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    “Maestro” Santo Confessore (Buonvicino (CS), 20.4.1932 – Brindisi, 15.3.2022)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    (Buonvicino (CS), 20.4.1932 – Brindisi, 15.3.2022)

    Scriviamo spesso di eroi, Ufficiali e Sottufficiali decorati o che si sono distinti in servizio e quasi mai di altre figure professionali che ci sono o ci sono state negli anni nella nostra organizzazione marinara. Oggi vogliamo ricordare un operaio specializzato che il 15 marzo è partito per l’ultima navigazione, si avete capito bene “navigazione”. Il “maestro” Santo Confessore ha lasciato il servizio nell’aprile del 1999 dopo 42 anni di ininterrotto servizio. Incominciò a lavorare agli inizi degli anni ‘50 presso il Comando Provinciale dei Carabinieri a Brindisi e nel 1957, quando gli fu proposto l’assunzione a tempo indeterminato a bordo delle navi della Marina Militare, trasferì la famiglia a Taranto imbarcando nell’ottobre come cuoco civile su una nave appena entrata in servizio: la fregata Castore.
    L’unità fu ordinata ai cantieri italiani dagli Stati Uniti e poi assegnata all’Italia nell’ambito del MDAP (Mutual Defense Assistence Program) per conto della NATO. Quarta della classe dopo Canopo, Centauro e Cigno, il Castore fu classificato subito fregata mentre le prime tre furono inizialmente classificate come “avviso scorta” e riclassificate fregate con D.P.R. del 13 maggio 1957. Il Castore fu costruita nei cantieri navali di Taranto. Impostata il 14 marzo 1955, varata l’8 luglio 1956 ed entrò in servizio il 14 luglio 1957.

    F553 – Fregata A/S Castore

    Il maestro Confessore era a bordo del Castore la notte del 22 marzo 1965 quando, durante le manovre cinematiche di zigzagamento antisommergibile, per una errata manovra il Castore taglio la rotta di nave Etna e nonostante le manovre messe in atto la collisione fu inevitabile. L’Etna squarciò la poppa del Castore e persero la vita quattro membri dell’equipaggio: il Sottocapo Aristide Duse, il Marinaio Vittorio Celli ed i Marinai Domenico Franzese e Franco Pardini. Furono ritrovati i corpi solo dei primi due mentre gli altri risultarono dispersi in mare. Nave Castore fu rimessa in linea e successivamente radiata il 1° gennaio 1983. Affondò il 30 marzo 2001 al largo di Civitavecchia mentre veniva rimorchiata in Turchia per essere demolita.

    (https://www.lavocedelmarinaio.com/2018/03/22-3-1965-collisione-fra-le-navi-castore-e-etna/)

    Sbarcato dal Castore subito dopo l’incidente, dopo altri brevi incarichi, fu destinato sulla fregata Alpino raggiungendo la nuova unità nella sede dei cantieri navali di Riva Trigoso. L’imbarco sull’Alpino durò sino al 1972.

    F 580 – La Fregata portaelicotteri Alpino

    In particolare, con l’Alpino partecipò alla crociera in Atlantico dal 14 gennaio al 6 giugno 1973 in quella che per l’epoca fu la “più lunga navigazione ininterrotta” di Unità della nostra Marina Militare (496 ore di moto – 7315 miglia nautiche percorse). Avendo svolto anche la navigazione tra i ghiacci del Mare di Labrador, secondo tradizione, l’occhio di cubia fu dipinto di blu (Nave Alpino Naso Blu). L’atmosfera di stima, di amicizia ed anche di affetto che si creò a bordo durante la lunga navigazione atlantica è stata mantenuta fra alcuni componenti dell’equipaggio ed è stata oggetto di numerosi incontri fra alcuni dei componenti dell’equipaggio con il loro Comandante Giuseppe De Micheli.

    Ultimo raduno dei “Nasi Blu” (il primo da sinistra il maestro Confessore)
    https://www.lavocedelmarinaio.com/?s=naso+blu

    Dopo 15 anni di imbarco sulle unità navali nel 1972 e fu destinato a Brindisi presso il Comando della Terza Divisione Navale dove rimase sino al suo pensionamento.
    Ammiragli ed intere generazioni di Ufficiali e Sottufficiali, e spesso anche le rispettive famiglie, lo hanno sempre ricordato negli anni per la professionalità, l’onestà, la quotidiana assiduità con le quali svolgeva il suo compito, al fine di mantenere alta la tradizione di qualità ed eccellenza della mensa alla quale per tanto tempo si è dedicato. Di seguito quanto riportato sulla fotografia consegnatagli nel giorno del suo invio in pensione:

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    Giuseppe Esposito (Castellammare di Stabia, 15.3.1921 – Rodi, 11.9.1943)

    di Antonio Cimmino

    (Castellammare di Stabia. 15.3.1921 – Rodi, 11.9.1943)

    Il marinaio elettricista Giuseppe Esposito, nasce a Castellammare di Stabia (Napoli) il 15.3.1921.
    Imbarcato sulla regia torpediniere Groppo, varata a Castellammare di Stabia il 19.4.1942, dopo che la nave fu devastata a Messina il 25.5.1943 da un violento bombardamento aereo americano, fu destinato nell’isola di Rodi, alla stazione radio Monte Profeta Elia.

