Per Grazia Ricevuta

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    La guerra fra i poveri? La vincono i ricchi!

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Ma esiste la speranza di ritrovare la dignità nei popoli sempre più in mano ai puttanieri della menzogna?

    La dignità delle nazioni, dei popoli, non è polvere giunta dal deserto oppure una astratta emozione sotto le stelle, sopra il mare aperto, è il sangue dei morti della storia dell’umanità, e continuiamo a combatterci per ingrassare i puttanieri della menzogna, caini, peccatori, che non si sono ancora estinti, con a capo il loro principe del male avido come non mai…
    La dignità è quella che il popolo deve avere, e non vi è scusa, no, non vi è ragione per affidarla ai puttanieri della menzogna.
    Provo vergogna di questo momento storico, in cui siamo andati fuori rotta, sul mare aperto agitato dal vento che porta, tempestoso, verso la bugia del tentatore…
    Gli sguardi sbigottiti di persone, conoscenti e non, che pongono interrogativi, e sono tutti irati, proprio tutti, hanno dei motivi, quello principale di aver scoperto di essere stati abbandonati dalle istituzioni specie nelle latitudini e longitudine del mondo globalizzato, che non cercano più risposte perché non hanno la domanda giusta da porre, da porsi: chi comanda il mondo?

    La dignità, la nostra, è stata consegnata, e ancor peggio affidata ai pirati dell’egoismo, esentati dall’espiazione, dalla prigione, per ogni abuso, crimine o peccato commesso.
    Mondo globalizzato solo nei vizi, affossato da chi legiferando contribuisce e crea inganni, per conto e a vantaggio del principe della menzogna che sfrutta, dove c’è da sfruttare, che si fa beffa atroce di chi crede in Dio e nel prossimo, e costruisce ad arte la menzogna per indurci alla tentazione del peccato.
    Nazioni e popoli volutamente indifesi, da questi seguaci puttanieri del menzognero che non hanno interesse a fermare la decadenza, il declino, l’apocalisse…
    Spero che riprendiamo coscienza.
    Spero, ma non ho più tempi lunghi, e posso solo seminare germogli di bontà, di qualche mia parola che giunga, che non rimanga unica e sola.
    Spero che l’intelletto riporti dignità e rigore, che renda innocui i puttanieri mentitori e il loro principe.
    Spero, ma so per certo che chi di speranza vive muore cagando (cit. sergente Lorusso film Mediterraneo).
    Spero perché ho Fede nella Speranza e nella Carità, e non ho paura della morte perché ho aperto, anzi ho spalancato, le porte a Cristo.

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    La felicità

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Dedicato a tutti voi lettori del blog che mi siete giornalmente vicini. Navighiamo in questa affollatissima piscina denominata “vita” per attraccare la barca al “porto dell’umana solidarietà”.
    Se vi dico che vi voglio bene, mi credete?

    Mi sono chiesto cosa sono le umane relazioni e, soprattutto, cosa mi aspetto da te e tu che cosa ti aspetti da me in un rapporto relazionale?
    Ebbene, se il rapporto con noi stessi non funziona, non dobbiamo mai aspettarci che le nostre relazioni con gli altri vadano meglio. Nessun altro, se non te stesso in questo mondo, può renderti felice.
    La felicità è qualcosa che devi “guadagnare e raggiungere da solo, perseverando attraverso il rigore, la disciplina e il discernimento” ma per fare questo c’è un cammino da seguire: la condivisione con qualcun altro.
    Non è facile, lo so, ma mi sento di poter affermare che se prima ritenevo che la colpa della mia infelicità fosse stata causata degli altri, mi sbagliavo; ho iniziato a guardare dentro me stesso per scoprire che cosa mi mancava davvero ed ho sperimentato l’amore per il Lui e per il prossimo attraverso i rapporti relazionali con Voi.

