Racconti

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    25.2.1941, affondamento della regia nave Crispi

    di Claudio Confessore

    … a proposito dei marinai Palumbo Cataldo e Gianotti Carlo.
    In risposta al commento di:

    Carlo Gianotti
    Certo, conosco la vocedelmarinaio!
    Mio zio, Carlo Gianotti, nato il 18 novembre 1941, sottocapo nocchiere volontario, era imbarcato sul “Crispi”, di stanza a Rodi. Il 25 febbraio 1941 una flottiglia partì da Rodi per sbarcare a Castelrosso, che era stata occupata dagli inglesi. Fu tra i prescelti per sbarcare ma venne ucciso, probabilmente insieme a Cataldo Palumbo da Pulsano, al posto di guardia della sua mitragliatrice. Forse da una granata, forse furono colpiti da un siluro. Cataldo fu riconosciuto, mio zio, probabilmente dilaniato completamente, risulta tra i dispersi e forse, dopo l’iniziale sepoltura a Castelrosso, nel 1954 è stato traslato a Bari e risulterebbe fra gli Ignoti, sto indagando. Se riuscissi a darmi qualche piccola notizia in più mi faresti un grande regalo!

    https://www.lavocedelmarinaio.com/2016/03/26-marzo-1941-lattacco-a-suda/
    Castelrosso, Egeo, 25-28 febbraio 1941

    Gli italiani riconquistano l’isola, occupata il giorno prima dagli inglesi. Nelle foto, il momento dello sbarco dei marinai da una delle lance del regio cacciatorpediniere Crispi, i funerali dei Caduti nel piccolo cimitero ortodosso, al termine dei combattimenti.

    Nelle operazioni caddero circa trenta inglesi e quattordici italiani, tra cui marinai, soldati, camicie nere e finanzieri. Risulterebbe essere l’unico sbarco italiano coronato dal successo in combattimento.
    Egregio sig. Ezio,
    la risposta da Bari mi è già arrivata e per i due marinai caduti non ci sono sostanziali novità. Pur essendo rientrate “teoricamente” tutte le salme dei marinai dalla Grecia, in realtà ci sono delle eccezioni.
    Dal controllo della banca dati del Sacrario d’Oltremare di Bari, risulta che nessuno delle due salme è sepolta presso il Sacrario e le informazioni sono quelle che ho gia comunicato.
    Il marinaio Palumbo Cataldo, Croce di guerra, risulta sepolto in Grecia ma non si conosce il luogo o il cimitero, mentre per il marinaio Gianotti Carlo, Croce di guerra, risulta disperso in Grecia.
    In definitiva nessuna novità e confermo i dati riportati nel data base di ONORCADUTI e sull’Albo d’Oro della Marina Militare:
    • Nocchiere Gianotti Carlo, insignito di Croce di guerra, è nato a Sassari il 18.11.1921 imbarcato sul Crispi. Risulta disperso dal 25.2.1941.
    • Marò SDT (Servizio Direzione Tiro) Palumbo Cataldo, insignito di Croce di guerra, è nato a Pulsano il 30.11.1918 era imbarcato sul Crispi. Risulta morto e sepolto a Castelrosso il 25.2.1941. Il nominativo di Palumbo è riportato su una delle lapidi del Monumento ai Caduti di Pulsano.

    Notizie sul Crispi e sull’operazione dei britannici a Castelrosso si trovano ai seguenti link:
    https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Crispi_%28cacciatorpediniere%29
     https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Abstention
    • https://www.youtube.com/watch?v=12S4GGbKorI (filmato youtube ha già scritto nei commenti il nipote)
     http://www.comandosupremo.com/operation-abstention-the-battle-for-castellorizo-25-28-february-1941.html
    • http://www.worldlibrary.org/articles/operation_abstention
    la migliore ricostruzione, con dati su perdite e prigionieri, si trova sul seguente sito:
    • http://castelrosso.150m.com/fatto.htm

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    25-26.2.1955, Michele Casolino il marinaio che salvò i macchinisti del Lecce-Milano

    di Vincenzo Campese

    (Termoli (CB), 13.1.1933 – 15.7.2012)

    Il marinaio che salvò i macchinisti del Lecce Milano
    Termoli 25-26  febbraio 1955

    Il bravo marinaio, autore dell’eroico salvataggio del macchinista del direttissimo 450 che ha deragliato domenica notte dopo Ortona, gettandosi in mare, e raggiungendo la locomotiva andata per un cento metri in mare, dalla quale ha salvato, assieme ad un’altro marinaio, nativo dell’Aquila, il macchinista ed il fuochista, è stato dal nostro corrispondente di Termoli rintracciato. Egli è il marinaio di leva Casolino Michele di Mercurio, di anni 22, nativo di Termoli (Campobasso) ed in forza presso il distaccamento di Marina di Roma, dove rientrava appunto col direttissimo 450 dopo una licenza. E’ un ragazzo bruno, di media statura, che ha raccontato ancora eccitato l’avventura di cui è stato protagonista e con tanta modestia, come se il gesto eroico fosse stata la cosa più naturale di questo mondo, incurante dei suoi 22 anni che non aveva esitato a rischiare in un mare burrascoso e sotto il diluviare del temporale, dopo le prime emozioni brusche e terribili ricevute, appena ha intuito che il suo vagone, il primo subito dopo la locomotiva, sobbalzava sulle traverse, dopo un violento scossone, per un cento metri rovesciandosi di sbieco sul terreno franoso improvvisamente scosceso e determinando la definitiva fermata del convoglio già prontamente frenato dal macchinista Osvaldo De Fanis, anch’egli oriundo da Termoli. Gettandosi dal vagone raggiungeva col capotreno la testata del treno, ma con sorpresa non vi vedevano la macchina, che avvistavano per un cento metri infilata in mare con la testa verso Nord.Intuito il pericolo in cui giaceva il personale di macchina, il marinaio si gettava nel mare agitatissimo assieme ad un collega proveniente da Taranto e che andava in licenza a l’Aquila, raggiungevano la locomotiva e tiravano in salvamento il macchinista De Fanis ed il fuochista Leonardo Brenta.