    Dopo l’8 settembre 1943, i militari presenti sull’isola persero le armi contro i tedeschi.
    Giuseppe Esposito fu probabilmente ucciso nella cosiddetta Battaglia di Rodi.
    Il suo corpo non fu mai trovato.

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    15.3.1929, radiazione della regia nave Nino Bixio

    di Antonio Cimmino

    All’inizio del XX secolo la tattica navale e, conseguentemente, le costruzioni militari subirono numerose modifiche anche in funzione degli ipotetici teatri di guerra marittima. Nel Mediterraneo, ad esempio, ed in Adriatico in particolare, sorse per la Regia Marina la necessità di pensare ad un naviglio sottile e veloce che, però, non era adatto ad affrontare né le corazzate e neppure gli incrociatori protetti.
Queste unità, veloci e manovrabili erano, dunque, deputate a contrastare naviglio similare sulla scorta dell’esperienza già fatta dall’Inghilterra con le unità tipo scout cioè esploratore.
    La Regia Marina, quindi, chiese ai progettisti di approntare una nave veloce, ben armata e, necessariamente poco protetta per contrastare quelle in costruzione dalla Marina austroungarica che aveva già assimilato la tecnica inglese. Del naviglio sottile e leggero erano già stato costruito in Italia con gli incrociatori tipo Agordat e Coatit ma che, a causa della limitata velocità dovuta alle motrici alternative, non erano risultati soddisfacenti per le sopravvenute esigenze.

    Al Maggiore del Genio Navale Giulio Truccone, nel 1908, era stato affidato il compito di progettare una nave lunga di scafo, con un castello che si prolungava fino alla tuga centrale di comando, bassa ed allungata.
    Il poco sviluppo delle sovrastrutture doveva dare all’unità una certa stabilità. La velocità maggiore era data dall’utilizzo di turbine del tipo Parson in luogo delle motrici alternative a triplice espansione, alimentate da una decina di caldaie. Tutto l’apparato di propulsione, che occupava la gran parte dello scafo, doveva imprimere alle 3 eliche, con pale di bronzo, una velocità di circa 28 nodi sviluppando una potenza di 29.000 cavalli. Su queste indicazione fu costruito, nell’Arsenale di Venezia, il Quarto, primo esploratore della Regia Marina. 
Sulla scorta di tale unità sperimentale, furono costruiti a Castellammare di Stabia, gli esploratori Bixio e Marsala. Il progettista fu l’ingegnere napoletano Generale del Genio Navale Giuseppe Rota.
    Il Bixio fu impostato nel 1911, varato nello stesso anno (30 dicembre) e consegnato alla Regia Marina nel 1913.
    Al varo assistè, come di consueto, una immensa folla e madrina fu la stessa figlia di Nino Bixio.
Come per tutti i vari, l’avvenimento ebbe eco nazionale ed il settimanale l’Illustrazione Italiana nel numero 1-7 gennaio 1912 così scrisse:
    Una nuova e bella nave da guerra è stata varata la mattina del 30 dicembre dal cantiere di Castellammare di Stabia – l’esploratore Nino Bixio. Sebbene svoltasi senza le grandi forme ufficiali, la cerimonia è riuscita solenne. La nave è stata benedetta dal parroco, anzi che da monsigno De Juro; madrina ne è stata la signora Giuseppina Bixio vedova dei Conti, unica figlia del generale, accompagnata da altri parenti venuti da Parigi, cioè, signora Abeille Bixio, nipote del generale, dalla signorina Luisa Busetto e dal comandante Jean Lèonard Kocklin caposquadra dellìesercito francese. Il varo è stato compito felicemente, con molta rapidità, e la nave è scesa in mare, quasi completa avendo già quattro fumaioli e due alberi. La propuslione della nave è ottenuta con tre turbo-motrici, capaci di sviluppare 22.500 cavalli. È questa la prima nave italiana varata con le caldaie e tre eliche in bronzo. L’autore del progetto, colonnello Rota, premiato con medaglia d’oro per l’incremento delle scienze navali, dirige attualmente l’arsenale di Spezia. Costruttori fuorno il colonnello Padrone, il capitano Capaldo e i tenenti Dardanoni, Celentano, Barpi, Sculteci. Prima del varo, accanto alla Nino Bixio su un altro scalo dedevasi maestosa la Marsala, che sarà varata fra due mesi”.

