Poesie

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    Carlo Pisacane (Napoli, 22.8.1818 – Sanza, 2.7.1857)

    di Guglielmo Evangelista (*)

    Me ne andavo un mattino a spigolare

    Quando vidi una barca in mezzo al mare

    Era una barca che andava a vapore,

    e alzava una bandiera tricolore

    All’isola di Ponza si è fermata,

    è stata un poco e poi si è ritornata…

    La poesia “La spigolatrice di Sapri” di Luigi Mercantini (Ripatransone, 19 settembre 181 – Palermo, 17 novembre 1872), scritta nel 1858 e studiata da tutti alle elementari, prosegue con toni lirici, inneggiando alla fallita spedizione di Carlo Pisacane e presentandola in una realtà distorta e eroica.
    La fermata a Ponza, sulla rotta per Sapri, però non è una licenza poetica ma avvenne effettivamente perché c’era l’intenzione di liberare i prigionieri politici che vi erano tenuti in carcere. Ma cosa accadde veramente nell’isola partenopea? Niente di buono e lo vedremo.

    L’ANTEFATTO
    La spedizione  fu organizzata da Carlo Pisacane (Napoli, 22 agosto 1818 – Sanza, 2 luglio 1857), già ufficiale dell’esercito borbonico e già coinvolto in Italia e Francia in alcuni episodi a volte boccacceschi e a volte criminali e partì da Genova il 25 giugno 1857 servendosi del piroscafo a elica Cagliari diretto a Tunisi che fu sequestrato con la complicità, mai giuridicamente documentata ma altamente probabile, dei due macchinisti inglesi Wuott e Park e del capitano Antonio Sitzia.
    L’intento era quello di sbarcare nell’Italia meridionale, suscitare una rivolta antiborbonica e proclamare una repubblica….mica poco per soli 25 cospiratori.
    Benché Pisacane orbitasse vicino all’eterogeneo gruppo dei mazziniani, era piuttosto lontano ideologicamente dal suo capo: sostanzialmente era anarchico, ateo , rivoluzionario per partito preso e pronto al sacrificio anche se inutile: in altre parole un terrorista.
    Nei suoi scritti successivi il Mazzini sembra piuttosto scettico sui risultati e sull’organizzazione della spedizione: dà le colpe ai contrattempi e agli avversari, ma si capisce che fin dall’inizio non ne era entusiasta.
    Non c’entrò neppure lo zampino di Cavour sempre pronto a sfruttare a suo favore ogni evento, perché Pisacane era sorvegliato dalla polizia sabauda sia per la sua condotta sia perché ferocemente repubblicano e quindi non era un Garibaldi, individuo spesso ingombrante ma alla fine sempre fedele sostenitore dei Savoia e facilmente manipolabile.

