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    3.4.1928, viaggio inaugurale della nave Conte Grande

    a cura Carlo Gaetani

    T/N CONTE GRANDE
    Il 23 febbraio 1928: salpa da Trieste al commando di Antonio Lena per il viaggio di consegna a Genova, con scalo a Napoli. Il 3 aprile 1928 parte per il viaggio inaugurale sulla linea espressa Genova – New York. Il 2 gennaio 1932 viene trasferito alla Italia Flotte Riunite; utilizzato per viaggi di linea da Genova sia verso il Nord America che il Sud America.  Il 9 giugno 1940 viene bloccato e posto in disarmo a Santos alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. Il 22 agosto 1941 viene requisito dal governo brasiliano e affidato in gestione al Lloyd Brasileiro. Il 10 marzo 1942 il governo brasiliano lo vende al governo statunitense. Il 2 novembre 1942 torna in servizio, dopo aver subito notevoli lavori di conversione, come trasporto truppe U.S.S. Monticello. Il 29 marzo 1947 viene restituito ufficialmente al governo italiano e riprende il nome di Conte Grande. Sottoposto a lavori di ricostruzione a Genova, la stazza lorda scende a 23.841 tsl, mentre la lunghezza viene incrementata a 203,35 mt. La capacità d’imbarco è di 1.498 passeggeri: 215 in Prima classe, 333 in classe Cabina e 950 in classe Turistica. Il 15 luglio 1949 parte per il primo viaggio del dopoguerra sulla rotta Genova – Buenos Aires a noleggio della Società Italia (la nave rimarrà di proprietà dello stato italiano). In seguito verrà utilizzato occasionalmente anche per traversate sulla linea Genova – New York. Il 15 dicembre 1960 salpa da Genova per un unico viaggio straordinario a Sydney, a noleggio del Lloyd Triestino. Il 7 settembre 1961 arriva alla Spezia per essere demolito dopo 33 anni di onorato servizio.

    Caratteristiche tecniche
    Committente: Lloyd Sabaudo, Genova. Cantiere: Stabilimento Tecnico Triestino San Marco, Trieste. Co. 764. Impostato: 30 Ottobre 1926. Varato: 29 giugno 1927. Viaggio inaugurale: 3 Aprile 1928.
    Lunghezza fuori tutto: 198,81 mt. Lunghezza al galleggiamento: 193,25 mt. Lunghezza alle perpendicolari: 190,50 mt. Larghezza massima: 23,77 mt. Immersione a pieno carico: 8,121 mt. Stazza lorda: 25.661 tsl. Stazza netta: 17.518 tsl. Propulsione: 2 gruppi turboriduttori, 12 caldaie Ansaldo S.A. e doppia elica; 26.400 shp. Velocità di servizio: 21,00 nodi. Velocità massima alle prove: 21,86 nodi. Capacità d’imbarco nel 1928: 1.718 passeggeri in tre classi. Prima classe: 578 passeggeri (332 letti bassi + 246 eventuali letti sovrapposti). Seconda classe: 420 passeggeri (256 posti di Seconda classe + 164 posti di classe Turistica). Terza classe: 720 passeggeri. Equipaggio: 532 persone (36 Ufficiali, 66 di coperta, 62 di macchina, 260 di sala e cabina, 90 di cucina e 30 per servizi vari).

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    Arrigo Petacco (Castelnuovo Magra, 7.8.1929 – Porto Venere, 3.4.2018)

    di Pancrazio “Ezio”Vinciguerra

    (Castelnuovo Magra, 7.8.1929 – Porto Venere, 3.4.2018)