    Il giornalista della Cronaca Illustrata, con un linguaggio poco tecnico, così descrisse l’avvenimento:
    “A Castellammare di Stabia ebbe luogo il giorno 30 dicembre il varo dell’esploratore “Nino Bixio” la nave gemella del “Quarto” già in mare e del “Marsala” che toccherà le onde nel prossimo febbraio. La manovra riuscita benissimo venne diretta dal colonnello Martinez direttore delle costruzioni navali di Napoli. Madrina è stata la signora Bixio vedova Conti. La cerimonia si svolse davanti alle autorità marinare e civili, tutte le maestranze di Castellammare e una larga rappresentanza degli operai dell’arsenale napoletano. La mattina era splendita. Pochi gl’invitati; numerosa folla assisteva fuori dal cantiere e su varie imbarcazioni nello specchio d’acqua di fronte all’arsenale. (…) La costruzione della “Nino Bixio” è durata poco più di dieci mesi, durante i quali le laboriose maestranze del cantiere oltre ai lavori della “Marsala”, sono stati adibiti a quelli della nuova chiglia del “San Giorgio” ed alla lavorazione del ferro occorrente per la impostazione della super dreadnought Duilio (…).

    La “Nino Bixio” appartiene al tipo scout (esploratrici) perché avrà una velocità di 29 nodi all’ora e quindi potrà agevolmente disimpegnare il servizio di avanscoperta di una divisione navi da battaglia di prima classe; e per questo è il tipo intermedio fra un gruppo di siluranti, ed un incorciatore velocissimo. Lo scafo della nuova nave è in acciaio in resistenza elevata, ha tre ponti di coperta, di corridoio e quello di portezione che assicura la galleggiabilità della nave stessa contro le invasioni d’acqua delle breccie aperte in murata nella zona sottostante alla linea di galleggiamento. 
Tre potenti turbine tipo Curtiss, azionanti ciascuna un’elica costituiscono lo apparato motore. Esse sono installate in tre locali indipendenti e separati dai locali delle caldaie che, come ho detto, sono quattordici, tipo Blexinder e sono raggruppate in modo da mandare i prodotti della combustione in quattro direzioni. Lo scafo è completo con i fumaioli anche a posto e pesa poco più di 2000 tonnellate. Il progetto della “Bixio” è del colonnello del genio navale cav. Giuseppe Rota. I lavori di costruzione sono stati diretti dal tenente colonnello del genio navale cav. Gaetano Padrone efficacemente aiutato dai suoi ottimi collaboratori (…)”.
    Il dislocamento a pieno carico era di 4.141 tonnellate, quello normale di 3.575. le dimensioni dell’unità erano: 140,3 metri di lunghezza fuori tutta e 131,4 fra le perpendicolari, larghezza 13 metri ed immersione 4,7 metri. 13 caldaie a tubi d’acqua alimentate a carbone ( 750 tonnellate) ed nafta ( 180 tonnellate) facevano girare 3 turbine che imprimevano alle 3 eliche una velocità di 26,5 nodi; la potenza dell’apparato motore era pari a 22.500 cavalli.
    Il motto della nave era: ”Obbedire e tacere” riferendosi ad un episodio della vita di Nino Bixio quando, in occasione di un tentativo di ammutinamento dei suoi uomini, disse loro:” domani mi ucciderete, ma oggi mi dovete obbedire”.

Attività operativa
All’inizio della prima guerra mondiale, il Bixio si trovò dislocata a Brindisi nella Divisione navale al comando dell’Ammiraglio Millo e formato dagli esploratori Palermo, Siracusa, Messina, Quarto, Marsala, Agodart, Liguria, Puglia e da 10 cacciatorpediniere e 6 sommergibili.
Alla fine del mese di dicembre 1915 e fino al successivo mese di febbraio, gran parte della flotta supportata da piroscafi, fu impegnata nel salvataggio dell’esercito serbo incalzato dalle armate austroungariche che con diverse sortite, tentarono di ostacolare il traghettamento dall’Albania a Brindisi.

