Racconti

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    Giuseppe Nenz (Belluno, 22.4.1915 – 15.9.1943)

    di Franco Nenz

    (Belluno, 22.4.1915 – 14 o 15.9.1943)

    …riceviamo e con orgoglio misto a commozione pubblichiamo.

    Mio padre è morto a causa dell’affondamento della “Corazzata Roma”. Non ho molta documentazione, se non delle lettere.
    Il suo nome: Nenz Giuseppe, nato il 22 aprile 1915 e morto 15 settembre 1943.

    Sono in possesso di molte fotografie quando era a bordo del “Montecuccoli”, nella guerra tra la Cina e il Giappone.
    A bordo della “Roma” era sottufficiale.


    Buongiorno signor Franco e grazie della testimonianza e del commovente ricordo sulla banca della memoria. Sappiamo solo che era nato a Belluno e che era della categoria Cannonieri (sull’elenco dei Caduti e Dispersi della M.M. risulta essere deceduto il 14.9.1943, ma non è documento ufficiale). Riceva gradito un abbraccio grande come il mare della Misericordia Divina e grande anche come il suo cuore di figlio di Marinaio per sempre.
    Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

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    MAS 141

    di Marino Miccoli (*)

    …ovvero uno degli intrepidi bolidi del mare.

    Questa bella quanto vecchia fotografia l’ho estratta dall’album di ricordi di mio padre Antonio Miccoli (**), all’epoca sottufficiale della Regia Marina; l’immagine raffigura un MAS del tipo VELOCISSIMO che reca ai lati della prora la scritta 141. A giudicare dai “baffi” d’acqua che solleva la sua prua si evince che il motoscafo è lanciato a notevole velocità. Non so affermare con precisione l’anno in cui la fotografia è stata scattata, perché riguardo alla data nulla è stato annotato da mio padre, né sul fronte né sul retro dell’immagine; tuttavia, dal contesto cronologico dell’album da cui l’ho estratta, molto probabilmente essa risale alla prima metà degli anni ’30 del secolo scorso.
    Il MAS (sigla per definire il Motoscafo Armato Silurante) era una piccola imbarcazione militare utilizzata come mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante le due guerre mondiali. Essa è un’invenzione tutta italiana, infatti erano stati progettati dall’ingegnere Attilio Bisio di Livorno. L’equipaggio era composto da un ufficiale, due motoristi, un sottonocchiere, un cannoniere, un mitragliere, un prodiere e tre marinai.
    Erano motoscafi da 20 – 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della classe), armati generalmente con due siluri e alcune bombe di profondità antisommergibile, una mitragliatrice oppure un cannoncino. La loro caratteristica principale era costituita dalla elevata velocità operativa. Ogni Mas era anche dotato di un motorino elettrico alimentato da una batteria che consentiva brevi spostamenti a una velocità di 5-6 nodi, in completo silenzio; quest’ultima caratteristica era particolarmente utile quando il motoscafo giungeva in prossimità delle coste nemiche o quando penetrava in un porto avversario, oppure quando doveva dare la caccia a un sommergibile.


    Durante tutta la prima guerra mondiale gli Austriaci non riuscirono a catturare né a distruggere un Mas; per i brillanti risultati ottenuti alla Bandiera di combattimento della flottiglia Mas dell’Alto Adriatico venne conferita la medaglia d’oro al valor militare.
    Nel giugno del 1940, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, la Regia Marina disponeva di tre flottiglie MAS: la Iª (nel 1941 fu ribattezzata Xª), la IIª e la IIIª. Tuttavia in quel periodo bellico i MAS, unità veloci ma caratterizzati dall’avere una chiglia assai piatta e pertanto dotati di uno scafo che potremmo definire poco marino, erano destinati a un inesorabile declino. Essendo adeguati a mari ristretti e poco mossi, come era l’Adriatico, si rivelarono poco idonei al Mediterraneo per la loro limitata tenuta al mare mosso (e conseguentemente per la velocità effettivamente sostenibile), la loro scarsa autonomia che significava limitata operatività nonché per l’insufficiente armamento antiaereo (generalmente muniti di una sola mitragliera).

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    Piroscafi di una volta e ‘mbracàta di omini e di fimmìni

    di Orazio Ferrara (*)

    Per tutto il Novecento fino agli anni Cinquanta le navi, che arrivavano a Pantelleria, dovevano necessariamente gettare l’ancora in rada e aspettare l’arrivo di una barca (poi motolancia, famosa quella dell’Agenzia Rizzo-Busetta) su cui trasbordare merci e passeggeri. Quest’ultimi scendevano sulla barca o motolancia tramite una scaletta volante, predisposta al momento lateralmente al fianco della nave. Si capisce che bastava un mare leggermente mosso per rendere il tutto difficoltoso e laborioso, oltreché estremamente pauroso per i malcapitati che non sapessero nuotare (problema che non si poneva affatto per i Panteschi).

    Invece nell’Ottocento i piroscafi, che si fermavano in rada a Pantelleria, erano del tutto sprovvisti di qualsivoglia scaletta volante, che, seppure malagevole, rappresentava pur sempre una comodità, soprattutto per i passeggeri di sesso femminile. Si ricorreva allora alla famigerata imbragata (in dialetto ‘mbracàta) per sbarcare o imbarcare i passeggeri. Operazione che dir pittoresca è dir poco.
    Nel linguaggio marinaresco e portuale l’imbragata era l’insieme di colli merci o persone o anche singolo animale, che si manovravano da bordo di una nave con un mezzo di sollevamento (il bigo di carico, una specie di gru) per sbarcarli o imbarcarli.
    Questa operazione richiedeva particolare esperienza e abilità per chi era addetto alle relative manovre volanti, in quanto un errore poteva far andare a sbattere l’imbragata di merci o peggio di passeggeri contro la fiancata della nave, con conseguenze disastrose che è facile immaginare.

    L’imbragata consisteva in un grosso sacco cilindrico di tela o di iuta molto resistente, a volte con un fondo di assi di legno, nel predetto sacco trovavano posto di norma quattro o cinque persone, poi tramite le funi del bigo di carico esso, allo sbarco, veniva calato lentamente sulla piccola imbarcazione affiancata alla nave. Logicamente si effettuava l’operazione inversa nel caso d’imbarco.
    Il rigido moralismo dei costumi di quel tempo non permetteva assolutamente che potessero essere presenti nel sacco dell’imbragata allo stesso momento uomini e donne frammischiati, in quanto durante le manovre il sacco tendeva a stringersi e i corpi venivano schiacciati l’uno contro l’altro. La cosa era stata risolta facendo carichi dello stesso sesso ovvero una ‘mbracàta di omini o una ‘mbracàta di fimmìni.
    Dell’arrivo di un piroscafo nella rada di Pantelleria sul finire dell’Ottocento (agosto 1896) abbiamo un resoconto di un inviato de L’Illustrazione Italiana. Il piroscafo è il “Principe Oddone”, proveniente da Marsala e prima ancora da Palermo. Purtroppo dell’imbragata non vi è cenno alcuno, sebbene sia stata sicuramente effettuata in quanto si parla di imbarco di emigranti e asinelli locali (assai richiesti per la loro resistenza in Tunisia). Comunque riportiamo il brano per la particolare atmosfera di un’epoca ormai andata.