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Arrigo Petacco, storico e autore di molti saggi, ha pubblicato “La croce e la mezzaluna: Lepanto 7 ottobre 1571” (Mondadori 2005). La narrazione dell’epica battaglia, minuziosamente narrata, trasferisce al lettore un documento di elevato impatto per comprendere come il valore della storia sia da tributare all’azione degli uomini. Il libro di Petacco, oltre che di grande attualità, rappresenta un contributo importante alla reciproca conoscenza forse non facile, ma necessaria, tra due diverse culture.
    Più di quattro secoli fa, la Lega Santa Europea sconfiggeva in mare a Lepanto i Turchi. Una svolta nella storia del vecchio continente. La battaglia durò solo cinque ore, cinque ore che cambiarono il nostro destino: l’Europa non diventò una provincia turca e il Mediterraneo non si trasformò in un lago musulmano.
    A Lepanto nel 1571, l’Europa vittoriosa conservò la sua indipendenza e la sua tradizione. I turchi che sembravano invincibili, furono costretti ad arrestare la loro espansione verso occidente. L’Impero Ottomano e la Lega di Stati Europei, a Lepanto si giocarono tutto, per questo lo scontro non fu lungo ma straordinariamente violento.
    Si dice che la flotta cristiana e quella turca in battaglia assunsero rispettivamente le formazioni della croce e della mezza luna. Il coraggio sovraumano con cui i Cavalieri di Malta difesero la loro croce, la più odiata dei musulmani, fanno da sfondo all’eroismo di molti e all’avidità di alcuni. Nella battaglia servì anche l’ingegno umano per l’espediente del grasso spalmato sui ponti delle navi cristiane in modo da far scivolare i turchi all’arrembaggio.

    C’era fra i combattenti cristiani un soldato d’eccezione si chiamava Miguel Cervantes. Nel Don Chisciotte della mancia, qualche anno più tardi racconterà in forma allegorica e onirica il tramonto degli ideai cavallereschi che proprio a Lepanto ebbero l’ultima straordinaria consacrazione.
    Nell’anniversario della vittoria navale di Lepanto riportata dalla flotta cristiana e attribuita all’intercessione di Maria, fu istituita da papa Pio V la preghiera del santo Rosario.
    In realtà l’origine storica della preghiera risale al Medioevo un tempo questo in cui i salmi costituivano il punto di riferimento principale per chi pregava, ma rappresentavano anche un ostacolo insuperabile per coloro che non sapevano leggere.


    Si pensò allora di aggiungere alla preghiera dell’Ave Maria i misteri della vita di Gesù Cristo, allineati, uno dopo l’altro come grani di una collana divenendo quindi una preghiera per tutti, semplice ma profonda. Più tardi, nel 2002- 2003, san Giovanni Paolo II nell’anno del Rosario aggiunse alla preghiera del Rosario i misteri della luce che ci fanno contemplare alcuni momenti significativi della vita pubblica di Gesù.


    Occorre non disperdere questa preziosa eredità ritornando a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie. La famiglia che prega unita, resta unita.

    Battaglia di Lepanto
    Lo stendardo di Pio V e la Canzone dei Trofei di Gabriele D’Annunzio. 

    a cura Carlo Di Nitto
    Lo Stendardo di Pio V (o meglio, quello che ne resta) che sventolò a Lepanto sulla galea ammiraglia della squadra pontificia comandata da Marcantonio Colonna e da questi donato alla Cattedrale di Gaeta al suo ritorno da Lepanto.
    Così viene ricordato da Gabriele d’Annunzio nella sua:

    “Canzone dei Trofei”

    “O Gaeta, se in Sant’Erasmo sei
    a pregar pe’ tuoi morti, riconosci
    il Vessillo di Pio ne’ tuoi trofei,
    toglilo alla custodia perché scrosci
    come al vento di Lepanto tra i dardi
    d’Ali, mentre sul molo tristi e flosci
    sbarcano i prigionieri che tu guardi
    e che non puoi mettere al remo.”