    Grandissima parte della flotta italiana fu impegnata per la scorta a piroscafi di rifornimento e trasporto truppe, per i servizi di vigilanza e pattugliamento e per il traghettamento di circa 200.000 uomini e 10.000 cavalli dell’esercito serbo. Gli austriaci ostacolarono la complessa operazione con attacchi di aerei, sommergibili, con squadriglie di cacciatorpediniere appoggiati da incrociatori ed esploratori, nonché con la posa di campi minati.
Il 29 dicembre 1915 il Bixio guidò una gruppo navale di cui facevano parte anche unità francesi ed inglesi per affrontare la flotta nemica che insidiava le operazioni salvataggio. Il naviglio alleato causò alla Marina austriaca la perdita dei cacciatropediniere Lika e Triglav, il danneggiamento dell’Helgoland e di altre tre unità.
A ricordo del salvataggio, nel 1924 fu posta sul lungomare di Bridisi una lapide che ricorda tale avvenimento:
    ”Dal dicembre MCMXV al febbraio MCMVI le navi d’Italia con cinquecento ottantaquattro croiere protessero l’esodo dell’esercito serbo e con duecentodue viaggi trassero in salvo centoquindicimila dei centottantacinquemila profughi che dall’opposta sponda tendevano la mano”.
    Ad onor del vero contribuirono al salvataggio anche le navi francesi, con 101 viaggi ed inglesi con 19. Dopo la prima guerra mondiale, con la Conferenza di Parigi, si crearono situazioni di tensione, specie per i confini e per le aspettative delle nazioni vincitrici. Terreno di coltura per lo scoppio del secondo conflitto. Drammatici furono i contrasti tra la Jugolsavia e l’Albania e la situazione dei numerosi cittadini italiani in quelle aree tumultuose, era piuttosto critica. I Balcani continuarono a rappresentare un nodo cruciale per il mantenimento della pace.
    Nel 1919 una Commissione interalleata si recò a Spalato. La costa meridionale della Dalmazia e Spalato erano state escluse dall’occupazione italiana anche se in città viveva una nutrita comunità italiana.
A tutela della summenzionata Commissione, formata dagli ammiragli di: USA (Albert Niblack); G.B. (Edwuard Burton Kiddle); Francia (Jean E.C.M.Ratyè) ed Italia ( Umberto Cagni) fu inviato anche il Nino Bixio che ormeggiò nel porto di Spalato per difendere anche la comunità italiana. Nel pomeriggio del 24 febbraio 1919, infatti, i rappresentanti della popolazione italiana, mentre passeggiavano con Giulio Menini, comandante del Puglia, furono aggrediti da una folla inferocita.
L’indomani, a bordo del Bixio, il presidente del governo provvisorio jugoslavo ed il sindaco di Spalato, presentarono le scuse ufficiali per l’increscioso avvenimento. Fu deciso che l’ordine pubblico fosse affidato all’ammiraglio americano attraverso l’uso di pattuglie interalletae. Dopo tale missione il Bixio ritornò alla base e non partecipò a missioni di rilievo.
Fu radiato e conseguentemente demolito il 15 marzo del 1929.

    

Notizie sul Quarto
    Il Quarto (motto: Ho confidenza in Dio e nel coraggio) entrò in servizio nel 1912.
    Dopo lavori di riparazione a causa di un incendio, nel 1914 ricevette a Genova la bandiera di combattimento. Partecipò alla prima guerra mondiale senza, però, scontarsi mai con la flotta nemica. Dopo la guerra effettuò numerose missioni in Cina e nel Mar Rosso. Partecipò alla guerra civile di Spagna nel 1936. Radiato nel 1939 fu adibito a bersaglio per le esercitazioni. Il suo relitto fu messo, nel 1944, davanti al porto di Livorno per ostruirne l’ingresso.

    Scheda Tecnica del regio esploratore Nino Bixio
    Progettato da Giuseppe Rota Generale del Genio Navale).
    Classe: Capoclasse (Marsala).
    Impostato: 1911.
Varato: 30 dicembre 1911.
    In servizio: 1913.
Dislocamento: 4.141 tonn. ( a pieno carico) – 3.575 tonn. (normale).
    Lunghezza: 140,30 metri (fuori tutta) – 131,40 metri (fra le perpendicolari).
    Larghezza: 13,00 metri.
    Immersione: 4,70 metri.
    Apparato motore: 14 caldaie tipo Blechynden; 3 turbine a vapore tipo Curtiss della Ditta Franco Tosi di Legnano; 3 eliche.
    Potenza: 22.500 cavalli vapore.
    Combustibile: nafta 180 tonn. carbone 750 tonn.
    Velocità massima: 27 nodi.
    Autonomia: 1.400 miglia a 13 nodi.
    Protezione: 40 mm ponte.
    Artiglieria: 6 cannoni da 120/50 mm tipo Armstrong 1909; 6 cannoni da 76/50 mm Vickers 1909; 2 tubi lancia siluri da 450 mm sistemati sotto la poppa; 200 mine.
    Equipaggio: 336 uomini.
    Radiato: 15 marzo 1929.
    Demolito: 1930.
    Motto: Obbedire e tacere.

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    Vittorio Iovino (15.3.1929 – 11.10.2016)

    (15.3.1929 – 11.10.2016)

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    Ciao Vittorio, riposa in pace fra i flutti dell’Altissimo.
    Noi vogliamo ricordarti sempre così.