    “Alle due e mezza (pomeridiane, ndr) vediamo appressarsi un’isola; il Principe Oddone getta finalmente l’ancora ed eccoci davanti alla Pantelleria, da dove ci giungono a bordo asinelli e pecore numerose, e dove la nostra ora di fermata in alto mare passa fugace nel modo più lieto, al parapetto del vapore, a vedere il tirar su e giù con una corda, dai viaggiatori e dalle eleganti viaggiatrici italiane e straniere che venivano in Tunisia, i canestri d’uva carnosa, splendida, dagli acini grossi come prune, uva di cui tutti noi – viaggiatori di prima e di seconda – si fece una vera scorpacciata!
    Alle tre e mezza il vapore toglie l’ancora – dopo aver caricato ivi altri emigranti ed asinelli famosi di Pantelleria – e dopo aver viaggiato, con un mare il più tranquillo, ancora altre dodici ore, alle due di notte il piroscafo s’arresta. Molti escono dalle cabine, salgono in coperta sotto un cielo splendidamente stellato. Ed in mezzo al silenzio della notte, lontano scorgiamo una miriade di fiammelle rifrangentisi nel mare calmo. Siamo davanti alla Goletta…”.

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    21.4.1986, la lettera ai miei collaboratori

    di Egidio Alberti

    Caro Ezio,
    come anticipato per telefono ti spedisco dei fascicoli ed un CD in cui sono sintetizzati in maniera significativa gli anni di servizio, i più belli, al servizio della Marina Militare che hanno lasciato una traccia nelle varie destinazioni che mi sono state affidate.
    Fai di questi documenti ciò che ritieni più opportuno perché sono certo che infiammerai il mio cuore e quelli dei molti marinai che quotidianamente ti seguono.
    Il tuo Comandante Egidio Alberti

    Carissimi,
    se non ci sono preconcetti e non si ha un’ottica distorta dei reali problemi, avendo peraltro coscienza delle proprie responsabilità, esorto, ognuno di voi, a dedicarsi con costanza e secondo le proprie capacità al lavoro giornaliero, cercando di non aumentare il lavoro degli altri senza motivata necessità perché così il contributo alla causa, la nostra, sarà positivo.
    Dobbiamo sentirci tutti partecipi dei successi e dell’insuccesso di ogni singolo evento, sia nel campo didattico che logistico, solo così possiamo infatti essere certi che il nostro operato ha contribuito in maniera diretta ed indiretta a determinarlo.
    Il migliore impiego delle risorse umane e dei mezzi a disposizione è una precipua responsabilità di Comando. La responsabilità non può essere delegata…
    Per quanto sopra, il vostro compito, ai vari livelli di attribuzione è quello di:
    – individuare in maniera chiara gli effettivi problemi del momento;
    – cercare di affrontarli/risolverli nel modo migliore, con i mezzi effettivamente a disposizione, mettendoci tanta buona volontà e spirito di collaborazione, accontentandosi anche di risultati parziali;
    – avviare, nel contempo, le azioni verso il Comando per la loro risoluzione integrale;
    – non esimersi, se del caso, di rappresentare nei limiti della correttezza regolamentare le proprie perplessità sulle iniziative di Comando di volta in volta intrapresa purché giustamente motivate e purché portino a risultati nel complesso più positivi di quelli ottenibili con l’iniziativa avviata.
    Se teniamo, in ogni istante della giornata lavorativa, ben presente il fatto che l’oggetto della nostra applicazione è costituito da una grande massa di giovani, peraltro in età critica, che vanno educati principalmente mediante l’esempio, gli stimoli interiori che devono agitarsi in ognuno, e che saranno apprezzati e valorizzati da tutti, non possono essere altro che:
    – amore per la professione di marinaio intrapresa;
    – partecipazione attiva alla vita dell’Istituto che domani si trasformerà in vita di bordo e singola carriera;
    – collaborazione leale e fattiva dal basso verso l’alto e viceversa.
    Con tale premessa, ogni forma di suscettibilità sarà certamente mal compresa ed ognuno sarà valorizzato per ciò che saprà concretamente dare alla Marina Militare.
    A tutti buon lavoro!

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    Riccardo Grazioli Lante della Rovere (Roma 21.4.1887 – 28.10.1911)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra, Antonio Cimmino e Giorgio Gianoncelli

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    Nasce a Roma il 21 aprile 1887, dopo aver conseguito la maturità classica, a soli 17 anni entrava nell’Accademia Navale di Livorno, uscendone con il grado di Guardiamarina nel 1907 e conseguendo poi la promozione a Sottotenente di Vascello
il 15 maggio 1910.
    Da allievo dell’Accademia prese imbarco, per le crociere d’istruzione, sulle navi scuola “Vespucci” ed “Etna”, navigando nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, dove ebbe modo di visitare l’Irlanda e la Scozia, e quindi nel Mar del Nord fino al Baltico.
Già nelle sue prime destinazioni d’imbarco, dopo l’Accademia (nave Regina Margherita e nave Vesuvio), il Sottotenente di Vascello Grazioli ebbe modo di distinguersi per il suo carattere pieno di entusiasmo e di coraggio.