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    I marinai del Colosseo

    di Antonio Cimmino

    Le naumachie
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Le naumachie erano simulazioni di battaglie navali svolti, in appositi bacini naturali o allagati per la circostanza, a scopo di divertimento, dove si rievocavano famose battaglie storiche.
    naumacharii erano in genere prigionieri di guerra o condannati a morte che dovevano guerreggiare indossando le tipiche armature del paese rappresentato, incitati alla lotta dai pretoriani. I combattimenti così diventavano irruenti e davano agli spettatori quell’acre piacere del sangue, come nei ludi gladiatori.
    Il termine naumachiae deriva dal greco e indica sia il sito che lo spettacolo, mentre i romani chiamavano queste rappresentazioni “navalia proelia”.
    La prima naumachia di cui si ha memoria si tenne a Roma nel 46 a.C. in un lago artificiale creato nel Campo Marzio ad opera di Cesare per celebrare il suo trionfo. In quell’occasione venne simulata la battaglia tra la flotta fenicia e quella egiziana. Parteciparono circa 6.000 figuranti ed una folla enorme giunta dalle vicine colonie accampata nelle strade e nelle piazze, così numerosa come racconta Svetonio, da provocare nella ressa la morte di diverse persone.
    Il pubblico si esaltava alla vista delle navi e delle varie fasi della battaglia proprio perché erano così rare e facevano sfoggio della più raffinata evoluzione tecnica molto più di quella utilizzata negli altri ludi romani.
    Lo scopo dei ludi romani e del loro vasto consenso popolare era quello di tenere il popolo ben nutrito (attraverso la distribuzione gratuita di derrate alimentari a volte integrate con somme di denaro) e ben occupato con sempre maggiori divertimenti e spettacoli per evitare ribellioni e rivolte.
    In origine i giochi erano gestiti dai sacerdoti per questioni di culto e duravano, come le famose corse dei cavalli, solo un giorno. Dai 77 giorni di ludi proclamati ufficiali tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero si arrivò nel quarto secolo a ben 177 giorni all’anno dedicati agli spettacoli.
    Pane et circenses” (pane e divertimento come oppio di massa per gettare interi popoli nell’impotenza politica) era la formula coniata dal poeta satirico Giovenale che se ne servì per stigmatizzare la politica degli imperatori romani nei confronti dei loro sudditi.
    La naumachia di Cesare in effetti aveva stravolto il senso delle proporzioni dello spettacolo per la sua maestosità, per il contenuto storico e soprattutto per l’onerosità dei costi ma ai romani piacque così tanto lo spettacolo che nel corso degli anni si tennero altre di queste rappresentazioni.
    Lo stesso Augusto, attento conoscitore delle vicende politiche e del suo popolo, organizzò altre naumachie facendo costruire un grande complesso monumentale circondato da portici ed arricchito da opere d’arte, per lo più bottini di guerra, per celebrare la potenza della flotta romana di suo genero Agrippa (ammiraglio della flotta e costruttore del Pantheon).
    Per la prima volta dai tempi di Gaio Duilio, vincitore contro Cartagine, un ammiraglio veniva celebrato più di un generale di terra e per questo motivo l’orgoglio dei romani per la loro flotta veniva raffigurato nella naumachia di Augusto.
    Per avere un senso dello proporzioni Augusto e Domiziano fecero scavare un bacino artificiale vicino alla riva del Tevere (nella zona di Trastevere nei pressi della Chiesa di San Cosimato a Roma) lungo circa 550 metri e largo 360; un acquedotto costruito per portare l’acqua dal lago di Martignano (vicino al lago di Bracciano) lungo 33 Km capace di scaricare 180 litri di acqua al secondo per un ammontare di circa 200.000 metri cubi utili per riempire in 15 giorni la naumachia; un canale di collegamento tra il Tevere e la naumachia per permettere l’accesso delle navi impegnate nella battaglia; 30 navi rostrate biremi e trireme; 3.000 raffiguranti più i rematori ed un imponente servizio di guardia in ogni laddove per evitare che i ladri approfittassero dell’assenza dei romani per compiere saccheggi.
    Tutto questo nel 2 a.C. per celebrare la festa per l’inaugurazione del Tempio di Marte Ultore e simulare la battaglia di Salamina tra persiani ed ateniesi.
    Lo spettacolo aveva stravolto il senso delle proporzioni ma il popolo non piangeva le vittime ne tanto meno criticava l’incredibile costo della naumachia. I romani erano entusiasti di Augusto nonostante avesse sperperato più denaro del suo padre adottivo: Cesare.
    Oltre alle naumachie citate si ricordano nel Campo Marzio la naumachia di Caligola e Domiziano e nelle vicinanze del mausoleo di Adriano la naumachia vaticana e quella fatta tenere da Filippo l’Arabo per le feste commemorative del millenario di Roma (questa sembra sia stata l’ultima naumachia eseguita). Nerone fece riempire con acqua di mare un anfiteatro in legno immettendo anche pesci e animali marini. Dopo la rappresentazione della naumachia  venne fatta defluire l’acqua e nell’arena ormai asciutta si fronteggiarono gruppi di gladiatori.
    Anche Tito volle ulteriormente perfezionare l’arte della naumachia in occasione dell’inaugurazione del Colosseo e ne fece allestire due: la prima dentro il Colosseo stesso con cavalli, tori e altri animali equipaggiati sia per il movimento nell’acqua che sulla terra per ricordare la battaglia tra Corfù e Corinto; nella seconda, sul lago artificiale di Augusto, per ricordare la vittoria degli ateniesi sui siracusani venne allestita una piccola isola dove i naumacharii vi sbarcarono e successivamente la espugnarono. Particolarmente famosa è rimasta la naumachia fatta organizzare da Claudio nel 53 d.C. sul lago Fucino per celebrare il termine dei lavori della costruzione dell’emissario del Liri fatto costruire per la grande bonifica del luogo. Sebbene lontano oltre 100 Km da Roma l’evento richiamò un foltissimo pubblico dalle città vicine e da tutta la capitale. Sul lago Fucino era stata organizzata la più maestosa delle battaglie navali mai organizzata tra la flotta rodiese e la flotta siciliana. Si affrontavano su 100 navi 19.000 guerrieri, probabilmente criminali, che come racconta Tacito “combatterono con un coraggio degno di soldati valorosi non risparmiando né se stessi né gli avversari”, mentre sulle rive erano appostati i pretoriani pronti ad intervenire contro quei combattenti che si mostravano incerti o riottosi. Un tritone d’argento appariva in mezzo al lago al momento opportuno per dare con la tromba il segnale della battaglia.
    Queste battaglie dovevano costare ingenti somme sia per l’organizzazione della battaglia stessa, sia per l’allestimento dello specchio d’acqua in cui si dovevano svolgere questi combattimenti. Per le enormi spese, per difficoltà tecniche e per motivi igienici a causa dei miasmi provocati dalle acque stagnanti, le naumachie non venivano rappresentate frequentemente come le altre forme di spettacolo ma soltanto per celebrazioni eccezionali. In seguito le naumachie non vennero quasi più organizzate forse perché era diventato impossibile competere con la maestosità di quelle precedenti ma, molto più probabilmente, a causa delle voragini aperte da queste stravaganti rappresentazioni nelle casse statali e nelle casse private di ricchi e imperatori.