    Natività di Martina Benedetti diritti riservati dell'autrice. Acrilico su tela copia per gentile concessione a www.lavocedelmarinaio.com
    Natività (acrilico su tela di Martina Benedetti – diritti riservati). Foto per gentile concessione dell’autrice a www.lavocedelmarinaio.com

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    Egidio Bullesi (Pola, 24.8.1905 – 25.4.1929)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra




    (Pola, 24.8.1905 – 25.4.1929)

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Egidio nasce a Pola il 24 agosto 1905, terzo di nove fratelli di una famiglia originaria di un piccolo paese all’interno dell’Istria. Il padre, Francesco Bullessich (il cognome verrà italianizzato giusto un mese prima della morte di Egidio) era dunque cittadino austro ungarico, disegnatore tecnico presso l’Arsenale di Pola. Durante la Prima Guerra Mondiale, la famiglia sfolla prima a Rovigno poi in Ungheria (Szeghedin) e poi in Austria (Wagna e Graz). Qui Egidio , sempre assieme all’adorata sorella Maria, si adopera per alleviare la miseria della famiglia percorrendo a piedi monti e valli alla ricerca di cibo, legna ed indumenti, ottenuti col baratto delle poche cose che il padre riusciva a portare da Pola.
    Terminata la guerra e rientrata la famiglia a Pola, divenuta italiana, Egidio comincia a lavorare come apprendista carpentiere a soli 13 anni nei locali cantieri navali e vi rimane fino al compimento del 20° anno. I compagni lo definiscono di carattere aperto e gioviale, estroverso e cordiale con tutti. In quegli anni frequenta anche la Regia scuola professionale e la termina eseguendo un modello di nave che ricevette anche un premio (oggi è conservato nel convento di Barbana). Fonda anche la sezione Scout cattolico di Pola, cui dedica tutto il suo tempo libero dal lavoro (diceva: è questa una strada provvidenziale, capace di portare gioiosamente i giovani al Padre). Conosce anche una brava giovane, di nome Italia, dalla quale però i genitori lo terranno lontano soprattutto per la sua giovane età. Risale a quel periodo l’incontro con alcuni frati francescani , incontro e frequentazione che segnarono la sua vita: si dedicò infatti allo studio delle opere del Santo e decise quindi, nel 1920, ad entrare nel Terz’Ordine Francescano. Durante uno sciopero “rosso”, sale su una gru e vi innalza il tricolore.
    Nel 1921, in occasione del 50° congresso della Gioventù Cattolica, Egidio è designato a rappresentarvi la sua città natale. Nel 1925, chiamato, come tutti i giovani sani e robusti della sua età (era alto più di 1,80 mt.) a prestare servizio militare, fu ovviamente arruolato nella Marina Militare e, dopo il periodo di reclutamento ed addestramento, destinato a bordo della corazzata “Dante Alighieri”. A bordo si distinse non solo per la sua capacità , disciplina e serenità ma per la capacità di aggregare intorno a sé un sempre crescente numero di marinai, raccolti quotidianamente in gruppi di riflessione e di preghiera: fra essi anche Guido Foghin che, dopo la sua morte, diverrà missionario francescano in Tibet. Terminato il 15 marzo 1927 il periodo di leva: scrisse alla madre: ”lascio il servizio militare felice ed orgoglioso di avere dato alla Patria nostra, coscientemente, l’opera mia per oltre due anni e di avere servito con fedeltà ed onore”. Gli rimase la passione per il nuoto e la voga, che continuò a praticare con assiduità. Fu assunto come disegnatore tecnico , per opera del fratello Giovanni, dai cantieri navali di Monfalcone, città nella quale operò in favore delle famiglie povere ed emarginate, curando in particolare l’educazione dei bambini e ragazzi analfabeti. Ala fine del 1927 si ammalò di tubercolosi e nel marzo successivo fu costretto a rientrare a Pola per ricevere assistenza dalla famiglia. Costretto a periodi di ricovero in ospedale sempre più lunghi, accettò la malattia con straordinaria serenità, trasfondendo a medici ed infermieri la sua gioia e la bellezza anche nella sofferenza. Morì la mattina del 25 aprile 1929 e le esequie furono celebrate nella cattedrale di Pola da don Antonio Santin , il futuro vescovo di Trieste, suo amico e confidente fin dalla più tenera età. Fu sepolto nell’isola di Barbana, vicino a Grado. Il processo della sua beatificazione è stato avviato nel 1974 a Trieste e la causa inviata a Roma nel 1977. Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato Egidio ufficialmente “venerabile” nel 1997. Nel 2000 il vescovo di Trieste ha trasmesso alla Congregazione per le cause dei Santi i risultati dell’indagine sul presunto miracolo, a lui attribuito, avvenuto nel 1929 sulla motonave “Vulcania”.
    Il 26 aprile 2009 nel Santuario della Madonna di Barbana (Grado – Gorizia) il padre Superiore, Frà Marciano Fontana (tel. 0431 – 80.453), ha espresso il desiderio di celebrare solennemente la ricorrenza nell’anniversario della morte.

