Che cos'è la Marina Militare?

  • Che cos'è la Marina Militare?,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    7.10.1943, la cannoniera Mario Sonzini

    di Antonio Cimmino

    Realizzata nel 1924 come peschereccio Acciuga, nel 1931 fu acquistata dalla Regia Marina e nel 1932 è immessa in servizio come dragamine con il nome di Mario Sonzini. Nel 1938 è riclassificata cannoniera e, con la caduta del regime fascista, il 30 luglio 1943 è ridenominata Tramaglio.
    Il 9 settembre 1943, a seguito dell’armistizio, la cannoniera è catturata dai tedeschi nel Pireo e annessa alla Kriegsmarine come unità antisommergibile UJ2111.
    Nella notte tra il 6 ed il 7 ottobre 1943, si trova in missione di scorta a convoglio, composto dal piroscafo Olympus ed altri trasporti minori. Poco dopo la mezzanotte il sommergibile inglese Unruly si porta all’attacco con tre siluri diretti contro l’Olympus, senza colpirla. Riemerso, ritenta utilizzando il cannone, ma viene respinto dalla cannoniera Sonzini.

    Prima dell’alba del giorno 7 il convoglio viene raggiunto, al largo di Kos, dagli incrociatori leggeri britannici Penelope e Sirius insieme con i cacciatorpediniere Faulkner e Fury che affondano, in breve tempo, tutte le navi tedesche.

  • Che cos'è la Marina Militare?,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    6.10.1936, Aniello Iaccarino

    di Franco Iaccarino

    http://www.lisolaweb.com/il-primo-macchinista-di-piano-di-sorrento/



    L’avventurosa vita sul mare di Aniello Iaccarino. Gli incontri con d’Annunzio e Marconi. L’imbarco sulla nave “Dogali”.

 Sulla torpediniere silurante nella spedizione italiana nella baia di Buccari ebbe un encomio solenne dal ministero della Marina. Scelto col nostromo Luigi Stabile di Sant’Agnello nell’equipaggio della nave “Elettra” formato in gran parte da marinai della penisola sorrentina.
    Dopo pochi anni dallo sbarco dei Mille a Marsala avvenuto nel 1860, nacquero: Gabriele d’Annunzio a Pescara il 12 marzo 1863, Aniello Iaccarino a Piano di Sorrento il 28 aprile 1865, Guglielmo Marconi a Bologna il 25 aprile 1874. Il destino li avrebbe fatti incontrare per consentire loro di compiere imprese memorabili e di rilevanza mondiale sebbene lontani per luoghi di nascita, culture distinte e diversi per estrazione sociale.
Guglielmo Marconi, fisico e inventore a seguito degli esperimenti realizzati in territorio bolognese sul quale era edificata la paterna Villa Griffone, riuscì ad applicare commercialmente su vasta scala la telegrafia senza fili.
 La mancata risposta del ministero delle Poste e telegrafi al quale aveva inviato la richiesta per ottenere i finanziamenti (patria vile, ebbe a dire Carducci) e l’avere come madre l’irlandese Annie Jameson lo spinsero a costituire a Londra la Marconi Wireless Telegraph Company.
 Nel 1887 presentò la domanda per ottenere il riconoscimento inglese al suo sistema di telegrafia senza fili a seguito del quale, nel 1901, riuscì a trasmettere il segnale “S” attraverso l’Atlantico, da Poldhu in Gran Bretagna all’isola di Terranova nel Canada. Gabriele d’Annunzio detto il Vate, estroverso ed ammirato romanziere e poeta, si  era trasferito dall’Abruzzo a Roma ove otteneva un notevole successo come giornalista partecipando attivamente alla vita mondana tra avventure amorose e salotti letterari. Visse anche a Napoli e poi a Firenze dove fu protagonista del tempestoso e dispendioso amore con l’attrice Eleonora Duse in conseguenza del quale fu costretto a rifugiarsi in Francia per sfuggire ai creditori, “in volontario esilio” com’era solito dire.

Aniello Iaccarino, macchinista in 2° della Regia Marina, nel novembre del 1907 era sbarcato dalla nave “Dogali” dopo un viaggio durato 42 mesi e sentiva molto forte il desiderio di rivedere la propria la famiglia che viveva nel natio casale di San Liborio. Aveva risparmiato una somma sufficiente per acquistare un edificio per la sua nuova casa nella piazzetta del borgo. Aveva anche un locale al piano strada, destinato ad essere la sede d’incontro dei compaesani durante i giorni festivi, al lato del quale si doveva innalzare una gran bandiera con lo stemma sabaudo. Lo chiamò “Circolo Principi di Piemonte”.
    Il 28 dicembre 1908 avvenne il terribile terremoto e maremoto di Messina e Reggio Calabria che provocò innumerevoli vittime e i soccorsi giunsero presto con gli equipaggi delle navi militari di molti paesi.
Assieme a quelli italiani, giunse anche Aniello che ricevette un diploma e una medaglia ma la tragedia evidenziò la mancanza di comunicazioni rapide in quanto i soccorritori dovevano recarsi di persona nei luoghi in cui era presente un telegrafo funzionante e non distrutto dal sisma per poter trasmettere ai rispettivi Comandi sia le richieste di materiali sia le notizie. 
Nella notte tra il 14 ed il 15 aprile del 1912 avvenne l’affondamento del Titanic, ma in quest’occasione le navi erano già dotate di un apparato trasmittente ideato da Marconi con la quale l’addetto poteva inviare il segnale di soccorso urgente (tre punti, tre linee, tre punti corrispondenti al messaggio SOS) che però, a causa della limitata potenza, era ricevuto solo dalle navi più prossime al luogo del disastro.
 Il 28 luglio 1914 iniziò la guerra durante la quale i tre italiani ebbero l’opportunità di incontrarsi. Gabriele d’Annunzio rientrò in patria per arruolarsi perché fervente interventista tanto da pronunciare dallo scoglio di Quarto il discorso “La sagra dei Mille”.
 La sua partecipazione, nonostante avesse 52 anni, fu prima nell’esercito, poi in aviazione e poi in marina. Con Costanzo Ciano ideò la spedizione italiana nella baia di Buccari, cittadina della Croazia e sede di un’importante base navale austriaca. In questa circostanza conobbe Aniello Iaccarino che prestava servizio sulla torpediniera silurante 13 OS di stanza nel porto militare di Brindisi e sulla quale si trovava anche il sottufficiale Luigi Stabile di Sant’Agnello.
La torpediniera silurante era un’imbarcazione leggera, veloce e armata di siluri, ma eccessivamente piccola per essere impiegata in alto mare. Fu sostituita dalla più veloce “Motobarca Armata SVAN” o “Motobarca Armata Silurante” (d’Annunzio la modificò in M.A.S. con riferimento all’acronimo del motto “Memento Audere Semper”, ricorda di osare sempre).
Era una velocissima imbarcazione, con dislocamento da 20 a 30 tonnellate, dotata d’armamento leggero, ma soprattutto di siluri e bombe di profondità che poi fu usato dalla Xª Flottiglia MAS. In occasione della spedizione a Buccari, tre torpediniere siluranti, la 12 PN, 18 e 13 OS, presero a rimorchio tre MAS con una scorta di altre nove unità mentre due sommergibili sorvegliavano le acque di Capo Promotore all’estremità meridionale di Istria. La missione consisteva nello sferrare un attacco contro il naviglio militare e mercantile ancorato nella baia contro i quali i MAS avrebbero dovuto lanciare i loro siluri.