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    2.4.1942, varo nave Sergio Laghi

    di Carlo Di Nitto

    Storia di una nave: la motocisterna “ SERGIO LAGHI”

    La motocisterna “Sergio Laghi” venne costruita dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico a Monfalcone, stazzava 16.189 tonnellate. Appartenente alla società AGIP (Agenzia Generale Italiana Petroli) di Roma, era iscritta al Compartimento Marittimo di Genova, matricola n. 2336. Fu varata il 2 aprile 1942 e consegnata a dicembre dello stesso anno.
    Fu requisita dalla Regia Marina il 14 febbraio 1943.
    Fu catturata il 29 novembre 1943 dai tedeschi a Venezia.
    Utilizzata come deposito galleggiante di acqua, era da questi stata destinata ad essere affondata all’imboccatura del Lido per ostruirla. Durante il viaggio di trasferimento dalla Marittima al Lido, il 29 aprile 1945 fu salvata in extremis da un drappello del Corpo Volontari della Libertà (CVL) di Venezia e poi riconsegnata alla società armatrice dagli Alleati.


    Riscrivo di seguito, un passo tratto dalla ricerca di mio fratello, capitano Francesco Di Nitto, e da lui riportato su un suo lavoro relativo alla storia della flotta petrolifera AGIP – SNAM:
    Il salvataggio della “Sergio Laghi”
    Il documento che segue, è la trascrizione integrale dell’estratto del Giornale Nautico, parte prima, della “Sergio Laghi” dove sono raccontati gli avvenimenti accaduti tra il 25 ed il 29 aprile 1945 a seguito del tentativo dei soldati tedeschi di affondare la nave al Lido di Venezia.
    Grazie al contributo del Comm. Davide Tonolo, del Corpo Volontari della Libertà, dei membri dell’equipaggio e del rappresentante Agip di Venezia, il salvataggio dell’unità andò a buon fine.
    Il Comm. Tonolo, quando seppe dell’intenzione dei tedeschi di affondare la nave, prese contatti con il Com.te del CVL di Venezia (Corpo Volontari della Libertà), avv. Almansi, e assieme decisero di intervenire. Un drappello di partigiani s’imbarcò sulla nave e sui rimorchiatori (d’accordo con l’allora proprietario, Comm. Emilio Panfido) per effettuare il movimento citato nell’ultima pagina dell’estratto del giornale nautico che segue.
    Si ringrazia il dott. P. Tonolo per aver fornito l’eccezionale documento.

