Curiosità

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    I MAS di Varazze

    di Mario Veronesi (*)

    La storia di Varazze è anche una storia di cantieristica, di lavoro e di competenze navali, fondamentale per la città. Attualmente è in corso un progetto che prevede l’abbattimento della palazzina degli ex Cantieri Baglietto e del vicino capannone, per poi creare una nuova struttura ed un piazzale sul lato mare. Sembrerebbe la solita notizia pubblicata sui quotidiani locali, riguardante una riqualificazione edilizia, ma per noi marinai non è così.
    Cosa significano e cosa centrano i cantieri Baglietto di Varazze con la campagna di Russia?  La risposta è semplice, qui si costruirono i MAS che furono inviati in Russia, sul Mar Nero e sul lago  Ladoga  con il contingente della Regia Marina.
    Abbiamo la documentazione che quattro MAS classe 500, della XII Squadriglia, precisamente i numeri: 526-527-528-529, costruiti in questo cantiere, ognuno con dieci uomini di equipaggio, con relativo staff di supporto per un totale di 99 uomini (17 ufficiali, 19 sottufficiali e 63 tra sottocapi e comuni), al comando del capitano di corvetta Giuseppe Bianchini, partirono il 25 maggio 1942, da La Spezia. Il contingente iniziò la sua marcia di trasferimento verso il lago Ladoga, con l’assistenza di una ditta di trasporti eccezionali, la Società Fumagalli di Milano, i MAS furono caricati su pianali da carico che, trainati da autocarri, mossero via terra: Brennero, Innsbruck, Stettino. Qui caricati sul piroscafo tedesco Thielbeck, MAS ed equipaggi attraversarono il Mar Baltico fino ad Helsinki,  da qui le imbarcazioni furono trainate fino a Viipuri e, tramite canali navigabili, a Punkasalmi,  per poi essere caricate su pianali ferroviari e movimentate fino a Lahdenpohja sul lago Ladoga. Il viaggio durò in tutto 26 giorni per 3.105 chilometri di percorrenza. L’unità divenne sua volta parte del “Distaccamento navale internazionale K”  formato il 17 maggio 1942 da tedeschi, italiani e finlandesi e sotto il comando del colonnello E. Jarvinen dell’esercito finlandese, impegnato contro il flusso dei rifornimenti sovietici verso Leningrado assediata. Con l’approssimarsi della stagione invernale, durante la quale il Ladoga ghiacciava completamente, il 29 ottobre i MAS italiani furono ritirati dal lago e trasferiti, in parte tramite canali navigabili e in parte per ferrovia, fino alla base di Reval in Estonia dove giunsero il 19 novembre. In seguito allo sfavorevole andamento delle operazioni militari nel Mediterraneo, fu deciso di non prolungare ulteriormente la presenza del distaccamento italiano e tra il 5 e il 25 giugno 1943 la Squadriglia fu sciolta e i MAS ceduti alla Marina Finlandese, con cui rimasero in servizio fino al 1961.
    Il cantiere nasce nel 1854 per opera di Pietro Baglietto e costruisce piccoli scafi, gozzi e canotti, tra il 1910 e il 1920 nel  cantiere operava una nicchia specifica: la progettazione e la costruzione di imbarcazioni d’intervento rapido, ovvero i MAS (Motoscafo Armato Silurante).  Nel 1932 Baglietto presentò il MAS 431, detto “tipo Baglietto 1931”. Questa costruzione sperimentale in legno di 16 metri e 16 tonnellate di dislocamento con due motori a benzina Fiat di 750 cavalli raggiunse i 45 nodi. Questa unità fu il concentrato di tutte le competenze tecniche accumulate da Baglietto.  Sul finire del 1935 fu iniziata la costruzione di una serie di unità  denominate 500 (MAS 501 + 525) sviluppata dal progetto del 431. Grazie ad una nuova carena a due gradini e all’impiego dei nuovi motori a scoppio “Isotta Fraschini” del tipo “Asso 1000”, di derivazione aeronautica, motore prodotto per vari modelli successivi con potenze crescenti, dai 1000 hp del modello 181, ai 1500 hp del modello 185 sovralimentato del 1943. Che consentirono di raggiungere velocità dell’ordine di 47 miglia orarie ottenendo il record mondiale per la categoria. Di grande rilievo anche i siluri Withehead, costruiti nel silurificio di Fiume, ed i congegni di lancio laterale tipo “Minisini”, dal loro inventore ammiraglio Eugenio Minisini. Di tipo pneumatico hanno la caratteristica di essere molto semplici e leggeri e quindi specificamente adatti, per l’impiego sulle piccole siluranti, permettendo di raddoppiare i punti di tiro senza ricorrere ai pesanti ed ingombranti tubi di lancio.
    Tra il 1935 e l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940, furono poste in cantiere tre successive serie di MAS del tipo “500”, con caratteristiche migliorative, per un totale di 46 unità. Di cui dal numero (526 al 535 ) costruiti nei cantieri Baglietto.

