Curiosità

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    11.6.1940, regia nave Giasone I: “Onori”

    di Carlo Di Nitto

    Unità posacavi e salvataggio, dislocamento 1588 tonnellate. Costruita nei Cantieri Breda di Porto Marghera fu varata nel 1929 ed entrò in servizio nel 1930.
    Il mattino del 24 ottobre 1940 era partita da Trapani diretta a Pantelleria dove doveva sbarcare materiale di artiglieria. Verso le ore 16, trovandosi a nord dell’isola, scarrocciò a causa di forte corrente, entrò in un campo minato ed affondò per urto contro una torpedine.
    Non tutti sanno che, la notte dell’11 giugno 1940, questa Unità compì la prima azione di guerra sul mare della Regia Marina recidendo quattro dei sette cavi sottomarini che collegavano Londra alle sue basi mediterranee.

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    11.6.1943, Giovanni Manente

    di Roberto Lugato

    Disperso o congedato? …Riceviamo e pubblichiamo.

    Buongiorno amici della vocedelmarinaio,
    ho un Impegno da risolvere.
    Un mio amico, figlio del Marinaio Giovanni Manente, vorrebbe sapere, se possibile, il nome della nave in cui doveva imbarcarsi a Catania, mi sembra…, nella quale arrivò in ritardo all’imbarco per fortuna sua, visto che la sua nave, appena uscita dal porto, fu colpita e affondata.
    L’anno dovrebbe essere il 42.
    In attesa vi ringrazio.

    Carissimo Roberto,
    dalle ricerche effettuate su Giovanni Manente risultano delle palesi discordanze sui documenti rilasciati, dove risulta disperso dall’11 giugno 1943, come da documento sottostante rilasciato alla famiglia Manente dall’allora Dipartimento di Venezia, e congedato dal Comando Deposito di Venezia in data 6 giugno 1946.

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    Centum culi Raimondo Montecuccoli

    di Enzo Arena

    I mezzi navali della Marina Militare Italiana hanno tutti un motto ed ogni imbarcato ne conosce il significato.
    Molti motti sono in latino ed io, quando sono venuto a conoscenza del motto dell’Incrociatore Montecuccoli, “Centum Culi”, ho incominciato a cercare di tradurre dal latino ma non riuscivo a dare un significato.
    Possibile che possa esistere un motto un po’ volgare? Possibile che tradotto dal latino possa dirsi Cento culi, inteso come sedere?
    Finalmente la mia ricerca tempo addietro ha avuto buon fine e, a quelli che ancora non ne sono a conoscenza, voglio raccontarla.
    Il motto ufficiale del regio Incrociatore Raimondo Montecuccoli era “Con risolutezza con rapidità”. Motto che si riferiva alla elevata velocità delle Unità di quella Classe.
    Il Montecuccoli possedeva anche il motto non ufficiale “Centum Oculi”, (riportato nel quadrato Ufficiali dove c’era anche il ritratto del condottiero) motto che faceva riferimento al condottiero rinascimentale nel quale eccellevano le sue virtù di apprezzamento della situazione tattica (aveva appunto Cento Occhi nel valutare velocemente le situazioni del campo di battaglia).
    Raimondo Montecuccoli, condottiero seicentesco ma anche moderno fantasma pare si trovasse a bordo dell’incrociatore (alcuni marinai di bordo lo avevano visto) con la divina missione di proteggere la nave che portava il suo nome dalle mille insidie delle missioni di guerra nel Mediterraneo.
    Allo scoppio della guerra un estroso Ufficiale di rotta del Montecuccoli, introdusse l’usanza di coprire con la carta di un cioccolatino la “O” del motto “Centum Oculi” che campeggiava in alto sul quadro del condottiero. Questa semplice accortezza, avrebbe procurato all’incrociatore, che secondo lui difettava di corazzatura, una discreta “scorta” di ben cento colpi di fortuna da “spendere” durante il corso della guerra.
    La cosa andò ovviamente ben oltre la trovata goliardica.
    Un paio di marinai di guardia in coperta svennero dallo spavento asserendo di aver visto il fantasma del condottiero comparire dal buio della notte mentre i colpi di fortuna che riguardarono l’incrociatore nelle sue navigazioni di guerra continuarono a moltiplicarsi stante la carta stagnola ben appiccicata sulla “O” del motto del condottiero.
    Ma il suggello alla leggenda del fantasma di Montecuccoli si ebbe il 15 giugno 1942, durante la battaglia di Pantelleria.
    Il solo colpo d’artiglieria che raggiunse il Montecuccoli attraversò il quadrato ufficiali seminando nell’ambiente diversi fori di scheggia. Una di queste schegge andò proprio ad impattare sul quadro del condottiero provocando la chirurgica asportazione della famigerata “O” del motto “Centum Oculi”. Pare che ,quando i presenti sul posto si resero conto che, malgrado tutte le schegge nessuno era stato colpito e tutti incolumi guardarono verso il ritratto del Montecuccoli pieno di fori, notando la scritta del motto “Centum culi” perché la lettera “O” era stata asportata, decisero che il motto dovesse rimanere ed essere tramandato così come era “Centum Culi”. La goliardica storiella del fantasma di Montecuccoli divenne pertanto storia.
    Chi è riluttante a credere alla storia del fantasma, può vedere il quadro in questione pieno di fori che, dopo il disarmo dell’incrociatore, è stato collocato nel museo navale di Venezia.