    MOTOCISTERNA “ SERGIO LAGHI “
    ESTRATTO GIORNALE NAUTICO PARTE 1^
    A pagina 44 e seguenti leggesi:
    25 Aprile 1945

    … Omissis …

    La sera alle 18,30 il capitano di porto tedesco avverte il Comandante che la nave dovrà fare movimento nella giornata di domani

    … Omissis …

    27 Aprile 1945.- A mezzodì si riceve dal Capitano del Porto tedesco l’ordine di preparare la nave per il movimento che si deve fare alle 18,00 e cioè di virare a bordo l’ancora e di ritirare i cavi grossi.
    Essendo il comando di bordo venuto a conoscenza per mezzo di un italiano che la nave deve essere portata al Lido per essere affondata e quindi ostruire il porto alle navi alleate, mentre il direttore di macchina signor Molinino Claudio si addossa la responsabilità di non preparare la macchina, il comandante ad arte allontana l’equipaggio facendo restare la sola guardia e di conseguenza non eseguendo l’ordine di togliere gli ormeggi e di virare l’ancora a bordo. Quindi il Comando di bordo come per accordi presi precedentemente con il direttore della Filiale AGIP sig. Montegazzini Carlo per tentare di salvare la nave, ne inizia l’appesantimento, immettendo acqua di mare nelle cisterne vuote con lo scopo di farla poggiare vieppiù sul secco e quindi di rendere impossibile smuoverla oppure per farla rendere troppo pesante e poco governabile per il rimorchio.
    Verso le 18,00 un motoscafo tedesco constata l’assenza del personale e la non esecuzione degli ordini, circa i cavi e l’ancora.
    Verso le 19,30 il personale di guardia osserva un motoscafo tedesco, che attraccatosi alla catena dell’ancora, vi sta attaccando una mina. Essendo stato ordinato di allontanarsi, ci si allontana dalla nave, allo scoppio della mina attaccata alla catena, nel dubbio che siano state collocate altre mine lungo il bordo, e per le insistenti segnalazioni dei tedeschi dal motoscafo invitanti a scappare, il personale si allontana dalla Marittima. Restano nascosti nel magazzino 112 attiguo alla nave il Comandante Bratovich e il direttore della filiale AGIP sig. Montegazzini che era stato nel frattempo avvertito a mezzo del nostromo Schiavi, disposti a salire a bordo per disinnescare eventualmente mine.
    Allontanatosi il motoscafo tedesco, raggiungono la nave ed assicuratisi che fuori bordo non erano state attaccate delle mine, allagano anche le rimanenti cisterne vuote e si assicurano che le porte d’accesso alla macchina, locali prora, timoneria ed alloggi siano chiusi a chiave. Mentre stanno ultimando questa opera e cioè verso le ore 20,15 attracca un rimorchiatore con a bordo il personale tedesco che deve sostituire quello italiano scappato; il Comandante e il Direttore riescono a squagliarsela non visti e riparano in città per rincasare prima del coprifuoco.

    28 aprile. Il mattino il Comandante viene informato dal caporale di macchina sig. Bottoni che riuscito a raggiungere la testata della Marittima verso le 06,30 aveva trovato la nave invece che ormeggiata disormeggiata, colla prua rivolta verso il largo e la poppa verso la banchina.
    Essendo stato impossibile recarsi in mattinata verso la Marittima a causa delle scaramucce tra i volontari del Corpo di Liberazione ed i fascisti, nel pomeriggio verso le quattordici il direttore sig. Montegazzini, il Comandante Bratovich Fortunato accompagnati dal nostromo Schiavi Onorino e dai marinai Caiselli Aldo, Berna Virgilio e Vuksan Branko si recano dal Cap. Bruno Comandante l’omonima brigata del C.V.L. dal quale ottengono la costituzione di una piccola squadra d’azione che composta dai summenzionati, da elementi della brigata stessa dovrebbe recarsi a prendere possesso della nave mentre ancora in Marittima i tedeschi continuano a resistere.
    Mentre ci si sta per imbarcare viene la notizia (smentita) che la Germania ha chiesto la cessazione delle ostilità. Giunti in Marittima, si trova la nave girata a banchina e se ne prende possesso innalzando la bandiera italiana.
    Si consta che la stessa é stata sottoposta ad atti di vandalismo dal personale tedesco; di questi danni se né farà un elenco nel presente giornale non appena si potrà ultimare la constatazione e l’elencazione.
    Per la sorveglianza della nave rimangono a bordo; personale dell’equipaggio ed un gruppo di volontari del C.V.L.
    Verso le ore 21,30 al passaggio di una motozattera tedesca avviene uno scambio di colpi di mitra da parte dei volontari e raffiche di mitraglia ed un colpo di cannoncino da parte dei tedeschi. Perdite tra i volontari; un morto sulla banchina vicino alla nave ed un ferito a bordo.

