Per Grazia Ricevuta

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    15.6.2023, inizia una nuova fase?

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Buongiorno ai naviganti,
    se alla fine della giornata di ieri abbiamo “assistito”, oggi gli illuminati di niente dicono che iniziamo una fase nuova, la fase a correnti alternate…


    Io sostengo (e per fortuna non sono il solo) che vince chi si alza di buon’ora, chi non perde fede, speranza e carità, chi si rimbocca le maniche per affrontare la vita nonostante i suoi problemi e le nubi grigie all’orizzonte, cariche di bugie, di mezze verità, di verità dentro bugie e viceversa..
    La vita è un fiore ma sarebbe meglio dire un granello di senape (cit.)…

    … arriverà l’estate, cadranno mille petali di rose, e piano piano il dio denaro prenderà il sopravvento e tutto ricomincerà come prima. Spot e dichiarazioni rassicuranti, chiappe al vento, chi busserà alla tua porta per venderti qualcosa, i centralini che ti chiamano, ecc.


    Io sostengo invece che continuiamo ad essere chiamati alla penitenza e alla preghiera, a cambiare radicalmente la nostra vita, adattandoci alla natura stessa.
    Cogliamo allora l’attimo, il momento propizio, perché quelli come noi preghiamo, con il cuore, e non ci arrendiamo, mai.
    Questo è il momento giusto perché il confine tra sogno e realtà, mare e terra, cielo e abissi, è lieve… altro che distanziamento sociale, altro che lavarci le mani!
    Amen.

     

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    L’amor di Patria e l’ipocrisia

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    L’ipocrisia è il linguaggio che usano i corrotti, di quelli, per intenderci, che non amano la verità ma amano esclusivamente se stessi.
    Il linguaggio che usano gli ipocriti quindi nasce dalla bugia, verso gli altri e verso se stessi, e la bugia è il peccato dei corrotti, di quelli che cercano di ingannare, di coinvolgere, di persuadere gli altri alla loro menzogna.


    La verità, al contrario dell’ipocrisia, va sempre coniugata con la parola amore, verso Dio, verso il prossimo, verso se stessi: se non c’è verità in noi, non c’è amore!
    Per amare ed essere amati, non basta usare un linguaggio più o meno edulcorato, ma bisogna mettere in atto ciò che si pensa e che si dice. Non bastano parole di adulazione, di persuasione diabolica, perché l’ambiguità, il compromesso, l’irresponsabilità, il mancato dialogo e l’aiuto verso il prossimo, i tornaconti personali, la sfrenata ambizione, la smisurata superbia, l’omissione, l’omertà, la menzogna, l’ambiguità, gli egoismi, ecc. ecc. ci conducono, alla fine della nostra esistenza terrena, alla solitudine.

    Qual’è allora la strada da percorrere per combattere l’ipocrisia e quindi gli ipocriti?
    Educare, come siamo stati educati, nell’azione, alla responsabilità sociale, partendo dal nucleo familiare, perché chi soffre pene spirituali e materiali, senta quel sostegno e quella vicinanza che alleviano la pesantezza della solitudine: ma sempre nella verità dell’amore perché è l’unico linguaggio, spirituale e materiale, che ci porta all’unica condizione di vivere, degnamente, la Parola di Dio.

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    13 giugno, in ricordo di Raffaele Vingiani, marinaio di Sant’Antonio da Padova

    di Vincenzo Antonio Vingiani



    PER GRAZIA RICEVUTA

    Raffaele Vingiani, mio padre, era associato alla Sezione Mutilati di guerra di Castellammare di Stabia (Napoli), percepiva due pensioni di guerra che devolveva, per grazia ricevuta, all’Orfanotrofio di S. Antonio di Padova, in quanto sosteneva che una volta affondato la sua nave, nel Mediterraneo, naufrago tra le onde, gli apparve S. Antonio che lo rassicurò dicendogli che da li a poco sarebbero arrivati i soccorsi e infatti, dopo un po’, una nave raccolse i naufraghi e mio padre fu curato dalle numerose ferite in un ospedale militare di Bengasi.