    A PONZA E A SAPRI
    La nave, caduta facilmente in mano ai rivoluzionari,  arrivò 27 giugno nel porto di Ponza con il pretesto di un’avaria alla macchina: fu alzata la bandiera di richiesta del pilota, incarico ricoperto da tale Giosuè Colonna, che come salì a bordo fu sequestrato sotto la minaccia delle armi e la stessa sorte subirono gli impiegati della sanità marittima.
    I cospiratori, non visti, cominciarono a sbarcare:   i pochi soldati della guarnigione tentarono di opporsi ma il coraggioso tenente Cesare Balsamo fu subito freddato con un colpo di pistola.
    Entrati in paese cominciarono a percorrere le strade gridando “Viva la libertà” e “Viva la Repubblica” sventolando una bandiera rossa:  furono in netta minoranza le grida  “Viva l’Italia”e si videro sventolare pochi tricolori.
    Vi furono varie sparatorie, morti e feriti da entrambe le parti, finché i soldati si sbandarono:  il comandante della guarnigione  venne portato a forza a bordo del Cagliari ed obbligato a sottoscrivere ordini di consegna di materiali, munizioni e le chiavi della prigione.
    Il Maggiore era accompagnato dal Comandante del porto Montano Magliozzi, Terzo Pilota della Real Marina (1). Mentre gran parte della popolazione di era rifugiata nelle campagne,  il resto della giornata e della notte successiva trascorse in una serie di eccessi e saccheggi: vi furono vari tentativi di omicidio contro cittadini e militari – specialmente sottufficiali che non si lasciarono né intimidire né circuire –  fortunatamente andati a vuoto, ferimenti, furti e vandalismi.
    Fu incendiata la Capitaneria e l’alloggio del comandante fu saccheggiato, così come furono devastati e incendiati la sede della Gendarmeria e tutti gli uffici pubblici, distruggendo carte e archivi.
    Alla scorridora della Marina di stanza nel porto (2), cioè mutatis mutandis l’antenata delle attuali delle motovedette delle Capitanerie, fu inchiodato il cannone e venne fatta affondare (3).
    Bisogna ammettere che il Pisacane e i suoi, essendo in tutto venticinque, non avrebbero potuto fare tanto danno: in realtà uscirono allo scoperto un buon numero di fiancheggiatori che più che covare ostilità per il governo approfittarono del momento per fare i propri comodi e le proprie vendette personali e, tanto meno, i detenuti per reati comuni liberati dal carcere  si lasciarono sfuggire l’occasione per delinquere.

    Li disser ladri usciti dalle tane,

    ma non portaron via nemmeno un pane

    Cosi prosegue la poesia: forse non vi furono furti a Sapri perché avevano già “fatto il pieno” a Ponza…
    Tra l’altro, va detto che Pisacane non sapeva che i politici si trovavano a Ventotene (altra prova dell’approssimazione con cui fu organizzata la spedizione) e fra tutti i galeotti liberati i detenuti politici erano solo undici  e, a onor del vero, tennero un comportamento estremamente cauto e diffidente come capirono con che razza di banda avevano a che fare.
    Finalmente il Cagliari rilasciò tutti gli ostaggi e ripartì sbarcando poi la sua schiamazzante compagnia a Sapri. Dopo alterne vicende, male armati, senza appoggi e dopo aver vagato nel Cilento, fra Padula e Sanza cominciò il macello.

    E tra ‘l fumo. E gli spari e le scintille

    Piombaron loro addosso più di mille

    I contadini, tutt’altro che intenzionati ad ascoltare i proclami e a ribellarsi, al contrario coadiuvarono volentieri i soldati e i Gendarmi infierendo con ferocia sui rivoltosi.
    Carlo Pisacane e Giovan Battista Falcone, organizzatori della spedizione, non sopravvissero: il primo fu forse massacrato dai contadini, il secondo si suicidò.
    Anche se questa mattanza non può che suscitare oggi ribrezzo e disapprovazione, è la fine conseguente ad un’azione male organizzata, mal comandata e mal condotta.
    E ciò che è peggio, Pisacane sapeva a priori come sarebbe finita, ma l’aura del martirio, dell’inutile dimostrazione, è dura a morire anche fra i terroristi dei nostri tempi.