    29 Aprile – Si visitano le cisterne ed i vari locali prospicenti verso il largo per constatare eventuali danni causati dal colpo del cannoncino della motozattera, ma non si riscontra nulla.
    Risulta secondo il racconto del Sig. Tonolo, agente della nave, che la nave e’ stata messa dal posto di ormeggio colle forze di tre rimorchiatori fra i quali il potente Titanus verso le ore 22,15 e che portata fino alla Salute é stata successivamente riportata al presente posto di ormeggio verso le 24, e ciò, per intervento del Sig. Tonolo stesso.

    … Omissis …

    M/c “Sergio Laghi”
    Il comandante
    F. to Fortunato Bratovich

    Sergio Laghi
    Sottotenente di complemento XXIV battaglione eritreo.
    Ufficiale giovanissimo e valoroso, volontario di guerra, in numerosi combattimenti, ai quali partecipò come comandante di un plotone eritreo, dette prove di fulgido ardimento. Guidò con travolgente impeto il suo reparto all’attacco di una forte posizione presidiata da nemico agguerrito e baldanzoso, conquistandola. Incaricato poi di eliminare un forte centro avversario che con efficacissimo tiro d’infilata rendeva insostenibile il mantenimento delle posizioni, si lanciò con superbo ardimento contro il nuovo obiettivo sgominando i difensori e resistendo con indomito coraggio alla violenta reazione nemica. Indi, colpito a morte da una raffica di mitragliatrice, cadde da eroe raccogliendo le sue ultime forze nel grido di: « Viva l’Italia ». Mai Ceu, 31 marzo 1936.

    In questa foto, eseguita nel 1943 a Monfalcone, l’unità è ripresa con pitturazione mimetica e sovrastrutture posticce per camuffarla da comune nave da carico, meno appetibile come bersaglio da parte del nemico.
    Unica della sua classe ad essere sopravvissuta agli eventi bellici, la “Sergio Laghi” fu una della quattro motocisterne gemelle intitolate ai nomi di medaglie d’Oro al Valor Militare (Franco Martelli, Iridio Mantovani, Giulio Giordani e Sergio Laghi) costruite nell’ambito di un progetto aziendale finalizzato all’avvio di una flotta moderna.
    Dopo gli eventi bellici, navigò per il gruppo AGIP fino al 1965. Venduta ad altro armatore, fu demolita nel 1970.
    Su questa Nave, nel dopoguerra, ha navigato a lungo mio Padre come ufficiale in 2^.
    Dedico quest’articolo alla Sua memoria.

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    Quel “tramonto” in navigazione

    di Paolo Polidoro (*)

    …riceviamo e con immenso orgoglio, misto a commozione, pubblichiamo!