    Incrociatore Montecuccoli copia
    Venni a conoscenza di queste notizie grazie al Presidente dei Mutilati di Guerra, intervenuto al funerale di papà con il loro gagliardetto. Diversamente non l’avrei saputo.
    Era il 29 agosto del 1994.
    Papà, a ciascuno dei cinque figli, ha imposto come secondo nome quello di Antonio o meglio al primo maschio Giovanni Antonio (il nome del nonno paterno); alla secondogenita Maria Antonia (il nome della nonna materna) a me, terzogenito, Vincenzo Antonio per onorare il nonno materno e poi, una volta assolto al doveroso omaggio ai nonni, al quartogenito l’ha chiamato solo Antonio.
Io ho fatto la Prima Comunione da Donna Sciurella (*) sempre per onorare il Santo e il mio vestito da alto ufficiale della Marina fu donato a qualche famiglia bisognosa, ovviamente sempre a nome di Donna Sciurella, che mantenne l’anonimato…

    (*) Donna Sciurella – Fiore- era una signora che gestiva una cappella privata dedicata a Sant’Antonio. Era tollerata dalla chiesa ufficiale per il gran numero di devoti di Castellammare che si recavano a pregare. Curava anche le prime comunioni dei meno abbienti e organizzava pranzi per i poveri specialmente il 13 giugno.

    …riceviamo questa segnalazione e pubblichiamo con la precisazione che ci contraddistingue.

    Caro Ezio, relativamente all’emozionante racconto “13 giugno Raffaele Vingiani”, ti volevo evidenziare che potrebbe trattarsi della regia nave  Trento, affondato il 15 giugno 1942? Un carissimo saluto
    Carlo Di Nitto

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    9.6.1857, il veliero T. Hughes

    a cura Sergio Pagni

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Ex voto custodito nel Civico museo marinaro Gio Bono Ferrari di Camogli(*).
    Sul quadro si legge:
    la barca sarda Thomas Hughes, capitano Francesco De Gregori, trovandosi il 9 giugno 1857 nella latitudine 40’ 50 HE – longitudine 48’ 23 WM di Greenwich, fu sorpreso da un temporale accompagnato da una dragonara e per la grazia della Beata Vergine del Boschetto furono liberati”.
    Il quadro, datato 1858, è di Nicolas Cammilleri.

    (*) Si consiglia vivamente la visita al museo.

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    Gente di mare

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    TRATTO DAL LIBRO EMIGRANTE DI POPPA.
    DIRITTI RISERVATI – DUPLICAZIONE VIETATA ANCHE PARZIALE