    L’8.9.1943 a Castellammare c’ero anch’io Vittorio Iovino
    di Vittorio Iovino

    …Quei tragici giorni del ’43 nei ricordi di Vittorio Iovino, un giovanissimo allievo operaio della Navalmeccanica.

    1Mi chiamo Vittorio Iovino e sono nato a Castellammare di Stabia il 15 marzo 1929 ed abitavo a Via Coppola n. 48.
    A 13 anni andai a lavorare per qualche mese nella Corderia della Regia Marina, alle dipendenza di una piccola ditta che costruiva degli stuoini di canapa intrecciata per fasciare i proiettili onde evitare lo sfregamento durante la loro movimentazione. Erano chiamati paglietti. Dopo qualche mese, un mio amico mi disse che nella Navalmeccanica c’era una scuola allievi operai che alternava lavoro e studio. Avendo, nel frattempo compiuti i 14 anni, mi iscrissi a tale scuola nel corso per tubisti. Le aule e le officine si trovano all’interno del cantiere navale nei locali dell’ex forte borbonico, Mi ricordo che sulla facciata del forte c’era una grande scritta a firma di Mussolini che così diceva: “Noi siamo mediterranei, la nostra vita è stata e sempre sarà sul mare”.
    Ero molto curioso e giravo sempre per il cantiere. Mi ricordo che dietro l’officina navale, nella zona che chiamavano Porto Pennello c’era un baraccamento di soldati che gestivano una postazione di cannoni; ho ancora sotto gli occhi un bunker in cemento armato che doveva respingere una ipotetica invasione dal mare.
    Mentre frequentavo la scuola, feci amicizia con un marinaio tedesco che faceva parte di un piccolo distaccamento in cantiere perché erano in costruzione due motozattere per la Kriegsmarine.
    Mi ricordo che lungo la banchina dell’Acqua della Madonna erano ormeggiate le motozattere agli ordini del Comandante Riccio; al tramonto, salpavano, cariche di munizioni, benzina, nafta e viveri per l’Africa Settentrionale. C’erano anche diversi M.A.S., alcuni costruiti nell’officina falegnami. Quando questi mezzi accendevano i motori, il rumore era assordante.
    2Veniamo all’8 settembre 1943. Quando alla radio fu annunciato l’armistizio, tutte le postazioni antiaeree della città, credendo che la guerra fosse finita, scaricavano le armi (sparavano in aria per consumare i proiettili nel caricatore NdR). Così fecero le mitraglie della Capitaneria di Porto, le due mitraglie poste all’Acqua della Madonna ai lati della gru a manovella ed i pezzi antiaerei della Punta del Molo.
    I tedeschi che stavano a Castellammare ed in cantiere, volendo impadronirsi delle navi e sabotare gli impianti, trovarono una furiosa resistenza. Essi, infatti, ingaggiarono i combattimenti con i marinai posti a difesa dell’incrociatore Giulio Germanico e delle altre unità in costruzione ed in allestimento. Dell’episodio del Comandante Domenico Baffigo ho saputo successivamente. In quei giorni a Castellammare non si capiva niente. Non mi ricordo dopo quanti giorni dall’11 settembre mi recai davanti alla porta del cantiere a Via Acton per andarmi a prendere le tute di lavoro a cui ci tenevo tanto. Davanti al portone ingresso-operai di Via Sorrentina (ora Via Acton) trovai il tedesco che conoscevo che mi voleva dissuadere ad entrare per le devastazioni operate. Dopo mia insistenza il soldato mi fece entrare e trovai gli spogliatoi diroccati e gli armadi di legno degli operai tutti bruciati. Tornai indietro e cominciai a gironzolare per Castellammare.
    A via Gesù nei pressi della caserma della Guardia di Finanza, di fronte al negozio di Farfalla, vidi un uomo disteso a terra, morto, con una brutta ferita alla testa. Era vestito con una tuta ed ai piedi portava degli zoccoli di fabbricazione cantiere. Capì subito che era un operaio della Navalmeccanica in quanto quasi tutti calzavano zoccoli di legno fabbricati personalmente e chiamate “mantelle” (erano e sono gli oggetti che gli operai costruiscono per uso personale (NdR)
