Marinai di una volta

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    I servizi igienici per l’equipaggio

    di Antonio Cimmino e Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    OMAGGIO AI SERPANTI

    Vita a bordo dei velieri
    La zona delle latrine dell’equipaggio, situata a propria sotto il bompresso ed in corrispondenza del tagliamare, era chiamata “serpe” perché assomigliava al sedile del cocchiere delle carrozze.
    L’igiene era assicurata dall’acqua di mare attinta con una speciale pompa chiamata “tromba”.
    La zona era controllata da un marinaio-gabbiere e, in alcune navi, addirittura da un sottufficiale “capo della serpe”.
    Quando c’era mare, nei locali sottocoperta, venivano usati dei recipienti a forma di imbuto con un tubo che fuoriusciva a murata.
    Ancora oggi nella Marina Militare si chiama “serpante” l’addetto ai servizi igienici.


    Lancio bombe di profondità

    Servizi igienici galleggianti

    Saranno grandi i Papi, saran potenti i Re, ma quando qui si siedono son tutti come me.

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    Vincenzo De Feo (Mirabello Sannitico (CB), 16.9.1876 – Roma, 17.1.1955)

    a cura Gennaro Ciccaglione (*)

    Credo che agli amici Marinai, Ezio Pancrazio Vinciguerra in testa, non dispiacerà ospitare questi Molisani di una volta!
    Grazie Ezio!

    (Mirabello Sannitico (CB), 16.9.1876 – Roma, 17.1.1955)

    Vincenzo De Feo, marinaio, ingegnere, scienziato

    Nacque a Mirabello Sannitico (Campobasso) il 16 settembre del 1876 da Desiderio  De Feo e da Angiola Belisaria Guacci. Il padre fu un patriota risorgimentale che combatté con La Prima Legione Sannitica costituita e comandata dal fratello Francesco De Feo. Formazione,quest’ultima che operò nel settembre/ottobre del 1860 nel Beneventano, in Molise e in Abruzzo. Il primo genito di Desiderio fu Florindo De Feo che intraprese la carriera militare e nel dicembre del 1895 partecipò, come comandante in seconda, alla difesa del forte di Macallè durante la prima guerra italo abissina conclusasi con la disfatta di Adua.
    Anche il giovane Vincenzo scelse la vita militare ma in marina. Entro infatti all’Accademia navale dove ne uscì nel 1895 con il grado di Guardia Marina. Il suo primo imbarco fu sulla corazzata “Ruggiero di Lauria”  Durante la guerra italo-turca del 1911 prestò servizio sulla corvetta “Milano” e con questa partecipò a varie azioni di scorta sia sulle coste libiche che nell’Egeo. Fu quindi assegnato come comandante in seconda sul “Lanciere”, sul “Vittorio Emanuele” e sul “Regina Margherita” per poi ottenere il comando della torpediniera N. 1609. Iniziò così una lunga carriera che annovera circa quaranta imbarchi. Allo scoppio della prima guerra mondiale venne destinato alla nuova arma: i sommergibili e nel 1915 prese il comando del “Vellella” un sommergibile di 300 tonnellate. Con questo il 16 agosto partì da Brindisi per una missione di agguato all’imboccatura della baia di Cattaro sulla costa dalmata dove era situata una munitissima base navale asburgica. Qui, a seicento metri dalla costa, dopo che il cavo di ormeggio di una mina si era impigliato al timone, fu attaccato dal cacciatorpediniere Uskok da meno di cinquanta metri di distanza, prima con il lancio di un siluro, che con un’abile manovra fu evitato (il siluro scalfì la torretta e percorse tutta la metà prodiera) poi con  bombe di profondità. Ad una quota d’immersione di venti metri riuscì a disimpegnarsi ma per emergere, ormai privo di riserve d’aria, dovette aspettare ventuno ore dopo. Per tale azione ottenne la sua prima Medaglia d’Argento. La seconda la ottenne nel 1918 per un’azione sempre sulla costa dalmata al comando della Squadriglia sommergibili del Medio Adriatico. In quell’anno sposò Olga Pirzio Biroli.