    Non sento più il rumore delle onde mare che si infrangono nella scogliera. Non sento più le urla dei pescatori che fanno a gara a chi strilla più forte per vendere la loro mercanzia. Non vedo più al mio orizzonte, né quella luce di un faro che mi faccia orientare nella giungla della vita né, tantomeno, navi militari e di crociera che si incrociano con mercantili, con barche dei pescatori, con i diportisti e con disperati clandestini in cerca di un mondo migliore. Elucubrazioni che danzano un valzer ammaliatore sulle onde di quel Mediterraneo che ha visto scorrere tanta storia e tanti navigatori. Quel “mare nostrum” che ci racconta l’odissea dei tanti marinai di passaggio che, come me, lo hanno percorso in lungo e in largo, da oriente a occidente.
    Ho letto storie che hanno avuto come protagonista il mare, con orripilanti mostri marini, ammaliatrici sirene, semplici pescatori, eroici capitani coraggiosi, pirati senza cuore e poveri disgraziati in cerca di un mondo migliore.
    Ho avuto la pazienza di ascoltare racconti di anziani marinai, a volte veritieri, a volte ingigantiti nella realtà, a volte inventati di sana pianta. Ho offerto loro un grappino al bar del porto ed essi mi hanno rivelato una storia; a volte la loro storia.
    Mi hanno fatto credere, mi hanno incoraggiato, mi hanno fatto sognare.
    Solo col tempo ho capito i lunghi silenzi e la solitudine per quella vita trascorsa in mezzo al mare. Solo ora comprendo il loro logorroico sfogo all’avvicinarsi di gente curiosa come me pronta a carpire qualunque insegnamento e qualsiasi segreto del profondo immenso mare.
    Loro, gli anziani, ci dicevano: “provate a fissare il mare è difficilmente riuscirete a dimenticarlo, provate a navigarlo e sarete per sempre suoi. Provate per credere”.
    Invece lui, il mare, nel suo essere inesplorato, nel suo essere tre volte tanto la terraferma, nella sua maestosa immensità, sembra quasi che ci ignori. No, non è così! Non ci ignora, è troppo superiore per farlo. Cerca solo la nostra attenzione, il nostro rispetto e allora quale miglior modo di concederglielo se non sfidandolo su una qualsiasi imbarcazione.
    Il silenzio irreale di una prora che fende il pelo dell’acqua rappresenta una sensazione unica che solo i veri amanti della vita riescono ad apprezzare pienamente. Sarà difficile trovare questo silenzio nell’imponente ed implacabile forza del mare in tempesta e nell’ira del vento, suo fedele alleato, che sembrano vogliano ricordarci quanto siamo piccoli al loro cospetto.
    Andare per mare insegna a valutare le situazioni, ad affrontare i pericoli e a conoscere soprattutto se stessi.
    Andare per mare è il giusto modo per crescere e trovare quell’equilibrio che la frenesia della società moderna ci impedisce molto spesso di raggiungere. Andare per mare insegna a non sottovalutare niente ed educa al rispetto delle regole, soprattutto a quelle della vita.
    Il rispetto degli elementi naturali sarà cosa dovuta e la “paura” ed il “coraggio di vivere” coabiteranno insieme alla nostra esistenza in simbiosi con tutto l’ecosistema. Sarà opportuno prendere consigli dai marinai di lungo corso, quelli più anziani, quelli più esperti.
    La vita da marinaio è ricca di risvolti e connotazioni tali da renderla assolutamente diversa da ogni altra condizione di vita e di impiego. Seppur essa appaia naturale all’uomo di mare, resta sicuramente inavvicinabile alla maggior parte degli esseri umani. Per affrontarla correttamente è necessaria una certa predisposizione sia fisica che psicologica ed una forte motivazione, qualità queste, che ci aiuteranno a rendere persino affascinante la scelta di vita di cui parlo.
    La corretta valutazione delle difficoltà che si incontrano, il confronto con le proprie capacità e l’opportunità di conoscere e valutare le singole situazioni sono la base propedeutica nell’andare per mare. Per imparare non esistono limiti di età: basta avere una buona confidenza con l’acqua e una discreta forma fisica.
    E’ necessario, a questo punto, instaurare un rapporto confidenziale con il mare che diventerà un nostro inseparabile amico.
    La vita da marinaio richiede una capacità di adattamento ed un impegno non comuni, specie quando si affronta la navigazione ed è proprio sul mare che si forgiano il carattere e la professionalità dell’individuo.
    Imbarco non è soltanto navigazione!
    Per avere un’idea più precisa dei problemi legati alla vita di bordo occorre distinguere tra la navigazione vera e propria ed altre situazioni di imbarco. Le ore di navigazione, da sole, danno un’idea parziale dell’entità e della quantità dell’impegno richiesto. Anche in altre condizioni di impiego diverse da quelle di bordo, il marinaio resta comunque calato in una realtà a se stante che gli impedisce di condurre un’esistenza scandita dalle normali attività di vita quotidiana. E’ fuori dubbio che la qualità della vita è notevolmente migliorata negli anni, grazie anche al progresso tecnologico ma, in nessun caso, la vita da marinaio si propone come facile e tanto meno come comoda. Gli spazi ristretti che contraddistinguono la vita di bordo, l’impossibilità di evadere dall’ambiente di lavoro, la preclusione di ogni attività sportiva e, come spesso accade, le cattive condizioni del mare, determinano un forte stress mentale e un notevole dispendio di energie rispetto ad altre attività, ad altri lavori.
    Il lavoro si sviluppa dunque in condizioni ambientali ostili con l’aggravante di una limitazione della sfera privata che non tutti, purtroppo, sono in grado di sopportare.
    Il fascino di questa vita è anche dovuto, però, alle privazioni che la contraddistinguono e che consentono all’individuo di valutare attentamente se stesso e di confrontarsi continuamente con gli altri, instaurando legami fondati sui valori della lealtà e della solidarietà, sorretti da principi che non accettano deroghe ma che sono finalizzati alla crescita comune.
    Il quadro delle difficoltà (ma meglio sarebbe dire dei doveri) si completa con gli obblighi derivanti dalla rigidità della disciplina che consente al marinaio una rapida maturazione e la formazione di una forte personalità.
    Nella tradizione marinara la disciplina è un codice etico (… spesso non scritto) che ciascuno sceglie di condividere e che deve necessariamente rispettare. E’ richiesta una partecipazione responsabile ad ogni individuo, qualsiasi sia la posizione nella scala gerarchica e il livello di cultura e di professionalità, solo in questo modo è possibile instaurare un clima di collaborazione e di fiducia reciproca, essenziale a rendere quanto più possibile elevata la qualità della vita a bordo.
    Così facendo, non anteponendo gli interessi personali, è possibile ottenere quella coesione e quello spirito di gruppo che caratterizza da sempre la Gente di mare.
    Ogni difficoltà a bordo deve essere affrontata e superata con onestà, rispetto delle norme e serenità, perché è di esseri umani che si tratta, non di macchine! Ogni individuo, per quanto diverso, ha una dignità e merita la massima considerazione. Questi valori sono innati nella Gente di mare, a tutti i livelli. Bisogna metterli in pratica anche quando può costare fatica.
    Solo il dialogo e la collaborazione all’interno possono essere compatibili con l’obiettivo da raggiungere.
    A noi marinai questo approccio risulta facile e naturale e siamo da sempre stati abituati a vivere sulla stessa barca sapendo che il benessere: o è comune o non è tale.
    Penso infine che c’è un elemento che ha unito e che unisce i continenti della terra ed i suoi abitanti: il mare!
    I colori dei popoli, a volte, si integrano come le lingue, come gli sguardi. In ogni essere vivente c’è un calore che permane e non scappa, si trova in ognuno di noi.
    E’ questo calore che riesce coniugare anima e vita: tutto diventa realtà.
    Il miglior modo per sprigionare questo calore è la “parola”. Il miglior mezzo di comunicazione è il “contatto umano” tra soggetti apparentemente diversi. Anche se tutto ruota intorno ad un ipotetico “domani fatto di speranza”, il mare, forse da sempre, è ed è stato il canale preferenziale per stabilire questo contatto e quindi per far avvicinare i popoli della terra. Spesso ce lo dimentichiamo!
    Chi va per mare questo lo sa, conosce i sacrifici, i rischi, le gioie ma anche le sofferenze ed è per questo che chi va per mare ama la vita: l’unica vera “ancora di salvezza”.
    La nostra vita è addolcita solo dall’amicizia e dall’amore: Essenza dell’amicizia sono la confidenza e la fiducia, quella dell’amore è il piacere spontaneo, disinteressato, donato e ricevuto senza una contabilità del dare e dell’avere. In entrambi i casi ti senti apprezzato per te stesso, per il puro piacere di stare con te e con agli altri, senza altri fini. Ci sono momenti della vita in cui facciamo amicizia e ci sentiamo amati, altri invece che, anche se stiamo in mezzo alla folla, ci sentiamo soli. E’ quanto capita all’emigrante o all’esiliato.
    Quando gli italiani emigravano in massa verso il nuovo mondo, durante il lungo viaggio in alcuni di loro prevaleva l’angoscia della nostalgia. Erano gli “emigranti di poppa”, quelli che, per riflesso condizionato, trascorrevano gran parte del tempo guardando l’orizzonte lontano, dal quale provenivano e in cui avevano lasciato, sempre più remoti, la casa ed il paese d’origine. In altri, invece, prevaleva la speranza di un futuro migliore e la curiosità per il mondo nuovo. Erano gli “emigranti di prua” che preferivano guardare avanti, nell’attesa di scorgere per primi la terra promessa, dove avrebbero fatto fortuna. Nell’avventurosa navigazione di ogni vita umana vi sono, dunque, gli emigranti di poppa e quelli di prua, vi è Penelope che indugia nella rassicurante tradizione del mondo domestico e Ulisse, il marinaio, che preferisce il rischio dell’avventura e l’ebbrezza delle novità.
    Questo è un buon motivo per navigare: conoscere, comprendere e infine a…mare!
    La vita delle persone è un cammino dell’esistenza, un arte difficile che richiede dedizione e sacrifici e, se uno riesce a guardarsi bene intorno, ci sono persone ammirevoli. Queste persone siamo noi: la gente di mare!