    EPILOGO 
    Il Cagliari, ripreso il mare, fu catturato al largo di Napoli dalle fregate borboniche Tancredi e Fieramosca e il governo, desiderando valersi del diritto di preda, diede vita con l’armatore genovese Rubattino a un lungo contenzioso. Intervennero il Piemonte, la Francia e la Gran Bretagna tanto che alla fine la nave venne rilasciata.
    I rivoltosi sopravvissuti, meno della metà dei 323 sbarcati a Sapri, vennero processati e fioccarono le condanne a morte, poi tramutate in ergastoli mentre dietro le pressioni dell’Inghilterra i due macchinisti inglesi vennero dichiarati non perseguibili per infermità mentale!
    Giovanni Nicotera, terzo organizzatore della spedizione e braccio destro di Pisacane fu l’unico a far parlare successivamente di sé. Dopo alcuni anni di disumane sofferenze  nella prigione di Favignana venne liberato nel 1860 da Garibaldi che seguì in molte avventure fino al 1867. Come spesso succede, il suo passato venne dimenticato: giurò fedeltà al re e fu ministro dell’interno per due volte distinguendosi – anche questo succede spesso – per la sua durezza nei riguardi delle agitazioni sociali e dei socialisti che un tempo l’avevano tanto affascinato.
    Possiamo concludere questa parte domandandoci quale influenza abbia avuto nella storia del nostro paese  l’infelice spedizione poi consacrata dall’agiografia storica e spacciata come uno dei punti più alti del processo dell’unificazione italiana. Praticamente nulla. Al massimo la vicenda processuale del Cagliari mise in luce la debolezza e l’isolamento del Regno delle Due Sicilie  a livello internazionale e fece suonare un campanello di allarme nella mente di Cavour che si risolse ad accelerare gli eventi rendendosi conto di come fosse facile che l’ordine conservatore sabaudo potesse essere facilmente scalzato da iniziative populiste.

    IL COMANDANTE MAGLIOZZI
    Nel corso delle cronache degli eventi verificatisi a Ponza nel giugno 1857  viene nominato più volte Magliozzi Montano, il Comandante del porto, impotente testimone e vittima degli avvenimenti: chi scrive ha cercato di sapere qualcosa di più su quest’ufficiale.
    Nativo di Gaeta, presumibilmente frequentò la locale scuola nautica e, approfittando del fatto che gli allievi degli istituti nautici erano privilegiati nei concorsi del corpo dei piloti della Real Marina – ufficiali fiancheggiatori di coloro, più titolati, che uscivano dalla Scuola di Marina di Napoli – dopo la necessaria pratica come allievo di pilotaggio, fu nominato Terzo Pilota il 30 gennaio 1850, sesto su dodici promossi, venendo destinato subito a Ponza. Nel 1853 figura Comandante della Scorridora n. 3, presumibilmente quella stazionaria nell’isola e di cui abbiamo già parlato e, di conseguenza, senza abbandonare l’incarico a terra.
    Salito al rango della cronaca con la spedizione del Pisacane, in seguito si sente parlare parecchio di lui: nel 1859 venne decorato della medaglia d’oro dell’Ordine di Francesco I per essersi distinto più di ogni altro nell’opera di spegnimento di un incendio in via Santa Brigida a Napoli e in quello stesso anno uscì il suo libro “Notizie storiche intorno all’invenzione e all’uso della bussola presso tutti i popoli antichi e moderni”, un lavoro accurato nel quale dimostra una buona preparazione tanto umanistica quanto tecnica.  Viene anche citato  in un’opera di Gaetano Caporale (4) “Sull’antico porto della valle del Sarno”.
    Il 7 febbraio 1861 viene nominato Pilota di 3^ classe nello Stato Maggiore dei Porti della  Marina Sardo-Italiana, grado equiparato a quello di guardiamarina di prima classe, con stipendio annuo di 1600 lire (5), venendo trasferito a Gallipoli.
    Nel 1864 succede qualcosa di poco chiaro: il nostro ufficiale viene sospeso dall’impiego a decorrere dal 1° settembre,  ma non è stato possibile appurare il perché benché vi siano indizi che si sia trattato della sottoscrizione di un’istanza collettiva avanzata da civili.
    Nel 1868 il Consiglio superiore dell’ammiragliato lo riabilitò, ma nel frattempo il Corpo dello Stato Maggiore dei porti era stato soppresso ed era scaduto il tempo per chiedere il passaggio nel nuovo Corpo delle Capitanerie di porto, così fu posto in aspettativa con due quinti della paga, neanche mille lire annue. Non fu più richiamato in servizio, tanto che nel 1876 – doveva avere più di sessant’anni –  fece la richiesta di essere collocato a riposo e della concessione dell’onorificenza di tenente di vascello in guiderdone dei tanti servizi resi alla patria. Certamente dopo oltre un quarto di secolo nello stesso grado qualcosa di più avrebbe meritato.
    Anche la vita privata di Magliozzi non fu felice: la moglie  Angela Vitiello morì di parto lasciandogli il figlio Giuseppe Antonio deceduto a otto anni il 27 marzo 1861 e che forse il padre non vide morire perché era stato trasferito appena all’ora lontanissima Gallipoli e che forse si trovava presso lo zio materno Giuseppe Vitiello, parroco di Ponza che solo per miracolo, nel 1857, era riuscito a sfuggire alla caccia dei ribelli che volevano ucciderlo.
    Si sposò una seconda volta con Elena Maria Feroce spegnendosi nel 1896: alla moglie fu liquidata la misera pensione di 313 lire annue.
    Ho ritenuto importante ricostruire per quanto possibile la biografia del nostro ufficiale perché, abituati fin troppo spesso alla retorica che esalta i grandi uomini di mare di ieri e di oggi – che qualche volta poi non sono così grandi, ma vengono riproposti solo perché è facile trovare fonti che ne parlino – ci si dimentica della vita di sacrificio e delle poche soddisfazioni di tanti altri marinai che indossando la stessa uniforme hanno servito il paese nell’ombra e con non meno merito.