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    Nel 1909 prese imbarco sull’incrociatore “Puglia” destinato ad una crociera in estrema Oriente. Con tale nave risalì il fiume Yan-se-Kiang sino ad Han Kew e Nan Kim, poi visitò le coste fino a Sakaline e Shan-Hai-Kwan, dove era un distaccamento di marinai italiani.
 Nel 1910, sbarco dal “Puglia” e venne destinato al Distaccamento Marina di Pechino, posto a difesa della Legazione Italiana in Cina, restando presso quel Comando per oltre 18 mesi.
 Appassionato rocciatore ed esploratore, durante la permanenza a Pechino, il Grazioli effettuò un viaggio nella Mongolia Meridionale (Manciuria) e con la sola compagnia di guide locali visitò il bosco sacro, presso le tombe imperiali Tum-Ling, ancora non conosciuto dagli europei; al rientro riportò una mappa del percorso ricca di dati ed appunti.
    Il 7 luglio fece rientro in Italia e a fine settembre prese imbarco sulla Regia Nave “Marco Polo” con la quale si doveva trovare, il mese successivo, impegnato nelle operazioni militari per l’occupazione di Homs (Libia), nel conflitto italo – turco del 1911 – 1912.
    Il 23 ottobre 1911, in vista di una offensiva delle truppe italiane sul Magreb, ricevette l’ordine di recarsi a terra con l’incarico di verificare le posizioni assunte dai reparti da sbarco e dai bersaglieri e ricavarne dati utili per il tiro delle artiglierie di bordo. Eseguì prontamente e brillantemente l’ordine e, rientrato a bordo con le notizie richieste, chiese ed ottenne di ritornare a terra per meglio stabilire i collegamenti tra le truppe combattenti a terre e le unità navali. Nel corso di questa seconda missione, saputo che il suo collega Corradini era stato costretto ad abbandonare il comando della batteria di Marina colà operante poiché ferito, corse a sostituirlo, riuscendo a riorganizzare ed a motivare quel nucleo di marinai scossi per le gravi perdite ed esauriti per i continui attacchi e gli ininterrotti combattimenti. Sotto la sua guida l’intera batteria rientrò dietro le linee italiane e nei giorni seguenti si riorganizzò a difesa del settore assegnato.
    Il giorno 28 ottobre la batteria fu nuovamente e ripetutamente attaccata da soverchianti forze arabo-turche costituite da due reparti, di circa 500 armati ciascuno, convergenti sulla batteria da direttrici diverse. Verso le 11,30 l’attacco delle forze avversarie, strenuamente contrastato dalla batteria di Marina e da una un plotone di bersaglieri al comando del Tenente Martini, raggiunse il massimo della intensità. Quando il Martini cadde mortalmente ferito alla tempia da una pallottola di fucile, Grazioli Lante assunse il comando anche di quel reparto, esponendosi ove maggiore era il pericolo, per rincuorare i combattenti e meglio incitarli a contrastare il nemico avanzante.
    Cadde al proprio posto di comando colpito mortalmente alla testa da tre pallottole nemiche.
    Il 30 ottobre il feretro del valoroso ufficiale, sul quale era stata posta una corona di palme a simbolo di gloria e di dolore per la Marina tutta, ricevuti gli onori militari solenni sotto bordo della nave “Marco Polo” veniva imbarcato sulla nave ospedale “Regina Margherita” dell’Associazione Cavalieri Italiani del S.O.M. di Malta.
    A Tripoli la salma fu poi trasbordata sul piroscafo “Enrichetta” ed il 2 novembre sbarcata a Napoli, e da questa città trasferita a Roma dove, alla presenza del Ministro della Guerra, del Ministro della Marina, di rappresentanti di Casa Savoia, delle massime autorità politico-militari della capitale e con la partecipazione di un reparto di bersaglieri combattenti ad Homs, si svolse la maestosa cerimonia dei funerali dell’Eroe. Il feretro, avvolto dalla bandiera della nave “Marco Polo”, venne sepolto al cimitero del Verano a Roma, nella cappella di famiglia.
    La sua morte fu pianta da tutta l’Italia e numerosi poeti, come Guido Mazzoni, Fausto Salvadori e Alfredo Baccelli scrissero odi in memoria di questo purissimo eroe. Lo stesso Gabriele D’Annunzio, nella sua famosa composizione poetica “La canzone dei trofei”, piange la morte di Riccardo Grazioli Lante della Rovere.
    Onorificenze
    Medaglia d’Oro al Valor Militare (alla memoria)
 concessa con la seguente motivazione:
    Il 23 ottobre ad Homs, dopo aver compiuto arditamente una prima missione a terra sul terreno battuto dal fuoco nemico, sbarcato una seconda volta per raccogliere notizie, affidò ad altri l’incarico avuto di portarle a bordo e di propria iniziativa accorse a sostituire il Comandante la batteria da sbarco rimasto ferito. 
Rianimò ed infuse nuovo ardimento negli uomini esausti per le perdite subite, le fatiche e il digiuno; provvide a raccogliere il materiale gravemente danneggiato e, malgrado l’oscurità della notte e il non interrotto fuoco nemico, attraverso gravi difficoltà del terreno, ricondusse la batteria al completo dei trinceramenti.
 Il 28 ottobre pure ad Homs, esempio ai suoi di eroica fermezza, comandò la batteria da sbarco della sua nave esponendosi arditamente al fuoco nemico per dirigere il tiro, finché cadde mortalmente ferito”. 
(Homs, 23 – 28 ottobre 1991)
 R.D. 27 novembre 1912.

    In suo onore la città di Roma, in ricordo dell’eroico suo cittadino, volle intitolargli una via cittadina e, nel quartiere Pianciano in via Tevere, anche una scuola elementare.

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    La Marina nel giugno 1912, per meglio ricordare ai posteri la figura dell’eroico ufficiale, nell’isola di Ajo Kyriaky-Stampalia (Dodecanneso – Mar Egeo), costruì ed armò una batteria navale, con annessa caserma, che intitolò a questa fulgida figura di eroe.
    Successivamente, nel 1921, il rimorchiatore d’altura “Falco” dopo essere stato trasformato in cannoniera di scorta, assumeva la nuova denominazione “ Grazioli Lante Riccardo”. L’unità costruita presso i cantieri navali inglesi di Aberdeen, venne varata nel 1912 ed entrata in servizio nel 1915. Dopo la trasformazione in cannoniera venne aggregata alle Forze Navali del Basso Adriatico e Mar Jonio fino al 1936.
    Dal 1936 al 1938 fu impiegata come “Nave Servizio Fari” e nel 1939 quale dragamine alle dipendenze del Comando Marina della Libia Orientale. Per il primo semestre del 1940 l’unità riprese la propria attività di cannoniera di scorta, operando alle dipendenze del Comando in Capo del Dipartimento M.M. di Taranto per passare poi nuovamente alle dipendenze del Gruppo N.U.L. di Taranto, ad operare quale nave servizio fari. La nave Grazioli Lante fu definitivamente radiata alla fine del 1941.