    UN PO’ DI STORIA: RAIMONDO MONTECUCCOLI
    di 
    Carlo Di Nitto

    Dipinto già conservato nel quadrato ufficiali dell’incrociatore intitolato al Condottiero.
    Sul cartiglio si legge: “Gli strappi che sono su questo quadro sono dovuti a schegge di proiettile nemico esploso in questo quadrato il 15.6.1942 durante la battaglia di Pantelleria”.
    Una scheggia, in particolare, eliminò la lettera “O” dal motto sotto lo stemma in alto a sinistra. Per cui le parole “Centum Oculi” diventarono “Centum …culi” e a questo fu attribuita la fortuna dell’unità nella sua lunga vita di servizio.


    RAIMONDO MONTECUCCOLI: “CENTUM …CULI”
    Particolare del dipinto di cui alla fotografia precedente. E’ perfettamente visibile il motto “Centum oculi” con la “O” asportata da una scheggia durante la Battaglia di Pantelleria. Questo dipinto, già nel quadrato Ufficiali del famoso incrociatore intitolato al Condottiero, oggi è conservato nel Museo Navale di Venezia.

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    4.6.1908, la feluca salva per grazia ricevuta

    a cura Sergio Pagni

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Ex voto di proprietà del Museo storico navale di Venezia proveniente dalla Chiesa della Madonna dell’Arco di Napoli.
    Sulla tavoletta si legge questa iscrizione:
    Noi Gianantonio Sormano, Jacovo Catalano, Vincenzo Lombardo, Raffaele Castiglione
    ciciliane, partendo da Palermo con il filluca di patrone Francisco di Lu… per andare a Napoli, come semo a mezo del cammino accade che ne venni una burasca de vento e de mare che credevamo de annegare, ne voltaimo tutti alla Santissima e Gloriosa Vergine Maria de l’Arco e a San Michele Arcangelo e a San Francesco de Paula che ne salvasse. 
    Per i suoi meriti siamo salvi.
    Sia laudato Dio et tutti i Santi. Amen. il 4 giugno 1908”.

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    4.6.1915, la piccola Repubblica di San Marino dichiara guerra all’Austria

    segnalato da Enzo Turco

    …un piccolo Stato catapultato in una Grande Guerra.