    Note
    • Nel Regno delle Due Sicilie il personale delle Capitanerie di ogni grado, anche se non costituiva un corpo a sé, apparteneva tutto alla Marina Militare.
    • La scorridora era un’imbarcazione a vela e a remi, di piccolo tonnellaggio, usata per i servizi di collegamento e di pattuglia.
    • In realtà la nave non affondò, ma il relitto fu trascinato dalla corrente fino ad arenarsi su una spiaggia dove fu recuperato.
    • Gaetano Caporale (Acerra, 1815-1890), laureato in medicina, fu uno storico ed archeologo e fu fra i pionieri dello studio della statistica.
    • Lo stipendio equivaleva a circa 600 Euro attuali. Era un importo molto basso anche all’epoca ma, oltre alle diverse esigenze e al diverso costo della vita, era calcolato sulle necessità di un giovane guardiamarina appena nominato, mentre doveva rappresentare un grosso problema nei bilanci famigliari degli ufficiali dei corpi tecnici e amministrativi equiparati, spesso con carichi di famiglia e molto più anziani, arrivati alla nomina dopo una lunga permanenza nella bassa forza come i piloti e i macchinisti che nei gradi inferiori erano considerati sottufficiali.

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    Gente di mare

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    TRATTO DAL LIBRO EMIGRANTE DI POPPA.
    DIRITTI RISERVATI – DUPLICAZIONE VIETATA ANCHE PARZIALE

