Che cos'è la Marina Militare?

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    SANTA BARBARA A NEW YORK

    di Marino Miccoli

    Molte persone non sono a conoscenza del fatto che le spoglie di Santa Barbara sono conservate nella chiesa di San Martino vescovo, sull’’isola di Burano, a Venezia. Infatti i pescatori e la gente di mare di Burano, quando sono sul mare in burrasca si rivolgono a Santa Barbara con questa antica preghiera:

    Santa Barbara del canon,

    protegeme da sto ton…

    protegeme da sta saeta,

    Santa Barbara benedeta!

    Inoltre, a seguito della richiesta dei Vigili del Fuoco di origine Italiana che lavorano a New York nonchè per la ferrea volontà di un imprenditore di Chioggia, il giorno 6 settembre 2008 le reliquie di Santa Barbara furono portate dall’isola di Burano sino a New York. Previo consenso dell’allora Patriarca di Venezia Angelo Scola le sacre spoglie della Santa Patrona della Marina Militare giunsero nella Grande Mela laddove dopo aver ricevuto i massimi onori (ossia quelli previsti per un Capo di Stato), ebbe luogo una breve quanto emozionante celebrazione in onore e a ricordo dei 342 (ripeto: trecentoquarantadue) Vigili del Fuoco statunitensi morti a seguito dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. Dopo una settimana di permanenza a New York, le reliquie della venerata martire originaria di Nicomedia fecero ritorno a Venezia.

    La storia delle reliquie di Santa Barbara è assai interessante. Pare che fu Maria Argyropoula, nipote degli imperatori Basilio II e Costantino VIII, a farle arrivare a Venezia durante il governo del Doge Pietro II Orseolo (991-1009), del quale sposò il figlio Giovanni. La dogaressa riuscì ad ottenere dal Doge il permesso di trasferire la reliquie della Santa a Venezia, nella Basilica di San Marco. Nel 1009 le sacre spoglie furono trasferite nella cappella del monastero, dove vi rimasero fino al XVIII secolo. Durante le distruzioni delle campagne di Napoleone, le reliquie furono trasferite presso la Chiesa di San Martino all’isola di Burano, dove sono conservate ancora oggi.

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    Quel vecchio quadro di Santa Barbara

    
di Marino Miccoli



    … riceviamo e felicemente pubblichiamo nella giornata dedicata alla memoria di  Santa Barbara.

    marino-miccoli-2014-per-www-lavoce-delmarinaio-com_2Sulla parete di una stanza della mia casa paterna, a Spongano, nel Salento, vi è appeso un quadro con una bella immagine di Santa Barbara. Fu acquistato da mio padre (maresciallo della Regia Marina) nei primi anni ’50 a La Spezia. Questa Santa, come sappiamo, è stata eletta quale patrona dei Marinai, dei Vigili del fuoco, degli Artificieri, dei Minatori e, più in generale, di tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco e gli esplosivi, tanto che in Marina si definisce “santabarbara” il luogo in cui sono custodite le munizioni ed il materiale esplodente.
Il quadro rappresenta una giovinetta incoronata e che ha sulle spalle un mantello rosso. La giovin donna è raffigurata mentre impugna, nella mano destra un calice, e nella sinistra una spada. Calice e spada sono rispettivamente il simbolo della sua fede e del suo martirio. Alle sua spalle ci sono raffigurate delle miniere, probabilmente di carbone, e una torre (luogo in cui la Santa fu rinchiusa dal padre a causa della sua fede). 
Ricordo che mio padre, in generale scettico e critico nei confronti della Chiesa e delle sue gerarchie, era però devoto a questa Santa e, a testimonianza di questa sua devozione, anche dopo il suo congedo dalla Marina Militare, in casa nostra il 4 dicembre è stato sempre un giorno particolare, di ricordo e di festa. 
Con questo paterno ricordo ho ereditato quel quadro a cui non ho fatto mai mancare un cero sempre accesso per la devozione alla Santa Patrona dei marinai.

    quadro-di-santa-barbara-di-marino-miccoli-www-lavocedelmarinaio-com

    E’ con piacere che dono al blog de LA VOCE DEL MARINAIO la foto del quadro, nella certezza che sarà apprezzata dal maresciallo Ezio Vinciguerra e dai lettori e visitatori del sito.

    Santa Barbara possa proteggere sempre noi e le nostre famiglie.

    BUONGIORNO MARINO A TE E AI LETTORI.
    QUANDO RICEVETTI DA TE, FIGLIO DI UN SUPERSTITE, QUESTO SCRITTO E QUESTA FOTO, HO COMPRESO, QUALORA CE NE FOSSE ANCORA DI BISOGNO, CHE OGGI 4 DICEMBRE SANTA BARBARA DEVE ESSERE L’UNICO GIORNO PER CELEBRARE.
    LA DEVOZIONE A SANTA BARBARA RAPPRESENTA ANCHE QUEI MARINAI E LA GENTE DI BUONA VOLONTA’ CHE NON FECERO PIU’ RIENTRO ALLA BASE O FURONO TRUCIDATI E IMMOLATI. 
    A LEI, PER INTERCESSIONE, CI AFFIDIAMO,  NELL’AUGURIO CHE LE “TRADIZIONI”, IMPARTITE DAI PREDECESSORI E PERPETUATE FINO A PRIMA DELL’AVVENTO DEL MONDO GLOBALIZZATO, SIANO IL VERO CREDO DEI MARINAI E DELLA GENTE DI FEDE, SPERANZA E CARITA’.
    AUGURI  A TE E UN ABBRACCIO, GRANDE COME IL MARE E COME IL VOSTRO CUORE, GIUNGA A VOI E ALLE VOSTRE CARE GENTI DA QUESTO PETULANTE MARINAIO EMIGRANTE DI POPPA (CHE SI OSTINA ANCORA A CREDERE) E DALLA REDAZIONE DEL BLOG.

