Pittori di mare

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    La preghiera cura della coscienza

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    C’è chi ritiene che la preghiera sia stata creata dall’uomo per trovare qualcosa che gli dia motivo di avvicinare il proprio spirito al Supremo e trovare conforto nei momenti di maggior disagio della vita. In tali momenti la ricerca di Dio è una necessità per la coscienza. Ogni luogo perciò è buono per rivolgersi al Signore. Si dice che nelle sofferenze più cocenti anche l’ateo più ostinato rivolga richiesta di aiuto, sotto forma di preghiera, al Supremo, ma nonostante queste suppliche il male continua, senza qualche buona dose di medicinale egli resterebbe a lungo con le sue angosce e magari senza scampo.


    La preghiera può essere di aiuto nel pentimento per liberare l’animo da peso di cattive azioni, ed allora l’individuo, dopo aver confessato segretamente il proprio peccato a qualcuno, si sente sollevato e con l’animo libero. La preghiera quindi è la cura della coscienza. In questo mondo ogni civiltà ha i suoi valori, usanze e tradizioni, così diverse da apparire talvolta contrastanti. L’umanità trova sempre motivo di appellarsi a qualcuno. C’è chi crede in un solo Dio, chi in molti dei e chi in nessuno. A noi la scelta.

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    Giovanni “Siro” Buzzetti (Chiavenna, 16.4.1891 – 8.9.1947)

    di Giorgio Gianoncelli (*)

    (Chiavenna, 16.4.1891 – 8.9.1947)

    “’L Garibaldìn del mare”

    Giovanni Siro Buzzetti nasce a Chiavenna il 16 aprile 1891, da Guglielmo e Giovanna Buzzetti.
    Il 20 giugno 1911 il giovane chiavennasco si arruola nella Regia Marina per la ferma di 4 anni, in seguito è trattenuto alle armi per ragioni di guerra con decorrenza 20 giugno 1915 e lascia il servizio definitivo il 1° aprile 1919, otto anni dopo l’arruolamento.
    L’impatto del chiavennasco con la Marina da guerra non è dei più… morbidi; nel giro di soli tre mesi si trova a combattere sulla spiaggia di Tripoli come un “Marines” senza nemmeno il necessario allenamento al combattimento terrestre. Arruolato il mese di giugno e imbarcato sulla nave scuola “Sicilia” per il corso ordinario di cannoniere scelto, il mese di ottobre l’Allievo Cannoniere di bordo si trova nella mischia dei combattimenti a terra con un vecchio fucile modello ’91.
    L’anno 1911 è il periodo in cui scoppia la crisi d’interesse politico tra l’Italia e la Turchia per il possesso della Libia, possesso legittimato dal Governo italiano in virtù di una penetrazione pacifica iniziata fin dai primi anni del 1900 con impieghi di capitali nell’agricoltura, nelle attività di servizio, nelle missioni con le scuole e tutto quello che poteva rendere il territorio libico per i bisogni nazionali, mentre la Turchia è presente in quel territorio solamente per sfruttare lo sfruttabile, senza iniziative economiche e sociali.
    Ma già allora, come adesso, l’opposizione politica con la stampa nazionale sono sempre ostili quando si prendono decisioni importanti, intralciano e ritardano le operazioni e quando c’è il nulla osta l’iniziativa è già compromessa dall’intervento di altre potenze militari, che gridano allo scandalo per essere poi loro le scandalose.

    Sono questi anche gli anni della Triplice Alleanza (Italia, Austria, Germania 1882 – 1915), ma ognuno fa per sé e le potenze militari d’Europa: Austria, Francia, Germania, Inghilterra e Russia in particolare, con altri Stati minori, sono pronte ad invadere il territorio libico senza crearsi tanti problemi… morali come sempre capita agli italiani. Quando la decisione politica è presa, l’Italia si trova sistematicamente con il Regio Esercito impreparato per affrontare concrete campagne militari in terra straniera, allora è la Regia Marina con i suoi uomini che, almeno inizialmente, deve sopperire alle carenze di quell’Arma che dovrebbe sempre essere pronta per ogni evenienza.
    Il giorno 29 settembre 1911 il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti e il Ministro degli Esteri Antonio Di Sangiuliano, con l’approvazione del Re, trasmettono al Governo turco “l’ultimatum” per lasciare libero il territorio libico.
    La Flotta navale italiana è pronta a muovere verso la sponda tripolina e la sera del 3 ottobre 1911, composta da oltre 100 unità al comando dell’Ammiraglio Augusto Aubry, divisa in tre squadre, assegnate all’Ammiraglio di squadra Luigi Faravelli, al Vice Ammiraglio Paolo Tahon di Revel con la squadra siluranti assegnata al Duca degli Abruzzi, è dispiegata davanti alla costa libica pronta per un’azione di forza contro le fortezze organizzate dai turchi e la flotta della Mezzaluna disseminata tra l’Egeo e il Mar Rosso.
    Sul gruppo navi Scuola che comprende la corazzata “Sicilia”, gli Allievi in tenuta di lavoro, armati con un semplice fucile ’91 a baionetta innestata, con a tracolla un tascapane pieno di munizioni sono pronti a scendere a terra per conquistare le oasi della Libia.

    Il mattino del giorno 4 un reparto di 400 uomini protetto dai bombardamenti delle navi sbarca per una prima testa di ponte sulla spiaggia, il mattino seguente due battaglioni composti di 1.800 uomini e tra questi gli Allievi della Scuola Navale, al comando del Capitano di Vascello Umberto Cagni, invadono la spiaggia e marciano sulla città di Tripoli, dove arrivano alle ore 16,00 senza incontrare molta resistenza e si attestano alla periferia della città.
    Tra i 1.800 uomini in marcia verso la Tripolitania c’è il giovane chiavennasco Siro Buzzetti che, dal tono dei suoi scritti ai genitori, pare che non sia troppo entusiasta della sua esperienza da marinaio. Non ha torto, perché, forse, si aspettava qualche cosa di diverso e meno traumatizzante che trovarsi con un fucile in braccio senza avere la coscienza preparata alla …mattanza, pur consapevole di essere un soldato. In quella circostanza i Marinai italiani, come sempre, svolgono con decisione il compito assegnato tanto da guadagnarsi il titolo di “Garibaldini del mare” e questi marinai, sono in massima parte i giovani allievi delle navi Scuola.


    Al termine delle prime operazioni militari, la divisione navi Scuola rientra in Italia, sostituita dal primo corpo di spedizione dell’Esercito composto di 35.000 uomini, saliti in seguito a 100.000 e il buon Siro scrive una lettera ai genitori con la quale esprime le sue impressioni e lo stato d’animo dal momento della partenza fino ad operazione conclusa.

    Siro e Anna, sposi il 22 ottobre 1922

    Priolo Siracusa, ottobre 1911

    Carissimi tutti,
    ormai privo d’ogni speranza di potermela scapolare dal piombo turco pure il buon Dio mi volle dare la grazia di poter rimpatriare dai mari tripolini dopo il bombardamento dei forti, della città, ecc. ecc.
    Vi dirò brevemente quanto mi accadde: D’Augusta si partì di nottetempo, tutto in segreto: all’alba già fummo attaccati da varie torpediniere turche le quali però grazie a Dio, ed ai nostri poderosi cannoni, le seppimo mettere in fuga, con vari danni alle torpediniere stesse, ed ai loro equipaggi: a bordo non abbiamo avuto disgrazie alcune: giunti a Tripoli eravamo già pronti all’attacco; e pure a morire rassegnati se ciò ci toccava. Ordinato il fuoco subito si cominciò: i turchi pure risposero. A bordo più nessuno ardiva parlare, solo il comandante degli ufficiali si s’udiva: io ve lo potete immaginare in quale stato d’animo mi trovavo; eppure fiducioso nel buon Dio, ed ai nostri cari defunti, non tremavo, e collo sguardo sempre rivolto sul nemico: quale fu poi la nostra gioia allorquando si vedevano i proiettili lanciati dai nemici alzare colonne d’acqua nel mare e rimbalzare sull’onda come tanti pesciolini allegri: i loro cannoni non raggiungevano le nostre navi. Da parte nostra invece non un colpo andava fallito, tutto mandava per aria n quando i turchi furono costretti ad alzare bandiera bianca.
    Avanti sbarcare, ed allineati in coperta, il comandante Cagni Ci rivolse le seguenti parole: “marinai: ora sbarchiamo, l’impresa è ardua, noi facciamo un colpo disperato, e difficilmente torneremo a bordo: votate la vostra vita alla Patria: raccomando rispetto agli inermi, alle donne, ed alla Proprietà, e quelli che dovessero venir meno, fucilazione immediata”. Un formidabile grido, viva l’Italia! Eruppe dai nostri petti, subito si sbarcò, senza gravi difficoltà… e si presero i forti; ciò che vi era per terra non ve lo racconto; vi potete immaginare qual macello di carne umana.
    Per ora non ho altro a dirvi, e questa volta debbo ringraziare Colui che tutto può d’essere stato salvato per miracolo.
    Aff.mo v. Siro

    Regia nave “Sicilia”
    Nave da guerra di I classe a cintura e ridotto corazzato
    Costruita nell’Arsenale di Venezia e varata nel 1891.
    Lunghezza 122 m Larghezza 23,44 m – Dislocamento 13.298 t Armamento:
    4 cannoni da 343 mm disposti a barbetta a coppie su piattaforma girevole. 8 cannoni da 152 mm a caricamento rapido – 16 da 120 mm
    27 cannoni a tiro rapido di piccolo calibro
    4 lanciasiluri laterali 1 a poppa.

    Terminata la guerra, pochi mesi prima delle festività natalizie e di ne anno, le navi rientrano ai loro porti d’assegnazione e, come di norma, segue la prevista licenza ordinaria di fine missione; questo è previsto anche per gli Allievi delle Scuole e Siro per le festività è sulle sponde della Mera a tonificarsi con la gelida temperatura della Valle di Chiavenna.
    Il giovane marinaio deve affrontare un lungo viaggio che dura almeno 24 ore, ma con il cuore che pulsa d’emozione per il piacere di rivedere genitori, parenti e amici dopo il pericolo corso oltremare, non pensa alla sorpresa che lo accoglie all’uscita dalla stazione ferroviaria di Chiavenna.
    Ultimo strido di freni, ultimo sbuffo di vapore, s’aprono le porte delle vetture e dal marciapiede della stazione, echeggia l’Inno di Garibaldi, in onore al “Garibaldìn del mare” Giovanni Buzzetti chiamato Siro, chiavennasco di… lungo corso.
    “Ricevuto al suo arrivo con la Banda musicale della città di Chiavenna, con tanto di onori dal Sindaco con il Consiglio comunale e una moltitudine di gente d’ogni ceto e condizione, il giovane marinaio dopo il primo momento di naturale sorpresa, rinfrancato dalla presenza del padre e altri conoscenti, s’immerge nel primo bagno di folla nel vivo patriottismo garibaldino della popolazione di Chiavenna.”1

    La città di Chiavenna, nei giorni che precedono le feste natalizie e di ne anno, continua a tributare al giovane marinaio stima e onori.
    Il Consiglio Comunale riunito il 21 dicembre esprime a Guglielmo Buzzetti, padre dell’ “Eroe Garibaldìn del mare” le sue congratulazioni e la sera del 27 dicembre 1912 il marinaio chiavennasco è ospite d’onore all’Hotel Helvethia Nazionale ad un convivio promosso dalle massime autorità cittadine cui partecipano oltre 200 persone tra amici comuni, esponenti delle arti, del lavoro e della cultura locale.
    Fra tanti ospiti il massimo Poeta Cantore delle Alpi Giovanni Bertacchi, che nel suo discorso, dice: “Il cuore di Chiavenna, aperto all’amore della grande Patria Comune, nel nome di questo suo prode figlio Siro Buzzetti, marinaio d’Italia sulle acque di Libia, saluta tutti i fratelli che dietro lo squillo del dovere, dai monti, dai piani, dai lidi, trassero ai nuovi cimenti, sulla terra lautante.”