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    Breve storia della caserma Grazioli Lante a Roma
    Con il trasferimento della capitale d’Italia da Firenze a Roma, avvenuto il 20 settembre 1870, il Ministero della Marina trovò la sua sede provvisoria presso il convento di Sant’Agostino, in via della Scrofa, mentre il personale militare alloggiò presso il convento francescano di via Sant’Andrea delle Fratte, requisito per l’esigenza.
    Risolto il grave problema della nuova sede ministeriale con la costruzione di Palazzo Marina, la cui inaugurazione ufficiale avvenne il 28 ottobre 1928, lo Stato Maggiore rivolse la propria attenzione al grave problema del personale militare accasermato in modo non adeguato nell’ex-convento. Venne allora prospettata l’idea di costruire una caserma all’interno dei giardini di Palazzo Marina, ma la ferma e tenace presa di posizione dell’architetto Magni ne fece decadere il progetto perché la realizzazione avrebbe rovinato, in modo irrecuperabile, l’estetica del Palazzo senza peraltro raggiungere lo scopo prefissato. Si dovette pertanto procedere alla ricerca di un sito idoneo, vicino al Ministero, cu cui poter realizzare una struttura capace di accogliere sia il numeroso personale in servizio presso il Ministero, sia quello destinato ai servizi generali e logistici della sede.
    L’area venne individuata nella zona del nuovo Quartiere della Vittoria, che si stava allora sviluppando sull’opposta sponda del Tevere, a poca distanza da Palazzo Marina. Dopo le necessarie pratiche burocratiche nel 1930 venne posta la “prima pietra”, e nel 1932 un primo lotto – del padiglione dell’ex Autoreparto – venne consegnato alla Marina.
    I lavori per il completamento dell’intero corpo edilizio proseguirono più o meno celermente, venendo anche interrotti per una vasta inondazione della zona a causa dell’eccezionale piena del Tevere nell’inverno del 1937. L’intera opera, fu ultimata nell’ottobre del 1938 e costituì, per l’epoca, un esempio di moderna funzionalità, capace di ospitare un migliaio di marinai.
    Il 28 ottobre, ricorrendo l’anniversario della morte del S.T.V. Grazioli Lante, con solenne cerimonia ufficiale alla quale parteciparono autorità militari, civili e religiose, la caserma venne intitolata all’eroe, e vi prese quindi sede il Distaccamento della M.M. di Roma.
 Dall’8 settembre 1943 al giugno 1944, con il trasferimento da Brindisi del Ministero della Marina, l’edificio venne occupato da vari reparti italiani e tedeschi.
    Alla liberazione di Roma, nel giugno del 1944, l’edificio venne occupato dalle truppe americane che vi installarono un Alto Comando ed, in parte, lo trasformarono in un attrezzato ospedale militare. Di conseguenza, il Ministero Marina, ritornato nella sua sede naturale, dovette provvedere a risistemare il proprio personale altrove. Così il personale militare dei servizi venne accasermato nella Scuola Media Statale di via Monte Zebio, nel requisito Albergo Clodio ed alcuni marinai furono ospitati presso la Caserma dei Granatieri di via Ferrari.
    Quando nel giugno del 1945 gl americani restituirono l’edificio alle autorità militari italiane, vi ritrovò immediata sede il Comando Marina e poi, dopo essere stati eseguiti alcuni lavori di predisposizione, il centro raccolta di militari sbandati e l’ufficio Stralcio per le pratiche di discriminazione del personale sbandato dopo l’8 settembre o aderente alla Repubblica Sociale Italiana. Soltanto nei primi mesi del 1947 venne ricostituito il Distaccamento, con il rientro di tutto il personale temporaneamente accasermato in precedenza presso le strutture citate in precedenza.
    Nel ventennio successivo l’edificio subì lavori di ampliamenti e di sopraelevazione per far fronte alle sempre crescenti esigenze di alloggiamento del personale.
Nel dicembre 1962, l’infermeria di corpo vene ampliata e dotata di idonee attrezzature e macchinari specialistici.
    Attualmente nella caserma Grazioli Lante hanno sede il Comando Militare Autonomo Marittimo della Capitale (istituito il 1° gennaio 2001); il Comando Distaccamento Marina Militare; un ridimensionato Servizio Sanitario (infermeria) con la 2^ sezione della Commissione Medica Ospedaliera di Taranto; l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia ed altri enti a scopi sociali e, naturalmente gli alloggi del personale.

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    La regia nave Marco Polo nella guerra italo-turca e la morte di Grazioli Lante

    di Antonio Cimmino

    antonio-cimmino-per-www-lavocedelmarinaio-com_1Nel 1911 la regia nave Marco Polo era inquadrata nell’Ispettorato Silurante, squadra formata dalla nave appoggio sommergibili Lombardia, l’incrociatore torpediniere Minerva, la corazzata Saint Bon, l’incrociatore corazzato Vettor Pisani, la 3° squadriglia cacciatorpediniere, la 1° sezione della 4° squadriglia cacciatorpediniere e altre siluranti dislocate nel Mar Adriatico.
    Dopo alcuni interventi davanti alle coste albanesi. La nave (al comando del Capitano di vascello Maffeo Scarpis), il 12 ottobre 1911, scortò a Tripoli – unitamente alla corazzata Saint Bon e le unità della 2° Divisione della II Squadra – un convoglio di 19 piroscafo con a bordo il Corpo di spedizione del Regio Esercito al comando del Generale Carlo Caneva.

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    Il Marco Polo, assieme alle unità della Divisione Navi Scuola della II Squadra Navale, fu destinato a proteggere lo sbarco di uomini e mezzi del corpo di spedizione in Tripolitania e di occupare le località costiere, nonché di mantenere le comunicazioni.
    Il 17 ottobre la nave, insieme all’incrociatore corazzato Varese, fu inviata a bombardare la zona di Homs, nonché fornì una batteria da 72 mm, completa di marinai da sbarco, da sistemare sulle alture allo scopo di proteggere i soldati che, verso ovest, si accingevano ad occupare il Margheb. La batteria ed il contingente da sbarco era comandata dal sottotenente di vascello Corrado Corradini Bartoli, successivamente decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Dopo aver tenuto lodevolissimo contegno nelle operazioni della forza da sbarco a Tripoli, il 23 ottobre 1911, ad Homs, dirigendo un reparto di artiglieria da sbarco, dimostrò calma e coraggio sotto il violento fuoco dei turco-arabi, mantenendo la sua serenità anche dopo essere stato ferito alla testa da un proiettile nemico”.

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    Nel frattempo il contingente dei bersaglieri, spingendosi troppo in territorio nemico, stava per soccombere. Il comandate del Marco Polo inviò a terra il sottotenente di vascello Grazioli Lante per avere la posizione delle truppe nemiche onde poter cannoneggiarle e permettere lo sganciamento dei soldati italiani. Con coraggio il sottendente, procuratosi un cavallo, si avventurò verso il Margheb e, tornato alla neve, fornì le coordinate necessarie per il cannoneggiamento di sgancio.
    Grazioli Lante tornò una seconda volta a terra il 28 ottobre per comandare la batteria dopo che il collega Corradini era stato ferito, lasciando un suo sottufficiale al comando dei pezzi.
    Nell’azione di difesa delle postazioni terrestri fu validamente collaborato dal 2° Capo cannoniere Emilio Signanini, anch’egli decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Destinato alla batteria da sbarco coadiuvava in modo lodevolissimo il proprio ufficiale. Caduto il Comandante della batteria ne assunse per qualche tempo il comando dirigendo il fuoco con calma e bravura sotto il fuoco nemico”.