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    15.11.2019, sono stato insignito della tessera di socio onorario dell’Associazione Famiglie Esposti Amianto (A.F.E.A. ODV-ETS), e lo racconterò a Dio!

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    “Lettera aperta”
    Caro Pietro Serarcangeli (*), carissimi associati e rispettivi familiari,
    oggi piango di felicità per questo dono immenso che mi avete fatto, e del bene che mi avete fatto lo racconterò a Dio!

    Lui dice:
    “Raccogli le tue forze e rialzati!  Ci sono sofferenze che scavano nella persona moralmente e fisicamente, ma tu trova il coraggio e la grinta che hai sempre avuto e trasformale in speranza”.

    La nostra speranza, di coloro che lottano per malattie e patologie causate dal servizio che abbiamo svolto, è che questa “assurda storia” finisca al più presto e che possiamo ritrovare quella pace per quegli affetti famigliari, per gli amici, che purtroppo sono stati uccisi, nel silenzio e nell’omertà, e vivere la vita in armonia e serenità in questo paese devastato dalla cupidigia e dagli abusi di potere.
    Racconterò però a Dio anche di coloro che ci hanno volutamente fatto del male…
    Ci è stato tramandato dai nostri padri e dai servitori dello Stato che la dignità e l’etica che sono la sintesi delle più alte virtù militari…non è stato per tutti così, e io lo racconterò a Dio!
    Ci è stato ordinato di assumere un contegno dignitoso e di mettere le nostre vite al servizio della Patria perché chiamati a difendere la pace e la legalità … non è stato per tutti così, e io lo racconterò a Dio!
    Ci è stato detto che la “legge è uguale per tutti” … non è stato per tutti così, e io lo racconterò a Dio!


    Non so quanto tempo terreno mi/ci rimane, questo lo sa’ Dio, ma sono certo che siete un sicuro punto di riferimento, un esempio di vita, perché in voi, in noi, il “rispetto dei valori cristiani” si rispecchiano nella condotta dignitosa e rispettosa degli ordini ricevuti e in sintonia con i criteri di correttezza di chi, con il proprio giuramento, ha accettato di servire il popolo, in divisa, un popolo di militari che grida il suo sdegno per questa situazione che si trascina già da troppo tempo tra rinvii, errori, lungaggini giudiziarie e che provoca profonda indignazione per lo scarso valore che una Nazione dà alla propria sovranità, ai suoi servitori dello Stato, ed è incapace di far sentire la sua voce a livello internazionale… ed io lo racconterò a Dio!
    Il nostro “soffrire” con umiltà e dignità ci riempie di orgoglio, il nostro retto comportamento, da cui traspare entusiasmo e passione per la carriera intrapresa, per la vita, sia di esempio e da scure per chi doveva proteggere, difenderci, ed invece ci ha abbandonato al nostro destino, vendendoci al mercato degli interessi economici e personali… e io racconterò di loro a Dio!
    Come ex militare e cittadino italiano, ma anche come uomo e padre di famiglia, sono vicino a voi e ai vostri cari. Con profonda stima e riconoscenza, vi ringrazio per la “tessera onoraria ricevuta”: vale molto più delle medaglie d’oro e dei lustrini di beceri individui, tutte chiacchiere e distintivi, ed io racconterò del male, che abbiamo da loro ricevuto, facendo i loro nomi e i cognomi a Dio!


    (*) per saperne di più digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome oppure su internet digita A.F.E.A. Onlus

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    Taranto e la sua tragica notte tra l’11 e il 12 novembre del 1940

    
di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra



    banca-della-memoria-www-lavocedelmarinaio-com

    Abbiamo atteso prima di pubblicare questa foto che ricorda una pagina di lutto e di triste impreparazione.
 Le pagine ufficiali sembrano voler dimenticare in fretta la storia ma, il ricordo dei marinai e civili caduti per un ideale di Patria e Onore, ci fa ancora arrossire e commuovere allo stesso tempo. Nessun ricordo e nessuna celebrazione.
    Un popolo che non arrossisce alla vergogna e che non si commuove per i suoi figli migliori è un popolo destinato a soccombere.

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    Nella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940, un improvviso attacco di aerosiluranti Sworfish della Royal Air Force (R.A.F.) bombardò la flotta navale della Regia Marina italiana dislocata nel porto di Taranto. Nel massiccio bombardamento, il regio incrociatore Trento e le regie corazzate Duilio, Cavour e Littorio furono praticamente messe fuori uso.
    Di seguito, si ripartano i numeri dei marinai periti:
    – Regia nave Littorio: 32.
    – Regia nave Cavour: 17.
    – Regia nave Duilio: 3.
    I feriti furono complessivamente 581, furono anche danneggiati i regio cacciatorpediniere Libeccio e Pesano e distrutti i depositi carburanti.

    La Patria
    ne colse la fiorente vita
    per coronarla di gloria
    e cementare nel giovane sangue
    i futuri destini.
    I Suoi
    cristianamente rassegnati
    ricordano in pianto
    la gentilezza del suo affetto
    sempre generoso di sorridente sacrificio.
    Iddio
    doni nell’eternità dei cieli
    il premio
    alla sua fede ed alla sua bontà.