    Parlano un po’ tutti e tutti con discorsi a sfondo patriottico, tra tanti il sig. Orsi del Circolo di Ritrovo Serale che termina; “… e poiché era necessario, ti sei quadruplicato, centuplicato, col correre da un punto all’altro delle posizioni conquistate, e il nemico non potè mai capire quanti fossero i 1500 marinai sbarcati dal Sicilia.”

    Il grande banchetto si conclude con il brindisi guidato dal dr. Aldo Mazzoleni, medico e Poeta che declama:

    “Ed or brindiamo amici / alle sembianze care / brindiamo al nostro Siro / Garibaldìn del mare!”.

    Sono tempi in cui i sentimenti di Patria sono forti, il Risorgimento, non ancora compiutamente concluso, è molto presente nel pensiero degli uomini, e la comunità di Chiavenna è la prima e maggiormente sensibile fra tutta la comunità della provincia ad esprimere sentimenti di alto attaccamento alle gesta mazziniane e di Giuseppe Garibaldi, pertanto chi dà un minimo di altruismo in vari modi per la Patria è stimato e ammirato, se poi aggiungiamo il fatto che il “Garibaldìn del mare” è il primo soldato della valle del Mera ad indossare l’uniforme della giovane Regia Marina unitaria, fatto inconsueto nelle valli alpine, il rilievo popolare sale di tono e la sola presenza di Giovanni Bertacchi ai festeggiamenti, notoriamente contrario a quella guerra e alle guerre, dimostra che il sentimento di riconoscenza verso l’uomo supera quello dei sistemi; a Giovanni Siro Buzzetti detto “‘L Garibaldìn del mare” è capitata così!
    Siro Buzzetti al termine della ferma, che scade il 20 giugno 1915, per ragioni di guerra, iniziata da appena un mese, è trattenuto alle armi. Essere trattenuto alle armi d’autorità significa che il Buzzetti aveva rinunciato al proseguimento della carriera militare, altrimenti avrebbe partecipato ai corsi di avanzamento nel grado militare per entrare poi in Servizio Permanente Effettivo.
    Il cannoniere scelto partecipa alla Grande Guerra imbarcato su Nave “Porto di Suez” che durante il conflitto è colpita da un siluro austriaco ed affonda con il conseguente naufragio del personale; Siro è tra questi e si salva. Alla ne della guerra è congedato in data 18 agosto 1920.
    A suo onore ci sono 2 anni 2 mesi e 18 giorni di navigazione in pace e 4 anni e 6 mesi di navigazione in guerra, per un totale di 6 anni, 8 mesi e 18 giorni d’imbarco, alcuni giorni di battaglia da… Marines e il rimanente in vari servizi a terra, con una semplice medaglia per la campagna Italo – Turca, una croce al merito per la Grande Guerra, un naufragio ma… con il titolo di “Garibaldìn del Mare” che vale tutte le medaglie del mondo.
    Rientrato in famiglia Giovanni Siro si trasferisce nella città di Sondrio per aiutare il padre Guglielmo a gestire una primaria drogheria nella più importante via commerciale della città (via Dante Alighieri). Per tutto il resto della sua vita non lascerà il negozio.
    I successivi anni ruggenti del nascente regime fascista non scomodano i sentimenti pacati e antiguerreschi di Siro, lavora con serenità a fianco del padre e pensa al matrimonio che si realizza il giorno in cui la pletora di fanatici guerrafondai finge di marciare su Roma (22 ottobre 1922) con la signorina Anna Sperlocchi che porta in viaggio di nozze a Genova in visita alla Madonna della Guardia, alla quale aveva fatto voto di portare la moglie in cambio del salvataggio dal naufragio.
    Sciolto il voto Siro ritorna serenamente al negozio del padre, continua l’attività dopo la morte del genitore con l’aiuto di un proprio figlio fino al giorno 8 settembre 1947 in cui lascia la vita terrena a soli 56 anni per navigare sulle rotte del cielo nella serenità dei suoi miti sentimenti.
    Il comportamento del primo marinaio della Valle di Chiavenna, terzo della provincia, onorato dal titolo di “Garibaldino del Mare”, dopo aver lasciato la carriera militare la dice lunga sul carattere d’uomo: mite, contemplativo, riflessivo e religioso.

    1 L’eco della Val Chiavenna

    Particolare della corazzata “Italia” costruita nel Regio cantiere di Castellammare di Stabia dal luglio 1876 ed entrata in servizio il 16 ottobre 1885. Armata con quattro cannoni da 481mm disposti a “barbetta”. Nel 1896 divenne nave scuola cannonieri, poi nave scuola Torpedinieri. Radiata dal naviglio militare nell’anno1914.

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome. Giorgio Gianoncelli è deceduto il 7.9.2022.

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    16.4.1943, affondamento della regia nave Lampo

    di Claudio Confessore
    Le fotografie sono dell’Archivio Storico della Marina Militare disponibili su Internet

    Le Unità che hanno portato il nome: Lampo

    Lampo Marina Borbonica
    Goletta dell’Armata di Mare delle Due Sicilie operò prima dell’unità d’Italia e partecipò alle azioni contro il bey di Tripoli (agosto 1928) e quello del Marocco (maggio 1834) per proteggere i commerci del Regno.

    Lampo Marina Sarda
    Trasporto a vela di 3a classe che ha operato nella Flottiglia del Lago di Garda. Costruito a Genova e trasportato a pezzi e poi riassemblato a Desenzano del Lago (oggi del Garda). Varato nel 1848 e radiato nel 1861 subito dopo l’Unità d’Italia.

    1a Guerra Mondiale – Classe Lampo
    Il piccolo Cacciatorpediniere “Lampo”, e le altre Unità della omonima Classe, furono costruiti nel Cantiere Navale Schichau di Elbing (Germania) su progetto tedesco.
    La classe “Lampo” aveva notevole robustezza ed un buon apparato motore ma fu necessario non caricare le carboniere di prua per aumentare la spinta prodiera a causa della loro forma molto affinata e bassa sul mare. La robustezza della prora fu in guerra un ottimo mezzo di offesa contro i sommergibili.

    Unità Imp. Var. Serv. Rad. Note
    Lampo 1899 1899 1900 1920
    Freccia 1899 1899 1902 // Perduto per incaglio il 12 ottobre 1911
    Dardo 1899 1900 1901 1920
    Strale 1899 1900 1901 1924
    Euro 1900 1900 1901 1924 Dal 09/09/1924 cambia nome in Strale (il gemello era stato radiato), essendo stata chiamata Euro un’altra Unità
    Ostro 1900 1901 1901 1920
    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento Normale: 320 t. – Pieno carico: 354 t
    Dimensioni Lunghezza: 60 m. – Larghezza: 6,5 m. – Immersione: 2,6 m
    Apparato motore 4 caldaie – 2 motrici alternative – 2 eliche – Potenza: 5.998 Hp
    Velocità 30 nodi
    Eliche 2 a passo fisso
    Combustibile 80 t. di carbone
    Autonomia 2.000 miglia a 12 nodi
    Armamento 1 cannone 76/40 mm. – 5 cannoni da 57/43 – 2 tubi lanciasiluri da 356 mm
    Equipaggio 59 di cui 3 Ufficiali e 56 Sottufficiali e Comuni
    Nota: Nel 1915 – 1918 vennero imbarcate anche sistemazioni per la posa di 12 mine, lanciabombe e per il rimorchio di torpedini antisommergibili.
    Il Lampo e le unità gemelle parteciparono attivamente sia alla Guerra Italo-Turca che nella 1^ Guerra Mondiale dove furono inquadrate nella VI Squadriglia Cacciatorpediniere insieme alle gemelle Ostro, Euro, Dardo e Strale con base a Tripoli. Essendo unità datate ebbero, comunque, scarso impiego nella Grande Guerra.
    Nel 1921 le unità rimaste in linea vennero riclassificate torpediniere. Nel 1924 dopo che lo Strale fu radiato, l’Euro prese il nome di Strale poiché il suo nome fu passato ad un’altra Unità.

    1a Guerra Mondiale – Lampo II
    Rimorchiatore civile italiano di 322 tonnellate. Costruito nei Cantieri Alblasserdam di Alblasserdam (Olanda). Requisito alla fine del 1916 ed iscritto nei quadri del Naviglio Ausiliario dello Stato con il nome di Lampo II. Successivamente acquistato dalla Regia Marina fu iscritto il 21.02.1918 nei quadri del Naviglio Militare con il nome Pelago. E’ stato radiato il 25.10.1922.

    2a Guerra Mondiale – Cacciatorpediniere Lampo (Classe Dardo 2a serie)
    Il Cacciatorpediniere Lampo faceva parte della Classe Dardo Seconda Serie, assieme alle gemelle Baleno, Folgore e Fulmine. Le Unità furono utilizzate per le scorte convogli ma anche come posamine. Tutti i Cacciatorpediniere della Classe andarono persi a seguito di combattimenti durante la II Guerra Mondiale.

    Unità Imp. Var. Serv. Note
    Folgore 1930 1931 1932 Affondato il 2/12/1942 nel Canale di Sicilia in 37°43’ N – 011°16’ E
    Baleno 1930 1931 1932 Affondato il 17/04/1941 ad 1 miglio ad Ovest della boa n° 4 di Kerkenah (Golgo di Gabes)
    Fulmine 1930 1931 1932 Affondato il 9/11/1941 al centro dello Ionio in 37°00’ N – 018°10’ E
    Lampo 1930 1931 1932 Affondato il 16/04/1941 ad 3 miglia per 230° dalla boa n° 3 di Kerkenah (Golfo di Gabes). Recuperato e riparato affondò un seconda volta il 30/04/1943 a 6 miglia per 080° da Ras Mustapha (Tunisia)
    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento Normale: 1830 t. – Pieno carico: 2123 t
    Dimensioni Lunghezza: 96 m. – Larghezza: 9,2 m. – Immersione: 3 m
    Apparato motore 2 Gruppi di turbine Belluzzo a vapore su 2 assi; tre caldaie Express potenza Hp 44.000
    Velocità 38.8 nodi
    Eliche 2 a passo fisso
    Combustibile 80 t. di carbone
    Autonomia 3693 miglia
    Armamento 2 impianti binati da 120/50 mm – 2 impianti binati da 40/39 mm – 4 mitragliere da 13.2mm – 6 siluri da 533 in 2 impianti trinati – mine e cariche di profondità
    Equipaggio 175
    Nota: Rispetto alla classe Dardo prima serie le unità di questa classe ebbero forme più affinate e diverso apparato motore. Anche per queste unità l’armamento antiaereo venne poi sostituito con 8 mitragliere da 20/65 e dopo il 1940 vennero sbarcati i tubi lanciasiluri poppieri per installare 4 mitragliere da 37 mm. e due lanciabombe antisom.

    Il Lampo fu costruito nei Cantieri Partenopei di Napoli. Fu impiegato principalmente per scorte convogli. Alle ore 21.30 del giorno 13 aprile 1941 il Lampo con i Cacciatorpediniere Tarigo e Baleno iniziarono la scorta, da Napoli a Tripoli, di un convoglio che trasportava uomini, munizioni e materiali a sostegno delle attività belliche del Deutsches Afrikakorps (D.A.K) e delle truppe italiane. Il convoglio era composto da cinque piroscafi di cui quattro tedeschi (Andana 4205 t., Aegina 2447 t., Arta 2452 t., Iserohn 3704 t.) ed uno italiano (Sabaudia 1590 t.), che trasportava le munizioni.
    La rotta pianificata prevedeva la navigazione lungo le congiungenti Napoli, Merettimo, Capo Bon, Canale di Sicilia, isole Kerkennah e Tripoli. Partenza e rotte furono calcolate per far attraversare il canale di Sicilia di giorno in modo da impiegare la protezione aerea nel tratto di mare più pericoloso, quello più vicino al raggio d’azione di eventuali aerosiluranti con base a Malta. Quanto programmato non fu possibile mantenerlo a causa del cattivo tempo che rallentò il convoglio di 3 ore e 40 minuti.
    Ciò costrinse le unità a transitare nella zona di maggior pericolo di giorno, senza protezione aerea a causa di avverse condimeteo. Nonostante il cattivo tempo volava, comunque, un ricognitore Maryland inglese che riportò l’avvistamento a Malta da dove alle ore 18.00 partirono i Cacciatorpediniere della 14a Squadriglia Inglese composta della unità Jervis, Nubian, Mohawk e Janus.
    Alle ore 01.58 del 16 aprile il convoglio fu avvistato, ombreggiato ed attaccato alle 02.20. Il violento scontro si concluse con l’affondamento nelle acque di Kerkenah (Tunisia) dell’intero convoglio italo/tedesco e di tutta la scorta. Prima di affondare il Tarigo riusci a lanciare un siluro ed affondare il Mohawk.
    Il Lampo, ingaggiato per primo, fu gravemente danneggiato, prese fuoco e si arenò verso le 05.00 sulle secche di Kerkennah.
    Il Comando Marittimo Italiano in Libia (MARILIBIA) inviò subito sul posto i soccorsi e l’imponente operazione consentì di recuperare 1271 naufraghi dei circa 3000 uomini imbarcati su tutte le Unità del convoglio. Sul Lampo ci furono 60 deceduti e si salvarono in 205.
    Il successivo 4 luglio fu inviata in zona la Nave Soccorso Epomeo per recuperare i numerosi cadaveri ancora rimasti a bordo. Furono recuperati numerosi corpi e resti umani ed ultimato il recupero, dopo aver effettuato dove possibile l’identificazione, questi vennero chiusi in sacchi appesantiti e dopo un breve cerimonia religiosa vennero sepolti in alto mare con gli onori militari.