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    Alfredo Fiorini, Guardiamarina Medico: uno di noi

    a cura Associazione Alfredo Fiorini ODV

    (Terracina, 05.09.1954 – Monzambico, 24.08.1992)

    In occasione del trentennale della scomparsa (24 agosto 1992 – 2022), l’Associazione alfredofiorini ODV ricorda la figura del medico, missionario, fratello Alfredo FIORINI con una serie di eventi in programma a Terracina dal 18.08.2022 al 26.09.2022, come da calendario annesso.
    Il Fratello missionario comboniano, Alfredo FIORINI medico in Mozambico, nacque il 5 settembre 1954 a Terracina (Latina), primo dei quattro figli di Elio Fiorini e Tilde Braconi; il padre faceva il tipografo e per vari anni era stato Presidente dell’Azione Cattolica della sua parrocchia.
    Ebbe una fanciullezza serena, legato da forte affetto alla sorella Patrizia minore di due anni, volle attenderla per fare la Prima Comunione e Cresima insieme, nella Parrocchia di S. Giovanni Battista. Dotato di viva intelligenza, di una vena poetica singolare, percorse brillantemente tutto il corso di studi fino alla laurea, distinguendosi per la sua innata umiltà, per la capacità di risolvere ogni tipo di problema senza un apparente sforzo, per la sicurezza che infondeva nei compagni. Per mancanza di posti disponibili all’Università Cattolica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Siena, dove si laureò il 23 luglio 1980 con 110 e lode.
    Gli anni della sua gioventù trascorsero tra le delusioni e gli entusiasmi tipici dell’età, da adolescente cominciò a sentire un’inquietudine sul suo futuro, domandava spesso alla madre come si avvertiva la vocazione religiosa; maturò man mano una coscienza missionaria con le esperienze nell’Azione Cattolica e fra gli Scout di Terracina, che gli diedero il senso dell’avventura, del contatto con la natura, della vita comunitaria, della spinta all’apostolato. Partecipò nel luglio del 1972 ad un campo di lavoro organizzato da ‘Mani Tese’ a Firenze, insieme ad alcuni amici di Terracina, per due settimane una trentina di giovani e ragazze girarono per la città, raccogliendo stracci, carta e ferro, per alimentare un progetto di case da costruire in Bangladesh.
    Negli ultimi anni dell’Università cominciò ad interessarsi delle malattie infettive, dette anche un esame e confidò a chi gli chiedeva il perché di quell’interesse: “Finirà che finisco in Africa per mettere a frutto queste mie conoscenze”.

    Dopo la laurea, il 9 ottobre 1980 superò l’esame di Stato per l’abilitazione ad esercitare la professione di medico chirurgo; il 7 aprile 1981 cominciò il servizio militare presso l’Accademia Navale di Livorno, ad agosto venne trasferito a Taranto come Aspirante Guardiamarina di complemento, e a Taranto fece un periodo di tirocinio presso l’Ospedale della SS. Annunziata, in Pronto Soccorso e terapia d’urgenza e ancora svolse funzioni di Ufficiale medico presso il Centro Trasfusionale della Marina.