    O Voi che lo conosceste e amate, ripetete il suo nome nelle vostre preghiere e non lo dimenticate.

    11-12-11-1940-la-notte-di-taranto

    La notte di Taranto (11-12 novembre 1940)
    da internet
    Subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia fascista, nel giugno del 1940, la pochezza dell’apparato bellico nostrano era apparsa chiara alla maggior parte degli addetti ai lavori; solo la Regia Marina, in quei giorni, sembrava potesse riscattare l’orgoglio militaresco del Paese.
    Negli ammiragliati di tutta europa, prima del conflitto, la flotta italiana era considerata tra le primissime al mondo anche perché superava numericamente la Mediterranean Fleet inglese, il principale sfidante. Nessuno, allora, sapeva valutarne pienamente le lacune: l’assenza di radar e portaerei, la carente coordinazione con l’aviazione e lo scadente addestramento nei combattimenti notturni.
Alcuni hanno proposto che già al tempo del conflitto italo-etiopico, quando gli ammiragli inglesi – per determinare, bluffando, la sospensione delle ostilità – rafforzarono la flotta mediterranea, fosse già circolata l’idea di ripianare in caso di guerra i rapporti di forza colpendo gli italiani nella loro tana, la base navale di Taranto.
La portaerei, autentica new entry nel campo delle battaglie navali, sembrava lo strumento adatto allo scopo; ma alla fine, il governo inglese ritirò i bellicosi propositi nel cassetto, e si limitò ad accodarsi alla blanda applicazione delle sanzioni stabilite dalla morente Società delle Nazioni.
Tuttavia, il progetto – l’impiego cioè di una forza economica, sostituibile e numericamente esigua di aerosiluranti imbarcati, per colpire una forza di per sé costosa, difficilmente sostituibile ed immobile – fu riproposto alla prima occasione valida, dopo lo scoppio del nuovo conflitto.
Churchill, che durante la Grande guerra aveva ricoperto la carica di primo Lord dell’Ammiragliato, sosteneva strenuamente le teorie d’impiego dell’aerosilurante; poté alfine veder realizzati i suoi desideri quando il 3 luglio del 1940 la Forza H dell’ammiraglio Somerville distrusse a Mers El Kebir quasi integralmente quella che una volta era stata la flotta francese alleata, colandone a picco le corazzate Dunkerque, Bretagne e Provence per evitare che andassero ad ingrossare le file della Kriegsmarine tedesca.
Le alte cariche della Marina italiana, inspiegabilmente, non trassero nessun insegnamento dal disastro di Mers El Kebir: sottovalutarono l’efficacia degli aerosiluranti, nonostante la prima dimostrazione di un lancio di siluri dall’aria andasse ascritta al capitano del genio navale Guidoni, nel lontano 1911, e scelsero di lasciare le navi in parata nei bacini, a fare da bersaglio.
Anche il servizio informazioni, nell’occasione, fornì una prova mediocre. Si lasciò sfuggire, infatti, che nel 1938 il capitano di vascello Lyster, comandante della portaerei Glorious, aveva preparato un piano per l’attacco di aerosiluranti su Taranto; e per questo, ignari di quanto si andava preparando, non si agitarono quando lo stesso capitano, a bordo della portaerei Illustrious, forzò il Canale di Sicilia, riunendosi alla flotta inglese di stanza ad Alessandria.
    I giornali di tutto il modo, tranne quelli italo-tedeschi, osannarono l’inattesa vittoria, mentre i bollettini di guerra fascisti continuarono a mentire sull’entità dei danni subiti, millantando inesistenti abbattimenti. E Churchill ne approfittò per una stoccata sarcastica: “Questo avvenimento particolare”, riferì il giorno dopo ai Comuni, “assume il sapore di una beffa per il fatto che, nello stesso giorno […] l’aviazione italiana, per espresso desiderio del signor Mussolini, ha partecipato con propri aerei alle azioni di bombardamento dell’Inghilterra. Certo, gli aviatori italiani avrebbero fatto molto meglio se fossero rimasti a difendere la loro flotta nel porto di Taranto”.
    Con notte di Taranto ci si riferisce ad un attacco aereo della seconda guerra mondiale avvenuto nella notte tra l’11 ed il 12 novembre 1940.
    In quella data la flotta navale della Regia Marina italiana, dislocata nel porto di Taranto, riportò gravi danni in seguito ad un massiccio bombardamento ad opera della flotta aerea della Royal Navy britannica.

    • 1 Premessa
    • 2 Scenario
    • 3 L’operazione Judgement
    • 4 L’incursione nello stretto di Otranto
    • 5 Effetti
    • 6 Note
    • 7 Bibliografia
    • 8 Voci correlate
    • 9 Altri progetti
    • 10 Collegamenti esterni