    L’11 agosto, dopo tre giorni di lavoro per chiudere le falle e riportarlo in galleggiamento, il Lampo fu disincagliato e rimorchiato a Palermo dalla nave Artiglio II. Successivamente trasferito a Napoli fu sottoposto a lavori di riparazione dal 21 settembre 1941 al 18 maggio 1942. Gli fu installato anche un nuovo impianto binato di mitragliere da 20 mm.
    Rientrato in linea fu reimpiegato nelle scorte ai convogli. Il 30 aprile 1943 partì da Trapani con un carico di munizioni per le nostra truppe in Tunisia. Subì due attacchi aerei che provocarono un incendio con conseguente scoppio delle munizioni ed affondamento dell’Unità a 6 miglia per 080° da Ras Mustapha (Tunisia). Scomparvero in mare 60 uomini su 213 dell’equipaggio.

    Dopoguerra – Motocannoniera Lampo
    Motocannoniera che insieme al Baleno costituiva l’omonima classe, Fu impostata il 4 maggio del 1958 con la sigla MC 491 nell’Arsenale M.M. di Taranto è stata varata il 22.11.1960 ed entrata in servizio il 27 aprile del 1963 (1965 il Baleno). Assunse il nome di Lampo il 1° settembre 1965 con distintivo ottico P 491 e radiata il 15.4.1985.
    La classe Lampo deriva, nelle caratteristiche generali, dalla Motocannoniera Folgore ma furono studiate ed implementate soluzioni d’avanguardia sia nella motorizzazione che nell’armamento.
    Come motorizzazione il Lampo fu il primo ad essere dotato di apparato motore misto, diesel e turbina a gas, con eliche a passo variabile (CODAG). Le caratteristiche erano le seguenti:

    2 Motori Diesel Fiat 560.000, uno per ogni linea d’assi laterale, con potenza di 3.300 HP
    1 Turbina a Gas tipo Metrovik della potenza di 4.500 HP
    3 Eliche. Quelle laterali a pale orientabili con manovra centralizzata. Elica centrale a pale fisse.
    L’armamento era “convertibile”, ovvero poteva assumere con poche ore di preavviso una delle seguenti 4 configurazioni:

    3 mitragliere da 40/70 mm;
    2 mitragliere da 40/70 mm – 1 lanciarazzi da 105 mm;
    1 mitragliera da 40/70 mm – 4 tubi lanciasiluri da 533 mm;
    1 mitragliera da 40/70 mm – ferroguide per 8 mine di profondità.
    Le altre caratteristiche tecniche erano:

    Dislocamento 190 ton.;
    Lunghezza 41,4 m.;
    Larghezza 6,3 m.;
    Velocità 28 a motori superiore ai 39 nodi a turbina;
    Autonomia 860 miglia.

    Cerco notizie sull’equipaggio del Cacciatorpediniere Lampo: cosa fare?
    Pubblicato il 8 giugno 2015
    di Claudio53

    Egregio sig. Ezio,
    Le mie notizie in merito allo zio della Signora Maria Elena sono le seguenti:
    “Sottocapo Elettricista Raiteri Francesco nato a Mirabello Monferrato il 30/01/1924 disperso a seguito dell’affondamento del Cacciatorpediniere Lampo avvenuto il 16/04/1943 a 6 miglia per 080° da Ras Mustapha (Tunisia)”
    In merito alla richiesta sulla possibilità di trovare l’elenco dei superstiti del Cacciatorpediniere Lampo affondato (per ben due volte) durante la Seconda Guerra Mondiale le rappresento che non è cosa semplice e generalmente tali elenchi non sono conservati negli Archivi degli Uffici Storici.
    Il Lampo era un Cacciatorpediniere il cui equipaggio, in base ai dati di progetto della nave, doveva essere di 175 uomini. In tempo di guerra il numero del personale destinato a bordo di una nave era, comunque, leggermente superiore in modo tale che eventuali assenze (ad esempio per malattie) non facessero diminuire le capacità belliche dell’Unità. Infatti, sul Lampo durante il primo affondamento avvenuto il 16 aprile 1941 erano imbarcati n° 205 militari e nel secondo affondamento avvenuto il 30 aprile 1943 n° 213.

    Premesso quanto sopra, in merito al numero del personale imbarcato, occorre ora evidenziare che l’equipaggio su una nave non era, e non è oggi, fisso ma è in continuo cambiamento in percentuali annui che si aggirano intorno al 20-30% del totale del personale imbarcato. Tale politica era mantenuta anche in guerra in percentuali non molto diverse, peraltro durante il conflitto oltre alle normali necessità di alternanza di militari si sommavano anche le esigenze di reintegrare le eventuali perdite di vite umane, come nel caso del Lampo che dopo il primo affondamento fu recuperato, riparato e tornato in attività operativa ed affondato una seconda volta.
    Ritornando ora alla richiesta, se ci sono elenchi dei sopravvissuti, la risposta non può che essere un “forse” poiché l’unica certezza può avvenire solo attraverso la visione della documentazione conservata presso l’Ufficio Storico della Marina. Premesso che alla prima favorevole occasione in cui mi sarà possibile recarmi all’ufficio Storico della Marina controllerò nella pratica dell’Unità (non sono un “romano”), non credo che siano disponibili documenti amministrativi della forza giornaliera dell’epoca. In definitiva, è abbastanza difficile che si trovi un elenco di tutto l’equipaggio poiché cambiava con frequenza e non è un argomento che storicamente sia importante (di solito si conservano attività operativa, inchieste, relazioni, sinistri, deceduti, ecc…). All’epoca poi non esistevano sistemi informatici.

    A livello Comandi ed Enti del Ministero Difesa si possono reperire solo documenti relativi al singolo militare e non agli equipaggi dell’epoca. Stiamo parlando di un equipaggio il cui personale più giovane avrebbe oggi circa 90 anni. Nella speranza che molti siano ancora in vita, le strade che suggerisco di percorrere affinché qualcuno risponda “presente” o che qualche familiare lo faccia in suo ricordo, potrebbero essere le seguenti:

    rivolgersi alla Associazione Marinai d’Italia in modo da verificare la possibilità di diffondere la richiesta a tutte le delegazioni su territorio nazionale, o pubblicarla sul periodico che si invia ai soci;
    partecipare a forum di siti specializzati come lavocedelmarinaio, cimeetricee, pietrigrandeguerra, betasom, ecc…, in modo da verificare se qualcuno ha già chiesto notizie su nave Lampo (per esempio un “frequentatore” della vocedelmarinaio ha già scritto per ricordare un caduto del Lampo);
    verificare su facebook se esiste un gruppo “Lampo” (ho già controllato e non c’è);
    controllare se qualcuno ha scritto un libro sulla nave attraverso il sito nazionale delle biblioteche http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/base.jsp . In caso affermativo cercare di procurarselo nella speranza che contenga notizie utili (se il libro esiste vedere se è disponibile presso librerie o se non più in commercio impiegare siti specializzati su Internet: ebay, Amazon, vialibri, Maremagun, Abebooks, ed altri);
    Qualora si cerchino notizie ed informazioni sui singoli militari ci si può rivolgere:
    per lo stato di servizio (solo per gli Ufficiali):
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale per il Personale Militare
    V Reparto – 12^ Divisione
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;
    per il foglio matricolare da cui trarre notizie relative alla vita militare del Caduto:
    Centro Documentale (ex Distretti Militari) e/o all’Archivio di Stato competente per territorio, in base alla provincia di nascita del Caduto;

    per la documentazione anagrafica (atto di nascita, atto di morte, ecc..):
    al Comune di nascita del Caduto;

    per le notizie/documenti relative alla definizione dello “status giuridico matricolare” di Caduto/Disperso in guerra e relativo inserimento nell’Albo d’Oro:
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati – III Reparto – 10^ Divisione Albo d’Oro – viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;
    per le vicende storiche del reparto/unità di appartenenza del Caduto:
    agli Uffici Storici dell’Esercito, della Marina Militare, dell’Aeronautica Militare e dell’Arma dei Carabinieri, i cui recapiti potranno essere reperiti sui rispettivi siti internet;
    per le onorificenze e le decorazioni relative al Caduto:
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale per il Personale Militare
    V Reparto – 10^ Divisione Ricompense ed Onorificenze
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma.
    Per notizie relative alle sepolture di militari deceduti, oltre quanto detto precedentemente, si può eseguire una ricerca sui database che sono disponibili su Internet all’indirizzo:
    http://www.difesa.it/Il_Ministro/CadutiInGuerra/Pagine/default.aspx
    oppure inviare una richiesta a mezzo posta ordinaria al seguente indirizzo:
    Ministero della Difesa
    Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
    Direzione Storico Statistica
    Via XX Settembre, 123/a – 00187 ROMA

    All’atto della compilazione della richiesta, verificare che la stessa contenga i dati anagrafici (data e luogo di nascita e paternità) del Caduto e i dati anagrafici ed i recapiti telefonici e la copia di un documento in corso di validità del richiedente, nonché precise indicazioni circa il grado di parentela con il Caduto ed i motivi posti a base della richiesta.

    oppure inviare la richiesta via e-mail al seguente indirizzo:
    info@albodorograndeguerra.it
    oppure, telefonare ai seguenti numeri telefonici per informazioni:
    0647355135 – 0647354990.

     

    Antonio Ritano
    a cura Francesco Melis (*)

    (Cagliari, 14.2.1914 – Mare, 16.4.1941)

    Antonio Ritano nasce a Cagliari il 14 febbraio 1914, era marinaio fuochista imbarcato sulla regia nave Lampo. Risultò disperso ne Mar Mediterraneo Centrale il 16 aprile 1941.

    di Roberto Tento (*)
    …i caduti sepolti in mare alle secche di Kerkenarh.
    La triste storia dei nostri marinai ritrovati dalla nave Ospedale “Epomeo” dopo due mesi. Non scrivo di certo come …Certo è la Guerra …mai piu’…

    regia cacciatorpediniere Lampo - www.lavocedelmarinaio.com

    Antonio Ritano nasce a Cagliari il 14 febbraio 1914, era marinaio fuochista imbarcato sulla regia nave Lampo. Risultò disperso ne Mar Mediterraneo Centrale il 16 aprile 1941.

    di Roberto Tento (*)
    …i caduti sepolti in mare alle secche di Kerkenarh.
    La triste storia dei nostri marinai ritrovati dalla nave Ospedale “Epomeo” dopo due mesi. Non scrivo di certo come …Certo è la Guerra …mai piu’…

    regia cacciatorpediniere Lampo - www.lavocedelmarinaio.com

    Gennaro Schettino
    di Antonio Cimmino e Claudio Confessore

    (Castellammare di Stabia, 4.9.1909 – Mare, 16.4.1941)

    Il Capo Cannoniere di 3^classe Gennaro Schettino nasce a Castellammare di Stabia il 4 settembre 1909.
    Imbarcato sul regio cacciatorpediniere Lampo, il 16 1aprile 1941 è scomparso  in mare (disperso).
    Furono 60 i marinai deceduti, si salvarono in 205.