    A colloquio con il valoroso marinaio del direttissimo Lecce – Milano
    Solo più tardi il marò Michele Casolino si convinse che aveva compiuto un po’ più del suo dovere.
    La mattina di domenica 26 Febbraio 1955 il marinaio Michele Casolino non si presentò al distaccamento della Marina in Roma, di ritorno dalla licenza trascorsa a Termoli Imerese (n.d.r. errore del giornalista che equivocò con Termini Imerese in Sicilia) in quel di Campobasso. ma prima ancora che il suo insolito ritardo fosse notato, giunsero, come ogni mattina, nella bella caserma “Grazioli Lante” i giornali domenicali con le ampie cronache in quei giorni di moda sulle prime pagine; neve, strade bloccate, frane, allagamenti, ecc. Era appunto sui titoli di una di queste cronache che si parlava del valoroso marinaio Michele Casolino in servizio al Ministero Difesa Marina che in piena notte, sotto una bufera di acqua e vento, si era gettato in mare dalla scarpate ferroviaria dopo la galleria di Ortona per trarre in salvo il macchinista ed il fuochista della locomotiva del direttissimo Lecce-Milano investita da una frana e precipitata in mare proprio nel tratto tra Ortona e Pescara. Per due giorni del marinaio Casolino nessuna notizia al distaccamento di Roma dove molti lo attendevano, dopo tanto rumore di stampa, una telefonata euforica di Michele Casolino dalla stazione Termini per preannunciare il ritorno trionfale in caserma.Invece è arrivato alla chetichella tre giorni dopo, presentando al sottufficiale all’ingresso un certificato del sanitario del suo paese che dopo quel po’ di sfacchinata e di bagno in mare in piena notte di bufera, gli aveva ordinato due giorni di riposo.

    Il marò Casolino Michele di 23 anni, figlio di marinaio e primogenito di 6 figli, è un timido e mite ragazzo che arrossisce davanti all’obiettivo del fotografo. Nel circolo del distaccamento lo abbiamo pregato di raccontarci la scena di quella notte, dopo le versioni drammatiche che la stampa ne ha fornito. E altro se si tratto di dramma! un miracolo anzi se il dramma non diventò tragedia in quell’inferno di acqua e di terra che rotolò dalla collina sulla linea ferrata! Accade – sentiamo l’ottimo Casolino che sembra rivivere quei momenti angosciosi – accadde alle 23,40 della notte tra il 25 ed il 26 Febbraio, pioveva a dirotto da molte ore. Egli, il marò Casolino, era salito sul direttissimo dal quale sarebbe sceso a Pescara per prendere il primo treno per Roma e rientrare puntuale dalla licenza. Al termine della seconda galleria dopo la stazione di Ortona, il convoglio sembrava procedere proprio nel mare in tempesta, tra la furia delle onde che due metri più sotto la scarpate arrivavano fino ai binari e il torrente fangoso che sulla destra precipitava dalla collina alta una ventina di metri sui binari.Il nostro marinaio era sulla prima vettura dopo la locomotiva e il tender.Uno schianto, uno sferragliare cupo nella notte, un sobbalzar improvviso ” come quando si và in bicicletta sui selciato sconnessi “; e poi ancora e soltanto la furia delle onde e della pioggia.Il marò d’un balzo fu allo sportello e si trovò per primo sulla scarpata, subito seguito dal capotreno il quale correndo avanti verso la locomotiva, gettò un urlo di terrore: “La macchina in mare”. Era infatti accaduto che la grossa frana, staccatasi proprio all’arrivo del treno, aveva investito in pieno la macchina, facendola deragliare e spingendola nelle sottostanti onde. La prima vettura si era miracolosamente sganciata dal ” tender ” quando era già uscita dai binari spingendosi verso il mare.Solo che la frana avesse investito il centro del lungo convoglio, le conseguenze sarebbero state terrificanti per i settecento passeggeri che, si calcola, si trovavano nelle sei vetture.Il convoglio si era arrestato dopo qualche decina di metri si che la macchina si trovava ora tra le onde quasi alla metà del convoglio. Da laggiù intanto, dal nero infuriare del mare, giunsero all’orecchio del marò le grida di soccorso del macchinista e del fuochista. Scese a precipizio la scarpata, si trovò in mare, arrancò tra gli scogli, raggiunse i corpi dei due, immobili sopra le onde, aggrappati agli scogli.Altri scesero in mare accanto a lui, si caricarono i corpi dei due che furono adagiati in un vagone di prima classe.Era il macchinista il ferito più grave con un piede penzoloni.Accanto al marinaio Casolino accorse anche un’altro marinaio, il sottocapo Romeo Pacitti in servizio sul cacciatorpediniere ” Grecale ” che proveniva da Taranto ed era diretto all’Aquila. Con il cordone dell’uniforme e le cinghie, i due cercarono arginare la forte emorragia della gamba dello sventurato, e portare la prima assistenza ai due feriti.Un medico di Bari, tra i viaggiatori, recò ai due infortunati le prime cure. In un sedile di prima classe, egli recise al disgraziato macchinista, i tenui lembi di carne e di pelle che ancora congiungevano il piede alla gamba.Poco più tardi, un carrello inviato a tutta velocità raggiungeva il luogo dell’incidente.I passeggeri intanto si erano calmati dopo il panico determinato dal brusco arresto del convoglio e dallo spettacolo della locomotiva in mare. Con le vetture di coda rimaste sulla linea, due ore più tardi i passeggeri ritornavano ad Ortona.E fu qui, alla stazione di Ortona, che il nostro Casolino, al quale qualcuno all’arrivo aveva con insistenza chiesto nome e cognome, dopo le sue reticenze della notte prima dopo il salvamento, si senti chiamare a gran voce da un carabiniere. Uscì dalla sala d’aspetto e con sorpresa si trovò dinanzi ad un signore che si presentò come Prefetto di Chieti il quale teneva per primo a compiacersi con lui per il suo coraggio e la sua abnegazione.Fù cosi, che il bravo e modesto marò Casolino seppe che aveva compiuto qualcosa di insolito. Un qualcosa che oggi gli procura l’affetto e l’ammirazione dei suoi superiori e dei compagni d’arme che lo considerano un marinaio veramente degno della gloriosa uniforme dal solino blu.