    Dal 1923 al 1925 fu impegnato in incarichi a terra nella Direzione Generale Artiglieria ed Armamenti presso il Ministero. Dal 1926 al 1928 assunse il Comando M.M. di Castellammare di Stabia e quindi dal 1930 al 1933, con il grado di Ammiraglio di Divisione comandò la base navale di Maddalena. Durante questo periodo mise mano alla revisione del Regolamento, ancora risalente a quello dell’inizio ottocento dell’Ammiraglio Desgeneys, che disciplinava la vita dell’arcipelago ed i rapporti con i civili. Furono disciplinate varie materie tenuto conto che tutto gravitava intorno alla Marina Militare: il transito delle navi, la pesca, il servizio sanitario, la balneazione, corsi d’istruzione per gli analfabeti, punti di approvvigionamento idrico, la custodia e la guardia alla casa di Garibaldi. Nel dicembre del 1934 Vincenzo De Feo sull’Incrociatore pesante “Trento” innalzò la bandiera di comando della III^ Divisione che, con gli incrociatori Trieste e Bolzano, faceva parte della I^ Squadra della  flotta, comandata dall’Ammiraglio Riccardi (suo pari grado ma a cui spettò il commando operativo essendo di pochi mesi più anziano in servizio).
    Al di là degli incarichi ricoperti Vincenzo De Feo si laureò in ingegneria navale e fu l’unico tecnico, della nostra marina militare, a poter vantare cinque brevetti di specializzazione: armi subaquee, chimica degli esplosivi, elettrotecnica, radiotelegrafia e comunicazioni, artiglieria e balistica. Egli fin da giovane intraprese studi personali sul sistema di rilevazione della posizione del nemico. Da Lepanto a Trafalgar ci si era basati sul cannocchiale, dopo subentrarono le navi corazzate ma soprattutto i cannoni di grande calibro (305) adottati da tutte le marinerie ed i telemetri, ma presto ci si accorse che il problema nella precisione di tiro non era tanto la capacità di gittata ma il fatto che un proiettile impiegava non meno di trenta secondi di volo per cadere sul bersaglio. Il “punto futuro” della nave oggetto di fuoco non era quindi determinabile, atteso che la stessa unità avrebbe potuto cambiare rotta a piacimento mentre la piattaforma di tiro, che sparava, era soggetta, nel frattempo, a uno spostamento nello spazio. Già nel 1905 formulò un sistema che permise la messa a fuoco del bersaglio a lunga distanza e, una volta affinato, nel 1913 ne pubblicò i risultati sulla Rivista Marittima. Mel 1921 e nel 1922 seguirono altri articoli. Il sistema fu quindi sottoposto all’esame delle competenti autorità militari. Si trattava di un particolarissimo giroscopio (realizzato a proprie spese) denominato “gimetro” che fu destinato a costituire il cuore delle centrali di tiro elettromeccaniche adottate dalla flotta italiana dal 1930 in poi. Tale sistema divenne superato solo nel 1944 quando gli americani adottarono i primissimi elaboratori elettronici evolutisi, successivamente, negli attuali computer. Ai suoi studi è anche da attribuire il metodo di tiro contraereo, chiamato O.G., che venne utilizzato dalle centrali contraeree in dotazione all’apertura delle ostilità nel 1940.
    La sua collaborazione con la Rivista Marittima durò fino al 1936. Tra i tanti articoli va ricordato “Dreadnougth or Fearful” apparso nel 1923 in cui, partendo da un’analisi della battaglia navale dello Jutland, combattuta dagli inglesi e dai tedeschi nel 1916 durante la prima guerra mondiale, sostenne, con grande lungimiranza, che le corazzate non sarebbero più state le protagoniste nella guerra sui mari e che il loro posto sarebbe stato preso dai sommergibili e dal mezzo aereo, come poi avvenne. Peccato che la sua intuizione sia stata ignorata da