    La Regia Marina aveva  bisogno di unità più importanti per il contrasto anti sommergibile e la sorveglianza costiera. Baglietto raccolse la sfida ed elaborò un nuovo progetto: VAS, Vedetta Anti Sommergibile, detta “tipo Baglietto 68”, unità appositamente studiate per la caccia a.s. nelle acque costiere e dotate di un forte numero di bombe da getto, apparati idrofonici e due lanciasiluri da 450 mm. Con uno scafo di 28 metri, che venne prodotto dal 1942 al 1943 in 48 esemplari, di cui 14 realizzati a Varazze da Baglietto e gli altri da differenti cantieri.
    La Regia Marina giunse infine a sviluppare una terza serie, derivata dal tipo “Baglietto” con allungamento dello scafo a 34 metri (anziché 28), struttura in acciaio, con un dislocamento di 90 tonnellate, la cui realizzazione fu affidata all’Ansaldo di Genova e furono costruite nel cantiere Cerusa di  Voltri. Le prime quattro furono equipaggiate con motori diesel Fiat 1212 di tipo ferroviario, che equipaggiavano le littorine, adatti all’impiego marino. Alla data dell’armistizio, solo le prime sei unità erano state consegnate alla Regia Marina, e furono tutte requisite dai tedeschi e incorporate nella Kriegsmarine. Durante la guerra, Baglietto, oltre ai MAS e ai VAS costruì altri scafi per le necessità della Regia Marina.

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  • C'era una volta un arsenale che costruiva navi,  Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Il batiscafo Trieste

    di Antonio Cimmino

    …Montaggio e collaudo nel cantiere navale di Castellammare di Stabia.

    Il batiscafo Trieste costruito in Italia, progettato in Svizzera e in servizio presso la marina militare degli Stati Uniti d’America dal 1958 al 1971, fu varato il 26 agosto 1953 presso i cantieri navali di Trieste.

    Il batiscafo, progettato dallo scienziato svizzero August Piccard, era formato da due elementi: lo scafo ed una sfera di acciaio spessa più di 12 centimetri. Lo scafo era stato costruito nel cantiere navale di Monfalcone, mentre la sfera, in due pezzi,  era stata fusa dalla Società Fucine di Terni. La professionalità delle maestranze del cantiere navale stabiese e la profondità del Golfo di Napoli presso le isole di Capri e Procida, furono determinati per l’assemblamento ed il collaudo dell’originale battello atto a scendere a miglia di metri nelle profondità del mare.
    Piccard e il figlio, suo assistente, trovarono una entusiastica collaborazione nei tecnici ed operai nei difficili lavori di saldature delle due semisfere e nell’adattamento allo scafo.
    Le due componenti del battello erano destinate a compiti ben precisi. Lo scafo, di forma cilindrica ( 18 metri di lunghezza e 3,5 di larghezza), conteneva sei serbatoio di cui 4 riempiti di benzina per aerei, più leggera dell’acqua e perciò deputata alla spinta idrostatica al galleggiamento, mentre gli altri 2 serbatoio, erano destinati a riempirsi d’acqua per permettere l’immersione. Questi ultimo due erano staccabili dallo scafo per permettere un rapido affioramento in caso di necessità.
    A zavorrare il Trieste c’erano anche diverse tonnellate di sfere di acciaio, elettromagneticamente attaccate allo scafo e sganciabili all’occorrenza.
    Alla sommità, era sistemata una torretta per l’accesso alla sfera sottostante. Questa, adeguatamente accessoriata, era atta a contenere un equipaggio di due uomini; essa permetteva la loro sopravvivenza con un sistema di areazione simile a quello montato successivamente sulle navicelle spaziali. Una specie di oblò in plexiglas permetteva di guardare all’esterno.
    Tra i tecnici della Navalmeccanica che collaboravano con Piccard, c’era anche l’ing. Armando Traetta, nativo di Laterza e cittadino di Castellammare di Stabia. Egli era un decorato con medaglia di argento e di bronzo al valor militare quale ufficiale del genio navale durante la seconda guerra mondiale. Antesignano degli ambientalisti stabiesi, era anche docente presso l’I.T.I. “Leonardo Fea”, una scuola creata dall’I.R.I. Navalmeccanica all’interno del cantiere per preparare i futuri periti navali.
    Il batiscafo l’11 agosto 1953, fece la sua prima prova di immersione nel porto di Castellammare e dopo due settimane, la prova in acqua profonde al largo di Capri scendendo ad una profondità di 3.400 metri; successivamente, il 30 settembre al largo di Ponza.
    Dopo diversi anni di attività nel Mar Mediterraneo, il Trieste fu acquistato dalla Marina degli Stati Uniti nel 1958 per 250.000 dollari.
    La Marina USA assunse Piccard come consulente e portò il Trieste nel porto di San Diego. Il batiscafo il 23 gennaio 1960,, nell’ambito del Progetto Nekton, scese fino alla profondità di 10.911 metri nel Challenger Deep, la parte più profonda della Fossa delle Marianne.
    A bordo c’era il Auguste Piccard, figlio dello scienziato e il tenente Don Walsh della Marina USA. Il Trieste impiegò 4 ore e 48 minuti per la discesa ad una velocità di 0,9 metri al secondo.
    Attualmente il Trieste è esposto nel Museo Navale della U.S. Navy di Washington.