    3Di quei giorni confusi mi ricordo solo dei flash. Non saprei se prima o dopo la cattura del Comandante Baffigo, difensore del cantiere, Woronski Giordano detto il “tarantino”, di sua iniziativa lanciò una bomba a mano su una camionetta tedesca posta davanti al bar Spagnuolo; la camionetta andò a fuoco. Io che stavo in villa comunale, scappai verso casa per l’arco di San Catello. Mi ricordo che alla salita I De Turris, nel tratto prima dell’ingresso della Curia, c’era un marinaio a petto nudo e con una fasciatura tutta macchiata di sangue. Imbracciava un fucile mitragliatore. Alcune donne, visto che a piazza Monumento c’era un camion tedesco con una mitragliatrice a 4 canne e circondato da soldati che erano in assetto di guerra, pregarono il marinaio di desistere e lo spinsero a forza nel portone sulla sinistra (attualmente numero civico, 5 NdR) che era collegato con la Circumvesuviana. Il marinaio le ascoltò e non lo si vide più. Nel frattempo un tedesco, solo e a bordo di una carrozzella, veniva correndo da Via Sarnelli verso piazza Monumento. Forse aveva sottratto la carrozzella ad un cocchiere che stazionava in piazza Municipio presso la canestra e fuggiva verso i suoi camerati. Oltre alle note distruzioni operate dai tedeschi in cantiere e sulle navi, furono affondati diverse imbarcazioni nel porto, tra cui un bastimento chiamato Maddaloni. Si diceva che fosse carico di rame e che, all’atto del suo recupero, all’arrivo degli americani, questo prezioso metallo era sparito.
    Fu anche affondato un sommergibile che stava ormeggiato, per la riparazione, alla banchina dei Magazzini Generali. Nei Magazzini Generali era allestita una officina per la riparazione delle imbarcazioni e noi allievi operai, eravamo contenti di portarvi le bombole di ossigeno ed acetilene dal cantiere, perché si perdeva molto tempo a trasportarle sui carrellini, sottraendoci al lavoro nelle officine.
    Sempre Nell’estrema confusione di quei giorni, io e il mio amico Antonio Caccioppoli (successivamente arruolatosi nell’Esercito e non più ritornato a Castellammare), approfittando che l’edificio della Capitaneria di Porto era deserto – in quanto i marinai o erano stati presi prigionieri o erano scappati – rubammo un fucile mitragliatore, quello con il treppiedi. Io trasportai un nastro con i proiettili ed un elmetto. Andammo con il bottino nel canalone di Caporivo e volevamo provare il nostro “giocattolo”. All’improvviso venne un uomo della famiglia De Simone che facevano i lattai a salita Santa Croce e ci cacciò in malo modo dicendo: “Delinquenti, ci volete far uccidere dai tedeschi!”. Di quel mitragliatore non ho saputo più nulla.
    5Appreso dei saccheggi alla fabbrica di Cirio, anch’io mi recai a Traversa Mele e riuscì a trafugare due barattoli di marmellata. C’era una confusione enorme; tutti spingevano e si accavallavano per portarsi via quanto più viveri possibile. A via Napoli nei pressi del pastificio Di Nola, vidi un uomo ferito ad un piede che veniva trasportato a braccia verso l’Ospedale di piazza Municipio.
    Un giorno, sempre a Traversa Mele, un tedesco di guardia, durante un altro saccheggio, fece scappare un colpo di mitragliatore che colpì alla testa una donna. Mi ricordo ancora la donna distesa a terra con il sangue che scorreva sui basoli. Io mi ero intanto nascosto dietro al muretto che separava la strada dalla ferrovia e, facendo capolino, vidi che il tedesco le si avvicinò (la donna aveva capelli lunghi) e muovendola con lo stivaletto, nel vedere che era morta, con un gesto di noncuranza, ritornò al suo posto di guardia davanti al cancello della Cirio.
    Intanto il saccheggio continuava, ognuno portava via qualcosa dai pastifici o dagli uffici abbandonati; vidi a via Quisisana, nei pressi del Collegio dei Mutilatini di Don Gnocchi, della gente trasportare letti e materassi dall’Ospedale militare della Reggia; una donna aveva sottratto finanche una fisarmonica.
    Sempre in quel posto, mi ricordo una scena strana. C’era un tedesco con una divisa kaki, che sotto la sahariana indossava una camicia nera. Con un mitragliatore a tracolla, mangiava un salame che aveva trafugati chissà dove. Un giovane del posto, sembra che appartenesse alla famiglia detta degli “zingarielli” di Scanzano, imprecò contro Mussolini. Il tedesco lasciò il salame e stava imbracciando il mitra per sparagli, intervennero delle donne che lo dissuasero a tanto, dicendo che il giovane non stava bene di testa. Il tedesco, quindi, comprendeva l’italiano. Ancora oggi non riesco a spiegarmi quella strana divisa che indossava e la comprensione della lingua italiana.