    Buon pomeriggio Ezio,
    il tempo che passa mi richiama sempre più sovente alla mente eventi, episodi, talvolta anche i più remoti, accaduti durante il mio periodo di servizio nella Marina Militare.
    Sarà l’approssimarsi del periodo pasquale e il ricordo delle tante festività trascorse a bordo e in mare che in questi giorni mi hanno fatto ripensare ad uno dei momenti salienti e caratteristici che accadono su ogni Unità della Marina Militare in navigazione quando sta per tramontare il sole: ” l’ammaina bandiera.”
    Una cerimonia che, anche nella sua versione più semplice, in navigazione, assume un significato profondo, sacro che coinvolge tutto l’equipaggio.
    Ho voluto raccogliere in uno scritto, che mi permetto di allegare, la descrizione di quella cerimonia vissuta da me giovane ufficiale alla sua prima esperienza di imbarco su una Unità Navale maggiore che oltre a confrontarsi con una professione speciale, unica entrava in contatto con le tradizioni più belle della Marina ricevendo emozioni così forti e intense che tuttora sono ben vive nel mio intimo.
    Certamente non sono stato né il primo e né l’ultimo a viverle; tantissimi ne avranno vissute e continueranno a viverle oggi e domani in modo analogo, ma mi ha fatto piacere essere ancora in grado di raccontare la mia e oso dedicarla a quei giovani e a quelle giovani che con la bellezza dei vent’anni e la fortuna di indossare la divisa, quella che ho indossato anche io per tanto tempo, la leggeranno ai loro equipaggi nei mari più remoti, onorando la nostra bandiera.
    Paolo

    L’interfono avverte: “fra 5 minuti avrà luogo la cerimonia dell’ammaina bandiera!”
    Era il segnale, dovunque io fossi, il più giovane Guardiamarina di bordo, ora toccava a me…
    Giù dalla branda, fuori dal quadrato o dal posto di guardia, devo affrettarmi per essere in tempo sul ponte di comando.
    Attraverso i corridoi, salgo le scale, entro in C.O.C. (1), spalanco la porta della plancia e il Comandante è sempre qui, avvolto nel suo giubbotto, a leggere messaggi, ad ascoltare le comunicazioni, i riporti e gli ordini che scandiscono la rotta …apparentemente distratto scruta il mare lontano, ben al di la della prua della nave.
    Con sguardo interrogativo cerco i miei collaboratori “il nocchiere al fischio è arrivato? Il segnalatore a riva è andato? Bene!”
    Quindi, rivolto al comandante: “Comandante chiedo l’autorizzazione di procedere!”
    Nella penombra, il brusio in plancia cessa immediatamente, tutti in piedi si voltano verso la poppa, solo il timoniere, dritto, mantiene ben salda la rotta con lo sguardo rivolto avanti…
    Afferro il microfono… sotto gli occhi un cartoncino usurato, recuperato tra le pagine della cartella plancia, con i versi della Preghiera.
    Il Capo segnalatore si avvicina e mi fa un po’ di luce.
    Potevo recitarla a memoria perché ogni giorno, in mare, con il sole o con le nuvole, con mare calmo o con le onde, al tramonto, io rivolgevo quella preghiera al cielo, a nome di tutto l’equipaggio, ma non ero mai certo di non inciampare su quelle splendide parole e quindi dovevo sempre tenerla sotto gli occhi.
    Erano istanti in cui l’emozione mi scompigliava il cuore e dovevo ricacciare quei groppi che salivano in gola e parevano togliere il respiro e la parola.
    Uno sguardo di intesa col nocchiere e: “attenti alla cerimonia dell’ammaina bandiera, gente in coperta sugli attenti, scopritevi!”

    A Te, o grande eterno Iddio,
    Signore del cielo e dell’abisso,
    la mia voce scandisce ogni parola,
    da questa sacra nave … leviamo i cuori…
    dò enfasi a quelle frasi con ardore, il cuore batte forte, mi rimbomba nelle orecchie e mi fa pulsare le tempie.
    Da’ giusta gloria e potenza alla nostra bandiera,
    Benedici , o Signore, le nostre case lontane, le care genti…
    Ecco che la mia voce trema, mi soffermo un attimo, gli occhi forse si sono inumiditi… quindi un lungo sospiro e via verso il finale…
    Benedici nella cadente notte il riposo del popolo benedici noi che, per esso, vegliamo in armi sul mare.
    Benedici!».
    Ammaina bandiera…