    Basso D’Onofrio (Termoli, 24.9.1920 – Mare, 16.4.1941)
    a cura Vincenzo Campese (*)

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Pittori di mare,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    16.4.1941, le ultime ore di agonia della regia nave Luca Tarigo

    di Antonio Cimmino, Carlo Di Nitto e Alberto Fiaschi

    A LUCA BALSOFIORE E A QUELLI CHE NON FECERO RIENTRO ALLA BASE

    Giovane direttore di macchina nato ad Ischia, ferito durante il combattimento, invece di mettersi in salvo, si fece portare in plancia per morire insieme al suo comandante Pietro De Cristofaro, nell’affondamento dell’unità.
    Era il 16 aprile 1941.
    Luca Balsofiore e il regio cacciatorpediniere Luca Tarigo
    Capitano del Genio Navale (D.M.), nato a Forio d’Ischia l’11 gennaio 1906.
    Dopo il diploma di Capitano Marittimo conseguito presso l’Istituto Nautico di Napoli, Luca Balsofiore fu ammesso al Corso Ufficiali di complemento all’Accademia Navale di Livorno, nel giugno 1928 fu nominato Sottotenente Direzione Macchine.
    Trattenuto in servizio a domanda, nel 1930 fu promosso Tenente e nel 1937 venne nominato Capitano, prestando successivamente servizio su unità della Squadra Navale presso la Scuola Specialisti di Venezia, all’Accademia Navale di Livorno, presso il Comando Militare Marittimo Autonomo dell’Alto Adriatico, ed infine a Navalgenio di Genova.
    Partecipò alle operazioni militari in Spagna stando imbarcato sull’avviso scorta Pegaso e nel luglio 1939 imbarco quale Direttore di macchina sul regio cacciatorpediniere Luca Tarigo con il quale, il 16 aprile 1941, partecipò alla missione di scorta convogli che vide l’unità aspramente impegnata contro 4 unità similari inglesi.
    Nell’aspro combattimento che ne seguì e che culminò con l’affondamento del Luca Tarigo e del cacciatorpediniere inglese Mohawk silurato dallo stesso Tarigo, Luca Balsofiore benché gravemente ferito ed accecato da un colpo al viso volle essere accompagnato in plancia comando accanto al suo Comandante il C.F. Pietro De Cristofaro, e con lui scomparì tra i flutti nell’affondamento dell’unità.

    “alla memoria”
    Direttore d Macchina di silurante in servizio di scorta ad importante convoglio, durante improvviso durissimo combattimento notturno contro forze nemiche soverchianti, disimpegnava i propri incarichi con perizia, serena noncuranza del pericolo e fredda determinazione.
    Colpita irrimediabilmente l’unità, ferito a morte egli stesso, non pago di dare alla Patria anche la vita, volle compiere ancora un atto di sublime attaccamento al dovere, quello che doveva suggellare la sua eroica esistenza di prode Ufficiale.
    Incapace di muoversi per le gravi ferite, accecato da un colpo al viso, con forza d’animo sovraumana, vincendo atroci sofferenze, si faceva accompagnare sulla plancia per riferire di persona al Comandante sulle condizioni dell’apparato motore ormai sconvolto dall’offesa avversaria e per morire al fianco del suo superiore.
    Scompariva quindi in mare con la Nave, lasciando mirabile esempio di stoico coraggio, di sublime abnegazione, di spirito combattivo e di assoluta dedizione al dovere, spinta oltre ogni limite” (Mediterraneo Centrale, 16 aprile 1941) R.CT. TARIGO

    Altre decorazioni:
    Croce di Guerra al Valor Militare sul campo (Mediterraneo Centrale, 10 giugno 1940).

    Regio cacciatorpediniere Luca Tarigo
    Storia
    Unità classificata come “Esploratore leggero”appartenente alla classe Alvise Da Mosto, fu varata nei cantieri Ansaldo di Genova il 9 dicembre 1928 e consegnata alla Regia Marina il 16.11.1929. La sigla era TA, la bandiera di combattimento fu donata dal Comune di Genova.
    Dal 1938 fu classificato come cacciatorpediniere.
    La sua attività, dopo aver partecipato ad una crociera atlantica nel 1930 in appoggio alla prima trasvolata Italia-Brasile, si svolse tutta nel Mediterraneo. La sua ultima missione prese il via dal porto di Napoli il 13 aprile del 1941 come capo scorta di un convoglio denominato, appunto. “Tarigo” al comando del Capitano di Fregata Pietro De Cristofaro e formato da 4 mercantili tedeschi (Adana, Arta, Aegina, Iserlhon) e 1 motonave italiana (Sabaudia) scortate dai cacciatorpediniere Lampo e Baleno.
    Nel golfo di Gabes il convoglio fu avvistato, a mezzo del radar, dai cacciatorpediniere inglesi Jervis, Nubian, Mohawk e Janus che lo sottoposero ad un inteso fuoco di cannoni.
    Il convoglio fu distrutto ma l’eroismo del Sottotenente Ettore Bisagno che, aiutato dal Sottocapo silurista Adriano Marchetti, riuscì a portare in fondo al mare anche il Ct. Mohawk.
    Gli ufficiali morti sul Tarigo, così come ricorda una lapide posta nella cappella dell’Accademia Navale di Livorno, furono:

    – De Cristofaro Pietro;
    – Miliotti Mauro;
    – Radaelli Dante;
    – Minguzzi Luigi;
    – Arioli Arnaldo;
    – Giustini Virgilio;
    – Balsofiore Luca;
    – Fantasia Espedito.

    Dati tecnici
    – dislocamento: 2.658 tonnellate a pieno carico;
    – dimensioni, in metri, le seguenti: . lunghezza 107,7 fuori tutta, 10,2 di larghezza e 4,2 di immersione;
    – apparato motore: 4 caldaie tipo Odero a tubi d’acqua e 2 turbine Parson che, sviluppavano una potenza di 50.000 HP;
    – velocità di 38 nodi;
    – armamento: 6 cannoni da 120/50 mm. in tre impianti binati; 2 mitraglie da 40/39mm a.a.; 4 mitraglie da 13,2 mm. a.a. in due impianti binati; 6 tubi lancia siluri da 533 mm. in due impianti trinati; sistemazione per la posa di campi minati;
    – equipaggio: 173 uomini di cui 9 ufficiali;
    – motto: “A voga arrancata, a spada tratta”.

    Espedito Giuseppe Fantasia, tenente del genio navale

    a cura Carlo Di Nitto (Presidente A.N.M.I. Gaeta)


    Disperso nell’affondamento del regio cacciatorpediniere Tarigo.
    
Mare Mediterraneo (Secche di Kerkenah – Tunisia), 16 aprile 1941.
    
(foto p.g.c. della Famiglia)


    Caro Ezio, per integrare eventualmente le tue pagine dedicate al “Tarigo” ti allego una fotografia inviatami qualche anno fa dalla famiglia Fantasia – Fronzuto. Raffigura alcuni degli Ufficiali del Tarigo ripresi con la loro “mascotte”. La fotografia, scattata durante una sosta a Palermo dell’Unità. In piedi da sinistra: il Cap. Luca BALSOFIORE, Direttore di Macchina, il T.V. CECCHI (sbarcato dal Tarigo poco prima dell’ultimo viaggio) e il Ten. Espedito FANTASIA, Vice Direttore di Macchina. In ginocchio da sinistra, con il cagnolino-mascotte: il S.T.V. Luigi MINGUZZI, il G.M. Domenico BALLA ed il S.T. Spartaco AMODIO.
    Tuo Carlo Di Nitto

    Capitano di fregata Pietro De Cristofaro
    Comandante napoletano, benché avesse una gamba amputata, riuscì ad affondare con i siluri il cacciatorpediniere inglese Mohawk, affondando con la sua nave (Regio cacciatorpediniere Tarigo) e il nemico sconfitto.
    Era il 16 aprile 1941 nel Canale di Sicilia.

    16.4.1941 – Le ultime ore Tarigo 
    di Alberto Fiaschi (per gentile concessione a www.lavocedelmarinaio.com) tratto dal libro “La straordinaria avventura del regio cacciatorpediniere Turbine” – DIRITTI RISERVATI DELL’AUTORE