    6La mia abitazione era al terzo piano di Via Coppola proprio di fronte alla caserma Carabinieri (la caserma è stata ivi ubicata fino agli anni ‘60; ora palazzo storico, già sede del consolato dell’Impero di Russia durante il Regno delle Due Sicilie NdR) e precisamente agli uffici del Comandante. Quando i tedeschi imposero il bando di deportazione nei campi di lavoro in Germania ed Austria per le classi nate dal 1910 al 1925, la tipografia che ebbe l’ordine di stamparlo ubicata un po’ più sopra della caserma, non aveva energia elettrica; i tedeschi imposero al Comandante di prestare due carabinieri per far funzionare a mano la rotativa. Per questo episodio lo stesso fu processato all’arrivo degli americani. I giovani rastrellati venivano raggruppati sulla Cassa Armonica e man mano portati via da camion tedeschi verso il campo di smistamento di Sparanise.
    Durante il rastrellamento, a Caporivo c’era una donna che organizzava la fuga dei giovani verso Agerola, dove c’erano gli americani. Mio fratello e mio cognato usufruirono di questo aiuto. Io ero piccolo d’età e di statura ed i tedeschi non mi presero mai in considerazione. Presero, invece, un mio compagno di appena due anni più grande Ciccio Zurolo che abitava nel mio palazzo; era solo un ragazzo alto e sembrava più vecchio della sua età. Io corsi da sua madre che fece subito intervenire un suo zio della Milizia, forse console, che lo fece liberare. Successivamente Ciccio si arruolò nei Carabinieri e, dopo essersi congedato, seppi che si era dato al calcio. Un altro mio amico, un certo Emilio Esposito del rione Spiaggia, mi spiegò che, invece di essere inviato in Germania, fu aggregato come una specie di servitore alle truppe tedesche che risalivano verso il Nord. Assieme ad altri italiani, con una fascia al braccio sinistro, usufruivano dei residui del bottino ed avevano gli zaini pieni di ogni ben di Dio. Una sera furono avvicinati da un sottufficiale altoatesino della Wehrmacht che parlava bene italiano; egli disse loro di scappare al più presto perché, in prossimità dell’arrivo degli Alleati, i suoi camerati avevano deciso di ammazzarli tutti all’indomani. Andò bene, invece al mio amico Antonino Puglia che, al ritorno dalla Germania, mi spiegò che era stato assegnato, come manovale ad una rivendita di carbone gestita da una vedova di guerra.
    Io, forte della mia immunità anagrafica e somatica, girovagavo sempre dove c’era movimento e confusione. Ero molto incosciente. In Villa Comunale c’era una postazione con un cannone a canna lunga rivolto al porto e sistemato nell’aiuola davanti ai servizi igienici. Nel viale dei platani, invece, furono montate molte tende tedesche, alcune di colore chiaro. Un giorno un tedesco mi fece segno di avvicinarmi ad una di queste e mi regalò una manciata di penne e di quaderni. Io avrei preferito del cibo.
    Finalmente il 28 settembre scesero da Agerola gli americani. Tutto cambiò. Io ritornai a fare il tubista. Il cantiere era tutto in rovina; le corvette sullo scalo ed in allestimento, unitamente all’incrociatore Giulio Germanico, erano distrutti. Molte navi ed imbarcazioni giacevano nel porto così pure il sommergibile ormeggiato al pontile dei Magazzini Generali. Si contarono i morti tra militari e civili, ammontavano a diverse decine. Mi ricordo che incominciai a lavorare con Pietro Schettino, un operaio qualificato tubista, più anziano di me. Lavoravano per la manutenzione dei portelloni delle imbarcazioni da 4sbarco degli Alleati. Questi sistemarono un lungo reticolato di filo spinato dal cantiere fino alla Capitaneria di Porto; il tutto sotto la sorveglianza della polizia militare inglese. Un giorno mio fratello mi disse che in una di queste motozattere da sbarco c’era bisogno di un cuoco. Io, con il permesso del capo operai Peppe Vollono, padre di Ciccio e Catello, andai a bordo per iniziare la mia nuova attività, pur figurando come tubista della Navalmeccanica. Il cartellino me lo timbrava il guardiano don Giovanni, non mi ricordo il cognome, ricordo solo che era della Penisola Sorrentina. Le mie mansioni erano quelle di riscaldare il roast beef nel fornello e nel preparare la tavola per i circa 8 uomini di equipaggio, riempiendo sempre di whisky i bicchieri. Contento del mio lavoro, il capo imbarcazione mi diede un pass per la polizia militare al cancello presso la Capitaneria. In quel periodo portai a casa moltissimo scatolame di carne, piselli in polvere, marmellata ed altro ancora, di cui beneficiarono parenti e vicini di casa. Ma questa è un’altra storia…