    I trilli del fischietto del nocchiere sono toni assordanti ed avvisano l’equipaggio che la bandiera si sta ammainando.
    Scende lentamente all’unisono con il sole che bello, tondo, va a colorare di riflessi rossastri l’orizzonte e si accascia dolcemente e pare affondare dietro quella linea tra cielo e mare.
    La preghiera appena letta, anche quella volta, come tutte le altre, aveva catturato magicamente l’attenzione di ognuno in ogni parte dell’Unità affaccendato.
    Nell’intimo ognuno di noi, dal Comandante all’ultimo marinaio, l’aveva certamente recitata con un tremolio appena delle labbra, perché tutti l’avevano impressa nel cuore e poi nella mente.
    Quelle frasi avevano un effetto strabiliante, facevano emergere tutti i sentimenti, fermavano per qualche istante i pensieri di ognuno facendoli galoppare lontano, fuori da questa nave, al di la del mare, nei piccoli paesi e nelle case, accanto agli affetti più cari. E alla fine coglievo tanti a fare quel gesto istintivo, con la mano, come a scacciare dal viso una piccola goccia che tradiva l’emozione appena provata.
    Ormai fuori era buio e la nave, accuratamente oscurata, proseguiva la sua navigazione.
    Il tempo non si era fermato, la bandiera a riva era nel frattempo ritornata così come ognuno alle proprie mansioni.
    La nave andava, la sua prua si immergeva e poi riemergeva, dolcemente, sembrava dividere il mare lasciando ai suoi lati una schiuma bianca che inizialmente si accartocciava, sbatteva sull’invasatura e pareva voler salire a bordo ma poi scivolava, allegra, sulle fiancate, sotto le alette della plancia, e andava pian piano a ricongiungersi sulla poppa generando una scia chiara, gonfia e rigogliosa.
    Sovente nelle notti illuminate dalla luce delle stelle, appariva la luna che con quel suo fascio luminoso rischiarava il mare davanti alla prora generando luccichii argentei che parevano diamanti incastonati su quella superficie da qualche strana divinità degli abissi.
    Il mare faceva ondeggiare dolcemente la nave, la cullava, affinché gli uomini stanchi, nelle loro brande, potessero chiudere gli occhi sereni e facilitare il volo dei loro sogni sopra e al di la del mare.
    Mentre il personale di guardia sapeva che ora, nella notte, avrebbe dovuto essere più vigile ed attento di prima.
    Non si distraeva la vedetta che sull’aletta con il binocolo a tracolla continuava a scrutare l’orizzonte alla ricerca di sagome scure, bersagli, puntini colorati da comunicare urlando … nel mentre l’ufficiale in plancia, con un occhio al radar e l’altro lontano, trasaliva e si forse ripeteva:
    – “rosso al rosso, verde al verde….avanti pur … che la nave non si perde!”

    (*) Per conoscere gli altri suoi scritti digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.
    (1) Centrale Operativa Combattimento.

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    2.4.1942, varo del sommergibile Tazzoli

    a cura Carlo Di Nitto

    IL SOMMERGIBILE ” ENRICO TAZZOLI ” ORMEGGIATO ALLA BANCHINA “CABOTO” DI GAETA INTORNO AL 1962 (di fianco, il gemello “Leonardo da Vinci).

    Sigla NATO: 511.
    Motto: “AB IMO AD VICTORIAM”.
    Classe USN “GATO”, era l’ex “BARB” SS-220
    Impostato: 07.06.1941.
    Varato: 02.04.1942.
    Consegnato alla Marina Militare il 13.12.1954, è stato radiato il 28.02.1973.

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    2.4.1920, affondamento della regia nave Saffo

    di Carlo Di Nitto

    Unità appartenente alla classe “Sirio”, dislocava 215 tonnellate di stazza.
    Fu varata il 30/11/1905 presso i Cantieri tedeschi Schichau di Elbing (oggi polacca Elblag) ed entrò in servizio nella Regia Marina il 1° marzo 1906.
    Nel 1908 con altre unità gemelle, facendo base a Messina, prese parte attiva all’opera di salvataggio in occasione del terremoto calabro – siculo.
    Durante la guerra italo – turca svolse intensa attività di sorveglianza al traffico e scorta alle navi maggiori; anche nel corso della Grande Guerra effettuò numerose missioni di vigilanza foranea, di dragaggio e di assistenza. Dopo le ostilità, venne dislocata nel Dodecaneso e in Asia Minore sempre per attività di dragaggio e vigilanza.

    Il 2 aprile 1920 la “Saffo” si incagliò su un bassofondo, presso la rada di Scalanova (Turchia), ed affondò durante il tentativo di salvataggio.
    Fu radiata, conseguentemente, il 30 aprile successivo.