    A seguito della caduta di Tobruk, il Turbine iniziò nuovamente a fare la spola tra i porti di Napoli, Palermo e Tripoli. Intanto, per disorientare la ricerca del nemico, si era cominciato a far percorrere ai convogli due rotte diverse. Una passava dallo Stretto di Messina ed a levante di Malta, l’altra dal canale di Sicilia e le secche di Kerkennah.
    La Pasqua del 1941 la trascorremmo in mare. Eravamo partiti da Tripoli il giorno 10 insieme al Saetta ed al Pegaso con destinazione Napoli e, quando giungemmo in vista dell’isola di Capri, il Comandante ordinò l’assemblea sul castello. Eravamo intorno a mezzogiorno; il mare calmissimo e la stupenda giornata rendevano la scena suggestiva e toccante, mentre tutti, tranne le vedette ed il personale di guardia, in assetto di guerra, ascoltavano le parole del Comandante che culminarono con la consueta recita della preghiera del marinaio. Poi ognuno tornò ordinatamente al proprio posto, mentre il pensiero di poter godere di alcuni giorni di relativa calma alleviava l’interminabile trascorrere di quelle poche ore che ci separavano dall’arrivo.
    Riuscimmo ad ormeggiare nel porto di Napoli nel tardo pomeriggio, mentre intanto si preparava a partire un altro convoglio.
    Verso le 21:30, infatti, cinque mercantili salparono alla volta di Tripoli per trasportare un contingente dell’Afrika Corps. Il convoglio, denominato “Tarigo” dall’unità capo scorta, era composto da quattro piccoli piroscafi tedeschi (Adana, Arta, Aegina, Iserlhon) e da una motonave italiana, il Sabaudia; le navi tedesche erano cariche di truppe, mentre il Sabaudia trasportava munizioni di fabbricazione tedesca; la scorta era composta dai Cacciatorpedinieri Lampo, Baleno e Tarigo.
    Quei pochi giorni di sosta a Napoli trascorsero assai velocemente, mentre intanto, dalle scarse informazioni trapelate, nessuno poteva immaginare quale tragedia si fosse effettivamente consumata proprio su quella stessa rotta che avremmo dovuto percorrere di lì a poco.
    Partimmo da Napoli nella tarda serata del 21 per scortare a Tripoli un convoglio formato dai piroscafi Giulia e Arcturus e dalle motonavi Leverkusen e Castellon. Come scorta, insieme a noi, c’erano i Cacciatorpedinieri Folgore, Strale e Saetta.
    Nessuno ci avvisò che, lo stesso 21 aprile, l’incrociatore Giovanni dalle Bande Nere era uscito in mare, insieme al Cadorna, allo Scirocco ed al Maestrale, per scortare a distanza il nostro convoglio, forse proprio per scongiurare un’altra tragedia come quella del Tarigo e della quale eravamo quasi completamente ignari.
    Nella notte ci fu ordinato di rifugiarci a Palermo dove giungemmo alle 08:30 del mattino dopo. Ripartimmo da Palermo alle 13:35 e la navigazione proseguì tranquilla fino a quando non giungemmo nei pressi di Marettimo, poco prima della mezzanotte, dove il convoglio venne attaccato da un sommergibile.
    Il Turbine si fermò nella zona per dare la caccia e riversò un gran numero di bombe nel punto dove presumibilmente doveva trovarsi l’unità nemica. Poi, visto che non si era ottenuto alcun risultato, dirigemmo a tutta velocità verso il convoglio che nel frattempo aveva proseguito lungo la rotta stabilita. Lo raggiungemmo dopo circa un’ora.
    Il 23 aprile 1941 avevamo ormai lasciato Pantelleria e la navigazione era proseguita abbastanza tranquilla. Ormai ci eravamo abituati ad avvistare le mine vaganti che, specialmente dopo il mare in tempesta, potevano incrociare la nostra rotta e tutto l’equipaggio scrutava con costante apprensione la superficie dell’acqua: evidentemente la sola vedetta a prora estrema non bastava a tranquillizzarci. Quel giorno, infatti, ne avevamo avvistate un gran numero, forse più del solito, e nel primo pomeriggio incontrammo anche un grande veliero. Per sicurezza fu deciso di abbordarlo, ma l’ispezione effettuata da una pattuglia improvvisata non riscontrò irregolarità e lo lasciammo andare. Poco dopo fu nuovamente segnalata la presenza di un sommergibile nemico, così la nave accostò bruscamente dirigendo a tutta forza verso il luogo di avvistamento: la caccia era iniziata! Le tramogge di poppa cominciarono a rilasciare le prime bombe, ma dovemmo subito prendere atto che non potevano esplodere a causa del basso fondale ed il sommergibile riuscì a fuggire; ci accorgemmo così che stavamo avvicinandoci alle secche di Kerkennah, situate a circa 200 chilometri da Tripoli.
    Verso le 16:30, furono avvistate le sagome di due navi arenate, una delle quali venne immediatamente identificata come il Cacciatorpediniere Lampo, l’altra era un piroscafo.
    Con grande angoscia dovemmo constatare che quelli erano i resti del convoglio che ci aveva appena preceduti, partito da Napoli proprio la sera del nostro arrivo. Poco più avanti, gli alberi di altri due piroscafi sporgevano dall’acqua. Mentre la nave, quasi fosse un segno di rispetto, aveva rallentato la sua corsa per disporsi in linea di fila, chi poteva farlo scrutava silenziosamente il mare con un nodo alla gola e le braccia puntate sulla battagliola; gli altri ancor più vigili, se mai fosse possibile, scrutavano ogni dove in attesa di un altro attacco.
    Ed ecco, ancora più in là, grazie al basso fondale ed alla straordinaria trasparenza del mare calmissimo, si vedeva chiaramente il Cacciatorpediniere Tarigo affondato. Circa 500 metri più avanti individuammo il relitto del Cacciatorpediniere inglese Mohawk, un grosso caccia della classe Tribal, di oltre 2000 tonnellate di dislocamento lungo 115 mt.
    Il destino ci aveva fatto passare in quelle acque qualche giorno più tardi e mai avremmo potuto immaginare di essere in leggero anticipo con un altro terribile appuntamento, perché se il nostro convoglio fosse passato di lì solo tre o quattro giorni dopo, avrebbe potuto incappare nell’agguato del micidiale sommergibile Upholder, che tanti danni provocò alle nostre navi.
    Il 21 aprile, infatti, l’Upholder era nuovamente salpato alla volta delle secche di Kerkennah e durante la navigazione il comandante Wanklyn aveva ricevuto l’ordine d’impedire il recupero di un mercantile tedesco ed un cacciatorpediniere italiano, “probabilmente arenatisi sulle secche nella notte tra il 15 ed il 16 aprile”. Si trattava ovviamente dell’Arta e del Lampo.
    Non ebbe la nostra stessa fortuna il piroscafo Antonietta Lauro, di 5428 tonnellate, che il 25 aprile fu attaccato dall’Upholder con un siluro lanciato da soli 500 metri di distanza. L’Antonietta Lauro era proprio la nave che aveva recuperato i superstiti del Tarigo: affondò 6 ore dopo.
    Proseguendo nella sua missione, l’Upholder arrivò in vista della motonave Arta all’alba del giorno 27, ma preferì effettuare una ricognizione della zona ed attendere l’oscurità prima di abbordare lo spettrale mercantile. Il Turbine era passato di lì appena tre giorni prima. Il mercantile tedesco, quasi completamente allagato, era carico di veicoli destinati all’Afrika Korps e l’equipaggio dell’Upholder ebbe la possibilità di far man bassa di mappe, documenti, armi leggere ecc. Dopo aver incendiato la nave si diresse subito verso il Lampo per silurarlo, ma nel manovrare s’incagliò nei bassi fondali. Quando riuscì a liberare lo scafo, forse spaventato dallo scampato pericolo, ma più verosimilmente in segno di rispetto per quella nave divenuta ormai un sacrario per tanti disgraziati marinai, il comandante Wanklyn decise di allontanarsi subito verso il mare aperto ed abbandonare il relitto del Lampo.
    Il Convoglio Tarigo fu forse il primo ad essere distrutto dalle forze navali inglesi, probabilmente a causa di un cambio di strategia del Comando Navale cui dovette adeguarsi anche il Turbine. Questo cambio di strategia avvenne a ridosso della famigerata “notte di Taranto”, l’11 novembre 1940, e fu quasi certamente originato dall’impatto psicologico di aver subito una così terribile disfatta con la massima facilità da parte del nemico; quando “tutti i fagiani erano nel nido”, come disse l’ammiraglio Cunningham. In quell’attacco ci furono 85 morti, di cui 55 civili, e 581 feriti; sette navi da guerra furono gravemente danneggiate, tra le quali le navi da battaglia Conte di Cavour, Littorio e Caio Duilio, e diverse navi mercantili.
    Il bollettino di guerra n. 158 aveva detto:
    “Il Quartier generale delle Forze Armate comunica in data 12 novembre:
    (…) Nelle prime ore della notte sul 12, aerei nemici hanno attaccato la base navale di Taranto. La difesa contraerea della piazza e delle navi alla fonda ha reagito vigorosamente. Solo un’unità è stata in modo grave colpita. Nessuna vittima (…)