    Ancora Alfredo raccontò di avere con semplicità parlato ai genitori: “Ho fatto la mia parte con voi laureandomi; con il servizio militare ho fatto la mia parte con la Patria, adesso seguo quella che mi pare la strada per cui Dio mi chiama”; così Alfredo Fiorini si mise alla ricerca di qualche Istituto missionario per una esperienza ‘forte’ nel campo delle missioni.
    Conobbe padre Giuseppe Russo missionario comboniano, il quale consigliandolo e valutando la sua vocazione, alla fine lo indirizzò alla sua Congregazione; nell’ottobre 1982 a 28 anni, Alfredo entrò nel Postulandato dei missionari comboniani di Firenze. Intanto anche il fratello Fabio, dopo il liceo, scelse di entrare in seminario per diventare sacerdote.
    Stare con aspiranti missionari di una decina d’anni più giovani di lui, non lo turbò, anche gli orari gli ricordavano l’Accademia Navale e affrontò lo studio della teologia per due anni, alternando il suo tempo anche insegnando il catechismo nelle parrocchie della città e a far pratica nell’Ospedale di Careggi, dove si fece apprezzare dal primario.
    Nell’ottobre del 1984 entrò nel Noviziato di Venegono (Varese); furono altri due anni di formazione e di approfondimento della sua scelta e finalmente il 17 maggio 1986, Alfredo si consacrò a Dio con i voti di povertà, castità ed obbedienza, nella parrocchia di S. Agnese di Somma Lombardo; ormai faceva parte della Congregazione Comboniana.
    Dopo la parentesi estiva, trascorsa ad assistere a Verona i missionari anziani ed ammalati, partì per l’Inghilterra, il programma prevedeva un anno di studio della lingua inglese e poi il trasferimento in Uganda a completare presso i Comboniani il ciclo di studi teologici previsti, prima dell’ordinazione sacerdotale.
    A Londra comunque frequentò presso l’Istituto Missionario, anche un corso di cristologia, la teologia in genere l’attraeva e gli riusciva gradito lo studio; è di quel periodo una lettera scritta al suo Padre Provinciale, dove fra l’altro diceva: “…Sono contento di essere cristiano, comboniano e sul cammino dell’ordinazione sacerdotale. Vivo con stupore e passione il mistero di grazia che il Signore fa passare attraverso la mia vita”.
    Ad agosto 1987 partì per l’Uganda, dove continuò gli studi presso il Seminario Nazionale di Gaba; il 17 aprile 1988 ricevé gli Ordini Minori; ma nel nuovo anno scolastico, Alfredo Fiorini e i suoi compagni, per la critica situazione politica dell’Uganda, vennero trasferiti a Nairobi in Kenia, presso il TCR (Centro Teologico per Religiosi).
    Nei giorni liberi prese a prestare la sua opera di medico in una missione della periferia, Kariobangi, una baraccopoli di Nairobi, il dispensario era gestito da suore comboniane; in questo miserevole luogo affollato da 200.000 persone, affamate e bisognose di tutto, senza acqua né fogne, alloggiate in baracche di latta e cartone, Alfredo sembrò trovare la sua vera strada e già in qualche lettera non fece più cenno del suo cammino sacerdotale.
    Infatti il 3 febbraio 1989 scrisse ai suoi superiori, che dopo attenta riflessione aveva deciso di rimanere fra i comboniani come Fratello missionario; rinunciò così al sacerdozio per dedicarsi come medico ad una attività che gli permetteva di immergersi nei bisogni continui dell’afflitta popolazione, senza privilegi per lui, rimaneva sacerdote col cuore, ma diventava un ministro di consolazione.
    Nell’estate 1989 partì per l’Inghilterra, per partecipare ad un corso di medicina tropicale; il 1° luglio 1989 fece tappa a Terracina, dove il fratello Fabio veniva ordinato sacerdote e qui poté con qualche imbarazzo, spiegare ai suoi familiari e amici, il cambiamento finale della sua scelta comboniana, da Sacerdote a Fratello.
    A fine 1989 gli giunse la lettera del Superiore Generale, padre Pirli, che gli comunicava, che dopo aver conseguito il diploma in teologia, doveva partire per il Mozambico, dove a seguito delle guerre civili che lo funestavano, le strutture sanitarie erano state distrutte.
    Il 9 marzo 1990 concluse a Nairobi gli studi teologici con il baccalaureato con una tesi sull’Aids; ora aveva tutte le qualità per dedicarsi a tempo pieno come medico missionario, facendo per ora la sua consacrazione religiosa come Fratello comboniano. Egli aveva pure le qualità e la preparazione per diventare sacerdote; per questo era stato incoraggiato a terminare i suoi studi teologici.
    In attesa del visto per il Mozambico, accettò il 1° giugno del 1990 l’invito del missionario comboniano padre Tocalli, di dare una mano all’ospedale di Kalongo nel nord dell’Uganda; l’esperienza sia pur limitata nel tempo in un ospedale africano, poteva risultargli utilissima per quello che l’aspettava nel Mozambico. Rimase a Kalongo tre mesi, qui trovò una situazione di ricostruzione, protetta dai soldati governativi, che faceva seguito alla chiusura forzata dell’ospedale, avvenuta il 7 febbraio 1987, trovatosi al centro degli scontri fra guerriglieri e governativi.
    Durante quel periodo di intenso lavoro medico e chirurgico, esteso anche ai dispensari distaccati dall’ospedale e nei villaggi circostanti, Alfredo Fiorini fu intervistato da una televisione locale italiana e fra i tanti argomenti trattati si parlò del volontariato: “Anch’io in un primo momento ho pensato al volontariato, poi mi sono posto il problema del contratto limitato, a tempo, per cui sarei rimasto in Africa un periodo breve della mia vita. Allora ho voluto fare una scelta che coinvolgesse tutti gli anni della mia esistenza”.