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    15.3.1920, disarmo della regia nave Goito

    di Carlo Di Nitto

    Il regio incrociatore Torpediniere “Goito”, classe omonima, dislocava 985 tonnellate a pieno carico. Progettato dal Generale Ispettore del Genio Navale Benedetto Brin, fu varato il 6 luglio 1887 presso i Cantieri Navali di Castellammare di Stabia, fu completato il 16 febbraio 1888 ed entrò in servizio l’11 maggio dello stesso anno.
    Immediatamente inviato a Barcellona a rappresentare l’Italia in occasione della Esposizione Internazionale, al rientro in patria effettuò attività di squadra per essere inviato subito dopo nelle acque del Levante.
    Nel 1890 e nel 1897 fu sottoposto a importanti lavori di trasformazione sia nell’impianto di propulsione sia nell’armamento, che venne attrezzato per la posa di mine. Svolse quindi, negli anni successivi intensa attività di squadra.
    Durante la guerra italo – turca venne dislocato a Punta Maestra per posare campi di mine e svolgere attività di vigilanza.

    Nel 1916 fu assegnato alla scuola meccanici che era stata trasferita a Castellammare di Stabia. Negli ultimi mesi della Grande Guerra eseguì servizi di scorta e di difesa al traffico nazionale effettuando anche missioni a Pola e Fiume.
    Nel 1919 tornò alle vecchie funzioni di nave scuola Meccanici svolgendo attività addestrativa e crociere d’istruzione.
    Passato in disarmo il 15 marzo 1920 e radiato ufficialmente il 4 luglio successivo, fu destinato alla vendita per demolizione dopo 32 anni di servizio.

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    15.3.1923, radiazione della regia nave Regina Elena

    di Carlo Di Nitto

    La regia nave da battaglia di 1a classe “Regina Elena”, classe omonima era una bella e possente unità che dislocava 13804 tonnellate a pieno carico. Costruita nei cantieri dell’arsenale Marina Militare di La Spezia, fu varata il 19/06/1904 ed entrò in servizio l’ 11/09/1907.
    Nei primi anni svolse intensa attività di squadra e di rappresentanza. Nel corso della guerra Italo – Turca, scortò i convogli diretti a Bengasi ed appoggiò gli sbarchi e l’occupazione delle città libiche. Contribuì all’occupazione di Rodi e delle altre isole del Dodecaneso, effettuando numerose crociere nel mar Egeo.
    Durante la Prima Guerra Mondiale, essendo ormai tecnicamente superata, svolse attività bellica assai limitata, prevalentemente in Adriatico. Dopo il conflitto passò in disponibilità e usata come nave scuola per sottufficiali e allievi torpedinieri.

    Nel 1921 venne declassata a “Corazzata Costiera”; posta in disarmo il 16/2/1923, venne radiata il 15 marzo successivo.
    Il suo motto fu “Pro Patria et Rege”.

    REGIA NAVE DA BATTAGLIA REGINA ELENA – Una suggestiva immagine da prora della prora


    CONSEGNA DELLA BANDIERA DI COMBATTIMENTO ALLA REGIA CORAZZATA “REGINA ELENA”

    Domenica 21 aprile 1907, a La Spezia, il re Vittorio Emanuele III dopo aver presenziato in arsenale al varo della nave da battaglia Roma (2^), nel corso di una solenne cerimonia consegnò la Bandiera di combattimento alla regia corazzata “Regina Elena” (comandante, capitano di vascello David Gerra). L’artistico vessillo, racchiuso in un elegante cofano e benedetto dal vescovo di Luni – Sarzana (poi La Spezia), monsignor Giovanni Carli, era stato eseguito e ricamato dalle allieve della Scuola professionale di Roma sopra tessuti serici di produzione italiana.

    Dopo i discorsi di rito, e la firma del verbale di consegna, il comandante affidò la Bandiera ai guardiamarina Zina e Grana che l’alzarono al picco di maestra tra le salve delle artiglierie di bordo ed il saluto dell’equipaggio.Nella foto è ripreso questo momento della cerimonia.
Una curiosità: la Regina non poté presenziare alla cerimonia per un malore dovuto all’appena iniziata gravidanza della futura principessa Giovanna.
La Regia Nave da Battaglia “Regina Elena” entrò in servizio nella Regia Marina il successivo 11 settembre. Fu radiata nel 1923.

    a cura Fernando Antonio Toma


    Questa cartolina commemorativa d’epoca illustra il varo della regia nave Roma. A La Spezia il re Vittorio Emanuele, dopo aver presenziato in arsenale al varo della nave da  battaglia Roma (classe Vittorio Emanuele), nel corso di una solenne cerimonia consegnò la bandiera di combattimento alla nave da Battaglia Regina Elena. Per l’occasione fu coniata una medaglia commemorativa con il motto “Pro Patria et Rege” scelto proprio dalla stessa regina.

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/04/21-4-1907-consegna-bandiera-combattimento-alla-regia-nave-regina-elena-e-varo-regia-nave-roma/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/10/augusta-li-13-10-1907-saluti-dalla-regia-nave-regina-elena/