    Sfortunatamente questi scoppiarono sulle reti di protezione che circondavano le navi nemiche, ma l’azione, pur non causando danni materiali, fu d’alto valore per l’influenza morale che ebbe sugli austriaci in quanto d’Annunzio, prima di lasciare la baia, lanciò in mare tre bottiglie contenenti il seguente messaggio: “In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuoterne la prudenza nel suo più comodo rifugio i Marinai d’Italia, che si ridono di ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a “osare l’inosabile”. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia.
    Gabriele d’Annunzio”.
 La definizione di “nemico capitale” era attinente ai bombardamenti effettuati su Pola tra il 3 e il 4 agosto 1917, su Cattaro il 4 e 5 ottobre dello stesso anno: per questi motivi il governo austriaco aveva promesso una taglia a chi avesse catturato d’Annunzio. A seguito dell’impresa di Buccari, Aniello Iaccarino ricevette dal ministero della Marina un encomio solenne oltre a due croci di guerra per altre azioni militari. Il 4 novembre 1919 il conflitto ebbe termine e Guglielmo Marconi acquistò per 21mila sterline dal governo inglese la Nave Elettra. L’avere un equipaggio affidabile era una necessità alla quale il senatore a vita Marconi non poteva sottrarsi e, per ottenerlo, non ebbe remore a chiedere consigli a chi, amico come d’Annunzio, aveva vissuto anche la vita del marinaio. I motori e le attrezzature erano importanti quanto i nuovi strumenti radio da sperimentare. La scelta cadde su due persone note: il primo macchinista Aniello Iaccarino e il nostromo Luigi Stabile. L’allestimento della nave iniziò nel 1919 nel porto di Napoli. L’equipaggio era in gran parte originario della penisola sorrentina e proveniente da quell’Istituto nautico di Piano di Sorrento che istruiva una notevole parte della marineria italiana. La tappa successiva fu La Spezia per installare le apparecchiature elettriche di cui necessitava Marconi per la sperimentazione delle trasmissioni ad onde corte.
 Il 22 settembre 1920 “la candida nave che navigava nel miracolo ed animava i silenzi”, cosi Gabriele d’Annunzio aveva definito l’Elettra, entrò nel porto di Fiume sulle cui terre erano giunti il 12 settembre del 1919 circa 2.600 ribelli dell’esercito partiti da Ronchi presso Monfalcone (poi chiamato Ronchi dei Legionari) con alla testa il Vate.
 A Fiume si incontrarono contemporaneamente per la prima e ultima volta i tre personaggi dell’Italia unita e l’accoglienza fatta dal Poeta all’equipaggio costituì una vibrante e indimenticabile manifestazione di italianità.
 Nell’estate dei 1923 l’Elettra avrebbe compiuto una lunga crociera nell’Atlantico del Sud ove fu sperimentato il sistema delle “onde corte a fascio” e aperta la nuova era delle telecomunicazioni.

  • Attualità,  Che cos'è la Marina Militare?,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    4.10.1917, la fine triste del piroscafo Città di Bari

    Segnalato da Nico Vernì

    Prof. Giovanni Vernì – LA VERA STORIA
    del triste epilogo del piroscafo “Città di Bari”, silurato dal SMG tedesco UB48

    PORTO DI TARANTO – MAR PICCOLO, Giovedì 4 ottobre 1917.