Mussolini che sosteneva che l’Italia era una grande portaerei, salvo poi pagare duramente la sconfitta, come visto, a Capo Matapan nel marzo del 1941, dove gli inglesi, oltre il radar, disponevano anche di una portaerei dal cui ponte era decollato l’aereo che aveva immobilizzato l’incrociatore Pola, rallentando così la velocità di tutta la squadra italiana, individuata e centrata durante la notte. Parlando del disastro di Capo Matapan che, oltre la perdita delle navi, costò la morte a 2.200 uomini, la nota curiosa è che Vincenzo   De Feo era lo zio materno di Ugo Tiberio (Campobasso 1904/ Livorno 1980) da lui indirizzato alla carriera nella Marina Militare. Quest’ultimo fu l’inventore già negli anni 30 del Radar Italiano. Partendo da approfondimenti sulle ricerche di Marconi mise a punto un sistema di localizzazione degli oggetti a distanza con onde magnetiche detto “radio telemetro”. Solo la miopia della Regia Marina che non finanziò la scoperta permise agli inglesi di essere tra i primi nel 1940 ad installare il radar sulle navi militari ma con una spesa di dieci milioni di sterline. Solo la grande onestà e l’amor di patria fecero sì che Ugo Tiberio rifiutasse allettanti offerte dal governo americano che aveva intuito l’importanza della scoperta. Il comandante della flotta italiana, Ammiraglio Iachino, gli ingiunse invece di abbandonare gli studi in quanto “di notte in mare non si combatte”. Per le sue resistenze gli fu inflitta anche la cella di rigore salvo poi ricordarsi di lui dopo la disfatta di Capo Matapan.
    Ritornando a Vincenzo De Feo nel 1937 fu messo fuori quadro della Marina Militare e posto a disposizione del Ministero dell’Africa Italiana essendo stato nominato Governatore dell’Eritrea, carica che mantenne per un anno. Nel 1939 fu nominato Senatore del Regno.
    Scoppiata la guerra nel 1940 fu assegnato alla Commissione di Armistizio con la Francia ed in tale ambito operò dal settembre di quell’anno fino all’agosto del 1943. Fu lui a firmare e a redigere il protocollo che, per quanto riguardava la marina militare, regolava le condizioni della resa francese. Proprio nel corso di quest’incarico presso la Commissione d’Armistizio i cui lavori si protrassero negli anni della guerra, Vincenzo De Feo scrisse un’ultima importante pagina di storia ad oggi ancora quasi completamente ignorata in quanto coperta da segreto di Stato. Gli italiani infatti si accorsero, sin dal 1941, che i locali dove si riuniva la Commissione (in Francia come a Biserta in Tunisia) erano stati riempiti di microfoni dai francesi allo scopo di intercettare informazioni da girare ai servizi inglesi. Cominciò allora una sottile opera di controinformazione intesa a filtrare, adeguatamente mischiate, notizie autentiche, ma poco sensibili, ed elementi falsi allo scopo di far sapere ai francesi quel che si voleva far intendere agli inglesi. I risultati di questa complessa partita a scacchi giocata fino al novembre del 1942 furono eccellenti con l’infiltrazione in due reti spionistiche che alla fine furono debellate.
    L’Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo il 7 agosto 1944 lo deferì poiché ritenuto responsabile di aver appoggiato il regime. Seguirono gli anni difficili, vissuti da tutti gli italiani della guerra civile e del dopoguerra culminati, infine, nella ricostruzione e nella ripresa.
    La sua uscita di scena, silenziosa come il suo stile di vita che non gli riservò la gioia della paternità, fu in carattere con il personaggio. Venne definitivamente collocato a riposo nel 1949. Morì nella sua casa di Roma il 17 gennaio 1955 e fu sepolto al cimitero del Verano.