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    Altri due cannonieri furono decorati con Medaglia d’Argento al Valor Militare.
    Il 2° Capo Meloni Michele (23 ottobre) con la seguente motivazione:
    Destinato alla batteria da sbarco coadiuvava con calma e coraggio l’ufficiale che la comandava sotto il violento fuoco nemico, rimanendo gravemente ferito al petto”.
    Il Sottocapo Orazietti Giulio (28 ottobre) con la seguente motivazione:
    …quantunque ferito ed invitato a ritirarsi, rimase fermo al suo posto di puntatore continuando il suo tiro sotto il fuoco del nemico”.

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    Durante i ripetuti attacchi dei turchi, fu ucciso anche il Tenente Luigi De Martini che, in trincea, comandava un plotone di bersaglieri. Grazioli Lante assunse anche il comando dei soldati.
    Circondante da preponderanti truppe nemiche ingrossate da centinaia di indigeni, inviò questo messaggio al comando dei bersaglieri:
    “Colonnello Maggiotto, Tenente De Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei, se possibile inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale. Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni. Grazioli”.
    Alla testa dei marinai e bersaglieri si battè valorosamente ma fu colpito mortalmente da tre pallottole in testa. Gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
    “Il 23 ottobre ad Homs, dopo aver compiuto arditamente una missione a terra sul terreno battuto dal fuoco nemico, sbarcato una seconda volta per raccogliere notizie, affidò ad altri l’incarico avuto di portarle a bordo e di propria iniziativa accorse a sostituire il comandante della batteria da sbarco rimasto ferito. Rianimò ed infuse nuovo ardimento negli uomini esausti per le perdite subite, le fatiche ed il digiuno; provvide a raccogliere il materiale gravemente danneggiato e, malgrado l’oscurità della notte e il non interrotto fuoco nemico, attraverso gravi difficoltà del terreno, ricondusse la batteria al completo nei trinceramenti. Il 28 ottobre, pure ad Homs, esempio ai suoi di eroica fermezza, comandò la batteria da sbarco della sua nave esponendosi arditamente al fuoco nemico per dirigere il tiro, finché cadde mortalmente ferito”.
    In una copia della Rivista Marittima dell’epoca, così viene descritta la morte del giovane ufficiale:


“Riccardo Grazioli non ha tempo di compiangere: ha visto morire il suo amico, ma pensa soltanto alla necessità del dovere. Scrive in fretta e manda come può un biglietto al colonnello Maggiotto avvertendolo della perdita di De Martino, e intanto assume prontamente il comando anche del plotone dei bersaglieri. E con una tranquillità di spirito incredibile attende alla batteria e al plotone insieme, alternando ordini e monti a quello e a questo, intento allo svolgersi dell’azione e sollecito a secondarla o combatterla come meglio convenga. Ma a lui pure, fiore purissimo dell’eroismo italiano, è prefissa una sorte non diversa da quella del suo nuovo commilitone. Egli si leva un momento sopra il muretto che maschera la batteria per guardare col binocolo l’effetto del tiro di questa, poi volge il capo per ordinare alcunché al plotone dei bersaglieri …. Una pallottola gli fora la tempia, lo fa stramazzare, folgorato, sulla terrazza.”

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    La famiglia Grazioli Lante della Rovere
    Saggio storico di Giorgio Gianoncelli (*)

    …dalle stelle del cielo della Valtellina al profumo di pane nelle scuderie del Vaticano alla gloria eterna.