    Aria serena. Giornata mite e piena di sole, che fa ben sperare; una bella giornata ottobrina.
    Il solito movimento del tempo di guerra, piuttosto ordinato e circospetto; il solito andirivieni tra le banchine del gran porto tarantino.
    Navi alla fonda, navi che vanno, navi che vengono; mercantili o da guerra. Ultimi controlli per i passeggeri pronti all’imbarco.
    Attorno ad una, in particolare, ferve sin dal mattino un’insolita attività: si stanno mettendo a punto le ultime cose: fra le quali il funzionamento di un cannoncino da 76 m/m, di cui essa è stata dotata da poco; si stanno caricando le poche mercanzie, imbarcando, alla spicciolata, senza fretta alcuna, i pochi passeggeri, tutti militari, per la vicina Macedonia, via Grecia.
    E’ il piroscafo “Città di Bari”.
    Lo comanda un giovane ma esperto lupo di mare, un barese doc, credo, probabilmente parente stretto del defunto Pantaleo Castellano, un coraggioso di poche parole, concreto, essenziale, il capitano L.Castellano, coadiuvato da un eccellente equipaggio, composto, in gran parte, di pugliesi, se non di baresi – i Violante, p.e., i De Santis, i De Tullio, i Cassano, gli Introna, i Bottalico, i Bellomo, per dirne qualcuno. Chi ne volesse conoscere tutti i nomi, uno per uno, può scorrerne gli elenchi che noi alleghiamo in questo volume, sez. Documenti.
    Prima dello scoppio della “Grande Guerra” il “Città di Bari” aveva solcato con dignità e onore l’Adriatico e lo Jonio, soprattutto, attivamente partecipando ai traffici commerciali che si svolgevano nei due mari e tenendo ben collegate tra di loro le sponde che ne erano bagnate.
    Con l’entrata in guerra del nostro Paese, era stato requisito e, armato di cannone, dopo aver partecipato alle operazioni di salvataggio, da parte della Regia marina, dell’esercito Serbo-Montenegrino e di trasporto, da S.Giovanni di Medua a Brindisi, dei membri del governo slavo e del tesoro statale (come provano e documentano fonti italiane e britanniche pubblicate dalla Rivista Marittima del gennaio 2003, che qui di seguito vi mostriamo), veniva adibito ad “ausiliario” della Regia Marina Militare, nel servizio-postale e passeggeri, con partenza da Taranto, al giovedì, sulla linea Taranto – Gallipoli – Corfù – Patrasso.
    E qui, proprio qui, su questo tratto, la malasorte volle che, nel viaggio che stiamo per raccontare, si compisse il suo tragico destino.

    IL FATTO
    La partenza del “Città di Bari” da Taranto. L’arrivo e la sosta a Gallipoli. L’imbarco di civili greci. Il primo siluramento. Il secondo siluramento. L’ammutinamento dei greci. Il cannoneggiamento da parte del sommergibile siluratore. L’affondamento del piroscafo. La scomparsa del capitano comandante. Lo sbandamento dei naufraghi.
    Lasciata Taranto nel pomeriggio di giovedì 4 ottobre, il “Città di Bari” giunse a Gallipoli (l’antica KalhpoliV, o “Città Bella”, fiorente centro commerciale affacciato sullo Jonio, a 38,5 Km. da Lecce), nelle prime ore della sera dello stesso giorno.
    Era solo, senza scorta, avendo a bordo, oltre all’equipaggio civile composto di 40 persone e all’equipaggio militare di 11, soltanto 37 (o 35?) passeggeri militari del Regio Esercito (c’era tra questi il padre di chi scrive, Pasquale, soldato del “271° Btg. Milizia Territoriale”, dislocato sul fronte Macedone, al quale faceva ritorno dalla licenza) e della Regia Marina ed un carico di 130 tonn. di viveri e materiali vari .
    “Quando il “Città di Bari” giunse a Gallipoli – narra nel suo interrogatorio l’Ufficiale di Porto – mi recai a bordo della nave, e il Capitano di questa, Luigi Castellano, mi chiese se il Piroscafo “Imera”, silurato due giorni prima, avesse avuto la scorta. Alla mia risposta negativa disse: “Chissà se per noi vi sarà la scorta”. Risposi che non sapevo, ma che però non lo credevo e, quindi, lo informai che i passeggeri da imbarcare superavano le cento unità.
    Al mattino seguente informai il Comandante di Spiaggia delle parole scambiate col Capitano a riguardo della scorta. Il Comandante Stranges mi rispose di non avere facoltà di dare la scorta, ma che, se il Capitano l’avesse ufficialmente richiesta, avrebbe telegrafato a Taranto per l’autorizzazione. Mi recai nuovamente a bordo e riferii quanto sopra al Capitano, ma questi mi rispose che non voleva chiedere scorta per non far credere di avere paura. Se queste non furono le sue precise parole, certo il senso ne era equivalente.
    Rimasi a bordo del Piroscafo tutto il pomeriggio e verificai se tutti avessero il salvagente e se lance e zattere fossero a posto, libere da impedimenti ed in numero sufficiente, del che ebbi anche assicurazione dal Capitano.
    Non mi occupai, perché non di mia competenza, del ritiro delle armi dei passeggeri; per quanto mi consta, ciò non fu fatto né dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, né da quella di bordo, né dagli Agenti della Regia Dogana.
    Ritornai a terra mezz’ora prima della partenza e riferii al Comandante di Spiaggia che il Capitano non aveva creduto di chiedere la scorta.
    Il “Città di Bari” partì regolarmente alle 18h,30m. A tenore delle norme vigenti, non feci alcun telegramma di partenza, però, in vista del rilevante numero di passeggeri, telegrafai subito ai Servizi Logistici che il Piroscafo era partito con 400 passeggeri”.
    “Imbarcati, dunque, 405 passeggeri e come merci del vino e dei tessuti di cotone – scrive il Contrammiraglio Paladini – il Piroscafo lasciava, alle ore 18.30 del 5 ottobre, il porto di Gallipoli…