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    Ferdinando Amendola (Castellammare di Stabia, 24.2.1906 – Napoli, 5.5.1943)

    a cura Antonio Cimmino

    (Castellammare di Stabia, 24.2.1906 – Napoli, 5.5.1943)

    …da Napoli a Biserta e tragico ritorno.

    La Signora Lucia Amendola, nipote del marinaio stabiese Ferdinando Amendola caduto nell’adempimento del suo dovere nel 1943, ha fornito fotografie e notizie per ricordare suo zio.  Noi intendiamo additarli ai giovani di oggi, spesso attratti da effimeri valori, quale esempio di dedizione al dovere e amore verso la Patria.
    Alla signora Lucia Amendola un gradito ringraziamento per la gentile concessione di notizie ed immagini.

    Ferdinando Amendola, di Aniello e di Lucia Troiano, nacque a Castellammare di Stabia il 24 febbraio 1906. Suo padre, detto don Aniello ‘o sergente, era un bravo maestro d’ascia, responsabile di un piccolo cantiere navale a lui intestato datogli in concessione dal Comune di Castellammare dal 1900, fino al 1938, anno della sua morte.
    La città possedeva una miriade di piccoli cantieri navali che, fin dal 1500 erano specializzati nella costruzione di naviglio in legno. Tutti vivevano all’ombra del regio cantiere ove fin dal 1786 anno della sua fondazione ad opera di Ferdinando IV, venivano costruite navi di ogni tipo e dimensioni.

    Cantiere Bonifacio
    Il regio cantiere non offuscò i piccoli cantieri navali che gli facevano da coronamento; essi costruivano golette e barche ed esistevano numerosi scali per l’alaggio, la riparazione e la manutenzione dei piccoli bastimenti. Creatosi un articolato indotto artigianale, i maestri d’ascia continuarono a creare naviglio di forme slanciate ed ottime qualità nautiche. Ai cantieri navali Donnarumma e Bonificio, ad esempio, negli anni tra le due guerre, la Regia Marina commissionò rispettivamente tre e due M.A.S. (Motoscafi Anti Sommergibile) contrassegnati dai numeri 314, 315, 339, 341 e 342.
    Il mestiere di maestro d’ascia, quindi, era molto antico e caratteristico ed il giovane Ferdinando era particolarmente attratto dal lavoro di carpenteria navale. Nonostante studiasse per conseguire il Diploma di Capitano di lungo corso, nel tempo libero aiutava il padre in molte delle attività connesse alla gestione della piccola azienda.
    Conseguito il Diploma nautico, Ferdinando proseguì negli studi arrivando, nel 1930, a laurearsi in Scienze Economiche e Marittime presso l’Università di Napoli.
    Nell’anno 1931-32 riuscì a vincere, per la sua preparazione e passione, il concorso per Capitano di lungo corso. Gli piaceva intraprendere la carriera diplomatica e, per questo, era stato anche in Francia, ma i doveri verso la Patria lo avevano chiamato in Italia più volte. Allo scoppio della guerra d’Africa fu richiamato e destinato a diverse attività belliche di naviglio militarizzato e nelle basi di terra.
    Dalle note di sua nipote la Signora Lucia si evince che Ferdinando era:
     “Versatile e fecondo di iniziative, le sue parole e il suo consiglio erano preziosa guida ai compagni di lavoro e ai superiori che lo eleggevano a collaboratore. Non temerario ma audace, non superbo ma conscio della propria personalità, eloquente e persuasivo nella parola fluida e chiara. Poco più che ventenne ha partecipato con il padre alle trattative per un bastimento commissionato al cantiere da Achille Lauro, difendendo il trattamento economico degli operai e meritando in quell’occasione l’encomio di Lauro che pronosticò al padre Aniello un glorioso futuro per il figlio Ferdinando”.  

    Nel 1939 si sposò con Amelia Ottaiano di Napoli. La moglie, quasi centenaria è ancora viva ma, purtroppo non tanto lucida da fornire notizie e ricordi più vivi di suo marito. Ripete spesso che dopo il fatidico 5 maggio del ‘43 non si è mai voluta sposare perché non avrebbe mai trovato un uomo che fosse in grado di colmare il vuoto lasciato da suo marito.