    La responsabilità di quel convoglio partito da Napoli il 13, giorno di Pasqua, e di migliaia di uomini era stata affidata al Capitano di Fregata De Cristofaro, comandante del Tarigo; un signore napoletano dal carattere gentile, quasi timido, e dall’incedere imperfetto a seguito di un grave incidente aereo che gli aveva compromesso il senso dell’equilibrio. L’incidente era avvenuto il 27 agosto 1927 nelle acque di Fiume, mentre era a bordo come osservatore di un Savoia-Marchetti S.59 bis, idrovolante biplano della 188a Squadriglia R.M.. Il Comandante del cacciatorpediniere Lampo era il Capitano di Vascello Marano ed il Comandante Baleno era il Capitano di Vascello Arnaud. I due caccia avevano sostituito lo Strale e l’Euro originariamente assegnati alla missione.
    Quando il convoglio partì, l’Asse era già al corrente dell’arrivo di quattro nuovi cacciatorpedinieri a Malta e la sera dello stesso giorno, fu richiesto l’intervento del CAT (denominazione italiana per la Luftwaffe in Sicilia).
    Fino all’altezza dell’isola di Marettimo la navigazione era proseguita regolarmente ad una velocità media di circa 10 nodi, poi il tempo aveva cominciato a peggiorare mentre si alzava un forte vento di scirocco. Alcuni piroscafi e le unità leggere della scorta avevano cominciato a perdere contatto con i caccia a causa del mare agitato e della ridotta visibilità dovuta alla pioggia insistente. Il convoglio ormai sbandato fu ricomposto solo nella tarda mattinata del 15, quando ormai si erano perdute ore preziose che non avrebbero più consentito di rispettare il piano operativo, e proprio in quel giorno fu avvistato dalla ricognizione aerea inglese. Intorno alle 13, infatti, la scorta avvistò un ricognitore britannico e l’allarme fu immediatamente dato a Supermarina. L’aereo britannico seguì il convoglio per circa un’ora e, intorno alle 14, inviò una nuova comunicazione alla base che fu intercettata da Supermarina. Allora l’alto comando navale chiese immediata assistenza a Superaereo (l’alto comando dell’aeronautica) che ordinò l’immediato decollo di due SM 79; ma solamente uno riuscì ad alzarsi in volo e, alle 18:45, il comando navale fu informato che, a causa del maltempo, l’aereo era stato costretto a tornare alla base. Poiché la velocità del vento era stata stimata in oltre 80 km/h, il comando navale ritenne necessario un cambiamento di rotta ed ordinò al Tarigo di passare la boa n° 4 delle secche di Kerkennah per poi proseguire lungo la costa. Dopo due giorni di navigazione, alle 2 di notte del 16 aprile, la formazione transitava tra la boa n° 2 e la boa n° 3 delle secche di Kerkennah, mentre avrebbe dovuto transitare in quel tratto nelle ore diurne del giorno precedente per poter fruire della scorta e della ricognizione aerea. Quel ritardo aveva notevolmente favorito gli inglesi che preferivano scontri navali notturni a causa della loro preponderante superiorità tecnica, visto che tre dei quattro cacciatorpedinieri britannici che parteciparono all’azione erano dotati dei più recenti modelli di radar.
    I Cacciatorpedinieri britannici Jervis, Nubian, Mohawk e Janus erano usciti da Malta all’imbrunire del 15, calcolando che avrebbero potuto intercettare il convoglio nelle prime ore del 16. Mancando la ricognizione, infatti, nessuno avrebbe potuto sapere della presenza delle navi britanniche in quella zona. I cacciatorpedinieri inglesi giunsero nel punto stabilito con un certo anticipo e cominciarono ad incrociare spazzolando la zona con il radar, uno strumento che non solo non avevamo, ma nemmeno supponevamo che lo avessero gli inglesi (eppure lo scontro di Matapan, avvenuto pochi giorni prima non poteva lasciare dubbi). Poco prima delle due il convoglio apparve sullo schermo radar del Nubian e pochi minuti dopo anche il Jervis ne rilevò la presenza ad una distanza di circa 6 miglia. Le forze britanniche avevano ombreggiato il convoglio per più di 20 minuti e la posizione di tutte le navi era stata identificata accuratamente dal radar il cui uso sarebbe stato successivamente confermato anche dal resoconto del Nubian. Tutte la navi britanniche avevano acquisito i propri bersagli, ma non attaccarono; cominciarono solo a disporsi in coda al convoglio.
    Forse sapendo che la zona era minata, attesero invisibili che il convoglio si disponesse in linea di fila, manovrando in modo che le sagome dei loro bersagli si stagliassero all’orizzonte con la luna alle spalle. Per disporsi in linea di fila, il Tarigo e gli altri due caccia di scorta avrebbero dovuto necessariamente modificare la propria posizione e ridurre la velocità, aumentando così la vulnerabilità del convoglio proprio mentre si stava allungando. Grazie al radar i caccia britannici non correvano alcun rischio di perdere i loro bersagli e si dispiegarono per l’attacco in tutta tranquillità.
    Alle ore 02:20 dal Tarigo avvistarono una serie di vampe in coda alla formazione. Il convoglio era stato attaccato e non avrebbe più raggiunto la boa n° 4. Fu subito dato il segnale di posto di combattimento e, solo mentre l’equipaggio si preparava alla battaglia, si poté stabilire che si trattava di un attacco navale. Il primo obiettivo degli inglesi furono sicuramente i caccia di scorta. Il Lampo ed il Baleno, attaccati più da vicino e per primi, furono sommersi da una valanga di fuoco ancor prima di sapere dove si trovasse il nemico, mentre dal Trigo potevano solo scorgere le scie dei proiettili traccianti ed udire i primi rombi delle cannonate. Anche i mercantili vennero immediatamente colpiti. Il Sabaudia, carico di munizioni, esplose con un enorme boato pochi minuti dopo il primo colpo; due piroscafi tedeschi, l’Aegina ed l’Iserlhon, si incendiarono e cominciarono ad affondare; l’Arta e l’Adana, gravemente danneggiati, si diressero verso i bassi fondali.
    Ignorando che gli inglesi lo avrebbero comunque visto col radar, il comandante del Baleno, Capitano di Corvetta Giuseppe Arnaud, aveva già deciso il sacrificio della sua nave, cercando di interporsi fra gli inglesi ed il convoglio per poter occultare le cinque navi con una cortina fumogena. Aveva appena gridato l’ordine di fare fumo, quando una salva devastò la nave uccidendo tutti gli ufficiali di vascello tranne uno. Il Baleno s’incendiò subito e cominciò ad andare alla deriva; i cannoni avevano smesso di sparare.
    Nella motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare fu scritto che il Capitano di Corvetta Giuseppe Arnaud “colpito a morte al posto di comando, lacerato e torturato nella carne, ma non piegato nell’anima dritta e forte, impartiva ancora ordini per il combattimento, mentre intorno a lui tutto era in fiamme e in rovina. L’ufficiale che gli stava vicino, insieme al suo ultimo respiro raccoglieva le sue ultime parole: viva l’Italia! Così in morte come in vita egli era magnifico esempio delle più alte virtù militari e delle più belle tradizioni della gente di mare”.
    Il Lampo tentò di attaccare zigzagando, ma fu subito centrato da colpi tremendi che lo trasformarono in un rogo. Le esplosioni sbalzarono ovunque i corpi dei poveri marinai, alcuni furono orribilmente mutilati; le vampe, l’enorme calore e lo spostamento d’aria li avevano denudati, privandoli di qualsiasi peluria… poi le fiamme fecero il resto.
    Annientate due navi su tre a difesa del convoglio, la sorte delle navi mercantili era segnata: di certo con le mitragliere di bordo non avrebbero potuto opporsi ai micidiali cannoni inglesi. L’Arta, sebbene continuasse a galleggiare, era ormai un relitto carico di morti e tentò la via della secca.
    Mentre l’Adana e l’Aegina stavano affondando e la benzina del loro carico si riversava ovunque incendiata, trasformando la superficie della secca in un mare di fiamme, un caccia britannico scaricava un’ultima bordata da distanza ravvicinata contro l’Iserlohn che stentava ad andare a picco, provocando un’ecatombe tra i soldati tedeschi imbarcati.
    Intanto sul Tarigo il Comandante De Cristofaro, resosi subito conto della tragedia in atto, non aveva avuto esitazioni, dimostrando un ardimento che certo non si sarebbe potuto ipotizzare osservando i suoi modi garbati. Il caccia eseguì una violenta accostata per invertire la rotta e precipitarsi in coda al convoglio.
    Timone a sinistra, macchine avanti tutta.
    Nel buio della notte per De Cristofaro gli unici riferimenti erano le vampe dei cannoni e le scie dei traccianti, mentre gli inglesi con il radar potevano vedere tutto; ed infatti l’accostata non era ancora finita che i primi tremendi colpi investirono il Tarigo provocando subito gravi avarie. Il Comandante De Cristofaro ebbe la gamba destra asportata; il timone non rispondeva più, la centrale di tiro era inutilizzabile, lo scafo presentava ampi squarci e molte armi erano già fuori uso. Le salve successive distrussero il complesso lanciasiluri di centro ed il complesso d’artiglieria prodiero, già ridotto ad una sola canna; incendiarono la plancia, fecero scoppiare le riservette, distrussero la caldaia n. 3. La nave si fermò.
    Il Direttore di macchina, Cap. G.N. Luca Balsofiore, come si leggerà nella motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferitagli alla memoria, gravemente ferito ed accecato da un colpo al viso, si fece condurre dal Comandante, forse per dirgli che sulle macchine non si poteva più contare, forse per morirgli accanto.
    Intanto il Sottotenente di Vascello Bisagno si era subito accorto che la nave che si stava avvicinando era un incrociatore nemico. Nel profilo che si stagliava nel buio della notte, infatti, ebbe la possibilità di scorgere una delle torri, quindi non poteva essere una delle nostre navi. Bisagno era un ufficiale torpediniere, cioè addetto ai siluri, così, senza esitare, ordinò subito di preparare i tubi di lancio dell’unico complesso trinato rimasto integro. Introdusse velocemente i dati stimati nel teleinclinometro, poi dette l’ordine:
    – Fuori uno! Fuori due! Fuori tre!
    Ma l’angolo di brandeggio non arrivò al complesso lanciasiluri: non poteva sapere che le cannonate avevano ormai interrotto i collegamenti impedendo anche il lancio dei siluri. Non erano passati che pochi secondi e l’incrociatore era già fuori tiro, accompagnato dalla delusione e dal dolore dei marinai che l’osservavano.
    Il Tarigo insisteva comunque nella manovra d’attacco continuando il fuoco con il complesso di poppa. L’interno della plancia era completamente in rovina. Seduto per terra, appoggiato a una paratia, il Comandante si era fasciato il moncherino della gamba destra con un camisaccio, facendosi stringere un laccio per bloccare la copiosa emorragia, e continuava ad impartire ordini, ma i telegrafi di macchina erano distrutti e la ruota del timone girava a vuoto, perché le trasmissioni erano troncate. Allora alcuni marinai, sebbene feriti e tumefatti, si precipitarono ad azionare la ruota di governo di poppa, ma la nave colpita dappertutto, imbarcava acqua e cominciò a sbandare. I complessi d’artiglieria erano ormai tutti fuori uso. Il Sottocapo silurista Marchetti, ferito e coperto di sangue, aveva faticosamente raggiunto la poppa risparmiata dagli incendi dove si era radunato anche un piccolo gruppo di superstiti e non aveva mai smesso di osservare la sagoma di una nave che si profilava minacciosa poco distante.
    – Quello ci vuole colare a picco! Esclamò, indicando il cacciatorpediniere britannico a tratti illuminato dalle vampe dei propri cannoni.
    Si trattava dell’HMS Mohawk che, in realtà, sfilando a mezzo chilometro dal nostro caccia, stava attaccando una nave trasporto tedesca.
    Intanto Ettore Bisagno, ferito gravemente, non si era ancora arreso. Nonostante due grosse schegge gli stessero dilaniando una coscia, salì sul complesso dei tubi di lancio rimasto ancora integro per effettuare il puntamento e togliere le sicurezze. Il silurista Marchetti lo vide e corse ad aiutarlo insieme agli altri. Sapeva che non c’era corrente e che avrebbero dovuto brandeggiare a mano il complesso; impartì le opportune disposizioni ai compagni; alcuni si appoggiarono con forza ai tubi di lancio per agevolarne il brandeggio, mentre Bisagno, seduto sul sedile di puntamento, cercava d’indovinare la mira, perché il sistema di puntamento era inservibile. Bisagno sperava, tutti speravano, e sussurrò ancora un volta quell’ordine:
    – Fuori uno! Fuori due! Fuori tre!
    La deflagrazione delle cariche di lancio appena si udì nel tumulto della battaglia; i siluri si tuffarono in mare senza incertezze in direzione della nave nemica e forse sul Mohawk li avevano già dati per spacciati, perché non accennarono a manovrare per evitarli e continuarono a sparare sul mercantile tedesco provocando enormi danni ed incendi.
    Il primo siluro sfiorò l’unità nemica senza colpirla, ma il secondo colpì la poppa del cacciatorpediniere britannico con un’esplosione devastante impedendogli di manovrare; gli addetti al lanciabombe di profondità ed il reparto di munizionamento furono tutti uccisi; la nave si fermò. Il terzo siluro la colpì a babordo, tra i locali caldaia n. 2 e n.3; la caldaia n. 3 esplose e lo scoppio provocò gravissime ustioni anche al personale sul ponte, perché si era aperta una crepa nella mezzeria del ponte superiore che fece precipitare i tubi lanciasiluri nella sala macchine facendola esplodere. L’HMS Mohawk cominciò subito ad affondare, ma, quando la poppa toccò il fondo, la prua continuava ancora a galleggiare.
    Mentre il Nubian raccoglieva i sopravvissuti, incredibilmente fu ordinato all’HMS Janus di affondare il cacciatorpediniere agonizzante e dal Janus eseguirono l’ordine sparando sulla prua del Mohawk con i cannoni da 4,7 pollici. Il Mohawk affondò in posizione 34 ° 56’N, 11 ° 42’E.
    Forse dalla poppa del Tarigo non si vide dove fossero finiti i siluri, ma dalla plancia il Comandante De Cristofaro, ormai allo stremo delle forze, con il moncherino legato alla meglio, spossato e dilaniato dalle ferite, poté assistere alla fine dell’unità nemica. Poi una nuova scarica di colpi investì il cacciatorpediniere già prossimo alla fine. S’incendiò la nafta nei depositi, cominciarono ad esplodere le munizioni. Nonostante l’incontenibile desiderio di salvarsi, prima di mettere in mare la zattera i superstiti si misero sull’attenti per un estremo saluto, mentre il Comandante ordinava l’abbandono nave. Il Tarigo sbandava sempre più. Stava per affondare, ma restava ancora qualcosa da fare. Sfidando il fuoco che aveva invaso la parte centrale della coperta, il più giovane degli ufficiali di bordo riuscì a raggiungere il cofanetto in cui era custodita la Bandiera di Combattimento: era il guardiamarina Arnaldo Arioli. Come si leggerà nella motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferitagli alla memoria, “quando la nave, resa un groviglio informe e in fiamme, stava per inabissarsi, egli con atto di epica bellezza, in un impeto di passione e ardore, con rischio grandissimo scendeva nel quadrato Ufficiali per mettere in salvo la bandiera di combattimento, che si avvolgeva intorno al petto nel supremo intento di riportarla in patria o di morire con essa. E come eroe delle antiche leggende, egli, il più giovane e il più puro fra gli ufficiali di bordo scompariva in mare, stringendosi sul cuore il pegno altissimo del suo entusiasmo e della sua fede”.
    I feriti vennero aiutati ad abbandonare la nave, qualcuno si gettò nell’acqua gelida. Così come vuole la tradizione, gli ultimi a lasciare il caccia furono i più anziani fra gli Ufficiali rimasti, il S.T.V. Ettore Bisagno, il S.T. Spartaco Amodio ed il G.M. Domenico Balla. Il Sottocapo silurista Marchetti non c’era, andò a fondo con la nave; Balla fu l’unico che sopravvisse alla guerra. Mentre il cacciatorpediniere di De Cristofaro s’inabissava col suo Comandante, a breve distanza un proiettore inglese frugava nelle onde; era l’HMS Nubian che stava soccorrendo i superstiti del Mohawk: 43 uomini dell’equipaggio morirono o furono dati per dispersi. Poi la formazione britannica s’allontanò. Non osò finire né il Baleno né il Lampo e nemmeno l’Arta incendiati. Alle ore 03.00 il R. CT. Luca Tarigo compì il suo destino affondando 500 metri a sud della boa n° 3 delle secche di Kerkennah. Erano morti più di 1000 uomini, qualcuno disse 1800; 1248 soldati tedeschi furono salvati dalle navi italiane.
    L’affondamento del Mohawk da parte del Janus potrebbe essere stato giustificato anche dalla presenza a bordo di numerosi documenti e dei cifrari inglesi, di sicuro interesse per la nostra marina. Risulta infatti che, tra il 27 aprile ed il 7 Maggio, forze italiane comandate dal Capitano di Corvetta Eliseo Porta abbiano recuperato documenti di una certa importanza dal Mohawk e che questi tentativi di recupero siano stati ripetuti anche il 22 e 23 giugno. Secondo alcuni autori, le mappe dei campi minati rinvenute a bordo del Mohawk, furono essenziali al successo dell’azione della X.ma MAS contro Alessandria.
    I superstiti del Tarigo rimasero sulla zattera fino a tarda sera. Tra loro c’era anche il Sottotenente di Vascello Bisagno che, per quell’azione, fu decorato con Medaglia d’Argento al Valore Militare. (Eccezionale uomo di grande coraggio, gli sarebbe stata conferita anche la Medaglia d’Oro al Valor Militare quando, per le tremende ferite riportate nel corso di un’ardita azione al comando del suo MAS, morì il 21 giugno 1942). Molti erano scomparsi dopo l’affondamento ed altri morivano per le ferite o per il freddo. Poi quello che restava del gruppo dei sopravvissuti venne raccolto da una nostra nave mercantile, l’Antonietta Lauro, che più tardi li trasbordò sulla nave ospedale Arno e, solo sull’Arno, gli uomini del Tarigo seppero che il Mohawk era affondato. La scarsità dei fondali e la trasparenza dell’acqua avevano consentito alla ricognizione aerea di scorgere in fondo al mare, a mezzo chilometro dal relitto del Tarigo, il relitto del cacciatorpediniere inglese.
    Il mattino del 17, il Guardiamarina osservatore Alfonso Di Nitto, a bordo del suo ricognitore aveva annotato sul diario:
    “17 aprile – Giovedì (1941)
    Sciacca – Tripoli – Sciacca – Tripoli
    Sveglia ore 5.30 –
    In volo dalle 6h.30m. alle 10h.35m. da Sciacca a Tripoli –
    App. n° 195 1° pilota Cap. Paris –
    Avvistamenti:
    – Alle 8.20 2 cc.tt. (Lampo e Baleno) sulle secche di Kerkenah, un piroscafo affiancato da nave ospedale ed un piroscafo affondato con sola poppa emersa –
    – Alle 8.45 2 battelli di salvataggio con marinai a 10 mg. per 145 da Kerkenah –
    – Alle 8h.50m. 3 cc.tt. e 3 torp. con rotta N.
    – Alle 9h.20 una lancia di salv. con marinai