    11-12-novembre-la-notte-di-taranto

    Premessa
    La base navale di Taranto, così come tutte le basi navali italiane, era bene attrezzata per la riparazione delle unità danneggiate, grazie soprattutto alla disponibilità di grandi bacini di carenaggio, ed alla presenza nel suo arsenale di tutti i pezzi di ricambio per i macchinari e le armi.
    Tuttavia si riscontravano gravi carenze per tutto ciò che riguardava la protezione contraerea e la protezione antisiluramento delle navi in porto: le batterie contraeree erano del tutto insufficienti sia come numero che come calibro, e a questo si aggiungeva la scarsa protezione notturna determinata dall’assenza del radar, per cui la rilevazione di eventuali aerei ostili in avvicinamento era affidata a vecchi proiettori di scarsa portata, guidati da aerofoni risalenti alla prima guerra mondiale.
    Per quanto riguarda la protezione antisiluro, questa era affidata alle reti anti-siluro, anch’esse poco numerose a causa della scarsità di materie prime che affliggeva l’industria italiana: si producevano infatti 3.600 metri di rete al mese, da distribuire a tutte le basi italiane, e dei 12.800 metri commissionati per la protezione delle navi ormeggiate nel Mar Grande solo poco più della metà era giunta a destinazione, e molti non erano ancora stati distesi.
    Scenario
    Nell’agosto del 1940, entrarono in servizio due nuove unità da battaglia della Regia Marina: le imponenti navi da battaglia Vittorio Veneto e Littorio.
    Queste erano lunghe 238 metri, potevano sviluppare una velocità massima di 30 nodi ed avevano un dislocamento di 41 300 t standard. Il peso complessivo della sola corazzatura era di 13 600 t. L’armamento era costituito da nove cannoni da 381/50 mm collocati in tre torri trinate, da 12 cannoni da 152/55 mm e da 12 cannoni da 90/50 mm. Vi erano inoltre 4 cannoni da 120/40 mm per il tiro illuminante, 20 mitragliere antiaeree da 37/54 mm e 30 da 20/65 mm.
    Due mesi più tardi le truppe italiane invasero l’Epiro, nell’ambito della Guerra Greco-Italiana, costringendo la Gran Bretagna ad impegnarsi militarmente al fianco della Grecia, sia per evitare che gli italiani finissero per controllare il mar Egeo, mettendo così in pericolo la sicurezza di Alessandria d’Egitto, sia per scoraggiare la Turchia dall’entrare nel conflitto come alleata dell’Asse.
    Questo comportò un aumento notevole del numero di convogli marittimi britannici in partenza dall’Egitto, per consentire un sempre crescente rifornimento di materiale bellico ai porti greci e all’isola di Malta, roccaforte britannica strategica tra la Sicilia e la Tunisia, vicino alla quale transitavano i convogli marittimi italiani diretti in Libia. La vicinanza di Taranto a queste manovre preoccupò notevolmente l’ammiragliato britannico, in quanto le navi italiane che vi facevano base avrebbero potuto facilmente raggiungere e distruggere i convogli marittimi britannici in navigazione.
    L’operazione Judgement
    La Royal Navy, nella persona del Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Cunningham, decise allora di allestire un’operazione per affondare o danneggiare le unità navali italiane dislocate nella base di Taranto, perfezionando un piano di attacco notturno con aerosiluranti studiato già nel 1935 dall’ammiraglio Lumley Lyster, all’epoca della guerra d’Etiopia. Il piano era molto rischioso e contava molto sul fattore sorpresa, in quanto le portaerei da cui sarebbero decollati gli aerei per compiere la missione dovevano portarsi ad al più 130 miglia dalla costa italiana, con il rischio di essere scoperte dal nemico. Inoltre si doveva illuminare la rada ricorrendo al supporto di aerei bengalieri, mentre gli aerosiluranti avrebbero dovuto volare a pelo d’acqua, per eludere le batterie contraeree e per evitare che i siluri affondassero nel fango del fondale basso. Pur con tutte queste precauzioni, se le navi italiane avessero steso le cortine fumogene l’azione sarebbe certamente fallita.
    Il pomeriggio del 6 novembre 1940 l’operazione ebbe inizio: le navi da battaglia Malaya, Ramillies, Valiant e Warspite, la portaerei Illustrious, gli incrociatori Gloucester e York e 13 cacciatorpediniere salparono da Alessandria d’Egitto diretti verso Malta, nei cui pressi stazionava la portaerei Eagle.
    L’8 novembre, allarmato da queste manovre nel Mar Mediterraneo, il Comando supremo della Marina italiana inviò unità cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili di pattuglia nel canale di Sicilia, mentre nella base di Taranto fu fatto concentrare il grosso della forza navale italiana.
    Le navi britanniche raggiunsero Malta nella giornata del 10 novembre, ed il giorno seguente la portaerei Illustrious cominciò a dirigersi verso il punto prefissato per il lancio degli aerei verso Taranto. La portaerei Eagle non poté invece salpare a causa di un’avaria al motore: questo inconveniente dimezzò praticamente il numero di aerei disponibili, ma non costrinse a rinviare l’incursione.
    Le ricognizioni degli aerei britannici su Taranto si protrassero fino alla sera dell’11 novembre, quando la Royal Navy apprese che nelle due rade del porto di Taranto si erano riunite le navi da battaglia Andrea Doria, Caio Duilio, Conte di Cavour, Giulio Cesare, Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Bolzano, Fiume, Gorizia, Pola, Trento, Trieste e Zara, i due incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e vari cacciatorpediniere. Per citare un’espressione dell’ammiraglio Andrew Cunningham: «Tutti i fagiani erano nel nido».
    A difesa del porto erano previsti 87 palloni di sbarramento, ma le cattive condizioni climatiche dei giorni precedenti ne avevano strappati 60 e non si erano ancora potuti rimpiazzare a causa della mancanza di idrogeno. Le unità navali erano protette da reti parasiluri, ma degli 8.600 metri necessari per una difesa efficace, erano stati posati appena 4 200 metri. Queste reti erano comunque distese per soli 10 metri sotto il livello del mare, lasciando quindi uno spazio non protetto tra la rete stessa ed il fondale. L’ammiraglio di squadra Inigo Campioni aveva inoltre richiesto che le reti parasiluri fossero sistemate ad una distanza dalle sue navi tale da poter salpare rapidamente, senza prima dover rimuovere le protezioni.