    …La partenza del Piroscafo fu telegrafata al Ministero, al Dipartimento di Taranto ed al Comando in Capo dell’Armata di Taranto, con queste parole: “Piroscafo «Città di Bari» mare” – Nessun telegramma fu fatto invece ai Comandi Navali di Brindisi, Valona e Corfù”, perché, – si giustifica lo Stranges nel suo interrogatorio – nessun ordine di tale specie avevo per quanto riguarda la partenza per Corfù”. E nessuna scorta fu data al Piroscafo, perché, – sempre a dire dello Stranges – non avevo alcuna istruzione di fornire scorta per interi viaggi, perché il Città di Bari è partito dopo il tramonto, ma, soprattutto, perché il Capitano del Piroscafo si diceva riluttante a dar mostra di temere il pericolo”.
    Trascorsero tranquille – scrive sempre il Paladini – le prime ore della notte”: notte di luna – ricordano i superstiti -; aria fosca; forte vento di E-NE che rendeva il mare agitato; visibilità scarsa.
    Ma, attorno alla mezzanotte, tra le 23h,45m e le 24h, il marinaio Albano – che era di guardia al cannone, e qualche altro, videro passare di poppa la scia di un siluro. Avvisato, il Capitano della nave, si portò immediatamente sul posto, ma, non trovando conferma del lancio prospettatogli e non scorgendo alcun segno della presenza del sommergibile siluratore – (probabilmente perché questo si é affrettato a far perdere traccia di sé) – credette ad un abbaglio e tutto finì lì.
    Invece abbaglio non era e l’Albano e gli altri avevano visto giusto.
    E la conferma ce la dà il sopravvissuto – italiano o straniero? membro dell’equipaggio del «Città di Bari» o anonimo passeggero? – fatto prigioniero e condotto poi a Pola, del quale, però, la fonte austriaca non rivela il nome per ragioni di riservatezza .
    Alle Autorità di marina che lo interrogavano, il sopravvissuto anonimo raccontò che quel primo lancio il sommergibile siluratore lo effettuò esattamente alle 2h,30m del mattino del 6 ottobre. (“Am 6 Oktober um 2 Uhr 30′ a.m.”, è scritto nel documento precitato) e che il “Città di Bari” rispose all’attacco sparando alcuni colpi di cannone – (“Antwortete mit seinen Kanonen”).
    Veri o falsi, in tutto o in parte, questi particolari, sta di fatto che un primo siluro fu effettivamente lanciato contro il piroscafo italiano e che, probabilmente, l’U boot tedesco, andato a vuoto quel suo primo tentativo di siluramento, temendo la reazione del “Città di Bari”, sospese momentaneamente l’attacco per riprenderlo più tardi.
    L’allarme, perciò, rientrò; la calma ritornò a bordo e tutti tirarono un sospiro di sollievo.