    Il porto di Biserta
    Il porto di Biserta era una delle destinazioni del traffico dei convogli che partirono da Napoli con piroscafi e motonavi, scortate da navi da guerra, per rifornire le truppe in Africa Orientale. L’attività organizzativa e tecnico-militare per la gestione di tale scalo, era indubbiamente di alta responsabilità anche perché si intensificarono, nei primi mesi del 1943, gli attacchi aereo-navali ai convogli con perdite enormi in uomini e mezzi da parte italiana. Le numerose navi affondate nel 1943 al largo di Biserta, fino alla capitolazione del  6 maggio, dà l’idea dell’enorme responsabilità di cui erano investiti gli Ufficiali addetti al traffico nel porto, alla sua difesa antiaerea e dal fronte terrestre, alla protezione del materiale sbarcato, alla gestione dei soldati giunti dalla madrepatria, all’aiuto da dare ai naufraghi recuperati.

    bombardamento

    affondamento

    Il breve periodo trascorso dal Capitano Ferdinando Amendola a Biserta, fu caratterizzato da un lavorio non indifferente accompagnato dalle connesse responsabilità che fanno capo ad un Ufficiale di Porto. Il previsione della caduta della base, qualche giorno prima fu imbarcato per tornare a Napoli e riprendere il suo posto di combattimento nella città che ben conosceva e nel porto da cui era partito appena 4 mesi prima.
    Ma la città di Napoli continuava ad essere martellata da pesanti e luttuosi bombardamenti aerei continuati ininterrottamente fin dal 1940. La città partenopea, infatti, era il porto principale verso la sponda africana ed il capolinea delle rotte marittime verso la Libia e la Tunisia , mentre nelle sue zone limitrofe erano presenti stabilimenti industriali importanti obiettivi di interesse militare. Le principale erano: le officine Avio dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco, il silurificio di Baia, i cantieri navali di Castellammare di Stabia e quelli della Società Bacini e Scali Napoletani, lo spolettificio di Torre Annunziata e altre importanti industri di interesse strategico come l’ILVA di Bagnoli che resero la città e la zona, bersagli preferenziale delle incursioni aeree alleate.
    Il mese di maggio del 1943 fu l’anno peggiore per il numero e l’intensità dei bombardamenti effettuati dagli aerei americani Liberator che partivano ogni notte dalle basi egiziane. 181 furono le incursioni aerei sulla città di Napoli.
    La popolazione civile fu la più colpita; si calcola che oltre 20.000 furono le vittime di tali indiscriminati attacchi che distrussero anche il patrimonio artistico e culturale. Il 4 dicembre ‘42, per esempio, fu semidistrutta la Basilica di Santa Chiara.
    Nel solo bombardamento del 4 agosto del 1943 morirono oltre 3.000 persone, mentre il 28 marzo lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, causò più di 3600 vittime tra morti e feriti. La deflagrazione fu devastante: il molo sprofondò e un gran numero di edifici venne distrutto o gravemente danneggiato. Alcune navi vicine si incendiarono e affondarono mentre parti roventi di nave e di carro armato furono scagliate a grande distanza, finendo e molte zone della città, perfino sulla collina del Vomero; i feriti ed i morti riempirono letteralmente le strade.
    Come si nota, il Capitano Ferdinando Amendola aveva lasciato Napoli, una città martoriata dai bombardamenti, per andare a Biserta, una base navale soggetta ad attacchi dal cielo, dal mare e da terra e ritornava di nuovo a Napoli per andare incontro al suo destino.
    Nel bombardamento del 5 maggio del 1943, il sessantesimo dall’inizio della guerra, cadde nel porto della sua città testimoniando con la sua vita, l’attaccamento alla Marina ed al dovere in cui aveva sempre creduto.

    P.S.: Un particolare ringraziamento alla sig.ra Lucia Amendola per la gentile concessione di notizie ed immagini.

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    Armando Gori (Vicchio del Mugello, 25.7.1888 – Genova, 24.2.1953)

    di Alessandra Bertini

    (Vicchio del Mugello, 25.7.1888 – Genova, 24.2.1953)

     

    … riceviamo e con immenso orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Ciao, sono Alessandra Bertini.
    Seguo da tanto con molta commozione e interesse, le pagine di cui sei amministratore, La voce del Marinaio e Marinai d’Italia-banca della Memoria.
    Vorrei, se fosse possibile, postare il ricordo di mio nonno, Armando Gori, comandante del Mas 15 nell’impresa di Premuda. Come potrei fare? Potrei mandarti un testo scritto da me? Si potrebbe fare  per il 24 febbraio, giorno in cui ricorre il 71 anno della sua morte?
    Ti ringrazio
    Le mando il testo, poi in sequenza le invio le fotografie che potrebbero essere utili.
    Grazie mille del suo grosso lavoro…

    Armando Gori (Vicchio del Mugello, 25 luglio 1888- Genova, 24 febbraio 1953), dopo la giovinezza trascorsa nelle campagne del Mugello, si arruola nel Corpo Reale Equipaggi a La Spezia nel 1906. Inizia per lui la formazione teorica e la navigazione, dapprima nel Mediterraneo sulla RN Saint Bon, poi in Africa sulla Caprera. Nel 1911 partecipa alle ultime tappe della campagna oceanica della RN Calabria in Estremo Oriente, che viene improvvisamente interrotta per spostarsi sul Mar Rosso e prendere parte alla Guerra di Libia.

    Scoppiata la Grande Guerra, dopo i primi anni imbarcato sulla Quarto e sulla Dante Alighieri, nel 1917 il capotimoniere Gori passa ai MAS, a Venezia, Grado ed Ancona. Proprio partendo da qui con il MAS 15, la notte tra il 9 e 10 giugno, partecipa all’affondamento della corazzata Santo Stefano. Il suo contributo è fondamentale, perché è il comandante, agli ordini del capo sezione Luigi Rizzo, ed è soprattutto il timoniere che porta a compimento il siluramento e la fuga dall’accerchiamento nemico con grande perizia marinaresca. Successivamente, nel 1920 parte da Genova per una lunga campagna oceanica in Sud America sulla RN Roma e nel 1923 recita nel ruolo di se stesso in un film su Premuda “Gli eroi del mare nostro”. Dopo anni al comando di varie navi, impegnate in particolare nelle isole italiane nell’Egeo, passa al comando di Tripoli, e poi a Massaua.