    Alla domanda, cosa vuol dire per te essere missionario in un ambiente come questo, rispose: “Non è facile rispondere! Perché io avverto quel grave dramma per noi, rappresentato dall’eventualità che la nostra testimonianza non venga accolta, non venga accettata o sia addirittura rifiutata. C’è un rischio di frustrazione e di fallimento nella vita del missionario. D’altra parte quello che c’è dentro vuole manifestarsi. Io spero che questa mia presenza diventi una testimonianza…”.
    Per prepararsi meglio per la Missione in Mozambico, occorreva saper parlare portoghese e ancora una volta fratel Alfredo Fiorini, riprese la via dello studio, in autunno partì per Lisbona per un corso accelerato e dopo una tappa a Terracina per salutare familiari ed amici, il 3 febbraio 1991 giunse finalmente in Mozambico, ad Anch’ilo, per apprendere i primi rudimenti della lingua makua. Il 22 febbraio raggiunse Nampula il capoluogo di provincia, presentandosi al vescovo e al direttore provinciale della sanità, entrando a far parte del Servizio Sanitario Nazionale.
    La situazione del Mozambico non era dissimile da altri Paesi africani di quel periodo, era in atto da undici anni una guerra civile fra il governo, del partito Frelimo, fautore di una ideologia marxista-leninista e la Renamo, movimento contrario al governo, che dal 1980 aveva iniziato una guerriglia. Fra l’esercito e i guerriglieri, spinti entrambi da interessi economici stranieri, la gente del Mozambico non faceva altro che fuggire da un posto all’altro per mettersi in salvo, perdendo ogni volta case, raccolti e vite in grande numero; le cifre della guerra civile erano enormi, un milione di morti, decine di migliaia di mutilati e orfani, un milione e mezzo i profughi, cinque milioni di sfollati; in compenso i mitra Kalashinkov in giro erano quasi dieci milioni, molto di più delle zappe.
    Il 19 aprile 1991 Alfredo rinnovò la professione religiosa, mentre le Missioni erano soggette quasi ogni giorno ad assalti, incendi, saccheggi, uccisioni, vendette da ambo le parti; vari missionari feriti o uccisi, le strade di collegamento fra i vari centri urbani, erano costellate di cadaveri ai bordi e insicure da percorrere per gli agguati e sparatorie improvvise sui veicoli in transito, colpendo chi capitava.
    Ad agosto 1991 fratel Alfredo Fiorini venne destinato all’ospedale rurale di Namapa, semidistrutto da un paio d’anni, per cui prima di fare il medico, dovette fare il muratore per diversi mesi.
    Fiducioso che i colloqui in corso a Roma, fra le due parti contendenti Frelimo e Renamo, potessero portare ad una pacificazione, Alfredo Fiorini, con l’aiuto di personale africano, iniziò a lavorare, con l’ausilio di macchinario in disuso inviato dall’estero e con fondi che stentavano ad arrivare, perché in parte intascati dagli amministratori e infermieri dell’ospedale, senza stipendio. Durante gli allarmi per l’arrivo dei guerriglieri, veri o presunti che fossero, personale ed ammalati scappavano nella boscaglia portandosi via le lenzuola, quelle poche rimaste.