    Duca di Magliano Vincenzo Grazioli di Cadelsasso (Sondrio, 22 settembre 1770 – Roma, 27 aprile 1857, progenitore del Conte Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
    Giovanni e Vincenzo Grazioli sono fratelli e nell’anno 1779, assieme al padre Lorenzo, partono da Cadelsasso, piccolo borgo nel comune di Civo sulla costiera dei Cek,   di fronte al grosso borgo di Morbegno, per raggiungere la città di Roma. Vincenzo ha solamente nove anni (1).
    Fin dai secoli precedenti l’emigrazione valtellinese nello Stato Pontificio, in particolare nella città di Roma, è favorita dall’alto Clero, che ha destinato loro una compagnia dell’annonaria. Poco o niente scolarizzati i valtellinesi, sono impiegati come macinatori di granaglie, facchini, misuratori con staio (2) per il grano e brente (3) per il vino.
    Vincenzo è il minore dei due fratelli. Il padre Lorenzo è il tipico rappresentante del genere di mercante/contadino dell’epoca, comunemente chiamati Mercanti di Vacche, perché sempre presenti sui mercati di bestiame, pronti a intermediare tra un venditore e un compratore, spesso, anche con qualche imbroglio.
    Vincenzo cresce nella Roma papalina, tra lavoro giovanile nelle botteghe di ogni genere e nella grande città, trova anche l’opportunità di scolarizzarsi e col tempo giusto entra nel turbine degli affari commerciali, con la praticità tipica dei valtellinesi operatori della terra e nello stesso tempo, mercanti/promotori del loro prodotto.
    Vincenzo non impiega molto a sviluppare i suoi commerci. I grandi latifondisti, tutti dell’area nobiliare intorno all’albero parassitario vaticano, cercano affittuari per i loro sterminati poderi e soldi a volontà per le dionisiache feste capitoline.
    Nel 1793 il padre rientra in Valtellina e lascia a Vincenzo la bottega di granarolo e lui non spreca il tempo. Sposa Maria Maddalena Miller, figlia di tedeschi panettieri nel rione Trevi e si trasferisce nella bottega dei suoceri dopo aver affittato la sua di granarolo. Da qui comincia l’ascesa commerciale di Vincenzo che incrementa il giro d’affari della bottega dei suoceri e avvia l’attività di mugnaio con dei mulini affittati, mossi dalle acque del fiume Tevere e al fratello Giovanni, affida la gestione della oramai ben avviata panetteria.
    Nell’anno 1802 in modo prematuro muore la moglie Maria, per Vincenzo è un duro colpo ma l’ottimo rapporto con i suoceri, oramai avanti con l’età, gli consente di continuare nella sua attività di oculato imprenditore annonario e nonostante il dolore per la perdita della consorte, Vincenzo non demorde dai suoi commerci e affari. Nello stesso anno prende in affitto una grossa tenuta agricola nell’agro romano, che lo inserisce tra i dignitari dei mercanti di campagna.
    Nel primo decennio dell’800 con Napoleone Bonaparte a Roma, Vincenzo Grazioli conclude un contratto per la fornitura di foraggio e paglia alle formazioni militari francesi. Questo contratto arricchisce in modo straordinario la cassaforte di Vincenzo Grazioli ma soprattutto è introdotto nelle stanze del Vaticano, dove viene a contatto con dignitari e Cardinali che contano.
    Per quanto il ricordo della prima compagna di vita sia importante, un giovane uomo senza la presenza dell’anima gemella è un po’ perso e allora, nell’anno 1806, Vincenzo, sposa Anna Londei, di 19 anni più giovane di lui che appartiene a una famiglia agiata di Ancona, il cui genitore, da ricco mercante di stoffe è anche il fondatore di una Banca di depositi e prestiti nella città di Roma.
    Vincenzo Grazioli è talmente attivo negli affari dell’agricoltura e delle sue dinamiche del periodo che sulla piazza romana pare non abbia rivali ed è addirittura inserito nel consiglio della Banca fondata dal suocero e governata da un cognato proprio per la sua caratteristica principale, quella del contadino/imprenditore e nell’anno 1814, con altri due funzionari della stessa banca, assume l’appalto della dogana della fida delle pecore per tutto l’agro pontificio, che mantengono per un decennio.
    Nell’anno 1823, dopo 17 anni di matrimonio, Vincenzo e Anna, danno alla luce il primogenito che chiamano Pio, naturalmente in onore ai nomi papalini di cui la famigliola gode di favori e dignità.
    Le notevoli disponibilità economiche di Vincenzo Grazioli, derivanti da tanta attività economico-finanziaria, gli consentono di costituire un notevole patrimonio immobiliare formato di beni rustici e urbani. Tra gli acquisti più espressivi c’è la tenuta di Castel Porziano nel settembre 1823, venduta poi nell’anno 1872 alla Casa Reale, oggi patrimonio della Presidenza della Repubblica Italiana.
    Per Vincenzo Grazioli è un susseguirsi da appalti e affari, da solo oppure in società con altri. Nell’anno 1831 si aggiudica l’appalto per la vendita della neve e del ghiaccio sia nella città di Roma sia nel circondario. Sempre nello stesso anno l’appalto per la fornitura del foraggio e la paglia per i cavalli dell’Esercito pontificio.
    Gli acquisti della tenuta di Castel Porziano e del ducato di Santa Croce di Corchiano, aprono al Grazioli le porte della nobiltà romana. Nel gennaio dell’anno 1836 dal papa Gregorio XVI, Vincenzo Grazioli, è elevato al rango di Barone; nel settembre 1851 il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, conferisce al Grazioli il titolo di Duca, trasmissibile agli eredi e nell’anno successivo, Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti di Senigallia (Ancona), gli riconosce lo stesso titolo per i territori pontifici.
    Nell’anno 1833 il Duca Vincenzo Grazioli di Cadelsasso in Valtellina, nato contadino, lavoratore instancabile fin dalla tenera età, poco scolarizzato, nella sua capacità intellettiva con l’interpretare il valore della terra e l’esaltazione della fatica dell’operatore agricolo, raggiunge l’apice tra i ranghi della nobiltà romana, e il Duca Vincenzo Grazioli, chiude il cerchio con l’acquisto di Palazzo Gottifredi, in via del Plebiscito nella città di Roma, che dopo un opportuno restauro, nell’anno 1835 diventa la residenza della famiglia Grazioli (4).
    Vincenzo Grazioli nello Stato del Vaticano è oramai uomo/imprenditore a tutto campo, non esiste  settore operativo in cui non appare la sua presenza, alla bella età di anni 81, in società con altri ottiene dal governo Vaticano la concessione per la bonifica di terre paludose nelle Valli di Comacchio.
    Vincenzo Grazioli muore nella sua residenza di via del Plebiscito il 27 aprile 1857 ed è sepolto accanto alla moglie Anna, nella cappella gentilizia di Santa Maria sopra Minerva.
    Persona di grande intraprendenza, valtellinese tenace come le rocce della valle, non troviamo nessun segno nella provincia di Sondrio per questa dignità raggiunta da un conterraneo di origini contadine. Il suo dinamismo affaristico gli ha fatto perdere le umili origini, senza rendersi conto che la base dei suoi successi, forse, li deve al carattere formativo di quando, bambino ancora, accudiva ai piccoli greggi di capre e pecore sui brik della costa dei Cek.

    Duca Pio Grazioli Lante della Rovere (Roma 1823 – Roma 1884)
    Con la scomparsa di Vincenzo Grazioli, Duca di Santa Croce di Corchiano, l’unico figlio nato nell’anno 1823 cui è imposto il nome Pio, eredita l’enorme patrimonio costruito negli anni dal padre.
    Nell’aprile dell’anno 1874 Pio Grazioli sposa donna Caterina Lante Montefeltro della Rovere, figlia di Giulio e di donna Maria Colonna e da quel momento la famiglia assume il nome di Grazioli Lante Della Rovere. Gli sposi danno alla luce quattro figli, Mario, Giulio, Riccardo e Maria.
    La famiglia per censo e per ricchezza è tra le prime nello Stato del Vaticano, oltre a vivere di mondanità e feste di rango, Pio Grazioli, sempre fedele e vicino al papa, fa ricostruire a sua totale spesa, la chiesa di San Giovanni della Malva in Trastevere.
    Alla morte del padre la famiglia non si disunisce ma continua con pari dignità e fastosità. I fratelli tutti trovano moglie e la sorella marito, sempre oramai nell’ambito delle famiglie blasonate.  Giulio, il secondogenito sposa la marchesa Maria Laveggi e come il nonno Vincenzo, ha un solo erede maschio che chiama Riccardo.

    Riccardo Grazioli Lante della Rovere (Roma, 21.4.1887 – Homs (Libia), 28.10.1911)
    E’ la personalità che assieme al bisnonno Vincenzo esalta l’interesse storico della provincia di Sondrio.
    Unico figlio maschio di Giulio Grazioli e di Maria Lavaggi, Riccardo, fin da ragazzo sogna di diventare uomo di mare e senza mezzi termini ai genitori, esprime l’agognato desiderio, che da studente, con determinazione, ripete; Ho deciso: io andrò per mare. Così, nell’anno 1904, all’età di 17 anni, Riccardo Grazioli Lante della Rovere entra in Accademia Navale nella città di Livorno per iniziare i corsi di studio per Ufficiali del Corpo di Stato Maggiore della Regia Marina Militare.
    Con pieno titolo e ottimi voti, l’Aspirante Guardiamarina Riccardo Grazioli Lante della Rovere, esce dall’Accademia Navale il mese di novembre dell’anno 1907, destinato su Nave Regina Margherita per il tirocinio pratico e l’avanzamento del grado.
    È questo il periodo in cui la Regia Marina di Guerra è impegnata con la delegazione militare italiana in Cina e il giovane ufficiale il mese di aprile 1908 è imbarcato sulla Torpediniera Vesuvio destinata a quella Delegazione.