    Curiosità
    La canzone “La Fossa” del compositore danese Stevan Holm è un omaggio alle immersioni Fossa delle Marianne.
    Il Trieste compare notevolmente in romanzo del 2008 The straordinario evento di Pia H. dello scrittore  canadese Nicola Vulpe.


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    Marinaio e macchina per cucire

    di Carlo Di Nitto

    Una nave era ed è come una piccola città, con le sue attività e le sue necessità quotidiane risolte dai suoi “piccoli” marinai artigiani.

    In questa simpatica cartolina pubblicitaria, databile agli anni ’20 dell’appena trascorso secolo, vediamo rappresentati marinai della Regia Marina intenti a confezionare bandiere seduti dietro due macchine per cucire Singer. Lo avreste mai pensato? Oggi sarebbe inimmaginabile, ma erano altri tempi …

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    Arrigo Petacco (Castelnuovo Magra, 7.8.1929 – Porto Venere, 3.4.2018)

    di Pancrazio “Ezio”Vinciguerra

    (Castelnuovo Magra, 7.8.1929 – Porto Venere, 3.4.2018)

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Arrigo Petacco, storico e autore di molti saggi, ha pubblicato “La croce e la mezzaluna: Lepanto 7 ottobre 1571” (Mondadori 2005). La narrazione dell’epica battaglia, minuziosamente narrata, trasferisce al lettore un documento di elevato impatto per comprendere come il valore della storia sia da tributare all’azione degli uomini. Il libro di Petacco, oltre che di grande attualità, rappresenta un contributo importante alla reciproca conoscenza forse non facile, ma necessaria, tra due diverse culture.
    Più di quattro secoli fa, la Lega Santa Europea sconfiggeva in mare a Lepanto i Turchi. Una svolta nella storia del vecchio continente. La battaglia durò solo cinque ore, cinque ore che cambiarono il nostro destino: l’Europa non diventò una provincia turca e il Mediterraneo non si trasformò in un lago musulmano.
    A Lepanto nel 1571, l’Europa vittoriosa conservò la sua indipendenza e la sua tradizione. I turchi che sembravano invincibili, furono costretti ad arrestare la loro espansione verso occidente. L’Impero Ottomano e la Lega di Stati Europei, a Lepanto si giocarono tutto, per questo lo scontro non fu lungo ma straordinariamente violento.
    Si dice che la flotta cristiana e quella turca in battaglia assunsero rispettivamente le formazioni della croce e della mezza luna. Il coraggio sovraumano con cui i Cavalieri di Malta difesero la loro croce, la più odiata dei musulmani, fanno da sfondo all’eroismo di molti e all’avidità di alcuni. Nella battaglia servì anche l’ingegno umano per l’espediente del grasso spalmato sui ponti delle navi cristiane in modo da far scivolare i turchi all’arrembaggio.

    C’era fra i combattenti cristiani un soldato d’eccezione si chiamava Miguel Cervantes. Nel Don Chisciotte della mancia, qualche anno più tardi racconterà in forma allegorica e onirica il tramonto degli ideai cavallereschi che proprio a Lepanto ebbero l’ultima straordinaria consacrazione.
    Nell’anniversario della vittoria navale di Lepanto riportata dalla flotta cristiana e attribuita all’intercessione di Maria, fu istituita da papa Pio V la preghiera del santo Rosario.
    In realtà l’origine storica della preghiera risale al Medioevo un tempo questo in cui i salmi costituivano il punto di riferimento principale per chi pregava, ma rappresentavano anche un ostacolo insuperabile per coloro che non sapevano leggere.


    Si pensò allora di aggiungere alla preghiera dell’Ave Maria i misteri della vita di Gesù Cristo, allineati, uno dopo l’altro come grani di una collana divenendo quindi una preghiera per tutti, semplice ma profonda. Più tardi, nel 2002- 2003, san Giovanni Paolo II nell’anno del Rosario aggiunse alla preghiera del Rosario i misteri della luce che ci fanno contemplare alcuni momenti significativi della vita pubblica di Gesù.


    Occorre non disperdere questa preziosa eredità ritornando a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie. La famiglia che prega unita, resta unita.

    Battaglia di Lepanto
    Lo stendardo di Pio V e la Canzone dei Trofei di Gabriele D’Annunzio. 

    a cura Carlo Di Nitto
    Lo Stendardo di Pio V (o meglio, quello che ne resta) che sventolò a Lepanto sulla galea ammiraglia della squadra pontificia comandata da Marcantonio Colonna e da questi donato alla Cattedrale di Gaeta al suo ritorno da Lepanto.
    Così viene ricordato da Gabriele d’Annunzio nella sua:

    “Canzone dei Trofei”

    “O Gaeta, se in Sant’Erasmo sei
    a pregar pe’ tuoi morti, riconosci
    il Vessillo di Pio ne’ tuoi trofei,
    toglilo alla custodia perché scrosci
    come al vento di Lepanto tra i dardi
    d’Ali, mentre sul molo tristi e flosci
    sbarcano i prigionieri che tu guardi
    e che non puoi mettere al remo.”