    Ma soprattutto il dottor Alfredo, responsabile degli interventi di urgenza, si vide sempre più spesso nella impossibilità di farlo, per quell’insieme di negligenze del personale che non esitò a definire ‘sabotaggio’; la corrente elettrica non veniva erogata, per cui operazioni e parti cesarei venivano fatti alla luce di torce, con l’ansia che si esaurissero le batterie; i medicinali promessi non arrivavano e quelli che c’erano scomparivano; sala operatoria allagata dalla pioggia, laboratorio analisi chiuso, niente siero, niente acqua, ecc.
    Si trovò così nella necessità di trasferirsi da solo, all’ospedale di Alua distante una ventina di km da Namapa, il direttore provinciale sia pur infastidito della protesta, lo lasciò ad Alua. Qui riprese più alacremente l’attività, conquistandosi presto la stima di sanitari ed ammalati, che provenivano anche da lontano per farsi curare da lui, nonostante il pericolo delle mine e degli agguati sulle strade.
    Grazie alla sua inossidabile fede in Dio, Alfredo riuscì sempre a trovare spunti di ottimismo, nonostante la precarietà della situazione del Paese; esprimeva la gratitudine per le preghiere e per gli aiuti, anche piccoli, che i benefattori mandavano, parlava della gioia immensa che provava per ogni segno di incoraggiamento che riceveva.
    Verso il 10 agosto 1992, si concesse due settimane di riposo per riprendersi dallo stressante e continuo lavoro, trascorse presso la residenza del vescovo di Nacala, dove c’erano altri sacerdoti e suore comboniane.
    Il 24 agosto 1992 riprese la strada in auto per ritornare ad Alua, ma dirigendosi prima a Carapira dove intendeva sostare fino al 28, verso le 10 però giunto in località Nuiravale, già teatro di precedenti agguati, l’auto fu centrata da alcune raffiche di mitra e Alfredo che era solo, fu colpito da un proiettile alla testa che l’uccise. Poco dopo una colonna della Compagnia Industriale Monapo, scortata da soldati, raggiunse il luogo dell’agguato, l’auto era ancora circondata dagli assalitori che la frugavano, i quali alla vista dei soldati che sparavano, fuggirono nella boscaglia; il suo corpo fu trasportato verso Monapo. Un delitto assurdo ed inutile, capitato proprio a lui che per prudenza non si spostava spesso come gli altri missionari, questa era la seconda volta che viaggiava in un anno e mezzo che stava ad Alua.
    Nella composizione della salma, si poté constatare che oltre il proiettile mortale alla testa, Alfredo Fiorini era stato colpito anche al torace, al polso e in una gamba. Il 25 agosto a Carapira si svolsero i funerali officiati dal vescovo di Nacala, mons. Germano Grachane comboniano, che l’aveva ospitato fino al giorno prima; Afredo Fiorini fu assassinato sullo stesso tratto di strada dove il 3 gennaio del 1985, fu uccisa in un agguato simile, la suora comboniana Teresa Dalle Pezze.
    Il 31 agosto 1992 la salma di fratel Alfredo Fiorini, medico missionario comboniano, giunse nella sua Terracina, dove una grandissima folla partecipò al funerale svolto nel piazzale antistante la chiesa di S. Domenico Savio, dove per volontà del vescovo di Terracina officiante, fu sepolto.
    Profilo della vita di Alfredo FIORINI è stato tratto dalla pagina facebook di ”Mia Terracina”, recante firma di Antonio Borrelli.
    Le foto allegate sono state tratte dalla pagina facebook “Mia Terracina”.