    Non sento più il rumore delle onde mare che si infrangono nella scogliera. Non sento più le urla dei pescatori che fanno a gara a chi strilla più forte per vendere la loro mercanzia. Non vedo più al mio orizzonte, né quella luce di un faro che mi faccia orientare nella giungla della vita né, tantomeno, navi militari e di crociera che si incrociano con mercantili, con barche dei pescatori, con i diportisti e con disperati clandestini in cerca di un mondo migliore. Elucubrazioni che danzano un valzer ammaliatore sulle onde di quel Mediterraneo che ha visto scorrere tanta storia e tanti navigatori. Quel “mare nostrum” che ci racconta l’odissea dei tanti marinai di passaggio che, come me, lo hanno percorso in lungo e in largo, da oriente a occidente.
    Ho letto storie che hanno avuto come protagonista il mare, con orripilanti mostri marini, ammaliatrici sirene, semplici pescatori, eroici capitani coraggiosi, pirati senza cuore e poveri disgraziati in cerca di un mondo migliore.
    Ho avuto la pazienza di ascoltare racconti di anziani marinai, a volte veritieri, a volte ingigantiti nella realtà, a volte inventati di sana pianta. Ho offerto loro un grappino al bar del porto ed essi mi hanno rivelato una storia; a volte la loro storia.
    Mi hanno fatto credere, mi hanno incoraggiato, mi hanno fatto sognare.
    Solo col tempo ho capito i lunghi silenzi e la solitudine per quella vita trascorsa in mezzo al mare. Solo ora comprendo il loro logorroico sfogo all’avvicinarsi di gente curiosa come me pronta a carpire qualunque insegnamento e qualsiasi segreto del profondo immenso mare.
    Loro, gli anziani, ci dicevano: “provate a fissare il mare è difficilmente riuscirete a dimenticarlo, provate a navigarlo e sarete per sempre suoi. Provate per credere”.
    Invece lui, il mare, nel suo essere inesplorato, nel suo essere tre volte tanto la terraferma, nella sua maestosa immensità, sembra quasi che ci ignori. No, non è così! Non ci ignora, è troppo superiore per farlo. Cerca solo la nostra attenzione, il nostro rispetto e allora quale miglior modo di concederglielo se non sfidandolo su una qualsiasi imbarcazione.
    Il silenzio irreale di una prora che fende il pelo dell’acqua rappresenta una sensazione unica che solo i veri amanti della vita riescono ad apprezzare pienamente. Sarà difficile trovare questo silenzio nell’imponente ed implacabile forza del mare in tempesta e nell’ira del vento, suo fedele alleato, che sembrano vogliano ricordarci quanto siamo piccoli al loro cospetto.
    Andare per mare insegna a valutare le situazioni, ad affrontare i pericoli e a conoscere soprattutto se stessi.
    Andare per mare è il giusto modo per crescere e trovare quell’equilibrio che la frenesia della società moderna ci impedisce molto spesso di raggiungere. Andare per mare insegna a non sottovalutare niente ed educa al rispetto delle regole, soprattutto a quelle della vita.
    Il rispetto degli elementi naturali sarà cosa dovuta e la “paura” ed il “coraggio di vivere” coabiteranno insieme alla nostra esistenza in simbiosi con tutto l’ecosistema. Sarà opportuno prendere consigli dai marinai di lungo corso, quelli più anziani, quelli più esperti.
    La vita da marinaio è ricca di risvolti e connotazioni tali da renderla assolutamente diversa da ogni altra condizione di vita e di impiego. Seppur essa appaia naturale all’uomo di mare, resta sicuramente inavvicinabile alla maggior parte degli esseri umani. Per affrontarla correttamente è necessaria una certa predisposizione sia fisica che psicologica ed una forte motivazione, qualità queste, che ci aiuteranno a rendere persino affascinante la scelta di vita di cui parlo.
    La corretta valutazione delle difficoltà che si incontrano, il confronto con le proprie capacità e l’opportunità di conoscere e valutare le singole situazioni sono la base propedeutica nell’andare per mare. Per imparare non esistono limiti di età: basta avere una buona confidenza con l’acqua e una discreta forma fisica.
    E’ necessario, a questo punto, instaurare un rapporto confidenziale con il mare che diventerà un nostro inseparabile amico.
    La vita da marinaio richiede una capacità di adattamento ed un impegno non comuni, specie quando si affronta la navigazione ed è proprio sul mare che si forgiano il carattere e la professionalità dell’individuo.
    Imbarco non è soltanto navigazione!
    Per avere un’idea più precisa dei problemi legati alla vita di bordo occorre distinguere tra la navigazione vera e propria ed altre situazioni di imbarco. Le ore di navigazione, da sole, danno un’idea parziale dell’entità e della quantità dell’impegno richiesto. Anche in altre condizioni di impiego diverse da quelle di bordo, il marinaio resta comunque calato in una realtà a se stante che gli impedisce di condurre un’esistenza scandita dalle normali attività di vita quotidiana. E’ fuori dubbio che la qualità della vita è notevolmente migliorata negli anni, grazie anche al progresso tecnologico ma, in nessun caso, la vita da marinaio si propone come facile e tanto meno come comoda. Gli spazi ristretti che contraddistinguono la vita di bordo, l’impossibilità di evadere dall’ambiente di lavoro, la preclusione di ogni attività sportiva e, come spesso accade, le cattive condizioni del mare, determinano un forte stress mentale e un notevole dispendio di energie rispetto ad altre attività, ad altri lavori.