    L’attacco alla base di Taranto era stato programmato per il 21 ottobre, in onore dell’anniversario della battaglia di Trafalgar, ma problemi tecnici a bordo dell’Illustrious posticiparono l’attacco all’11 novembre.
    Alle ore 20:30 dalla portaerei Illustrious cominciarono le operazioni di decollo della prima ondata di aerei diretti verso Taranto.
    Giunti sull’obiettivo pochi minuti prima delle ore 23:00, furono accolti da un poderoso fuoco di sbarramento. Due bengalieri cominciarono a lanciare i bengala sulla sponda orientale del Mar Grande per illuminare i profili dei bersagli, mentre 6 aerosiluranti Fairey Swordfish iniziarono a scendere a quota di siluramento. Un primo velivolo, che venne poi abbattuto, sganciò un siluro contro la Conte di Cavour, squarciandone la fiancata sinistra, altri due mirarono contro l’Andrea Doria, senza però colpirla.
    Contemporaneamente quattro aerosiluranti, armati con bombe, danneggiarono i cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno, bombardarono i depositi di carburante e distrussero due idrovolanti. Alle 23:15 due aerosiluranti attaccarono contemporaneamente la Littorio, colpendola sia a dritta che a sinistra, mentre l’ultimo Swordfish sganciò inutilmente un siluro contro la Vittorio Veneto.
    Alle 23:20 gli aerei della prima ondata si ritirarono, ma alle 23:30 arrivarono gli aerei della seconda ondata. Nonostante il fuoco di sbarramento, un primo Swordfish sganciò un siluro contro la Caio Duilio colpendola a dritta, mentre due aerosiluranti colpirono la Littorio. Un altro aereo mirò alla Vittorio Veneto che anche questa volta fu risparmiata, mentre un secondo Swordfish venne abbattuto nel tentativo di attaccare la Gorizia.
    Infine un ultimo attacco danneggiò seriamente l’incrociatore Trento. Gli ultimi aerei si ritirarono alle ore 0:30 del 12 novembre: l’attacco contro Taranto era terminato. In 90 minuti gli aerosiluranti della Royal Navy avevano prodotto danni ingenti, in quanto metà delle navi da battaglia italiana erano state messe fuori combattimento. Il bilancio fu di 58 morti, 32 dei quali sulla Littorio, e 581 feriti, sei navi da guerra danneggiate (3 corazzate – la Cavour in maniera tanto grave che non riprese più servizio – 1 incrociatore e 2 cacciatorpediniere), e diversi danni alle installazioni terrestri. Laconico, per ovvie ragioni di natura militare, il bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940:
    « Nelle prime ore della notte sul 12, aerei nemici hanno attaccato la base navale di Taranto. La difesa contraerea della piazza e delle navi alla fonda ha reagito vigorosamente. Solo un’unità è stata in modo grave colpita. Nessuna Vittima »
    (Bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940)
    L’esito dell’incursione dimostrò soprattutto quanto fosse sbagliata la convinzione secondo cui gli aerosiluranti non avrebbero potuto colpire le navi all’interno delle basi, a causa dei bassi fondali, ma soprattutto segnò un punto di svolta nelle strategie della guerra sul mare, affidando all’aviazione e quindi alle portaerei un ruolo fondamentale nei futuri combattimenti. A Taranto si recò anche l’addetto militare presso l’ambasciata giapponese a Roma con l’incarico di raccogliere maggiore informazioni possibili sul raid in quanto segretamente già stavano pianificando un attacco simile da effettuare su Pearl Harbour l’anno dopo.
    L’incursione nello stretto di Otranto
    Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Canale d’Otranto (1940).
    Contemporaneamente all’attacco di Taranto, la sera dell’11 novembre, intorno alle ore 18.00, alcuni incrociatori e cacciatorpediniere inglesi si distaccarono dalla flotta principale per dirigersi a sua volta verso il Canale d’Otranto, onde intercettare il traffico italiano verso l’Albania.
    La formazione britannica, costituita dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Sydney con la scorta dei cacciatorpediniere della Classe Tribal Nubian e Mohawk, intercettò un convoglio diretto a Valona, costituito dai piroscafi Antonio Locatelli, Premuda, Capo Vado e Catalani, scortati dalla vecchia torpediniera Fabrizi e dall’incrociatore ausiliario RAMB III.
    L’azione ebbe luogo alle ore 01.05 del 12 novembre, quando la formazione inglese, dopo aver localizzato il convoglio italiano, affondò tutti i piroscafi nonostante l’eroica difesa offerta della torpediniera Fabrizi, gravemente danneggiata, mentre l’incrociatore RAMB III, dopo un iniziale scambio d’artiglieria, si dileguò salvandosi nel porto di Brindisi. Nello scontro 36 marinai italiani persero la vita, 42 vennero feriti, mentre 140 marinai vennero salvati dalle torpediniere Curtatone e Solferino. Il comandante della torpediniera Fabrizi, tenente di vascello Giovanni Barbini fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare.[1]
    Genesi
    Già nel 1935, durante la crisi etiopica, la Royal Navy aveva studiato un piano di attacco aereo di sorpresa da attuarsi nella base navale di Taranto al fine di eliminare la marina italiana dal Mediterraneo e di far cadere così le mire colonialistiche di Mussolini; la diplomazia evitò in quel caso lo scoppio della guerra, ma il piano non fu dimenticato, anzi, nella convinzione di una sempre possibile guerra contro l’Italia, fu più volte aggiornato.
Quando, dopo l’operazione Hats, la M. Fleet dispose di due portaerei, di cui una moderna, il piano fu di nuovo ripreso e aggiornato per cercare di eliminare quante più possibili navi italiane. Per avere informazioni attendibili e fotografia aggiornate giornalmente fu trasferito a Malta la 431° Sq di ricognitori “Glenn Martin”, i migliori di cui la Raf disponeva in quel momento; il comando e l’addestramento degli equipaggi a questa operazione fu affidato al C. A. Lister. I preparativi si svolsero in modo rapido ed efficacie tanto che gli inglesi avevano fissato l’attacco il 21 ottobre (anniversario della vittoria di Nelson a Trafalgar), ma un incendio scoppiato a bordo dell’ Illustrious pochi giorni prima causò un rinvio.