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    20.8.2023, buonanotte a chi si crede capitano navigato

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Buonanotte a chi si crede capitano navigato,
    la nazione ha bisogno delle nostre preghiere per allontanare ogni forma di male (interno ed esterno). Una nazione, come la nostra, compromessa ripetutamente al peccato, offre al male un potere speciale su alcune persone/soggetti che ne fanno parte e si sproloquia parlando male delle persone, ingerenze inammissibili, ecc. ecc.
    Una volta sola viene il giudizio di Dio: chi ha orecchie per intendere, intenda (qui habet aures audienti audat (cit. Vangelo di Luca).

    “A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché ‘‘vedendo non vedano e udendo non intendano” …ogni riferimento è voluto! 😢
    «E ‘l duca lui: “Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote
    ciò che si vuole, e più non dimandare”.» (cit. Dante Inferno III)

    C’è infine chi generalizza e si defila, senza scegliere, perché ritiene che qualsiasi scelta sia mediocre, contribuendo passivamente al nulla: coloro sono il nulla che vivono nel purgatorio terreno…

    Le guerre, anche quelle che combattiamo internamente, provengono dalle nostre corrotte passioni perché siamo pieni di desideri e, quando non riusciamo più ad ottenere, combattiamo il diverso che poi altro non è che il nostro io capovolto: la gelosia dell’egoismo …e da qui le guerre!

    “O superbi cristian, miseri lassi,
    che, della vista della mente infermi,
    fidanza avete ne’ retrosi passi,
    non v’accorgete voi che noi siam vermi
    nati a formar l’angelica farfalla,
    che vola alla giustizia sanza schermi?”

    «Anche se tutti mi hanno tradito» sembra voler dire il barbone che canta questa canzone, parafrasando le parole di Pietro, «il sangue di Gesù non mi ha mai tradito».

    P.s. Noi eravamo lì, morti viventi di un “transatlantico” che sta colando a picco, galleggiavamo nella merda, respiravamo i miasmi che si espandevano per tutta la piazza…ma eravamo li, ad issare la nostra italica bandiera, senza abbandonare il transatlantico, senza sconti di pena, con qualche giorno in più da assaporare in questa turbolenta italica navigazione terrena.
    Intelligenti pauca, agere non loqui (a buon intenditor, fatti non parole).

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    Claudio Mons. Caleffi (Mirandola, 19.8.1931 – 7.12.2021)

    a cura Marcello Cocco

    (Mirandola, 19.8.1931 – 7.12.2021)

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Ciao Don Claudio,
    molti di noi, come me, ti conoscevano come uomo di mare e di Dio.
    Mi sento di affermare, a nome di tutta la grande famiglia dei marinai che occuperai, per sempre, un posto speciale nei nostri cuori. Hai vissuto intensamente e fuori dal comune questa vita straordinaria che Lui ci ha donato e adesso, in questo giorno particolare e in questo anno misericordioso straordinario, Lui ti ha voluto nel Suo Regno per continuare la navigazione nella Gerusalemme divina in supporto di chi prima di noi è salpato per l’ultima missione…

    Nato a Mirandola il 19 agosto 1931, ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1956.
    Nel 1966 inizia il ministero pastorale come Cappellano Militare in diverse caserme sul territorio italiano fino al 1975 quando venne destinato alla stazione elicotteri di Luni (SP) con il grado di Primo Cappellano.

    Nel 1986 riceve il grado di Cappellano Capo Maggiore e nel 1990 viene insignito della Croce d’Oro dopo 25 anni di servizio.
    Nel 1999 viene nominato Cappellano di Sua Santità e dal 2008 al 2017 resta a disposizione come sacerdote collaboratore a Luni, per poi fare rientro in Diocesi, dove ha prestato servizio nella parrocchia di Mirandola.
    E’ stato nominato canonico della Cattedrale di Carpi, oltre che decano della Cattedrale di Sarzana.
    Monsignor Claudio Caleffi si è spento nelle prime ore di martedì 7 dicembre  2021 presso la Casa del Clero del Seminario Vescovile.

    L’8 dicembre (9-12 e 15-18), è stata  allestita la camera ardente presso il Seminario vescovile mentre l’Eucaristia esequiale si è celebrata venerdì 10 dicembre 2021, alle ore 15, nel Duomo di Mirandola.

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    15 agosto 2023, Stella Maris – Assunzione della Beata Vergine Maria

    foto A.N.M.I. Trani

    Stella Maris
    Stella del mare, tu che hai sostenuto la Chiesa nascente con la preghiera e il conforto, non far mancare alla comunità credente il tuo sostegno. Aiutaci ad accogliere i doni dello Spirito e riconoscere nella storia ciò che viene da Dio. Oggi e sempre. Amen.