    LA GENTE DI MARE
    (Marino Miccoli)


    Sotto un cielo plumbeo
    cupo come la coscienza di Giuda
    nuvole nere gravide di pioggia
    s’addensano minacciose sul mare.
    Altissime onde
    crestate di bianca spuma
    presuntuose e violente
    s’infrangono
    sulla scogliera scura.
    Nell’aria pregna
    di minuscole pulviscolari particelle
    di acqua salata portate dal vento
    incurante della furia di Nettuno
    impavida si libra una coppia di gabbiani.
    Uomo, piccolo uomo,
    quando comodamente assiso assisti
    a questo terrificante spettacolo
    di smisurata forza che la natura offre,
    tu, piccolo uomo, che ti trovi al sicuro
    con i piedi saldamente poggiati sulla terraferma,
    non ti dimenticare dei tuoi simili, i naviganti,
    quella “gente di mare”,
    che in questi tristi momenti
    lotta per la vita
    contro la furia degli elementi.

    Stimato Ezio,
    dedico questa breve poesia marina a te, a Roberto Cannia e a tutti i visitatori del nostro blog, con l’augurio sincero che quando si debbano affrontare le forti avversità e amare vicissitudini della vita, trovino le calme e sicure acque di un porto dove rifugiarsi e poi riprendere tranquilli la navigazione con animo sereno.
    Marino Miccoli