    “L’aria era fosca ed un forte vento di E, NE rendeva il mare agitato. Le 4 erano passate da circa un quarto d’ora – racconta il 2° Ufficiale del Piroscafo – e mi trovavo in sala nautica allorché udii lo scoppio…
    “Il tempo era quasi nuvoloso, tirava un vento moderato da scirocco ed il mare era mosso. Si diceva anche che era possibile qualche sorpresa all’alba. Alle 4h,10m circa, udimmo una forte esplosione”…- ricorda il 1° Ufficiale .
    “Mi trovavo sul primo cassero, – narra a sua volta il direttore di macchina – passeggiavo tra l’osterigio di macchina e la sala nautica; erano passate da poco le 4h,00m allorché udii un colpo metallico fortissimo e vidi sollevarsi dall’osterigio di macchina un’alta colonna di acqua e vapore. Il siluro aveva colpito il bastimento proprio fra la caldaia e le macchine, che si fermarono immediatamente, insieme naturalmente alle due dinamo. Il bastimento rimase all’oscuro”.
    “Svegliato dall’esplosione, – racconta, tra l’altro, Luigi Aleotti per prima cosa corsi abbasso nella stazione R.T. che si trovava proprio nel corridoio che univa la prima con la seconda classe: vidi tutti gli strumenti per terra e capii che la stazione non poteva più funzionare. In coperta la gente si agglomerava intorno alle sei imbarcazioni. Vi erano anche molte zattere, circa 16 in legno e sei od otto in ferro.
    Il Comandante era sulla dritta e il capo timoniere sulla sinistra; ambedue cercavano di ottenere un po’ di calma, per effettuare ordinatamente il salvataggio, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei Greci: gettavano gli zatteroni a mare senza ritenuta, facevano capovolgere le lance, venivano alle mani…”
    “Intanto il bastimento si sbandò un poco a dritta, molto a sinistra, e quindi si immerse per circa due metri, rimanendo orizzontale. Una ventina di minuti dopo il siluramento – ricorda ancora il 2° Ufficiale -, arrivò la prima granata che cadde una ventina di metri a sinistra del bastimento. La seconda, credo colpisse il cannone di poppa. Seguirono altri colpi. Appena cominciato il fuoco, non fu possibile impedire alla gente di gettarsi a mare raggiungendo le zattere che, filate e senza ritenute, s’allontanavano dal bordo.”
    “Svegliato dall’esplosione, – riferisce a sua volta il sottocapo cannoniere – corsi subito vicino al pezzo, ma non vidi nulla. Dopo un po’ scesi dalla tuga per cercare il capo timoniere ed il Comandante. Trovato il capo timoniere, andai con lui ad aiutare a mettere le zattere in mare.
    Mentre facevo questa operazione, ho udito il primo colpo di cannone e visto il sommergibile al traverso a sinistra. Corsi subito a poppa, ma fui fermato dai Greci che non volevano si sparasse, temendo che il sommergibile, per rappresaglia, sparasse sulla gente a mare…
    …Prima di buttarmi a mare – a bordo eravamo rimasti solo io e il sottocapo francese AUGER Renè – vidi i Greci che facevano segno al sottomarino con una camicia, affinché non sparasse più. Mi precipitai addosso e strappai loro la camicia…
    All’ultimo momento i Greci ammainarono pure la bandiera italiana”.
    “Restai a bordo fin quasi all’ultimo – ricorda VALENZO Pietro. Vidi all’inizio del bombardamento che dei Greci facevano segnale al sommergibile gridando: “Costantino” .
    “Dopo una mezz’ora – racconta il marinaio cannoniere FAVAZZA Salvatore – il sommergibile emerse a circa 200 metri dalla poppa e cominciò a bombardare. Due colpi raggiunsero il fumaiolo ed uno colpì in prossimità della stiva prodiera. Durante il bombardamento (a base di granate incendiarie) solo io rimasi in prossimità del cannone. Poco dopo, però, me ne andai per mettermi al riparo. Il sottomarino, allora, si affiancò a dieci o quindici metri di distanza e mi si domandò in buon italiano dov’era il Comandante. Gli risposi che non c’era…”
    “Nel frattempo il sommergibile si era avvicinato al Piroscafo e aveva sbarcato il radiotelegrafista dell’IMERA su una zattera – riferisce il 2° Ufficiale-. Tirò una cannonata sulla prua del Piroscafo al galleggiamento determinando l’affondamento”.
    Colpito a morte, senza preavviso, da quindici granate incendiarie, l’ultima delle quali al bagnasciuga, tutte sparate tranne l’ultima, mentre la gente era ancora a bordo e cercava in tutti i modi e con tutti i mezzi di convincere gli artiglieri di bordo a non sparare contro il sommergibile e, alzando bandiera bianca e ammainando la bandiera italiana, quelli del sommergibile a non sparare sui passeggeri ancora presenti sulla nave, il “CITTA’ DI BARI”, lentamente affondò in fiamme – “…endlich sank das schiff in flammen”.
    Trascinando con sé, in fondo al mare, uomini e cose e inabissandosi a 39° 20′ Lat.N., 19° 23′ Long.E. – rotta 107° magnetico da un punto 15 miglia a sud di S.Maria di Leuca – al largo dell’isoletta di Paxòs o Paxì, a sud di Corfù, nel mentre in cielo e sul mare già albeggiava e si scatenava un furioso temporale che durò tutta la notte.
    Sfasciate le imbarcazioni per l’imperizia dei Greci che se n’erano impadroniti e che pagarono con la vita l’atto precipitoso, le zattere di bordo raccolsero i rimanenti passeggeri e affrontarono il viaggio della salvezza, che per i più non giunse mai.
    Ma, quasi a rendere più intricata e drammatica la fase finale di questa angosciosa vicenda, ecco, fosco ed oscuro, il dramma personale del coraggioso sfortunato Capitano: non é presente fisicamente, come noi ci aspetteremmo, alla morte della sua nave.
    Eppure, subito dopo l’esplosione del secondo siluro, molti lo hanno visto, lo hanno notato, mentre…
    …si precipitava fuori (della cabina di comando) gridando: “Salvagenti a posto”! – deposizione del secondo ufficiale -;
    …cercava di organizzare il salvataggio e infondere un po’ di calma” -(direttore di macchina)-;
    …sulla dritta cercava di ottenere un po’ di calma per effettuare ordinatamente il salvataggio…, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei greci –
    …diceva all’artigliere: “Sono Capitano e la mia nave è stata già silurata. Non faccia fuoco, altrimenti sparano contro le zattere!” – (primo timoniere) -;…
    …vedendo la nave sbandare a dritta in modo che giudicò pericoloso, ordinava: “Gente in riga e zattere e lance a mare!” – (primo ufficiale) -;…
    Dopo tutto questo, il Capitano non si vede più, esce di scena, scomparendo proprio mentre ci si aspettava di vederlo, nel solco della tradizione marinara, fermo al suo posto di comando, andare coraggiosamente a fondo e morire insieme con la sua nave.
    Secondo un testimone oculare, egli si gettò a mare. Infatti, il primo cameriere testimoniò: “Mi gettai a mare dopo il Comandante dal boccaporto n.2″.
    Allora, gettatosi a mare, è per caso affogato? o, piuttosto, è sembrato gettarsi a mare, mentre, invece, vi cadeva accidentalmente probabilmente ferito a morte da…”quel colpo di rivoltella sparatogli contro dal basso da uno sconosciuto?”, come racconta nella sua deposizione il 2° Capo timoniere?.
    Non lo sapeva chi gli stava dattorno, non lo sappiamo nemmeno noi.
    Se, però, dobbiamo dar credito alla fonte austriaca, il capitano Castellano sarebbe morto di morte violenta, ucciso, con altri, durante la sommossa scoppiata a bordo del piroscafo in seguito alle prime cannonate sparate dal sommergibile.
    Vera o falsa, questa versione, verosimili o inventati questi particolari, il mistero resta e ci è difficile svelarlo.
    Quando, verso le ore 5.30 del mattino, la luce del giorno scese a illuminare questa parte del Mar Jonio, sulla scena del disastro non c’era più nulla ormai: non la snella mole della bella nave barese, sprofondata con tutto il suo carico negli abissi; non la sagoma scura del sommergibile tedesco, apparentemente assente, ma, di fatto, aggirantesi ancora minaccioso in quei paraggi; non le scialuppe di salvataggio, che, pur stracariche di naufraghi, vagavano sempre più lontane, alla deriva, facile preda delle onde, delle correnti e della forza dei venti.

    “Nelle zattere si trovarono mescolati italiani e greci, che, numerosi, usarono soprusi e violenze, pestando coi piedi e ferendo di coltello e rasoio i nostri connazionali ed altri che si affollavano intorno alle già gremite imbarcazioni .”
    Dura, lunga e faticosa fu la lotta dei naufraghi in una situazione oltremodo loro avversa, folle e vana la speranza di veder arrivare da un momento all’altro il soccorso liberatore: Corfù non sapeva; Taranto nemmeno. Finché, poi, qualcuno non darà l’allarme.
    Nella notte, ad appena poche ore dall’affondamento, qualcuna delle zattere giunse anche a vedere in lontananza la terra della salvezza, …”ma il forte mare ci impedì assolutamente di avvicinarci a Fano, racconta un sopravvissuto.