    – Alle 10.10 idro tedesco con rotta N
    In volo dalle 13 alle 16.25 da Tripoli a Sciacca –
    App. n° 195 Cap. Paris –
    Avvistamenti:
    – Alle ore 14h. nei pressi di Kerkenah 3 cc.tt. e 3 torp. (quelle della mattina), due piroscafi francesi e due navi nazionali ospedale -”

    I superstiti del Tarigo erano scampati alla morte ancora una volta, perché l’Antonietta Lauro fu affondata in quelle stesse acque dal sommergibile Upholder il 25 aprile.
    Questa la motivazione della medaglia d’Oro al Valor Militare conferita al Comandante De Cristofaro:
    “Ufficiale superiore di altissimo valore. Comandante di silurante in servizio di scorta ad un importante convoglio in acque insidiate dal nemico, prendeva tutte le disposizioni atte a garantire la sicurezza del convoglio affidatogli, assaliti la scorta e il convoglio improvvisamente da soverchianti forze navali nemiche la notte del 16 Aprile 1941, con serena e consapevole audacia conduceva immediatamente all’attacco la nave di suo comando. Crivellata la sua nave da colpi nemici, colpito egli stesso da una granata che gli asportava una gamba, rifiutava di essere trasportato in luogo più ridossato e solo concedeva che gli venisse legato il troncone dell’arto, non per vivere ma per continuare a combattere. Così egli rimaneva fino all’ultimo, fermo al suo posto di dovere e di onore e nella notte buia, illuminata a tratti dalle vampe delle granate e degli incendi, i suoi occhi che si spegnevano avevano ancora la visione di un’unità nemica che sprofondava nel mare, colpita dall’offesa della sua nave. E con questa egli volle inabissarsi, mentre i superstiti, riuniti a poppa lanciavano al nemico il loro grido purissimo di fede. Esempio sublime di indomito spirito guerriero, di coraggio eroico, di virtù di capo, di dedizione alla Patria oltre ogni ostacolo e oltre la vita”. (Mediterraneo Centrale, 16 Aprile 1941).

    Il Bollettino di Guerra nr. 316 del 18 aprile 1941 – XIX diceva:
    “Nella notte del 17, un nostro convoglio che trasportava materiali in Africa settentrionale, è stato attaccato da un forte reparto di incrociatori e cacciatorpediniere nemici. Nello scontro che ne è derivato, il cacciatorpediniere inglese Mohawk è stato affondato ed altri probabilmente danneggiati. Delle nostre tre siluranti di scorta, che hanno strenuamente difeso il convoglio, una è affondata e le altre due sono state danneggiate. Due piroscafi sono stati affondati e gli altri danneggiati. Gran parte degli equipaggi è stata salvata.(…)”

    Non ci eravamo ancora ripresi dalla tremenda visione dei poveri resti del convoglio che ci aveva preceduto, quando verso le 18 potemmo tirare un sospiro di sollievo nello scorgere gli incrociatori Giovanni dalle Bande Nere e Cadorna ed i Cacciatorpedinieri Scirocco e Maestrale che, evidentemente, ci stavano proteggendo da lontano. Le unità a protezione del convoglio furono nuovamente avvistate a metà mattina del giorno dopo, poi scomparvero alla nostra vista.

    Dello stesso autore sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/06/la-straordinaria-vita-di-rodolfo-fiaschi-e-lavventura-sul-regio-cacciatorpediniere-turbine/

    La straordinaria avventura del regio cacciatorpediniere Turbine (Alberto Fiaschi)

     

    Pietro De Cristofaro (napoli, 1.9.1900 – Mare, 16.4.1941)
    a cura Antonio Cimmino

    (Napoli, 1.9.1900 – Mare, 16.4.1941)

    Capitano di fregata Pietro De Cristofaro
    Comandante napoletano, benché avesse una gamba amputata, riuscì ad affondare con i siluri il cacciatorpediniere inglese Mohawk, affondando con la sua nave (Regio cacciatorpediniere Tarigo) e il nemico sconfitto.
    Era il 16 aprile 1941 nel Canale di Sicilia.

    Ufficiale superiore di altissimo valore. Comandante di silurante in servizio di scorta ad importante convoglio in acque insidiate dal nemico, prendeva tutte le disposizioni atte a garantire la sicurezza del convoglio affidatogli. Assaliti la scorta e il convoglio improvvisamente da soverchianti forze navali nemiche la notte sul 16 aprile 1941, con serena e consapevole audacia conduceva immediatamente all’attacco la nave di suo comando.
    Crivellata la sua nave da colpi nemici, colpito egli stesso da una granata che gli asportava una gamba, rifiutava di essere trasportato in luogo più ridossato e solo concedeva che gli venisse legato il troncone dell’arto, non per vivere ma per continuare a combattere. Così egli rimaneva fino all’ultimo, fermo al suo posto di dovere e di onore e nella notte buia, illuminata a tratti dalle vampe delle granate e degli incendi, i suoi occhi che si spegnevano avevano ancora la visione di un’unità nemica che sprofondava nel mare, colpita dall’offesa della sua nave.
    E con questa egli volle inabissarsi, mentre i superstiti, riuniti a poppa lanciavano al nemico il loro grido purissimo di fede. Esempio sublime di indomito spirito guerriero, di coraggio eroico, di virtù di capo, di dedizione alla Patria oltre ogni ostacolo e oltre la vita.
    Mediterraneo Centrale, 16 aprile 1941

    Nacque a Napoli il 1° settembre 1900. Allievo nella Regia Accademia Navale di Livorno dal 17 settembre 1914, nel 1919 conseguì la nomina a Guardiamarina, partecipando al primo conflitto mondiale sull’incrociatore Nave Scuola  Flavio Gioia.
    Promosso Sottotenente di Vascello il 17 marzo 1921 e Tenente di Vascello nel marzo 1924, ebbe varie destinazioni d’imbarco e, dal marzo 1928 all’aprile 1929, il comando del Distaccamento C.R.E.M. di Roma, che assunse dopo il grave incidente occorsogli il 27 agosto 1927 nelle acque di Fiume, mentre era a bordo come osservatore del “S. 59 bis” della 188a Squadriglia R.M..
    Dall’aprile 1929 al febbraio 1931 fu Ufficiale d’ordinanza di S.A. il Principe di Piemonte quindi, promosso Capitano di Corvetta il 1° dicembre 1932, ebbe il comando del cacciatorpediniere Tarigo, della torpediniera (ex CT) Cortellazzo e svolse per breve periodo l’incarico di Comandante in 2a sul cacciatorpedinere Daniele Manin.
    Destinato all’Ufficio del C.S.M. della Marina dal settembre 1935 al 1° giugno 1937, nello stesso mese raggiunse Tripoli dove prestò servizio presso il Comando Superiore FF.AA. dell’Africa settentrionale. Al suo rimpatrio imbarcò sull’Incrociatore Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi con l’incarico di Comandante in 2a e nel settembre 1939 prestò servizio presso il Comando della 5a Squadra Aerea.
    Nel novembre dello stesso anno ebbe il comando del cacciatorpediniere Luca Tarigo con il quale compì numerose scorte a convogli per l’Africa settentrionale.
    Alle ore 02.00 circa del 16 aprile 1941 il Luca Tarigo, in navigazione con gli altri due cacciatorpediniere della Squadriglia (Lampo e Baleno) per la scorta ad un convoglio di 5 piroscafi, venne avvistato di poppa dal radar dei cacciatorpediniere britannici Jervis, Nubian, Mohawk e Janus che sottoposero le unità italiane a preciso e centrato fuoco. Il Luca Tarigo ebbe a subire gravi avarie con ampi squarci allo scafo, i macchinari distrutti e la messa fuori uso delle armi, mentre il comandante Pietro De Cristofaro subì l’amputazione della gamba destra. In quelle drammatiche condizioni Pietro De Cristofaro ribadì l’ordine di attacco. L’armamento dell’unico complesso lanciasiluri ancora efficiente riuscì ad effettuare un lancio triplo, conseguendo l’affondamento del cacciatorpediniere britannico Mohawk. Poco dopo il Luca Tarigo, nuovamente colpito, affondava e con esso il comandante De Cristofaro.
    Altre decorazioni:

    • Medaglia di Bronzo al Valore Militare sul campo (Mare Mediterraneo, giugno 1940 – aprile 1941);
    • Croce di Guerra al Valore Militare sul campo (Acque di Tripoli, settembre 1940

    Luca Balsofiore (Forio D’Ischia, 11.1.1906 – Mare, 16.4.1941)
    di Antonio Cimmino

    (Forio D’Ischia, 11.1.1906 – Mare, 16.4.1941)

    A LUCA BALSOFIORE E A QUELLI CHE NON FECERO RIENTRO ALLA BASE

    Giovane direttore di macchina nato ad Ischia, ferito durante il combattimento, invece di mettersi in salvo, si fece portare in plancia per morire insieme al suo comandante Pietro De Cristofaro, nell’affondamento dell’unità. Era il 16 aprile 1941.


    Capitano del Genio Navale (D.M.), nato a Forio d’Ischia l’11 gennaio 1906.
    Dopo il diploma di Capitano Marittimo conseguito presso l’Istituto Nautico di Napoli, Luca Balsofiore fu ammesso al Corso Ufficiali di complemento all’Accademia Navale di Livorno, nel giugno 1928 fu nominato Sottotenente Direzione Macchine.
    Trattenuto in servizio a domanda, nel 1930 fu promosso Tenente e nel 1937 venne nominato Capitano, prestando successivamente servizio su unità della Squadra Navale presso la Scuola Specialisti di Venezia, all’Accademia Navale di Livorno, presso il Comando Militare Marittimo Autonomo dell’Alto Adriatico, ed infine a Navalgenio di Genova.
    Partecipò alle operazioni militari in Spagna stando imbarcato sull’avviso scorta Pegaso e nel luglio 1939 imbarco quale Direttore di macchina sul regio cacciatorpediniere Luca Tarigo con il quale, il 16 aprile 1941, partecipò alla missione di scorta convogli che vide l’unità aspramente impegnata contro 4 unità similari inglesi.
    Nell’aspro combattimento che ne seguì e che culminò con l’affondamento del Luca Tarigo e del cacciatorpediniere inglese Mohawk silurato dallo stesso Tarigo, Luca Balsofiore benché gravemente ferito ed accecato da un colpo al viso volle essere accompagnato in plancia comando accanto al suo Comandante il C.F. Pietro De Cristofaro, e con lui scomparì tra i flutti nell’affondamento dell’unità.

    “alla memoria”
    Direttore d Macchina di silurante in servizio di scorta ad importante convoglio, durante improvviso durissimo combattimento notturno contro forze nemiche soverchianti, disimpegnava i propri incarichi con perizia, serena noncuranza del pericolo e fredda determinazione.
    Colpita irrimediabilmente l’unità, ferito a morte egli stesso, non pago di dare alla Patria anche la vita, volle compiere ancora un atto di sublime attaccamento al dovere, quello che doveva suggellare la sua eroica esistenza di prode Ufficiale.
    Incapace di muoversi per le gravi ferite, accecato da un colpo al viso, con forza d’animo sovraumana, vincendo atroci sofferenze, si faceva accompagnare sulla plancia per riferire di persona al Comandante sulle condizioni dell’apparato motore ormai sconvolto dall’offesa avversaria e per morire al fianco del suo superiore.
    Scompariva quindi in mare con la Nave, lasciando mirabile esempio di stoico coraggio, di sublime abnegazione, di spirito combattivo e di assoluta dedizione al dovere, spinta oltre ogni limite” (Mediterraneo Centrale, 16 aprile 1941) R.CT. TARIGO

    Altre decorazioni
    Croce di Guerra al Valor Militare sul campo (Mediterraneo Centrale, 10 giugno 1940).