    Il lavoro si sviluppa dunque in condizioni ambientali ostili con l’aggravante di una limitazione della sfera privata che non tutti, purtroppo, sono in grado di sopportare.
    Il fascino di questa vita è anche dovuto, però, alle privazioni che la contraddistinguono e che consentono all’individuo di valutare attentamente se stesso e di confrontarsi continuamente con gli altri, instaurando legami fondati sui valori della lealtà e della solidarietà, sorretti da principi che non accettano deroghe ma che sono finalizzati alla crescita comune.
    Il quadro delle difficoltà (ma meglio sarebbe dire dei doveri) si completa con gli obblighi derivanti dalla rigidità della disciplina che consente al marinaio una rapida maturazione e la formazione di una forte personalità.
    Nella tradizione marinara la disciplina è un codice etico (… spesso non scritto) che ciascuno sceglie di condividere e che deve necessariamente rispettare. E’ richiesta una partecipazione responsabile ad ogni individuo, qualsiasi sia la posizione nella scala gerarchica e il livello di cultura e di professionalità, solo in questo modo è possibile instaurare un clima di collaborazione e di fiducia reciproca, essenziale a rendere quanto più possibile elevata la qualità della vita a bordo.
    Così facendo, non anteponendo gli interessi personali, è possibile ottenere quella coesione e quello spirito di gruppo che caratterizza da sempre la Gente di mare.
    Ogni difficoltà a bordo deve essere affrontata e superata con onestà, rispetto delle norme e serenità, perché è di esseri umani che si tratta, non di macchine! Ogni individuo, per quanto diverso, ha una dignità e merita la massima considerazione. Questi valori sono innati nella Gente di mare, a tutti i livelli. Bisogna metterli in pratica anche quando può costare fatica.
    Solo il dialogo e la collaborazione all’interno possono essere compatibili con l’obiettivo da raggiungere.
    A noi marinai questo approccio risulta facile e naturale e siamo da sempre stati abituati a vivere sulla stessa barca sapendo che il benessere: o è comune o non è tale.
    Penso infine che c’è un elemento che ha unito e che unisce i continenti della terra ed i suoi abitanti: il mare!
    I colori dei popoli, a volte, si integrano come le lingue, come gli sguardi. In ogni essere vivente c’è un calore che permane e non scappa, si trova in ognuno di noi.
    E’ questo calore che riesce coniugare anima e vita: tutto diventa realtà.
    Il miglior modo per sprigionare questo calore è la “parola”. Il miglior mezzo di comunicazione è il “contatto umano” tra soggetti apparentemente diversi. Anche se tutto ruota intorno ad un ipotetico “domani fatto di speranza”, il mare, forse da sempre, è ed è stato il canale preferenziale per stabilire questo contatto e quindi per far avvicinare i popoli della terra. Spesso ce lo dimentichiamo!
    Chi va per mare questo lo sa, conosce i sacrifici, i rischi, le gioie ma anche le sofferenze ed è per questo che chi va per mare ama la vita: l’unica vera “ancora di salvezza”.
    La nostra vita è addolcita solo dall’amicizia e dall’amore: Essenza dell’amicizia sono la confidenza e la fiducia, quella dell’amore è il piacere spontaneo, disinteressato, donato e ricevuto senza una contabilità del dare e dell’avere. In entrambi i casi ti senti apprezzato per te stesso, per il puro piacere di stare con te e con agli altri, senza altri fini. Ci sono momenti della vita in cui facciamo amicizia e ci sentiamo amati, altri invece che, anche se stiamo in mezzo alla folla, ci sentiamo soli. E’ quanto capita all’emigrante o all’esiliato.
    Quando gli italiani emigravano in massa verso il nuovo mondo, durante il lungo viaggio in alcuni di loro prevaleva l’angoscia della nostalgia. Erano gli “emigranti di poppa”, quelli che, per riflesso condizionato, trascorrevano gran parte del tempo guardando l’orizzonte lontano, dal quale provenivano e in cui avevano lasciato, sempre più remoti, la casa ed il paese d’origine. In altri, invece, prevaleva la speranza di un futuro migliore e la curiosità per il mondo nuovo. Erano gli “emigranti di prua” che preferivano guardare avanti, nell’attesa di scorgere per primi la terra promessa, dove avrebbero fatto fortuna. Nell’avventurosa navigazione di ogni vita umana vi sono, dunque, gli emigranti di poppa e quelli di prua, vi è Penelope che indugia nella rassicurante tradizione del mondo domestico e Ulisse, il marinaio, che preferisce il rischio dell’avventura e l’ebbrezza delle novità.
    Questo è un buon motivo per navigare: conoscere, comprendere e infine a…mare!
    La vita delle persone è un cammino dell’esistenza, un arte difficile che richiede dedizione e sacrifici e, se uno riesce a guardarsi bene intorno, ci sono persone ammirevoli. Queste persone siamo noi: la gente di mare!