    EPILOGO
    I soccorsi. Il recupero e il ricovero dei naufraghi superstiti negli ospedali di Gallipoli e di Corfù. L’inchiesta. L’amaro bilancio. Considerazioni finali.
    Nessun mezzo di soccorso videro i naufraghi durante tutto il giorno 6.
    “Verso il mezzogiorno del 7 – appena due ore prima che fossero scoperti e tratti in salvo – calmatosi ormai il mare, abbiamo visto una leggera imbarcazione, una specie di caicco, contenente un greco. Un greco che era con noi allora abbandonò la nostra zattera e andò a parlare con quello. Ritornò poco dopo dicendo che quella imbarcazione non poteva salvarci ” .
    “ Verso le prime ore del pomeriggio (del 7) apparve l’ESPERO ”.
    “ Potevano essere le 2.00 del pomeriggio, allorché avvistammo un caccia ed un rimorchiatore”…credo che la nostra zattera sia stata l’ultima ad essere recuperata dall’ESPERO ”.
    “ Alle 01.30 del giorno 7 – racconta il Comandante della Settima Squadriglia – ricevetti a Taranto un fonogramma che mi ordinava di accendere i fuochi per eseguire una missione.
    Ricevetti solo verso le 3.00 le istruzioni scritte che dicevano:
    di percorrere la rotta del Città di Bari che non era ancora giunto a Corfù. Dovevo continuare le ricerche fino al tramonto e passare la notte a Gallipoli.
    Partii alle 3.30 da Taranto con una velocità di 20 miglia e seguii la rotta ordinatami… Avvistai la prima zattera verso le 2.05 / 2.10 del pomeriggio.
    Questa conteneva tre o quattro uomini tra cui il 2° Ufficiale… Siccome sapevo che pure alla ricerca dei naufraghi si trovavano i C.T. “Pilo” e “Bronzetti”, feci loro un radiotelegramma, comunicandogli le coordinate geografiche del luogo ove mi trovavo. Infatti, dopo appena un quarto d’ora, essi arrivarono. Vennero altri due idrovolanti francesi che indicavano la posizione delle zattere. Continuai il salvataggio sino alle 16.45, raccogliendo ben 98 persone. Tra i salvati ve n’erano 97 della Città di Bari e uno R.T. dell’ “IMERA”. Avendo visto che vi erano dei feriti da coltello, ordinai il disarmo generale. Un greco, DEMETRE PRIFTIS, consegnò un rasoio insanguinato. A Gallipoli tutti i naufraghi ebbero assistenza.”
    A loro volta, il “Pilo” e il “Bronzetti”, ne recuperarono altri 58 che provvidero a trasportare all’ospedale di Corfù.
    “Di 493 persone che erano a bordo al momento della partenza da Gallipoli, – conclude malinconicamente nella sua relazione il Comandante della Divisione Base di Taranto – solo 156 si erano salvate e pure é certo che lo scoppio non può aver ucciso che, al massimo, una diecina di persone e che qualche altro può aver trovato la morte per aver battuto qualche forte colpo nel gettarsi in mare, forse tra questi ultimi il Capitano del piroscafo, del quale non si riuscì ad avere alcuna notizia dopo l’affondamento.”
    Dunque, terminate le operazioni di ricerca e fatta la conta dei superstiti, all’appello risposero soltanto 156 persone – (160, secondo la fonte austriaca).
    E le altre 337 o 368 o 560, o forse più? (se dobbiamo credere alla predetta fonte straniera).
    Disperse. Morte. Tutte morte. Tutte finite in fondo al mare. Precipitatevi, non dalla nave che le trasportava, ma dalle scialuppe di salvataggio, in cui erano riuscite, bene o male, a trovar posto, prima che il “ Città di Bari ” affondasse. Precipitatevi da sole. Lasciatevisi andare così, con semplicità, quasi con un dolce senso di abbandono e di rassegnazione nel proprio destino. Uccise dagli stenti, dal maltempo, dalla violenza di prepotenti compagni di viaggio, dagli scoraggiamenti, dalla lunga attesa e permanenza in mare – durata, è incredibile, un giorno e mezzo! –
    Ce ne parlano diffusamente, nelle loro deposizioni, i pochi fortunati superstiti. Basti leggere, come ha fatto l’orfano che scrive, – “ un groppo alla gola, l’occhio inumidito di pianto, il cuore in subbuglio ” – gli scioccanti racconti che i superstiti fanno alle autorità giudiziarie.
    Vi trovi tutto:
    La logica perversa
    della guerra;
    L’imponderabilità;
    L’imprevedibilità, l’inevitabilità, la fatalità, – come si usa dire in certi casi – degli eventi;
    L’impotenza dell’uomo nella lotta contro le forze scatenate della natura;
    L’insano egoismo, che spesso scaccia vincendolo l’altruismo, e sempre alberga nel cuore dell’uomo – come inorridisce tutta quella violenza! come suonano male tutti quei “mors tua, vita mea”, lanciati dal fratello contro l’altro fratello, al momento del pericolo!;
    L’irresponsabilità, o la totale mancanza di senso di responsabilità, la superficialità, la leggerezza nel governare talune contingenze;
    La temerarietà di qualcuno – che – si badi – non è coraggio, ma audacia eccessiva, sconsiderata, irragionevole;
    L’incapacità, l’apatía o mancanza di “páthos”, in alcuni, la negligenza « nell’adempimento dei doveri del proprio ufficio », in altri: (“non si manda una nave allo sbaraglio, stracarica di passeggeri, sola, senza scorta, non ce se ne lava le mani, non la si lascia partire, ci si oppone, se non si vuole andare incontro a disastro sicuro…; bisognava riflettere, pensarci due volte, prima di…obbedire almeno alla legge del…buon senso; non….”).
    Tutte cause o incidenze gravi, che hanno avuto un peso non indifferente nella dinamica dei fatti. Ove fosse stato possibile ridurne il malefico influsso, si sarebbe potuto almeno contenere, limitare, ridurre al minimo, le proporzioni di una “catastrofe annunciata”, che invece ebbe a costare la vita a un gran numero di persone.
    Oltre 400, certamente. Forse 500. Forse anche di più.
    La violenza, spesso senza volto e senza perché, era così diffusa, allora e dappertutto, che nessuno sapeva rinunciarci; e se ne ebbero i risultati!
    Un vero disastro, torniamo a ripetere, una sciagura immensa, incredibile…
    Non delle stesse proporzioni di quello lamentato nell’affondamento del “TITANIC” (1912), certo, o del “LUSITANIA”, il cui inabissamento, nel 1915, suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica americana e contribuì ad orientarla in favore dell’entrata in guerra (nel 1917) degli Stati Uniti a favore dell’Intesa, ma pur sempre, enorme, raccapricciante, impressionante, che aveva chiaramente colpe ben definite.
    Un disastro, nel vero senso della parola. Una strage, o carneficina se preferite.
    Una tragedia che si poteva contenere, ridurre al minimo. Ma mancò l’impegno, la volontà di obbedire in pienezza di spirito e di partecipe generosità ai doveri precisi dello stato di ciascuno degli…addetti ai lavori.
    Colpa anche della propaganda insidiosa che tanto male stava predicando ed inculcando, anche nei soldati di prima linea, forse! -. Mancò, infine quello spirito di solidarietà che fa grande un fratello al momento del bisogno.
    E di scalpore e di impressione ne fece veramente tanta il malaugurato evento che ne rimasero giustamente preoccupati politici e militari, considerato anche e soprattutto, il grave momento in cui esso avveniva – si era, infatti, in un mese “caldissimo” della guerra in atto: nel fatale ottobre ‘17 -.
    E, per far piena luce e chiarezza sulla triste vicenda e tacitare le coscienze turbate, usando prudenza, cautela e circospezione, il Ministero della Marina, aprì in tutta fretta un’ampia inchiesta: furono sentiti, in primo luogo i sopravvissuti (italiani e stranieri): i membri dell’equipaggio, gli artiglieri, i radiotelegrafisti, i passeggeri imbarcati, tutti i veri protagonisti insomma della vicenda. Furono ascoltati inoltre, come parte in causa, indiziati di reato, il Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Taranto, il Comandante in Capo dell’Armata R.N. “ Trinacria ”, il Comandante della Divisione Base di Taranto, il Comandante della Divisione Navale dello Jonio R.N. “ Città di Catania ”, il Comandante di Spiaggia di Gallipoli, il Commissario militare del piroscafo “ Città di Bari ”.
    E, dopo due mesi circa di minuziose indagini, acclarata ogni cosa e individuati i veri responsabili del disastro, il Tribunale Militare emanò la sua sentenza: inflisse le pene che ciascuno si meritava, ma con mitezza, senza infierire contro nessuno.
    Le sanzioni e i provvedimenti presi restarono però nel chiuso degli uffici, ammantati di discrezione e di riservatezza, mai svelati. Solo pochi conobbero le conclusioni della Giustizia. Esse non furono mai rese pubbliche “ per l’impressione ” si disse. Come non venne mai reso pubblico il numero preciso delle persone scomparse, tutte insieme, in uno stretto braccio di mare:
    morte,
    a due passi dalla salvezza, pensate!
    Sotto i nostri stessi occhi.
    Con la nostra stessa complicità.
    Come non pensare che essi, i morti, tutti quei morti, pesino, ancora oggi, sulla comune coscienza?
    Le colpe, le responsabilità, stavano là e parlavano da sole e chiedevano giustizia, non vendetta, ma neppure dimenticanza.