    Armando Varchetta (Olbia, 20.1.1921 – Mare (Tarigo), 16.4.1941)
    a cura Marinaio di Spirito Santo
    (Olbia, 20.1.1921 – Mare (Tarigo), 16.4.1941)

  • Attualità,  Curiosità,  Marinai,  Naviglio,  Pittori di mare,  Recensioni,  Storia

    Le superstizioni dei marinai

    di Antonio Cimmino

    Le superstizioni dei marinai
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    …a Donato e Claudio per il prezioso suggerimento e per la profonda stima e amicizia.

    Ma i marinai sono superstiziosi? Proverbialmente sembra proprio di si e per menzionare tutte le loro superstizioni bisognerebbe scrivere un’enciclopedia. La storia della marineria è intrisa di riti scaramantici ancora oggi diffusi.

    Stregonerie, esorcismi, rituali pagani e religiosi erano e sono il pane quotidiano di capitani e marinai sempre attenti a non sfidare le regole della fortuna e ingraziarsi, con riti propiziatori, la benevolenza degli elementi naturali. Di natura irrazionale, le superstizioni possono influire sul pensiero e sulla condotta di vita delle persone che le fanno proprie. Il credere che gli eventi futuri siano influenzati da particolari comportamenti, senza che vi sia una relazione casuale, vengono da molto lontano. La paura dell’ignoto e dell’immensità degli oceani ha generato sin dagli albori della navigazione una fitta serie di credenze. Per secoli miti e leggende sono stati tramandati a colmare col soprannaturale, quel vuoto che la razionalità ancora non riusciva a riempire. In Grecia, per esempio, si compivano sacrifici umani per assicurarsi il favore degli dei. Così Agamennone, re di Argo, fece immolare sua figlia Ifigenia per ottenere nuovi venti  per le navi che dovevano lasciare Troia. I vichinghi invece versavano il sangue degli schiavi sgozzati in segno di benedizione prima del varo di una nave o prima di intraprendere la navigazione. I miti e le leggende che si narravano intorno al mare e alle terribili creature che lo abitavano assunsero tinte ancora più fosche con il diffondersi del cristianesimo, quando a fare degli oceani campi di battaglia, non furono più dei capricciosi spiriti malvagi, ma santi e satanassi. Alle tempeste opera del diavolo venivano contrapposti ed invocati i santi (tutt’ora i marinai invocano per esempio Santa Barbara durante i forti temporali). Sempre durante il cristianesimo non si potevano mollare gli ormeggi il primo lunedì del mese di aprile perché coincideva con il giorno in cui Caino uccise Abele oppure il secondo lunedì di agosto era meglio restare in porto: in quel giorno Sodoma e Gomorra furono distrutte; partire poi il 31 dicembre era altrettanto di cattivo auspicio perché era il giorno in cui Giuda Iscariota si impiccò.

    Gli agenti atmosferici come i “fuochi di Sant’Elmo” o come il passaggio di una cometa erano presagi buoni o cattivi a seconda dell’interpretazione che se ne dava; mentre una tromba d’aria in avvicinamento all’orizzonte poteva essere “tagliata” con una spada e deviata recitando una preghiera o una formula magica; le onde si placavano mettendo in mostra i seni nudi di una polena, o facendo scoccare in acqua dal più giovane dei marinai una freccia magica.

    Anche gli animali non erano (…sono) immuni dai preconcetti scaramantici. Il gatto, malgrado ami poco il contatto dell’acqua, ha trovato un posto di tutto rispetto sui vascelli. La ragione della sua presenza a bordo si collega alla sua naturale propensione a scovare i roditori ed era anche ritenuto capace di prevedere eventi climatici: se soffiava significava che stava per piovere, se stava sdraiato sulla schiena c’era da aspettarsi una bonaccia, se era allegro e baldanzoso il vento stava per arrivare; se un gatto inoltre andava incontro un marinaio sul molo era segno di buona fortuna, se gli tagliava la strada il contrario (oggi per alcuni se un gatto nero ti attraversa la strada è presagio di brutte notizie); se si fermava a metà strada c’era da aspettarsi invece qualcosa di sgradevole. Si riteneva infine che i gatti potessero invocare una tempesta grazie al potere magico delle loro unghie. Per questa ragione a bordo si faceva sempre in modo che fossero ben nutriti e coccolati. Tra gli uccelli gabbiani e albatros erano l’incarnazione dei marinai morti in mare e portatori di tempeste. Peggio ancora se un cormorano si posava sul ponte di una nave e scuoteva le ali, guai a fargli del male si era posato per rubare l’anima di qualcuno e avrebbe significato naufragio sicuro. Così se tre uccelli si trovavano a volare sopra la nave in direzione della prua, l’equipaggio si disperava per l’imminente disgrazia da questi annunciata. Se uno squalo per esempio seguiva la scia di una nave era di cattivo auspicio perché si credeva fosse in grado di fiutare l’odore della morte. Diversamente i delfini e le rondini erano di buon augurio.

    Ma le superstizioni colpiscono anche le persone e allora: “occhio, malocchio prezzemolo e finocchio” (come avrebbe recitato il principe De Curtis).

    Gli avvocati (categoria particolarmente detestata dai marinai inglesi che li apostrofano spregevolmente squali di terra) e i preti (averli a bordo rappresentava una aperta sfida a Satana) portavano male (…avvocati, preti e polli non sono mai satolli). Stessa sorte per la donna averla in barca portava male (ora non si dice più, forse per la parità dei sessi). Secondo alcune tradizioni però una donna nuda, o incinta poteva placare anche la più terribile delle tempeste. Poi non ci poteva essere cosa peggiore, prima di salpare, di incontrare una persona con i capelli rossi, con gli occhi storti o con i piedi piatti (…rosso malpelo sprizza veleno). L’unica modo per salvarsi in questo caso era parlargli per prima.

    C’erano e ci sono usanze che i marinai cercano assolutamente di evitare a bordo: indossare abiti di un altro marinaio, soprattutto se morto nel corso dello stesso viaggio; evitare di fare cadere fuori bordo un bugliolo o una scopa; imbarcare un ombrello, bagagli di colore nero, fiori e guardare alle proprie spalle quando si salpa); salire a bordo della nave con il piede sinistro; poggiare una bandiera sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di poppa (attualmente i marinai italiani nel ripiegare la bandiera lasciano il colore verde fuori in segno di speranza); lasciare le scarpe con la suola verso l’alto (presagio di nave capovolta); accendere una sigaretta da una candela (significava condannare un marinaio a morte); evitare il suono prodotto dallo sfregamento del bordo di un bicchiere o di una tazza; il rintocco della campana di bordo se non mossa dal rollio; pronunciare le parole: verde, maiale, uovo, tredici, coniglio; parlare di una nave affondata o di qualcuno morto annegato; indossare le magliette fornite dall’organizzazione di una regata; capi di abbigliamento nuovi; cambiare nome a una barca o battezzarla con un nome che finisce con la lettera “a”(in passato è stata sempre una eresia, soprattutto in Italia è ancora fonte di numerosi scrupoli. I francesi hanno risolto il problema cambiando il nome a ferragosto e mettendo in atto questo rituale: procedendo di bolina la barca deve compiere sei brevi virate e poi scendere in poppa piena tagliando in questo modo la sua stessa scia. In questo modo, secondo alcuni, si disegnerebbe un serpente che si morde la coda scongiurando la iella. Solo a questo punto la barca sarà pronta a un nuovo nome ) e tantissime altre superstizioni.

    E’ invece di buon augurio per un marinaio avere un tatuaggio; lanciare un paio di scarpe fuori bordo immediatamente dopo il varo di una nave, indossare un orecchino d’oro (usanza antica che serviva a coprire le spese di sepoltura qualora il marinaio fosse deceduto); toccare il solino o la schiena di un marinaio; dipingere occhi sul moscone delle barche.

    Oggi quando si vara una nave ci si limita a versare dello champagne sul ponte. Più raramente si lancia contro lo scafo l’intera bottiglia del prezioso vino: se questa si rompe è di buona sorte, altrimenti sono dolori.

    Il pallino della superstizione di chi va per mare non accenna a svanire neppure oggi e, se non è superstizione, è certamente scaramanzia. E’ bene ricordare a tutti che qualunque marinaio prima di salpare, come nella vita di tutti i giorni, non accetta di buon grado gli “auguri” o i “buona fortuna”. Meglio porgergli in “bocca al lupo” o “in culo alla balena”.

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    14.4.1904, entra in servizio la regia nave Regina Margherita

    foto e omaggio a Beltrame per le sue bellissime copertine

    a cura Antonio Cimmino e Carlo Di Nitto

    11 dicembre 1916,
    la regia corazzata Regina Margherita viene affondata da mine nella Baia di Valona. I sopravvissuti furono 126. Il motto della nave era “per l’onore dell’Italia” …per non dimenticare, mai.

    Regia nave Regina Margherita f.p.g.c. Carlo Di Nitto a www.lavocedelmarinaio.com

    REGIA NAVE DA BATTAGLIA REGINA MARGHERITA
    Nave da Battaglia di 1a. classe, classe omonima, dislocamento 14574 tonnellate, varata nei Cantieri dell’Arsenale Marina Militare  di La Spezia nel 1901, entrò in servizio nel 1904. Affondò l’11 dicembre 1916 per urto contro mina nei pressi di Valona (Albania). Nell’affondamento perirono 674 uomini di equipaggio.

    11.12.1916, Regia Nave REGINA MARGHERITA - www.lavocedelmarinaio.com

    Una bella foto della prua della nave da battaglia di 1a. classe Regina Margherita, eseguita (come recita la didascalia originale scritta a mano) durante la Rivista Navale tenutasi a Napoli il 29 aprile 1904.
    Questa unità, classe omonima, dislocava 14574 tonnellate.

    Regia nave Regina Margherita
    di Carlo di Nitto

    La regia nave da battaglia di 1a. classe (corazzata) “Regina Margherita), classe omonima, dislocamento 14574 tonnellate a pieno carico, fu ideata dal grande progettista Benedetto Brin.
    Varata nei Cantieri dell’Arsenale Marina Militare di La Spezia il 30/05/1901, entrò in servizio il 14/04/1904.
    L’11 maggio successivo ricevette a La Spezia la Bandiera di Combattimento, offerta dalla Regina madre Margherita.
    Nei primi anni fu intensamente impegnata in esercitazioni, crociere e servizi di ordine pubblico. Nel gennaio 1909 partecipò alle operazioni di soccorso alle popolazioni calabro – sicule colpite dal disastroso terremoto di Messina del 28 dicembre 1908.
    A causa di lavori alle caldaie, non partecipò al primo ciclo di operazioni nel conflitto italo – turco. Successivamente venne destinata nel mar Egeo in azioni contro il naviglio ottomano e, con i propri reparti da sbarco, alle azioni per l’occupazione di Rodi e contro le coste della Marmarica. Nei primi mesi del 1913, dopo un ciclo di lavori fu inviata nuovamente in Egeo per sorvegliare i territori occupati. Nell’aprile 1914 venne dislocata a Messina per motivi di ordine pubblico.
    Dopo lo scoppio del Primo conflitto Mondiale, dislocata a Taranto, effettuò diverse uscite di vigilanza nel Basso Adriatico. Nell’aprile 1916 raggiunse Valona, in Albania.
    Il giorno 11 dicembre ricevette l’ordine di partire da Valona ma a causa delle cattive condizioni del mare e di una scarsissima visibilità, usci fuori dalle rotte di sicurezza e scarrocciò verso un campo minato. Qui, alle ore 21.34, venne colpita dall’esplosione di due mine che ne provocarono il rapido affondamento.
    Nell’affondamento perirono 675 uomini di equipaggio.
    Amministrativamente venne considerata radiata il 4 febbraio 1917.
    Il suo motto fu: “Per l’onore d’Italia”
    ONORE AI CADUTI!