    LA GENTE DI MARE
    (Marino Miccoli)


    Sotto un cielo plumbeo
    cupo come la coscienza di Giuda
    nuvole nere gravide di pioggia
    s’addensano minacciose sul mare.
    Altissime onde
    crestate di bianca spuma
    presuntuose e violente
    s’infrangono
    sulla scogliera scura.
    Nell’aria pregna
    di minuscole pulviscolari particelle
    di acqua salata portate dal vento
    incurante della furia di Nettuno
    impavida si libra una coppia di gabbiani.
    Uomo, piccolo uomo,
    quando comodamente assiso assisti
    a questo terrificante spettacolo
    di smisurata forza che la natura offre,
    tu, piccolo uomo, che ti trovi al sicuro
    con i piedi saldamente poggiati sulla terraferma,
    non ti dimenticare dei tuoi simili, i naviganti,
    quella “gente di mare”,
    che in questi tristi momenti
    lotta per la vita
    contro la furia degli elementi.

    Stimato Ezio,
    dedico questa breve poesia marina a te, a Roberto Cannia e a tutti i visitatori del nostro blog, con l’augurio sincero che quando si debbano affrontare le forti avversità e amare vicissitudini della vita, trovino le calme e sicure acque di un porto dove rifugiarsi e poi riprendere tranquilli la navigazione con animo sereno.
    Marino Miccoli

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    La preghiera del marinaio (Regia Accademia Navale di Livorno)

    di Attilio Di Scala

    … riceviamo e (con ritardo) pubblichiamo, nell’augurio di essere compresi e perdonati.

    Buongiorno sig. Ezio,
    seguo da tempo il suo blog e le sue storie, complimenti e grazie per ciò che condivide!
    Questa mattina, tra i ricordi di mio nonno, ho ritrovato la preghiera vespertina.
    Proviene dalla Regia Accademia Navale di Livorno e dovrebbe essere del 1937.
    Mio nonno l’ha sempre portata con se e la teneva tra le cose più care, insieme ad un brandello di bandiera ed alle foto dei “suoi marinai”.
    Si è congedato alla fine degli anni sessanta, ma ha continuato a navigare fino agli anni ottanta. Per tutta la vita lo ha tormentato il ricordo dell’affondamento del Roma.
    Come tutti gli uomini di mare amava le cose semplici! Credo gli avrebbe fatto molto piacere poter condividere la sua preghiera nel giorno della Festa della Repubblica (anche se la preghiera esalta il Re!!!)
    Un caro saluto,
    Attilio Di Scala

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    2 giugno 1985, la Madonnina dei sommergibilisti a Maricosom

    a cura Ciro Laccetto (*)