    Quando scoppia il secondo conflitto mondiale, lo troviamo comandante della Nave cisterna Sebeto, impegnata nella distribuzione idrica. Bombardato nell’aprile 1941, viene catturato dagli Inglesi e portato in India per 4 lunghi anni di prigionia nel campo di Bairagarh. Rientrato in Italia e  passato alla Marina Mercantile come Capitano di gran cabotaggio, naviga ancora qualche anno.

    In pensione definitiva da inizio 1953, muore poco dopo a Genova, il 24 febbraio dello stesso anno. Sul Secolo XIX  troviamo questo articolo “Visse tutta la sua vita sul mare, al servizio della patria, con scrupolosa coscienza del proprio dovere, con animo aperto e generoso l’ardire”. Sepolto nel cimitero di Gattaia presso Vicchio, nel 1975 gli viene dedicato un semplice monumento a forma di ancora. Lo ricordano le nipoti Armanda e Alessandra Bertini che ne hanno scritto la biografia sulla base del grande archivio familiare.

    Le mando anche il link della pagina fb a lui dedicata
    https://www.facebook.com/profile.php?id=100069588715255

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    Giuseppe Pianezzola (Bassano del Grappa, 24.2.1925 – Mare, 2.12.1942)

    di 1° Lgt. Rt. (ris.) Dario Petucco (*)

    (Bassano del Grappa, 24.2.1925 – Mare, 2.12.1942)

    … 2 dicembre 1942: invito al ricordo.

    Alla fine del mese di ottobre dell’anno 2000 venni trasferito all’Ufficio Allestimenti Navali della Spezia, meglio noto come Marinalles La Spezia, quale designato Capo Componente TLC/CN-ME della prima Unità classe Comandanti, ma ai cantieri il progetto era denominato NUMC (nuove unità minori comattenti), e volli documentarmi sulla biografia e le gesta che hanno determinato a questi quattro valorosi Capitani di Corvetta – Giuseppe Cigala Fulgosi, Costantino Borsini, Ener Bettica, Adriano Foscari – il conferimento della medaglia d’oro al valore militare, e ora l’intitolazione di una nave della Marina Militare.
    Recuperati i dati che m’interessavano e leggendo le motivazioni delle medaglie d’oro, giunto a quelle relative ai comandanti Bettica e Foscari ebbi un sussulto poiché  riportavano una data a me nota: 2 dicembre 1942.
    Per la mia famiglia, e in particolare per mia mamma, quella data riaprì una ferita forse mai chiusa, poiché si trattava della stessa data in cui il giovane diciassettenne Pianezzola Giuseppe di Bassano del Grappa, fratello maggiore di mia madre, cadeva ferito nelle acque del Mediterraneo.

    Alcuni testimoni sopravvissuti allo scontro navale nel Canale di Sicilia, e più precisamente sul Banco di Skerki, concordarono che quella notte lo videro cadere in mare ferito. Il suo corpo non fu mai ritrovato, dichiarato disperso venne insignito di croce al merito di guerra “alla memoria” il 29 gennaio 1949.
    Giuseppe Pianezzola dopo avere frequentato le Scuole C.R.E.M.M. a Pola con la categoria di cannoniere, fu imbarcato sul Regio Cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, comandato dal C.V. Aldo Cocchia, altra medaglia d’oro al valore militare conseguita anch’egli a seguito del combattimento avvenuto il 2 dicembre 1942, facente parte assieme ai cacciatorpediniere Camicia Nera (comandato dal C.C. Foscari) e Folgore (comandato dal C.C. Bettica), e alle torpediniere Procione e Clio, della scorta al convoglio “H” partito da Palermo per Biserta alle 10.00 del 1 dicembre 1942 e composto dalle navi mercantili AventinoPucciniKT 1 (tedesco) e Aspromonte.

    Il convoglio “H” era partito da Palermo con un carico complessivo di 1.766 militari, ripartiti a bordo dell’Aventino e della Puccini, di 578 tonnellate di materiale bellico, di 120 tonnellate di munizioni tutti imbarcati sul mezzo tedesco KT 1, di 12 cannoni da 88 mm, di 32 automezzi e di 4 carri armati. Il capo della scorta e responsabile del convoglio era il C.V. Aldo Cocchia sul Da Recco.
    Quella notte era oscura, mare calmo, orizzonte fosco, luna coperta da banchi di spesse nubi. Dalle ore 20 circa sino alle 24 del 1 dicembre 1942 il convoglio fu sempre soggetto a sorvoli ed illuminazioni di aerei nemici, senza comunque subire alcun attacco. Continuando nella mia ricerca, trovai l’esposizione dei fatti accaduti quella notte scritta da Aldo Cocchia nel suo libro di ricordi di guerra “Convogli”, e che ora mi pregio di riportarne un riassunto.

    «E’ una pagina triste e dolorosa, questa che qui s’inizia – senza dubbio la più triste e dolorosa della intiera mia vita – e non per le ferite, mutilazioni, la rovina impressa alla mia carne, ma per lo strazio di vite umane che furono distrutte, per il sangue versato, per le giovinezze fiorenti troncate nel combattimento. Un combattimento che si svolse la notte sul 2 dicembre 1942 fra un paio d’unità sottili italiane ed una divisione di incrociatori e caccia britannici, accompagnati da velivoli notturni. Un combattimento ch’ebbe l’epilogo di tanti altri, sostenuti da italiani in condizioni disperate d’inferiorità.