    Riccardo Grazioli Lante della Rovere, in tempi diversi e attività differenti, mostra lo stesso determinato temperamento del bisnonno Vincenzo, super attivo in tutto e per tutto, mai domo di conoscere e sapere, parla correttamente le tre lingue europee francese, inglese e tedesco, studia gli l’idiomi cinese e Russo.
    Con l’avvicinarsi del periodo di rientro in Patria per il normale avvicendamento, il giovane Guardiamarina, non esita a recarsi a piedi presso il Comando della Delegazione, lontano 30 km., per chiedere di poter rimanere in Cina. Ottenuta l’autorizzazione, è destinato alla Guardia della Legazione Italiana e in questo periodo, visita la Manciuria, completa gli studi della lingua russa e quella cinese. Promosso sottotenente di vascello il mese di maggio 1911, è richiamato in patria.
    Dopo la regolare licenza di rientro in Patria, il Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli è destinato sull’ariete corazzato Marco Polo, assegnato all’Ispettorato Siluranti e nel settembre 1911, partecipa al conflitto armato contro l’Impero Ottomano. La guerra, chiamata Italo – Turca inizia il 29 settembre 1911.
    Il 12 ottobre 1911 l’ariete corazzato Marco Polo è assegnato alla Divisione Navi Scuola della Seconda Squadra Navale, con base a Tripoli. I compiti affidati alla divisione prevedono le operazioni di sbarco delle truppe, dei servizi e dei materiali, la protezione del corpo di occupazione in Tripolitania, il mantenimento delle comunicazioni con l’Italia, e l’occupazione di altre località costiere, secondo le disposizioni del comandante supremo delle forze italiane in Tripolitania.
    Il 17 ottobre, il Marco Polo è inviato a cooperare con l’incrociatore corazzato Varese e la torpediniera d’alto mare Arpia nel bombardamento di Homs, iniziato il giorno prima a seguito della mancata accettazione della resa delle autorità ottomane. All’alba del 18 il Marco Polo arriva davanti Homs, e secondo le direttive  inizia il bombardamento delle postazioni nemiche, che continua, a intervalli, fino alle ore 18,00, quando inizia a sventolare una bandiera bianca.
    Durante il combattimento del 23 Ottobre, i bersaglieri sono molto avanti e fanno fuoco in varie direzioni. Il Comandante del Marco Polo, privo d’informazioni, incarica il Sottotenente di Vascello Grazioli, di recarsi a terra per chiedere informazioni sulla posizione occupata dal nemico, non visibile da bordo.
    Riccardo Grazioli con un cavallo attraversa la linea di fuoco, osserva le posizioni nemiche e ritorna a bordo con le dovute informazioni. Vista l’attenta osservazione del Sottotenente, il Comando di bordo lo rimanda a terra per avere costanti e utili informazioni.
    Le notizie sulle posizioni relative delle forze italiane e nemiche permettono al Marco Polo di riprendere il fuoco con efficacia, consentendo ai reparti di poter rientrare nelle proprie linee di difesa attorno a Homs, senza subire gravi danni.


    Per la seconda volta a terra, il Signor Grazioli, è informato che il Comandante di una batteria della Regia Marina è ferito e trasportato all’Ospedale. Riccardo Grazioli affida la missione ricevuta all’aspirante guardiamarina di comandata sulla barca a vapore e con un cavallo dei carabinieri, parte per rimpiazzare il collega ferito, raggiunge la batteria ai piedi del Mergheb, quando comincia a imbrunire.
    Il personale della batteria è stremato dalle fatiche e dal digiuno, anche un po’ disorientato per la mancanza del Comandante e del capo-pezzo anch’egli ferito. Grazioli incontra gli uomini della batteria che stanno ripiegando su Homs; dopo averli rincuorati, si accorge che non tutti i pezzi sono stati portati via dalla postazione sull’altura. Con alcuni uomini, ritorna sul Mergheb e recupera il materiale. Raggiunge poi gli uomini della batteria, sotto il fuoco nemico.
    Il terreno, oltremodo accidentato, rende difficile il trasporto pesante carico. La batteria rientra presso la città di Homs completa, con tutti gli accessori. L’energia e la volontà del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli, riorganizza la batteria nella stessa trincea dove è sistemata un’altra  batteria della Marina con un plotone di bersaglieri al comando del tenente Luigi De Martini.
    Il 28 ottobre le forze turche e indigene attaccano le postazioni italiane, durante la sparatoria, De Martini è colpito a morte, e Riccardo Grazioli assume il comando anche del plotone di Bersaglieri e invia un biglietto, scritto a matita, al colonnello Maggiotto:
    “Colonnello Maggiotto, Tenente Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei , se possibile, inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale. Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni”.
    L’attacco del nemico continua: Riccardo Grazioli, nel cercare d’individuare meglio dove indirizzare i tiri della batteria, si espone alla fucileria nemica, e, mentre sta impartendo ordini, è colpito mortalmente alla testa da tre pallottole.
    Di quei pochi giorni che il Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere svolge le mansioni di comandante di batteria, il 2° Capo cannoniere Emilio Signanini, scrive una lettera al padre duca Giulio: Allora come sempre, lo abbiamo visto più che ordinare, lavorare per noi, Il vederlo affabile, sempre buono, non dormire nella notte per vegliare alla nostra difesa, il vederlo dividere con noi il suo vitto, sempre interessandosi del nostro benessere, ha fatto di lui per noi, che abbiamo visto in quei giorni, una persona sacra per cui tutti avremmo dato la vita. Il signor Grazioli è morto. Non abbiamo pianto: gli eroi non si piangono, non si piange chi come il nostro ufficiale muore sul campo dell’onore per la gloria d’Italia. È il 28 ottobre 1911.

    Dalle stelle del cielo della Valtellina al profumo di pane nelle scuderie del Vaticanoalla gloria eterna
    Le famiglie si compongono e si scompongono, gli avvenimenti si susseguono in apparenza lenti ma in realtà anche rapidi, e la vita degli umani è talmente corta che genera elementi di rapida trasformazione, sia in positivo sia in negativo. Come valtellinesi, di questa famiglia abbiamo avuto aspetti positivi: la forza dei contadini della montagna con la determinazione all’ascesa ai vertici della vita socio-economica della nascente nazione italiana, la caparbietà psicofisica del contadino Vincenzo Grazioli nato sotto le stelle della costiera dei Cek e il carattere, patriottico e altruistico del pronipote Riccardo, nato nella neo-capitale d’Italia che dona la vita  per la tutela della sua Nazione.
    Nonno Vincenzo lascia l’aspetto del suo cospicuo lavoro con il palazzo di via Plebiscito nella Capitale d’Italia e il giovane Riccardo, con una targa di bronzo, che ricorda il sacrificio della sua breve esistenza al mondo.
    La facciata del palazzo è decorata con pilastri portanti e capitelli. Al centro si apre il portone fiancheggiato da due colonne di ordine dorico di granito grigio e sormontato da un balcone e la targa in marmo e bronzo con il ritratto della Gloria commemora l’impresa del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere,romano per nascita, con una lunga radice e il cuore valtellinese, medaglia d’oro al valor militare, caduto ad Homs (oggi Al Khums), in Libia, il 28 ottobre1911 durante la Guerra Italo – Turca.