    Non so quanti sono conoscenza che quel piccolo Stato, che su alcune carte geografiche appare come un puntino, ha avuto il coraggio di entrare a far parte della coalizione degli Stati Europei dichiarando guerra agli Imperi Centrali.
    Una domanda ci viene subito spontanea: perché San Marino, stato di circa 30.000 abitanti, che dal XIII secolo gode di un lunghissimo periodo di pace, la cui indipendenza da allora è stata sempre rispettata e che rimane molto lontano dalla zona di guerra, decide di partecipare a questo conflitto che fin dall’inizio si annuncia come un’immane catastrofe?
    In effetti non è stata una scelta politica o economica, è stata una decisione obbligata per tutta una serie di motivi.
    L’inizio delle ostilità (1914) aveva provocato uno sconvolgimento dell’economia italiana che, pur nella neutralità, andava via via assumendo i connotati di una economia di guerra con la progressiva svalutazione della moneta nazionale. La Repubblica del Titano, piccola enclave dell’Italia, ha l’economia legata a doppio filo con la nostra per cui non può non risentire di questa crisi in atto.
    Con l’inizio delle ostilità si verifica anche l’inversione del flusso migratorio con il rientro in Patria di moltissimi emigranti che rendono problematico e deficitario l’approvvigionamento alimentare. Nel 1914 e durante buona parte dell’anno successivo si riesce ancora a produrre grano e pane per tutti senza dover imporre limitazioni o controlli particolari, ma con l’entrata in guerra dell’Italia si profila un periodo abbastanza nero.
    Per l’entrata in guerra è però decisivo l’atteggiamento piuttosto sospettoso e diffidente dell’Italia che vede in una neutralità della Serenissima un pericolo per la sua sicurezza.
    Nei primi mesi del 1915 il governo italiano accusa quello sanmarinese d’aver istallato sul Monte Titano una stazione radio ritenuta pericolosa in quel particolare momento. In effetti la realizzazione è avvenuta nel ’14 ma per iniziativa privata di un certo professore Borbiconi che l’aveva istallata per puro piacere personale e che si affrettò a smontarla rapidamente quando capii che stava creando dei seri problemi diplomatici ai due governi.
    Ma c’è anche dell’altro: l’Italia è seriamente preoccupata che un San Marino non belligerante avrebbe potuto dare asilo ai suoi disertori, ai renitenti alla leva o più semplicemente a chi voleva evitare il sequestro di animali e di quel materiale necessario per la difesa nazionale. Per dirimere i dubbi ed evitare che potessero insorgere polemiche durante il periodo bellico, proprio il 24 maggio 1915 l’Italia propone un accordo a San Marino in base al quale richiede al piccolo Stato l’adozione di una serie di provvedimenti a protezione della sua sicurezza. L’Italia si impegna a trattare i sammarinesi alla stessa stregua degli italiani e non come stranieri e di non sottoporre a sequestro i loro mezzi meccanici o i loro cavalli, come invece sta facendo agli Italiani.
    San Marino si deve impegnare a non assumere iniziative o favorire atteggiamenti che possano nuocere alla causa italiana. Ma di fronte ai grandi eventi della Storia a un governo non può bastare un semplice accordo così impegnativo per la parola ne consegue che si tenta di istallare una caserma di Carabinieri all’interno del territorio di San Marino. Questa palese violazione della sovranità fu ovviamente respinta dai sanmarinesi che però dovettero ingoiare altri atteggiamenti intransigenti come la chiusura delle comunicazioni telefoniche con l’Italia, la censura sulla posta, ecc.
    In questa situazione e sull’onda degli eventi italiani anche a San Marino il popolo degli interventisti prese il sopravvento al punto che in un suo discorso lo stesso Reggente, Moro Morri, plaudì all’entrata in guerra dell’Italia che a suo dire ne sarebbe uscita “più forte e più grande di prima”, finalmente unita da nord a sud e non più monca dei territori irredenti.
    Immediatamente nella Serenissima si forma un comitato che arruola volontari da inviare al fronte; le adesioni sono molte anche perché i Sanmarinesi, nel frattempo, si danno una ragione nazionale per l’intervento: sperano nell’assegnazione all’Italia dell’isola dalmata di Arpe dove nacque San Marino il fondatore del primo nucleo abitativo sul monte Titano.
    A parte i volontari il governo della Repubblica non si fa coinvolgere direttamente nel conflitto almeno per i primi tempi durante i quali molti sanmarinesi rimangono uccisi sui campi di battaglia; fra essi Carlo Simoncini e Sady Serafini che muoiono da eroi durante l’avanzata sul Carso il 16 luglio, il primo, e il 12 ottobre, il secondo.
    Solo nel 1917 il governo sanmarinese prende la decisione di una partecipazione attiva organizzando un ospedale da campo e inviandolo al fronte dove rimane operativa dall’ottobre 1917 fino a dicembre 1918 periodo durante il quale cambia ben sei postazioni tra Monfalcone, Treviso, Mestre e Gorizia.
    Vengono curati ben 3.000 soldati feriti tra cui il futuro Premio Nobel per la letteratura, l’allora 19enne Hernest Hemingway. Autista di ambulanze per la Croce Rossa Americana viene ferito da una granata austriaca a Fossalta di Piave la sera dell’8 luglio 1918. Benchè ferito riesce a caricarsi sulle spalle il secondo autista e a cercare di portarlo in salvo. Ferito una seconda volta al ginocchio dai colpi di una mitragliatrice riesce a raggiungere l’ospedale sanmarinese dove riceve le prime cure. Trasferito in un ospedale americano delle retrovie viene a conoscenza di fatti di guerra che ignorava completamente come la disfatta di Caporetto. È proprio questo ultimo periodo di guerra che fa da sfondo alla storia d’amore che lui ci descrive mirabilmente nel suo romanzo più famoso quell’Addio alle armi che gli farà vincere il premio Nobel.
    Ma ritorniamo a San Marino; è a causa di questo ospedale che l’Austria incomincia a considerare anche la piccola Repubblica come un nemico al punto che incomincia a prendersela con i nuclei familiari dei cittadini sanmarinesi che si trovavano ancora sul suo suolo: ne interna i maschi adulti, dopo aver rispedito in Italia donne e bambini.
    Alla fine il tributo di sangue versato dai giovani sanmarinesi è di tutto rispetto tanto che negli anni venti il governo della Serenissima decide l’erezione di un monumento ai caduti con incisi i nomi di quelli che non avevano fatto ritorno a casa.
    La fine della guerra non porta a San Marino nulla di diverso da quello che porta all’Italia: una situazione economica precaria, instabile e pericolosa che crea i presupposti politici e sociali per l’ascesa e la presa del potere del Partito Fascista Sanmarinese negli anni venti del ‘900.