    … Ricevuti gli ordini, convocai sul Da Recco lo stesso 30 novembre i comandanti delle unità da guerra e delle navi mercantili che formavano il convoglio “H” per la riunione che, quando possibile, tenevo sempre prima di prendere il mare con una formazione navale. … Precisai che, qualora si fossero avvistate navi di superficie sospette, Da Recco, Camicia Nera e Procione sarebbero andate all’attacco, senza attendere ordini o segnali, ed avrebbero combattuto ad oltranza…

    Il 1° dicembre… alle ore 10 cominciarono a mollare gli ormeggi le navi del convoglio “H” mentre suonavano le sirene di allarme…

    Il convoglio “H” navigava con Puccini ed Aventino in linea di fronte e col K.T.I. nella scia del Puccini… la piccola nave germanica non aveva mezzi di comunicazione; ed allora avevo dato ordini al suo comandante di mettersi dietro il Puccini e di seguirne scrupolosamente i movimenti.

    Le siluranti erano disposte intorno al convoglio come di consueto: Da Recco e Procione, dotati di ecogoniometro in posizione prodiera per difesa antisommergibile, Clio e Camicia Nera sui fianchi, rispettivamente a sinistra e dritta, Folgore di poppa…

    … Il convoglio giunse all’altezza di Trapani. Esattamente come era stato disposto, l’Aspromonte uscì prontamente dal porto e si aggregò alla formazione… Alle 20 il Folgore informò che il suo apparecchio “Metox” aveva individuato alcuni radar a grande distanza; successivamente lo stesso cacciatorpediniere poté precisare che quei radar ci avevano localizzati e che i velivoli erano distanti da noi qualche decina di chilometri. Sarebbero stati sul nostro cielo fra otto-dieci minuti al massimo… I primi bengala si accesero intorno al convoglio verso le 20.30… gli apparecchi nemici si preoccupavano principalmente di non prendere il controllo delle navi per poter segnalare con continuità posizione, rotta, velocità del convoglio alle unità nemiche già uscite o in procinto di uscire dal porto di Bona…

    … Mancavano pochi minuti a mezzanotte quando sul lato destro del convoglio s’accese un’ampia cortina di 15 bengala. Si formò nel cielo come una barriere luminosa d’un colore giallo rossastro di malaugurio… supposi… che così vasta distribuzione d’illuminanti fosse preludio ad un attacco violento d’aerosiluranti e presi le consuete misure difensive: nebbia e manovra. … Spenti i bengala stavo già per mettere il convoglio nuovamente in rotta quando mi portarono un altro messaggio di Supermarina, intercettato dalla nostra stazione radio… Era uno di quei messaggi radio che si chiamavano di scoperta e diceva… che “alle 21.40 un aereo tedesco aveva avvistato a nord di Bona una formazione navale nemica ad alta velocità con rotta est”. Il marconigramma fu captato dalla nostra stazione esattamente alle 24; e mi fu consegnato già in chiaro, qualche secondo dopo.

    … Comunque – e ciò sia ben chiaro – alle 24 non c’era più nessuna possibilità di salvare il convoglio “H”. Nessun ordine, nessuna manovra, nessuna iniziativa poteva ormai sottrarre ad un nemico veloce, dotato di radar, assistito da velivoli ricognitori che lanciavano illuminanti, questo convoglio capace di sviluppare una velocità massima di nove nodi circa. … A mezzanotte e un quarto giudicai di non poter procedere più oltre in direzione dei banchi di mine ed ordinai di riprendere la rotta primitiva… Da Roma più niente e niente da Biserta… Niente anche dagli altri o per gli altri convogli in mare. E niente più velivoli, niente bengala. Sembrava d’essere di colpo entrati in un’oasi di pace. Ma il Da Recco aveva tutta la gente al posto di combattimento con i cannoni carichi e le caldaie pronte a sviluppare la massima velocità.

    … A mezzanotte e mezza, a circa diecimila metri di distanza da noi, s’accesero sul mare le prime vampate delle artiglierie nemiche. … La divisione navale (la britannica Forza “Q”) che ci attaccava era costituita dagli incrociatori leggeri Aurora, Sirio, Argonaut, scortati dai due cacciatorpediniere Quiberon e Quentin … Comunque se noi e gli inglesi fossimo stati ad armi pari, la sproporzione del numero e del tipo delle unità avrebbe potuto anch’essere compensata dal nostro slancio e dal nostro valore, ma ad armi pari non eravamo e questo significò molto, significò tutto…

    …Reagimmo ugualmente. Per quanto non ce ne fosse bisogno ripetei alle siluranti l’ordine di andare all’attacco del nemico, estendendo l’ordine anche al Folgore… perché era il caccia nella migliore posizione per svolgere un’azione proficua col siluro ed anche perché dalle vampate… capii subito che i nemici erano molti… A Supermarina comunicai che eravamo in contatto con navi di superficie nemiche. Da Recco mise, alla massima forza, la prora sugli inglesi. Camicia Nera, Procione, Folgore non ebbero un attimo di esitazione. Misero anch’essi tutti la prora sul nemico e, alla massima velocità, diressero per silurare…

    Il nemico sparava presto e bene. Tra di noi i suoi proietti piovevano fitti, raccolti, ben centrati, meglio che in un tiro diurno… Intorno al Da Recco era tutto un fiorire di colonne d’acqua, levate dagli scoppi delle granate avversarie su dal mare…

    … Il nemico – ormai vicinissimo – concentrava il suo fuoco su qualcuno dei nostri, ma non sul Da Recco.