    (*) per conoscere gli altri suo articoli, digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    Giuseppe Buciuni (Taormina, 16.9.1888 – Tobruk, 22.1.1941)

    
a cura Filippo Bassanelli



    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com

    (Taormina, 16.9.1888 – Tobruk, 22.1.1941)

    Regia nave San Giorgio - www.lavocedelmarinaio.comGiuseppe Buciuni nacque a Taormina (Messina) il 16 settembre 1888. Volontario nella Regia Marina nel 1908, come allievo Cannoniere, partecipò al conflitto italo-turco (1911-1912) stando imbarcato sull’incrociatore Giuseppe Garibaldi. 
Nel primo conflitto mondiale, dopo un periodo di imbarco su unità di superficie, nel grado di 2° Capo, operò nel Basso Piave con il Battaglione “Monfalcone ” della Brigata Marina (poi “San Marco”).
    Nel primo dopoguerra alternò destinazioni d’imbarco con altre a terra e, raggiunto il grado di Capo di 1^ Classe, nel marzo 1931 fu posto in congedo a domanda. 
Nel luglio 1935, per esigenze eccezionali connesse con il conflitto italo-etiopico, venne richiamato in servizio e destinato in Africa Orientale, rimanendo in zona di guerra fino all’ottobre dell’anno seguente, quando venne nuovamente congedato. 
Il 2 agosto 1938 conseguì la promozione a Sottotenente C.R.E.M. nella riserva e nell’aprile 1940 nuovamente mobilitato per esigenze eccezionali.
    Imbarcò sul regio incrociatore San Giorgio, dislocato a Tobruk. Il 22 gennaio 1941, nell’imminenza della caduta della base navale, l’unità fu predisposta per l’autoaffondamento ed egli, già sbarcato con l’intero equipaggio, tornò con pochi animosi sulla nave per accelerarne la distruzione, assicurando l’innescamento dei depositi di munizioni di poppa ma purtroppo scomparve nell’improvvisa esplosione.

    nave san giorgio (regia) - www.lavocedelmarinaio.com

    Medaglia d’oro al Valor Militare “alla memoria”
    Ufficiale assegnato ai depositi munizioni di incrociatore dislocato oltremare per la difesa fissa antinave e contraerea di Piazzaforte Marittima, continuamente sottoposta ad azioni offensive dalle vicine basi avversarie, partecipava dall’inizio alle sue azioni di guerra.
Destinato al rifornimento delle armi durante i quotidiani attacchi, era tra i principali artefici della efficace vittoriosa reazione, sereno nel pericolo e fermo nei propositi. Investita la Piazzaforte da forze soverchianti, tornava con pochi animosi sulla nave da poco sgombrata per accelerarne la distruzione già predisposta. Benché l’incendio sviluppatosi presso la “Santa Barbara” centrale ne rendesse imminente l’esplosione, con eroica perseveranza assicurava l’innescamento del deposito munizioni di poppa per rendere totale la distruzione. Sentiti i campanelli d’allarme del deposito centrale, con generoso slancio vi accorreva per assicurare tempestivamente l’ultimazione del lavoro degli altri valorosi e scompariva nell’improvvisa esplosione accomunando il proprio al tragico destino della nave cui la Patria dedicò il più alto riconoscimento”. (Tobruk, 10 giugno 1940 – 22 gennaio 1941)
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    Altre decorazioni e riconoscimenti per merito di guerra
    – Promozione a Capo di 2^ Classe (16 settembre 1918);
    – Croce di Guerra al Valore Militare (8 ottobre 1940).

    A Giuseppe Buciuni è intitolato il gruppo dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia di Taormina.

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    Salvatore Todaro (Messina, 16.9.1908 – La Galite, 14.12.1942)

    di Marino Miccoli

    banca-della-memoria-www-lavocedelmarinaio-com

    (Messina, 16.9.1908 – La Galite, 14.12.1942)

    CORAGGIO, UMANITA’ E VALORE.

    Salvatore Todaro è stato uno dei più grandi Marinai che la Marina Militare possa vantare di avere avuto tra i suoi ranghi. Per far comprendere meglio a tutti ciò che era e ciò che oggi ancora rappresenta questo grande Comandante è opportuno leggere il breve dialogo che segue.