    Giunse sì la giustizia, e anche presto; arrivarono le conclusioni del Tribunale, puntuali, rapide, immediate, ma non proprio eque, cioè giuste, commisurate alla gravità o levità dei reati realmente commessi, non proprio riparatrici, accompagnate, vorremmo dire, da giusto rigore morale e giuridico.
    Sapevano, esse, troppo di affrettato, di condizionato, di biasimevole, di ovattato, forse di vergognoso da nascondere ad ogni costo, chiusi a doppia mandata nei ferrei cassetti degli archivi di Stato, insieme con la verità.
    E le lacrime non furono mai asciugate!
    Sicché, una tragedia sì grande e sì grave, lentamente, fatalmente, scivolò nel dimenticatoio. Con tutti i suoi ricordi dolceamari.
    Che tristezza!
    Questi i fatti, nudi e crudi. Queste le dure verità. Queste le colpe e le responsabilità acclarate dalla Magistratura, quali ci rivengono dalla lettura “a caldo” dei documenti dianzi citati e riportati. Non li ho certo inventati io e neppure manipolati o adulterati. Li ho soltanto “raccontati” in tutta la loro rapida successione, ruvida asprezza, estrema angosciosità.
    Certo con la morte nel cuore per quello che stava succedendo al mio papà. Con l’animo straziato dal dolore. Con rabbia impotente. Con intensa passione e partecipazione.
    Non mi si farà poi colpa grave, se, talvolta, mi è capitato di condirli, senza volerlo, con un pizzico di amara insoddisfazione, dettata, peraltro, dal mio stato di “dolente parte in causa”.
    A mente fredda, invece, a mente libera dal velo della passione, questi stessi fatti, questi stessi comportamenti umani, riconsiderati più attentamente e visti alla luce di una più approfondita riflessione, assumono, possono assumere, come in un processo di decantazione, un aspetto nuovo; offrono, possono offrire una diversa valutazione e interpretazione dell’accaduto. Secondo la quale il personale della Marina Militare Italiana dislocato nel Basso Adriatico e nello Jonio, dall’ufficiale più elevato in grado al semplice marinaio, non avrebbe nulla da rimproverarsi nella triste “Historia” del “Città di Bari” e che, nel disimpegno delle proprie specifiche mansioni, tutti avrebbero operato “in assoluta buona fede” per il buon fine del pericoloso viaggio intrapreso dalla nave barese. E che, se dei responsabili del disastro c’erano, essi sarebbero da ricercare non tanto fra gli equivoci e i malintesi, fra le carenze e le omissioni lamentate o fra gli “sfilacciamenti” e le inadempienze di questo o di quello, quanto piuttosto nel “virus della discordia e della disobbedienza”, nei “veleni” della contrapposizione e della divisione, dell’odio e della violenza, che, penetrando nell’animo umano e stringendo nella morsa del contagio, tutti e ciascuno, avrebbe sconvolto anche le coscienze corazzate, le difese resistenti dei marinai italiani impegnati nella guerra.
    Analisi precisa, argomentazioni giuste, verità palesi, indiscutibili, che, però non hanno la forza e il potere di dimostrare l’infondatezza delle accuse mosse e comprovate in sede di inchiesta giudiziaria; di mandare assolti i presunti responsabili della sciagura, di rendere meno gravi e dolorose le proporzioni del disastro.
    Di un “caso” sì grave riesce veramente difficile, se non impossibile, diluirne nella verità il pianto ed il rimpianto di ciò che si è responsabilmente o irresponsabilmente perduto.
    «Per il dono del tuo Spirito, Signore, fa che ogni condizione di paura si apra alla fiducia, ogni situazione di dolore sia illuminata dalla speranza della pasqua, ogni atteggiamento di egoismo o d’indifferenza si converta nella gioia della condivisione e del servizio verso il fratello».
    «Ma, di questa immensa tragedia – si domanda a questo punto l’uomo della strada -, di tutte queste vittime innocenti dell’umana follia, che cosa ricorda oggi la memoria storica? che cosa resta di bello e di buono e di moralmente utile alla società odierna?».