    • E’ il Folgore – e non poteva essere altrimenti. Aveva fatto all’incirca la mia stessa manovra… ed era arrivato sopra gli inglesi qualche minuto prima del Da Recco ed aveva ingaggiato il combattimento con strenuo valore. … Vedemmo che rispondeva al fuoco avversario… vedemmo che cercava di stringere le distanze… Aveva già lanciato parte dei suoi siluri contro la formazione britannica, ora voleva portarsi più sotto al nemico per lanciare gli altri. Scoperto, fatto segno al fuoco delle artiglierie degli incrociatori, colpito una due volte, non aveva rotto il contatto, aveva proseguito nella azione… Giunse a distanza ravvicinatissima mentre contro di lui si accanivano tutte le armi avversarie: lanciò gli ultimi siluri che aveva ancora a bordo… Vedemmo il Folgore in fiamme con incendi che avvampavano la poppa, con la prora dilaniata dagli scoppi, ma lo vedemmo combattere ancora… crivellato da proiettili di ogni genere. Affondò, ma il suo ultimo cannone smise di sparare solo quando il mare si chiuse sul ponte di coperta dell’unità…

    … Da Recco giunse in vista della mischia mentre l’azione raggiungeva il suo parossismo. Non volli aprire il fuoco… per conseguire una posizione che mi consentisse di lanciare i siluri con la quasi certezza di colpire…

    … I tubi di lancio erano brandeggiati. La distanza era ormai scesa a circa duemila metri, ma il nemico non s’era accorto del Da Recco, tutto preso com’era a finire il Folgore. E qui la sorte si volse improvvisa contro di noi… L’imponderabile fu … rappresentato da un po’ di nafta raccolta in un fumaiolo… per imperfetta tenuta d’una valvola d’intercettazione. Questa nafta prese d’un tratto improvvisamente fuoco. Dal fumaiolo eruppe un’alta colonna di fiamme.

    Eravamo a meno di duemila metri dal nemico ed immediatamente fummo centrati… Accostai subito per disorientare il tiro avversario e per mettermi nello stesso tempo sull’angolo di mira e quindi lanciare tutti i siluri… Dopo pochi secondi dalla prima salva, caduta in mare, una ne giunse a bordo. Colpisce con due granate il complesso binato numero uno, con altre due il deposito munizioni di prora che prende fuoco deflagrando spaventosamente.

    … Sul ponte di comando… s’avventa una enorme lingua di fuoco che investe ustiona uccide tutti coloro che trova sul suo passaggio, che sconquassa le trasmissioni d’ordini, che recide i collegamenti elettrici acustici telefonici col resto della nave… Il nemico non si curò più oltre di noi. Ci lasciò bruciare, convinto che a finirci sarebbe bastato l’incendio, e s’allontanò velocemente.»

    La battaglia navale è cominciata alle 00.37 e si è conclusa alle 01.35 del 2 dicembre 1942.
    Il cacciatorpediniere Camicia Nera, comandato dal C.C. Foscari, ha lanciato complessivamente sei siluri. Il cacciatorpediniere Folgore, comandato dal C.C. Bettica, colpito da nove proietti dopo che era andato all’attacco lanciando sei siluri, ha continuato a sparare fino al suo affondamento.
    La torpediniera Procione, comandata dal C.C. Renato Torchiana, centrata dal tiro inglese, viene colpita all’armamento di prora; con il timone in avaria si allontanò imbarcando molta acqua nei locali prodieri. La torpediniera Clio, comandata dal T.V. Vito Asaro, rimase in prossimità del convoglio con il compito di occultarlo mediante cortine nebbiogene.
    Per quanto attiene il convoglio, il piroscafo tedesco KT 1 affondò senza lasciare alcun superstite. L’Aventino, lacerato da numerosi proietti che fecero strage tra i 1.100 uomini imbarcati, affondò in cinque minuti dopo aver ricevuto il colpo di grazia da un siluro.
    La motonave Puccini, avvolta dalle fiamme, alimentate dalle esplosioni del carico, fu abbandonata per ordine comandante, che scomparve in mare insieme a centinaia di naufraghi; fu affondata dal Camicia Nera poiché non poteva essere presa a rimorchio. Il traghetto Aspromonte fu colpito sul ponte di comando; tutti quelli che vi si trovavano furono uccisi o gravemente feriti ed alle 01.29 colò a picco dopo una violentissima esplosione.
    Riporto ora un sunto della testimonianza di Giuseppe Fasano, sergente nocchiere imbarcato sull’Aspromonte, al quale venne concessa la medaglia d’argento.

    « … Eravamo in testa a un convoglio di cinque mercantili scortati da navi militari … verso le ore 23 aerei nemici ci avvistarono … Il Da Recco telegrafava a Roma che eravamo stati avvistati da aerei nemici. Ma questa rispondeva con il classico “proseguite”. …

    … Verso le ore una del 2 dicembre, una squadra di incrociatori inglesi, con l’ausilio dei bengala, aprì all’improvviso il fuoco contro la nostra scorta, affondando il Folgore e danneggiando fortemente il Da Recco … Dopo di che cominciò la strage dei mercantili che furono affondati, e il Puccini bruciò tutta la notte con fiamme alte fino al cielo. L’Aspromonte si era distanziata dal convoglio, e sembrava essere scampata alla strage, ma non fu così: dopo circa venti minuti, numerosi bengala ci circondarono e subito dopo una prima salva di cannonate tirate dalla parte di dritta faceva arco su di noi finendo in mare poco distante sulla sinistra, alzando altissime colonne d’acqua. … Una seconda salva colpiva il ponte di comando uccidendo quasi tutti quelli che vi si trovavano e quindi, centrando il tiro, fu un continuo cannoneggiamento … »

     

    Gravissime furono le perdite umane. Su 3.300 uomini imbarcati sui mercantili e sulle navi militari se ne perdettero 2.200.
    Sul Da Recco perirono cinque ufficiali, quindici sottufficiali e novantotto sottocapi e comuni; sul Folgore quattro ufficiali, tredici sottufficiali e centosette sottocapi e comuni; sul Procione due sottufficiali e un comune; sull’Aspromonte, dov’era imbarcato anche personale militare, sei sottufficiali e trentacinque sottocapi e comuni.
    Dopo avere raccontato di quanto successe quella tragica notte, delle gesta memorabili di eroi meritevoli di medaglie d’oro e profonda deferenza, vorrei umilmente concludere con la mente rivolta in rispettoso silenzio verso tutti coloro che hanno donato alla Patria la loro vita, ricevendo in cambio onore e gloria soltanto in alcune ricorrenze, e a coloro che, come mio zio, sono stati dichiarati dispersi e decorati alla memoria, privi di una sepoltura degna del loro estremo sacrificio.
    Se avessi l’autorità necessaria, battezzerei la nostra Unità più bella e forte “AI CADUTI IN MARE”, a imperituro ricordo di tutti quei marinai che navigando sul mare sono diventati loro stessi mare.