    il-comandante-salvatore-todaro-www-lavocedelmarinaio-comIl Comandante ha penetranti occhi neri, gli zigomi sporgenti e le guance un po’ infossate; sul mento spicca una barbetta curata, è un sottile ed elegante pizzetto che lo rende inconfondibile. Nelle sue azioni di guerra lo distingue l’astuzia, la furbizia di una vecchia volpe congiunta al coraggio di un leone e dimostra di possedere il valore e l’etica di un antico cavaliere questo Ufficiale di Marina siciliano. Salvatore Tòdaro (nato a Messina il 16.9.1908) è l’unico comandante di sommergibile a cui non piace usare l’arma del siluro: “Sono armi imperfette – affermerà più di una volta – lente e troppo costose. La vera arma da guerra è il cannone”. Di bocche da fuoco ne ha due da 100 mm sulla coperta del suo battello, il Regio Sommergibile “Comandante Cappellini” e quando con il periscopio inquadra una nave nemica, Salvatore Tòdaro ordina immancabilmente l’emersione. Ingaggia lo scontro a fuoco, affonda a cannonate la nave nemica e poi ne raccoglie i naufraghi. Lui è incurante della spietata legge che vige durante la guerra di mare la quale stabilisce che i naufraghi devono essere abbandonati in balìa delle onde, al loro destino. Questo perché l’unità che ha affondato un’altra nave deve fuggire al più presto dal luogo in cui è avvenuto il combattimento, per non rischiare di essere affondata dalle altre navi che stanno accorrendo sul posto. Per questo suo particolare comportamento Salvatore Tòdaro non si attende congratulazioni dagli alti papaveri gallonati. Infatti l’ammiraglio tedesco Karl Doenitz, stimato comandante di tutti gli U-boot e abile stratega della guerra sottomarina, lo chiama a rapporto e, messolo sull’attenti, lo rimprovera investendolo con una colossale “arronzata”:
    – “Voi siete un valoroso, ma soprattutto un pazzo! Ci sono due cose che non riesco assolutamente a capire. Voi comandate un sommergibile e invece preferite fare la guerra di superficie. Questo sarebbe ancora tollerabile: potrei affidarvi il comando di un incrociatore tedesco. Ma voi sareste capace di farlo andare a picco per raccogliere i naufraghi nemici. E questo è intollerabile! La guerra e guerra, i naufraghi sanno qual è il loro destino. Voi avete rischiato l’affondamento del sommergibile per uno stupido sentimentalismo. Nessun ufficiale tedesco avrebbe agito come voi”.
    Il Comandante Tòdaro risponde freddamente:
    – “Il fatto è, ammiraglio, che io in quel momento sentivo sulla schiena il peso di molti secoli di civiltà. Un ufficiale tedesco, forse, non avrebbe sentito quel peso”.
    L’ammiraglio Doenitz ha un sussulto.
    Tòdaro comprende che, a causa della sua risposta, può essere arrestato.
    Ma per il Comandante tedesco il coraggio è la dote che ammira di più negli uomini, anche se gli è difficile capire quel particolare “tipo” di coraggio dimostrato dall’Italiano che ha dinanzi a sé. Alla fine Karl Doenitz sorride dicendo:
    – “Mi sono meritato questa risposta!” – e gli tende la mano.

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    Concludo questo mio breve scritto con un’esortazione: chiunque indossi la divisa blu con le stellette ed il solino ne sia fiero e, soprattutto, la onori tutti i giorni con il proprio impegno. Fedele al giuramento pronunciato al Tricolore nella più bella stagione della vita, rammenti sempre che quella uniforme è stata onorata da grandi Marinai e veri Uomini, proprio come ha fatto Salvatore Tòdaro. Egli ha dimostrato ai nemici, agli alleati e al mondo intero come sa battersi il Marinaio italiano e che coraggio, umanità e valore sono le doti personali che lo contraddistinguono.
    (Dialogo tratto dal libro di don Teresio Bosco “Di professione uomini”, 1971).

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    Lettera di una mamma
    a cura di Antonio Cimmino

    Il 10 ottobre del 1940 in Oceano Atlantico il comandante Salvatore Todaro salvò i naufraghi del mercantile belga Kabalo che precedentemente aveva affondato con il cannone del sommergibile Cappellini. La sua fama di Don Chisciotte del mare si espande in tutta Europa.
    Todaro (Medaglia d’Oro al Valor Militare) in quell’occasione sfidò il mare per salvare l’equipaggio nemico perché sentiva “il peso di molti secoli di civiltà” (Sommergibile Cappellini 15 ottobre 1940).

    “ …Vi è un eroismo barbaro ed un altro davanti al quale l’anima si mette in ginocchio, questo è il vostro. Siate benedetto per la vostra bontà che fa uno di Voi un Eroe non soltanto per l’Italia ma per l’Umanità”.

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