Il ritardo fu veramente un colpo di fortuna per gli inglesi:
     l’Italia aveva dichiarato guerra alla Grecia il 25 ottobre, questo modificò la normale dislocazione delle principali navi italiane divise solitamente tra i porti di Taranto, Napoli, Messina, Palermo; infatti per avere tutta la flotta pronta ad intervenire in caso di convogli inglesi verso la Grecia e in vista di una incursione della I e II squadra su Creta, occupata dagli inglesi, tutta la flotta fu concentrata a Taranto
     da ulteriori ricognizioni fu evidente che le navi erano protette da reti parasiluri che avrebbero reso l’attacco privo di efficacia visto che i siluri erano stati predisposti per navigare a pelo d’acqua.
    Le prime mosse
    Per rinforzare ulteriormente la M. Fleet fu deciso di inviare la Nb Barham, gli inc. Glascow, Berwich e 6 Ct, questa forza navale scortata dalla Np Ark Royal e da ulteriori 5 Ct salpò da Gibilterra intorno alle 19:45 del 7 novembre 1940.
Nel pomeriggio del 6 novembre erano invece uscite da Alessandria le Nb Warspite, Valiant, Malaya, Ramillies, la Np Illustrious e numerosi Ct per proteggere alcuni convogli diretti a Malta e a Suda. Durante la traversata le navi furono più volte attaccate dai bombardieri italiani che però non riuscirono a mettere a segno nessun colpo; il 10 novembre le navi provenienti da Gibilterra e la M. Fleet al completo ( gli incrociatori si erano uniti alla formazione principale dopo aver scorato i convogli ) si riunirono al largo di Malta e si diressero verso Alessandria assumendo una rotta atta a proteggere quattro trasporti scarichi di ritorno da Malta e diretti in Egitto; pareva così agli occhi di Supermarina, che sebbene con molta difficoltà e con notizie frammentarie aveva seguito lo svolgimento della missione inglese, che le navi nemiche si stessero dirigendo verso casa, dopo aver effettuato una missione di scorta ad un convoglio.
In realtà la Np Illustrious scortata dalla 3° Div inc (Gloucester, Berwich, Glasgow, York) e da 4 Ct si stava dirigendo verso il punto di lancio, precisamente 40 miglia a ponente di Cefalonia e 170 miglia da Taranto; mentre la 7° Div inc (Orion, Ajax, Sydney) e i Ct Nubian e Mohawk fece rotta per il canale di Otranto per effettuare la prevista missione di rastrellamento, in quei giorni di emergenze per l’esercito italiano in Grecia i traffici fra le due sponde dell’adriatico erano molto intensi e non passava notte che un convoglio transitasse attraverso il canale.
    La situazione a Taranto
    Al momento dell’attacco la situazione delle difese dell’ancoraggio di Taranto erano le seguenti:
     La difesa contraerea attiva era affidata a: 21 batterie per complessivi 101 cannoni di vario calibro; 68 complessi di mitragliere con un totale di 84 canne in posizione fisse e galleggianti; 109 mitragliere leggere in posizioni fisse e galleggianti. Le armi c.a. delle navi di bordo erano pronte al fuoco.
     Le ostruzioni aeree erano affidate a: 27 palloni sferici, 16 ormeggiati a ponente delle navi lungo la diga della Tarantola e a nord di essa e 11 lungo la costa; il forte vento dei giorni precedenti all’attacco aveva strappato 60 palloni dai rispettivi ancoraggi e non era stato possibile, per l’insufficienza della produzione locale di idrogeno, la loro sostituzione.
     La rete di scoperta aerea era affidata a 13 stazioni aereofoniche, due delle quali collegate con proiettori; vi erano poi 22 grandi proiettori in parte collegati alle principali batterie. Inoltre tutte le navi all’ancora tenevano pronti all’uso due proiettori.
     Le ostruzioni retali parasiluri erano, con reti giungenti fino a 10 metri sotto il livello dell’acqua, al momento dell’attacco 4200 metri sui 12.800 metri previsti ed erano posizionate in modo da permettere la rapida uscita delle unità navali a scapito però della protezione.
    L’attacco
    L’attacco inglese si sarebbe svolto in due ondate: la prima verso le 22:45 e la seconda una ora dopo ciascuna ondata composta da 12 aerei di cui due bengalieri, quattro bombardieri e sei siluranti; mentre i bengalieri avrebbero disseminato i loro bengala per rischiarare la zona dell’attacco, i bombardieri avrebbero attaccato le navi minori ancorate nel mar Piccolo, per distogliere l’attenzione dai siluranti incaricati di colpire le navi principali, nel Mar Grande.
Tra le 20:35 e le 20:40 gli aerei della prima ondata decollarono dalla portaerei, mentre la seconda ondata ridotta a nove aerei, che poi divennero 8 per il rientro di uno di essi dovuto alla perdita in mare del serbatoio supplementare di benzina, decollò tra le 21:28 e le 21:34.
    I^ ondata
    La piazzaforte di Taranto era in allarme da pochi minuti quando alle 22:58 entrarono in azione i due aerei bengalieri (Kiggell-Janvin e Lamb-Grieve) i cui bengala esplosero a circa 500 m poi cominciarono gli attacchi:
     Alle 23:15 fu abbattuto dalle mitragliere di bordo della Cavour il velivolo di Williamson e Scarlet che procedendo in picchiata a motore spento aveva appena lanciato il proprio siluro, che colpì la stessa nave a prora sul lato sinistro.
     Alla stessa ora i due aerei di Maculay-Wray e di Sparke-Neal, che procedevano in formazione, lanciarono in rapida successione i propri siluri contro la Doria; i due siluri mancarono il bersaglio e scoppiarono lontano dalla prora della nave.
     Dopo pochi istanti e da due lati opposti gli apparecchi di Kemp-Bailey e di Swayne-Buscall colpirono con i loro siluri la Littorio
     Alle 23:16 l’aereo bombardiere di Pacth-Goodwin lanciò le proprie bombe nel Mar Piccolo, una di esse colpì il Libeccio senza esplodere.
     Alle 23:21 l’aereo bombardiere di Sarra-Bowker lanciò le proprie bombe sull’aeroporto, una di esse colpì l’aviorimessa distruggendo due idrovolanti in riparazione e causando un incendio che fu domato dopo un quarto d’ora.