    (*) Dario Petucco, nato a Bassano del Grappa il 18 novembre 1964, da molti anni risiede a Castelnuovo Magra. Ha intrapreso appena sedicenne la carriera nella Marina Militare italiana quale radiotelegrafista  Ha prestato servizio a bordo di diverse Unità navali, nonché presso Comandi terrestri italiani e stranieri; inoltre ha partecipato a missioni di pace e operazioni internazionali. Nel settembre del 2018 ha lasciato il servizio attivo.
    Nell’arco dei suoi 37 anni di servizio effettivo, gli sono state conferite molte onorificenze: tra le più prestigiose citiamo un Encomio Solenne al rientro dalla missione in Iraq nel 2006, e il conferimento da parte del Presidente della Repubblica italiana della Medaglia Mauriziana al merito di dieci lustri di carriera militare nel 2017.
    La sua attività letteraria iniziata molto presto scrivendo poesie, è accresciuta negli anni con racconti e fiabe, conseguendo risultati lusinghieri a diversi concorsi letterari. A Luglio del 2013 ha pubblicato il libro Il mio Iraq – Un marinaio a Baghdad per i tipi di Edizioni Cinque Terre, con prefazione di Marco Buticchi. Nel Febbraio del 2016 ha pubblicato l’e-book Favole per ogni età sulla piattaforma online Streetlib. A Maggio del 2021 ha pubblicato il libro 9.331 miglia per i tipi di Porto Seguro Editore, vincitore della Menzione d’Onore nel 2022 al concorso.

    Fonti bibliografiche:

    • “La rotta della morte” di Libero Accini, Mursia editore 1970;
    • “Io c’ero” di Franco Bandini, Longanesi & C. editore 1971;
    • “Con la pelle appesa ad un chiodo” di Vero Roberti, Mursia editore 1972;
    • “La battaglia dei convogli in Mediterraneo” di Giorgio Giorgerini, Mursia editore 1977;
    • illustrazioni tratte dai sopraccitati libri e dal web;
    • fotografie di quadri originali della Famiglia Petucco Pianezzola.
  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Teodoro Fugazza (24.2.1918 – 23.4.1979)

    di Giorgio Gianoncelli (*)

    (24 febbraio 1918 – 23 aprile 1979)

    Meccanico di professione, Teodoro Fugazza, il 15 febbraio 1938 è chiamato presso il Deposito C.R.E.M. della città di La Spezia per il servizio della leva obbligatoria di mesi 28. Assegnato alla categoria Fuochista/Motorista, dopo il breve corso di formazione militare e professionale è assegnato a Maridife Brindisi per Maridist Lero, dove presta servizio fino il 24 novembre 1941. Rientrato in Patria, dopo la licenza di rimpatrio, è destinato a Maridepo Venezia, infine a Maridife La Spezia fino al 8 Settembre 1943. La sera stessa dell’8 settembre 1943, depone chiavi, cacciavite e stoppa, salta il muro dell’Arsenale, se la svigna per nascondersi tra le valli e i canneti del Po e dare il suo contributo alla Guerra di Liberazione.

    Teodoro Fugazza, come tutti i Combattente per la Libertà, nei giorni successivi alla Liberazione, è arruolato nella Polizia di Stato ma il 22 giugno 1946, in seguito all’amnistia troppo generosa per i reati politici, rimette tutti i vecchi poliziotti del regime nelle questure e sono scacciati gli onesti e modesti Patrioti d’Italia.

    Teodoro Fugazza è Fuochista/Motorista di professione, qualifica garantita dal servizio nella Regia Marina Militare, vive a Milano, la città dei miracoli e Lui non batte ciglio, l’Azienda Municipale Milanese lo assume come conduttore di grosse caldaie a vapore.
    Il 6 novembre 1945, Maridist Milano dichiara: Discriminato dal disciolto C.R.E.M. è giudicato non censurabile, idoneo al servizio permanente.

    Oggi consegniamo alla Banca della Memoria il ricordo del nostro fratello maggiore Teodoro Fugazza.   

    (*) Giorgio Gianoncelli è deceduto il 7.9.2022, per conoscere gli altri articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.        

  • Racconti,  Recensioni,  Un mare di amici

    Emezio-mare

    di Ottavio De Lutio
    https://www.facebook.com/ottavio.delutio

    … riceviamo e con immenso piacere pubblichiamo.

    Giovedì, 23 febbraio 2017
    Stavo lì all’imbrunire, sulla spiaggia con gli occhi chiusi, ad assaporare l’ebrezza del vento che mi accarezzava la pelle; alle spalle, le luci della città che si accendevan; la dolce melodia delle onde che si infrangevano sulla spiaggia sassosa; il brusio di voci indistinte proveniente dalla piazzetta; da una balera poco distante echeggiavano le note melodiche di un tango; la luna, con tutto il suo fascino si allungava splendente sul mare; in lontananza, cullate dal movimento sonnecchiante del mare, s’intravedevano le sagome di alcuni pescherecci; mi sentivo in armonia col mondo, mi sentivo in armonia con me stesso, le ansie, i problemi, la vita incomprensibilmente frenetica, tutto sparito… che sensazione… momenti magici che vorresti interminabili.