    La Caserma/Distaccamento “STV Riccardo Grazioli Lante della Rovere” della Marina Militare in Roma
    Tra gli anni 1937/38 la Regia Marina Militare costruisce la Caserma/Distaccamento nella città di Roma a fianco del Palazzo della Marina e il 28 ottobre 1938 è inaugurata e intestata a perenne ricordo del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere.
    Riccardo Grazioli Lante della Rovere, Ufficiale della Regia Marina di Guerra, patrimonio valoriale della storia e della gloria della Marina Militare e della Nazione è anche, per origini paterna, da considerare tra i Marinai delle Alpi Centrali, un valore a pieno titolo della Lunga linea blu della provincia di Sondrio.

    Note
    (*) 
    digita sul motore di ricerca del blog il nome e cognome dell’autore per conoscere gli altri suoi scritti. 
    (1) Vincenzo nasce il 22 settembre 1770 da Lorenzo e Maddalena Lombardini.
    (2) Staio: recipiente cilindrico in legno con un contenuto preciso di 5,00 Kg. di grano.
    (3) Grosso recipiente conico da spalla, con capienza di circa 60/65 litri di prodotto liquido, con un segno fisso alla misura di litri 50,00.
    (4) Dal 1989 una parte del  palazzo è concesso dal duca Giulio Grazioli Lante della Rovere, in affitto a Silvio Berlusconi, che lo ha eletto a propria residenza romana.

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    21.4.1940, varo della regia nave Fabio Filzi

    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    La regia motonave da carico Fabio Filzi fu impostata il 30.07.1939, varata il 21.04.1940 e consegnata il 14.08.1940. Dislocava 6836 tsl. Operò per la Regia Marina come segue:
    – 02.10.1941, prima traversata Napoli Tripoli.
    – 22.11.1941, seconda traversata Trapani Tripoli con rientro a Napoli il 02.12.1941.
    – 12.12.1941, salpa da Messina in convoglio con la motonave Carlo del Greco per Taranto e Tripoli.
    – 13.12. 1941 viene silurata ed affondata a 15 miglia da Capo San Vito (TA) dal sommergibile britannico Upright.

    Caratteristiche tecniche
    Committente: Lloyd Triestino – Trieste
    Tipo: motonave da carico
    Lunghezza: 138,68 m.
    Altezza: 12.10 m.
    Larghezza: 18,92 m.
    Motore diesel potenza 7.500 CV
    Velocità: 15,8 nodi.

    (Pola, 1.2.1921 – San Daniele del Friuli, 1.5.2002)

    … riceviamo e con immenso orgoglio e commozione pubblichiamo.


    Buonasera signor Ezio,
    sono Silvana Zocchi e sto cercando notizie/foto sulle Scuole CREM a Pola negli anni 1938/1941. Mio papà aveva fatto il corso per cannonieri e poi il 1° aprile 1941 era stato arruolato nella Regia Marina.
    Grazie se vorrà e potrà darmi informazioni.
    Cordialità Silvana.

    Buonasera signora Silvana,
    se mi manda una foto del suo Papà provo a farne un articolo.
    Specificando che Le sono gradite foto e notizie.
    Poi provo a condividerlo sui gruppi social e se qualcuno inserisce foto gliele invio volentieri.
    Cordialità Ezio.

    Papà era nato a Pola il 01.02.1921 a Pola ed è deceduto l’1.5. 2002 a San Daniele del Friuli.
    Nel 1947 era stato esodato da Pola a Monfalcone dove ha vissuto fino al 1998.
    Papà  si chiamava Romualdo Zocchi.
    Era stato imbarcato sulla regia nave Fabio Filzi, affondata la notte del 12 dicembre 1941 al largo di Taranto. Questo è quello che so, anche perché papà parlava poco e niente di questo, forse  perché la sua nave  si erano salvati in pochi e credo che quel trauma lo abbia tormentato per tutta la vita  e, come spesso capita,  le persone che hanno amato tanto, preferiscono non parlarne.
    Era venuto ad abitare da me dal 1998. Fino ad allora dal 1947 aveva abitato a Monfalcone.
    Grazie per il suo interessamento! Mi commuovo! Io adoravo il mio papà, era una persona speciale, come lo sono le persone che hanno sofferto molto… e ho sempre sofferto sul fatto che non mi abbia raccontato nulla. Poi ho capito che molti come lui, che hanno passato tanti momenti difficili a causa della guerra, hanno preferito non angosciare i propri figli. Mi dispiace solo che se me ne avesse parlato avrei potuto capirlo di più. O forse  no, perché non era il momento.
    Grazie ancora anche per la sua sensibilità!
    Farò le ricerche come mi ha suggerito lei, e le farò sapere.
    Grazie mille!
    Cordiali saluti Silvana.

    P.s. IL MIO PAPA è A DX IN ALTO VICINO ALL’ELICA.
    Mi scuso ma non sono molto sveglia con il computer

    Dello stesso argomento sul blog
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/02/le-scuole-c-r-e-m-di-pola/

    Si consiglia la lettura del seguente link:
    http://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/2016/01/fabio-filzi.html

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    Salvatore Uttaro (Gaeta, 20.4.1920 – Gaeta, 13.1.1991)

    di Alberico Uttaro

    (Gaeta, 20.4.1920 – Gaeta, 13.1.1991)

    … riceviamo e con immenso orgoglio misto a commozione pubblichiamo.

    Buongiorno Ezio,
    frequentando il suo blog mi sono permesso di inviare alcune foto.
    Le prime riguardano mio padre Salvatore, nato a Gaeta il 20 aprile 1920 ed ivi deceduto il 13 gennaio 1991 che ha partecipato alla Seconda Guerra mondiale.

    Le ultime due foto sono di mio padre e mio zio fatta prima di partire per il fronte 26 agosto 1942.


    Quello che è scritto dietro è stato scritto da mio padre Salvatore Uttaro Salvatore, lui ritornò a casa, rimase prigioniero nelle colonie Africane per parecchio tempo, mio zio invece Antonio Uttaro (1) morì a Corfù,  per il bombardamento del regio cacciatorpediniere Stocco (2) dove, a firma Carlo Di Nitto Carandin, avete riportato la sua storia.

    (1) https://www.lavocedelmarinaio.com/2023/04/antonio-uttaro-gaeta-30-4-1926-corfu-24-9-1943-7/

    (2) https://www.lavocedelmarinaio.com/2022/09/24-9-1943-viene-affondata-regia-nave-stocco/