     Tra le 23:30 e le 23:40 gli aerei bombardieri di Forde-Mardeal-Ferreira e di Murray-Paine che lanciarono le proprie bombe sullo schieramento dei Ct nel Mar Piccolo, senza colpire nessuna unità.
    II^ ondata
    Gli aerei della seconda ondata, guidati dalle vampe dei cannoni c.a. italiani che continuavano a sparare, guidati dagli aerei bengalieri iniziarono la manovra d’attacco:
     Tra le 23:50 e le 23:55 si accesero i fuochi dei bengala lanciati dagli aerei di Hamilton-Weeks e Skelton-Perkins
     Alle ore 00:00 del 12 novembre il siluro lanciato dall’aereo di Lea-Jones colpì la Duilio a prora sul lato di dritta.
     Tra le 00:00 e le 00:01 due apparecchi volando in formazione giunsero a distanza di lancio, l’aereo di Welham-Humphreys attaccò la VittorioVeneto senza colpirla, mentre l’aereo di Bayly-Slaughter fu abbattuto mentre attaccava il Gorizia.
     Alle 00:01 la Littorio fu colpita per la terza volta da uno dei due siluri lanciati dalla coppia di velivoli composta da Hale-Carline e Spence-Sutton, mentre l’altro siluro fu trovato inesploso conficcato nel fango sotto la chiglia della nave.
     Alle 00:30 l’apparecchio di Clifford-Going attaccando le navi ancorate nel mar Piccolo, partito in ritardo per problemi alla catapulta, lanciò sei bombe, una di esse colpì senza esplodere il Trento
    I danni e le ripercussioni
    Nave da battaglia Littorio
    Colpita da tre siluri, 32 morti:
una falla a prora sul lato di dritta di 15×10 metri,
una poco più dietro di 12×9 metri,
una a poppa sul lato di sinistra nell’agghiaccio del timone di 7×1.5 metri
    Nave da battaglia Cavour
    Colpita da un siluro, 17 morti:
una falla di 12×8 metri a prora sul lato sinistro in corrispondenza del 
deposito di munizioni, con conseguente allagamento di tutta la prua
    Nave da battaglia Duilio
    Colpita da un siluro, 3 morti:
una falla di 11×7 metri sulla dritta tra i depositi munizioni prodieri
    Regia nave Trento
    Colpito da una bomba inesplosa:
squarci nello scudo del complesso da 100 mm di prora sinistro,
foro nel ponte di coperta e qualche danno nel locale sottostante
    Regio Cacciatorpediniere Libeccio
    Danni irrilevanti nella parte prodiera
    Regio Cacciatorpediniere Pessagno
    Leggera schiodatura e ingobbatura della carena di
prua a dritta per bombe cadute nelle vicinanze
    Alle 04:45 del 12 novembre è portata ad incagliare la Duilio; alle 05:00 la Cavour, 
il cui equipaggio è costretto a sbarcare; alle 06:25 viene incagliata la Littorio
    La Littorio recuperata subito dopo l’attacco ed immessa nel bacino di Taranto l’11 dicembre 1940 rientrò in squadra il 9 marzo 1941; la Duilio fu trasferita a Genova il 26 gennaio 1941 e rientrò in squadra il 16 maggio 1941; La Cavour fu trasferita a Trieste il 22 dicembre 1941, ma difficoltà impreviste e altre priorità fecero si che la nave non rientrasse più in servizio.
La necessità di sottrarre le navi maggiori rimaste incolumi fece si che già nel pomeriggio del 12 novembre furono trasferite a Napoli le Nb Vittorio Veneto, Cesare, Doria la I Div e la 9°,11°, 10°, 13° Sq Ct; mentre la III Div e la 12 Sq Ct furono trasferite a Messina. Nel frattempo furono accelerati i lavori per rendere più sicuro l’ancoraggio del Mar Grande; lavori che furono ultimati nel maggio del 1941.
La perdita contemporanea di tre Nb, tra le quali una modernissima, fece sprofondare la nostra marina in una situazione di grave inferiorità numerica che rese la M. Fleet padrona del Mediterraneo Orientale in un periodo (guerra in Grecia in pieno svolgimento) in cui ciò era di notevole importanza; questo fatto si ripercosse anche sui nostri convogli, non più scortati da tutta la squadra navale, come era accaduto in varie occasioni. La riuscita dell’attacco fece sorgere il dubbio dello spionaggio e del tradimento in particolare la questione delle reti para siluri mal ubicate e della loro profondità (le reti italiane giungevano fino a 10 metri sotto il livello del mare e i siluri inglesi erano tarati per quell’occasione a 10,60 metri…!) suscitò scalpore in tutta la nazione, tanto che ancora oggi si parla di una marina pronta a tutto pur di perdere la guerra.
    L’incursione nel canale d’Otranto
    Oltre all’azione silurante contro la flotta italiana l’Amm. Cunningham aveva disposto che una divisione composta dagli inc Orion, Ajax, Sydney e scortati dai Ct Nubian e Mohawk avrebbe effettuato un’incursione notturna nel canale d’Otranto per affondarvi eventuali convogli che quasi tutti le notti traversavano l’Adriatico sulla direttrice Bari, o Brindisi, Valona, o Durazzo. Quella sera un convoglio composto dai piroscafi Locatelli, Premuda, Capo Vado, Calatani e scortati dalla Tp Fabrizzi dall’Inc ausiliario Ramb III era uscito da Valona alle 22:30 del giorno 11 con le due unità di scorta ai lati dei piroscafi. 
Alle 01:15 del giorno 12 ci fu l’avvistamento quasi contemporaneo e subito dopo tutti gli incrociatori inglesi aprirono il fuoco subito seguiti dalla Tp Fabrizzi che si trovava nel lato sinistro del convoglio (quello attaccato); l’impari lotta ebbe il suo logico svolgimento: mentre la Tp bersagliata dai calibri secondari degli incrociatori tentando di lanciare i propri siluri, operazione che non gli riuscì per le avarie riportate, gli incrociatori e Ct inglesi colpirono ripetutamente i piroscafi e si ritirarono soltanto dopo averli affondati tutti; la Tp Fabrizzi riuscì pur con gravi danni a raggiungere Valona, mentre non fu approvato il comportamento del C.F. De Angelini che comandava il Ramb III, che visto l’impossibilità di salvare il convoglio si ritirò mentre il combattimento ancora era in corso verso Bari.
Il giorno successivo furono recuperati 140 superstiti, le perdite furono di 36 persone comprese 11 della Tp che ebbe anche 17 feriti; al comandante Barbini fu decretata la medaglia d’oro al valore militare per il comportamento eroico e per aver riportato uno scafo martoriato dalle granate nemiche in porto.