    Ciro Laccetto per www.lavocedelmarinaio.comDurante il 2° conflitto mondiale la statua, acquistata con le offerte dei sommergibilisti atlantici, era posta nella cappella della base di Bordeaux (Betasom).
    A Lei tutti i sommergibilisti, premurosamente assistiti da Padre Messori Roncaglia, amatissimo Cappellano di Betasom, si rivolgevano nelle lunghe missioni oceaniche, al ritorno alla base, nei momenti di difficoltà e di pericolo.
    Nel convulso e travagliato periodo successivo all’armistizio, complesse furono le vicende “vissute” dalla Cappella e dalla Madonnina.
    Padre Messori Roncaglia era stato rimpatriato per causa di forza maggiore; la Cappella, rimasta inizialmente quale preciso e tangibile riferimento spirituale, fu via via privata di tutti gli arredi ed anche la sacra immagine della Madonnina divenne, purtroppo, “preda di guerra”.
    Vane furono le affannose ricerche dei nostri marinai trattenuti in terra francese.
    sommergibilisti - www.lavocedelmarinaio.comGrandissimo merito va ad un cappellano dell’esercito, Don Aldo Negri che, in Francia per il suo ministero, venuto in contatto con i marinai e raccolti i loro sentimenti e la loro ansia di ritrovare la statua cui tanto erano legati, si adoperò con caparbia volontà , ricercandola tenacemente ed amorevolmente.
    Dopo incredibili vicissitudini Don Negri ritrovò la Madonnina che era stata collocata nella “Casa del Soldato” francese di Bordeaux, con l’aiuto di alcuni italiani riuscì a recuperarla e la affidò ad una famiglia del luogo.
    Al momento del rimpatrio, egli portò la statua in Italia, custodendola e venerandola, in questo ultimo quarantennio, nella sua casa natia in Piemonte.
    Insieme a Padre Messori, ancora una volta e come sempre affettuosamente presente tra noi, a Don Negri ed a molti sommergibilisti atlantici che abbiamo il privilegio di ospitare, accogliamo oggi, con orgoglio e devozione, la sacra immagine quale prezioso retaggio di memorie, eroismi, sacrifici, tradizioni che faremo quanto umanamente possibile per custodire nel modo più geloso e degno.
    Nel fausto giorno del ritorno della Madonnina di Betasom tra i sommergibilisti.
    Maricosom, 2 giugno 1985.

    La Madonnina dei Sommergibilisti f.p.g.c. Ciro Laccetto a www.lavocedelmarinaio.com)Santa Maria dei Sommergibilisti

    Dal Mare d’Atlantico

    al Mare Nostrum
    con orgoglio e tenerezza di figli
    nella Tua dolce immagine Ti collochiamo
    a Santa Maria dei Sommergibilisti
    e Tu affretta la gloria dei cieli
    ai nostri fratelli nelle acque sommersi
    e Tu continua a proteggere noi superstiti
    nella diuturnità di una vita degna
    e Tu addita ai navigatori nuovi d’Italia
    le rotte della giustizia e della pace
    Betasom 1940 Taranto 1985
    Base Atlantica Base Sommergibili

    (*) Ciro Laccetto e deceduto il 25.6.2018.

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    Tutti i giorni Dio concede

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra (2010)

    Tutti i giorni Dio ci concede
    (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra – 2010)
    – insieme con il sole –
    un momento in cui è possibile
    cambiare tutto ciò
    che ci rende infelici.
    Tutti i giorni
    noi cerchiamo di fingere
    che non ci accorgiamo
    di questo momento,
    che esso non esiste,
    che oggi è uguale a ieri
    e sarà uguale a domani.
    Ma chi presta attenzione
    scopre l’istante magico.
    Esso può essere nascosto
    nel momento in cui
    la mattina infiliamo
    la chiave nella porta,
    nel silenzio dopo la cena,
    nelle mille e una cosa
    che ci sembrano uguali.
    Questo momento esiste,
    un momento in cui
    tutta la forza delle stelle
    ci passa accanto,
    e ci permette di fare miracoli.