    Note fotografia di famiglia

    Era mio padre, orfano di guerra dall’età di 2 anni. Su quella nave c’era mio nonno Pasquale. Mio padre è deceduto il 6 gennaio 2014 all’età di 98 anni. Da lassù, ringrazia il direttore pro-tempore dell’Ufficio Storico della MMI, amm. Buracchia. Grazie.
    (In foto mio padre è il primo a sx; io sono quello accovacciato).

  • Che cos'è la Marina Militare?,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    3.10.1941, esplode il regio incrociatore ausiliario Città di Bari

    di Antonio Cimmino

    La motonave Città di Bari fu requisita dalla Regia Marina e, quale incrociatore ausiliario, al comando del capitano di lungo corso Carlo Oberti, fu destinata alla scorta convogli navi mercantili requisite.
    La mattina del 3 ottobre 1941, mentre era ormeggiata nel porto di Tripoli, saltò in aria investita dallo scoppio della motonave Birmania che stava scaricando munizioni ed armi sul lato opposto della stessa banchina.
    Morirono 5 componenti dell’equipaggio civile della regia nave Città di Bari e furono feriti 3 uomini dell’equipaggio militare; decine furono le vittime della nave Birmania, tra i portuali addetti alle operazioni e tra la popolazione di Tripoli.

    La nave fu recuperata e demolita nel gennaio 1943 dopo l’occupazione inglese della città.
    Persero la vita:
    – marinaio Leonardo Di Terlizzi di Bari, nato il 14.9.1902;
    – marinaio Michele Bellomo di Bari, nato il 25.7.1910;
    – Giov. 1° Leonardo Carofiglio di Bari, nato l’’11.6.1912;
    – Giov. 2° Donato Capriati di Bari, nato il 19.11.1914;
    – operaio Luigi Minetto di Novi Ligure, nato il 28.8.1920.

  • Attualità,  Che cos'è la Marina Militare?,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Giovanni Crusca marinaio fuochista, Zonderwater, e la sofferenza di chi porta la Croce

    di Luigi Crusca

    Carissimi della voce del marinai,
    Vi prego e’ la prima volta che mando una mail a voi perché vorrei ricevere notizie su Zonderwater (*) e su mio padre che aveva solo vent’anni e non è facile Vivere per 5 anni in un posto simile…
    Mio padre Crusca Giovanni era un marinaio fuochista, sullo Zara e fu tra gli ultimi a lanciarsi in mare e salvarsi grazie alle sue capacita natatorie.
    Dopo una notte trascorsa su una scialuppa, venne catturato dagli inglesi e fatto prigioniero prima ad
    Alessandria in Egitto e poi Zoderwater, vicino a Dulman in Sudafrica, ove rimase fino al 1945.
    Successivamente fu deportato come prigioniero n Inghilterra a Brighton dove lavorò in fabbrica perché doveva restituire il Denaro che gli inglesi spesero per mantenerlo.
    In seguito, grazie alla Croce Rossa, riuscì a tornare a casa (Novara).


    Vorrei ricevere notizie su Zonderwater e mi associo al dolore di coloro che persero i loro cari in quella mattanza che fu Capo Matapan.
    Vi ringrazio di aver letto questa mia e-mail.

    Luigi Crusca
    cruscal@libero.it
    05/08/2017 alle 23:51 e 06/08/2017 alle 0:07 (mail sull’articolo “Quelle urla mai dimenticate”).

    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/03/quelle-urla-mai-dimenticate/


    (*) per saperne di più digita Zonderwater sul motore di ricerca del blog