Angela Vitiello morì di parto lasciandogli il figlio Giuseppe Antonio deceduto a otto anni il 27 marzo 1861 e che forse il padre non vide morire perché era stato trasferito appena all’ora lontanissima Gallipoli e che forse si trovava presso lo zio materno Giuseppe Vitiello, parroco di Ponza che solo per miracolo, nel 1857, era riuscito a sfuggire alla caccia dei ribelli che volevano ucciderlo.
    Si sposò una seconda volta con Elena Maria Feroce spegnendosi nel 1896: alla moglie fu liquidata la misera pensione di 313 lire annue.
    Ho ritenuto importante ricostruire per quanto possibile la biografia del nostro ufficiale perché, abituati fin troppo spesso alla retorica che esalta i grandi uomini di mare di ieri e di oggi – che qualche volta poi non sono così grandi, ma vengono riproposti solo perché è facile trovare fonti che ne parlino – ci si dimentica della vita di sacrificio e delle poche soddisfazioni di tanti altri marinai che indossando la stessa uniforme hanno servito il paese nell’ombra e con non meno merito.

    Note
    • Nel Regno delle Due Sicilie il personale delle Capitanerie di ogni grado, anche se non costituiva un corpo a sé, apparteneva tutto alla Marina Militare.
    • La scorridora era un’imbarcazione a vela e a remi, di piccolo tonnellaggio, usata per i servizi di collegamento e di pattuglia.
    • In realtà la nave non affondò, ma il relitto fu trascinato dalla corrente fino ad arenarsi su una spiaggia dove fu recuperato.
    • Gaetano Caporale (Acerra, 1815-1890), laureato in medicina, fu uno storico ed archeologo e fu fra i pionieri dello studio della statistica.
    • Lo stipendio equivaleva a circa 600 Euro attuali. Era un importo molto basso anche all’epoca ma, oltre alle diverse esigenze e al diverso costo della vita, era calcolato sulle necessità di un giovane guardiamarina appena nominato, mentre doveva rappresentare un grosso problema nei bilanci famigliari degli ufficiali dei corpi tecnici e amministrativi equiparati, spesso con carichi di famiglia e molto più anziani, arrivati alla nomina dopo una lunga permanenza nella bassa forza come i piloti e i macchinisti che nei gradi inferiori erano considerati sottufficiali.

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    La mia formazione si sarebbe qualificata per i prossimi Mondiali di calcio

    di Marco Angelo Zimmile (*)

    L’Italia degli “Europei” ha chiuso nel peggiore dei modi, è vero che è ancora presto per giudicare, ma vorrei vedere un gioco più convincente ed aggressivo, quindi, per la serie gli Italiani siamo 60 milioni di Commissari Tecnici ecco la mia formazione:

    – in porta: Gianfranco Gazzana Priaroggia;
    – centrali di difesa: Luigi Durand De La Penne ed Emilio Bianchi;
    – terzini: Teseo Tesei ed Eugenio Volk;
    – esterno destro: Agostino Straulino;
    – esterno sinistro: Gino Biridelli;
    – mediano: Luigi Ferraro;
    – trequartista: Andrea Bafile;
    – regia: Carlo Fecia di Cossato;
    – punta di sfondamento: Luigi Rizzo;
    – liberi: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

    Allenatore: Junio Valerio Borghese.

    Questa sì che è una formazione, non perdono tempo e in pochi secondi lanciano 2 siluri al centro della porta ed affondano qualsiasi squadra avversaria ma soprattutto è questa l’Italia che vogliamo!

    Questa è la nazionale che tifiamo (foto Marina Priami) www.lavocedelmarinaio.com

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  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Bruno Ambrosio (Fiume, 4.7.1920 – Mare, 15.6.1942)

    di Nereo Ambrosio

    (Fiume, 4.7.1920 – Mare, 15.6.1942)

    … riceviamo e con immenso orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Ciao Ezio,
    gradirei se ti fosse possibile che tu metta nella sezione adeguata del sito La Voce del Marinaio questo ricordo di mio zio Bruno.
    Era un marinaio Fuochista risultato disperso in mare il 15 giugno 1942 nell’affondamento del regio incrociatore Trento.
    Per completezza di informazioni, mio zio era  nato a Fiume il 4 luglio del 1920.
    Prima del richiamo lavorava al silurificio Whitehead della medesima città.

    Affondamento regio incrociatore Trento
    Il mattino del 15 giugno 1942 il regio incrociatore Trento, mentre stava navigando con una flotta da battaglia per intercettare un convoglio di rifornimenti alleati diretti a Malta (Operation Vigorous), l’unità venne attaccata ed affondata da due siluri. Il primo siluro, lanciato alle 5.15 da un aerosilurante Bristol Beaufort alleato decollato da Malta, immobilizzò il Trento che venne lasciato indietro mentre il resto della flotta proseguiva all’inseguimento del convoglio.
    Alle ore 09.10, mentre veniva trainato dal regio cacciatorpediniere Pigafetta venne centrato nel deposito munizioni prodiero da un siluro lanciato dal sottomarino HMS Umbra della Royal Navy affondando rapidamente.

    I membri dell’equipaggio ebbero poco tempo per indossare il giubbotto di salvataggio e balzare in acqua.
    Morirono 657 marinai su 1.152, fra questi Bruno Ambrosio.