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    Considerazioni
    Il nemico aveva navigato per una intera settimana in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo senza che nessuna unità italiana gli sbarrasse la strada, aveva rifornito la Grecia e Malta con numerosi convogli e aveva inoltre attaccato un nostro convoglio nel canale d’Otranto: la presenza di tutte le navi italiane nei porti vicini alla zona non aveva impedito che ciò accadesse, questo fatto è di per se significativo senza considerare che oltre a non impedire al nemico di fare ciò che egli voleva nel mare che si voleva dominare tre nostre navi da battaglia, la metà della nostra forza, si erano fatte affondare in porto da 20 biplani vecchi di 15 anni!

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    8.11.2013, Michele Scorcia

    di Pietro Serarcangeli

    Il giorno 8 novembre 2013, il Capitano di Vascello (SM) Pilota SCORCIA Michele, colpito da una gravissima patologia derivante dalla lunga esposizione all’amianto, salpava per la Sua ultima missione.
    Ho avuto l’onore di conoscere il Comandante Scorcia. Persona di grande spessore morale è sempre stato disponibile e coscienzioso verso i suoi subalterni.
    Dopo una lunga e straziante malattia lasciava questa Terra e la sua adorata moglie, signora Adriana e i figli Stefania, Floriana e Massimo.

    Riposa in Pace Comandante, ovunque Tu sia..

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    7.11.2016, Mauro Leonardi

    di Pietro Serarcangeli

    Il giorno 7 novembre 2016 il maresciallo furiere Mauro Leonardi, colpito da una patologia causata dalla prolungata esposizione all’amianto, salpava per la sua ultima missione, lasciando nel dolore la moglie signora Patrizia e il figlio Patrizio. Mauro si era affidato all’A.F.E.A. (Associazione Familiari Esposti Amianto) quando era ancora in vita. Era ottimista, speranzoso quando, di tanto in tanto, ci parlavamo al telefono. Un girono mi chiamò e lo sentii diverso…di li ad una settimana sarebbe deceduto..
    L’ennesima vittima di un sistema perverso che ha falcidiato Uomini speciali, Uomini che volevano vivere e godere dei propri cari… non hanno potuto farlo loro malgrado.
    Ciao Mauro, il Tuo sorriso mi accompagnerà per sempre. Riposa in Pace ovunque Tu sia…