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    Il Segnalatore

    di Alberto Mattei

    Una carrellata di vita nel mondo delle radiocomunicazioni nella Marina Militare

    La categoria dei Segnalatori nella Marina MilitareIl servizio di collegamento tra i posti di segnalazione a bordo e a terra è affidato ai Segnalatori. Essi imparano ad impiegare tutti i sistemi di trasmissione, da quelli telegrafici e per telescrivente a quelli ottici, e diventano maestri nell’arte di trasmettere segnali con il pittoresco linguaggio delle bandiere. Si addestrano anche all’uso di apparecchi R.T. di piccola potenza. Ai segnalatori è affidato anche il compito di tenere aggiornati i documenti nautici necessari alla navigazione. Imparano a leggere le carte nautiche ed a tracciare le rotte. Inoltre hanno il compito di effettuare osservazioni metereologiche sia a bordo che negli osservatori costieri.

    Chi meglio di me poteva scrivere  quest’articolo. Dopo il testo scritto dal collega Passarino sui (cugini) Radiotelegrafisti sul numero 182 del Bollettino dei Marinai, adesso parleremo della categoria del “Segnalatore”.

    Alberto-Mattei-per-www.lavocedelmarinaio.com_La vecchia categoria è rappresentata da due banderuole (in alto sopra riportate) ed è stata messa in disuso dalla Marina con l’utilizzo della nuova categoria “specialisti in telecomunicazioni”, già utilizzata dai Radaristi. Questa ha accorpato, dunque, le categorie dei Radaristi, Radiotelegrafisti, Segnalatori e Telecomunicatori. E’ in vigore ancora tutt’ora.
    Ma come dico sempre “chi nasce segnalatore, muore segnalatore” e io sono uno che le bandierine non se l’è mai scucite dalla divisa.
    La categoria del Segnalatore, è nata nel 1931 dall’accorpamento delle più vecchie categorie dei Semaforisti e dei Timonieri. Queste due categorie erano a quel tempo addette alle comunicazioni radio semaforiche, sia a bordo delle navi che dalle stazioni costiere a terra.
    I corsi per Segnalatore iniziarono presso la Scuola C.R.E.M. di Pola (Istria italiana) ed erano suddivisi in:
    – corso O (ordinario), dalla durata di 12 mesi;
    – corso I.G.P. (Istruzione Generale e Professionale) riservato ai sottocapi che dovevano divenire sottufficiali della durata di 12 mesi;
    – corso P (perfezionamento) riservato ai Secondi Capi che dovevano avanzare nel ruolo dei Marescialli di III classe, della durata di 7 mesi.

    Dopo il Secondo Conflitto Mondiale, e con l’avvento della Repubblica, la vecchia dizione monarchica C.R.E.M. fu cambiata in C.E.M.M. (Corpi Equipaggi Militari Marittimi) e dislocata presso la sede di Taranto.
    I corsi di Segnalatore nel 1949 furono spostati nella neo Scuola CEMM di La Maddalena e successivamente ritornarono a Taranto definitivamente nel  1952.
    Iniziarono così a formarsi corsi di Segnalatori, pronti ad essere imbarcati sulle unità navali della Marina Militare Italiana.
    Il corso ordinario da Segnalatore prevedeva: la ricetrasmissione morse con sistemi a lampi di luce, le comunicazioni a banderuole e con segnali a bandiere, procedure di trasmissioni, la radio telefonia, l’uso delle telescriventi, lo studio della nautica e meteorologia, lo studio ed applicazione dei libri di segnali tattici oltre ai vari studi di ordinamento militare.
    I corsisti erano in tanti e ciò rendeva sino ai primi anni  ‘70 i corsi da Segnalatore particolarmente numerosi.
    Con l’abolizione del Gruppo Scuole C.E.M.M. agli inizi degli anni ‘80 e con la nuova denominazione in Scuole Sottufficiali della M.M., i corsi Segnalatori si sono ridotti, sino a scomparire del tutto nel 1988 quando la categoria Segnalatore, insieme ai Radiotelegrafisti, fu dismessa e passata nell’elenco delle categorie ad esaurimento. Nacque così il “Telecomunicatore”.
    Dopo più di due decenni, nel 2014 è stata ripristinata la categoria del Segnalatore e del Radiotelegrafista, mentre la categoria del Telecomunicatore è passata nell’elenco delle categorie ad esaurimento.
    Quando il 9 settembre del 1980 varcai per la prima volta la porta principale delle scuole C.E.M.M. (di lì a poco sarebbero cambiati in Scuole Sottufficiali della M.M.), sapevo già cosa volevo fare! Appena diciassettenne, con alle spalle saltuari lavori estivi e l’abbandono del secondo anno della Scuola Statale d’Arte (mi diplomerò Maestro d’Arte negli anni successivi) e con l’hobby della radio, il mio obiettivo era diventare un esperto radiotelegrafista. La mia famiglia, sia da parte di mio padre che di mia madre, erano tutti marittimi; inoltre il nonno materno era stato un Marinaio sommergibilista in tempo di guerra, mio nonno paterno lo era stato ma nelle chiatte in Grecia, il fratello sulla torpediniera Danaide. Mio padre era stato imbarcato sulla torpediniera Aretusa come nocchiere. Insomma, la Marina scorreva nel sangue. Inoltre da piccolo frequentavo un mio compagno di scuola elementare il cui padre era un ex Maresciallo Radiotelegrafista della Regia Marina e poi Marina Militare. Quando ci ritrovavamo a casa sua mi insegnava il codice morse e l’uso del tasto telegrafico, e ci raccontava storie di guerre e battaglie navali! Un mondo che mi ha sempre affascinato.
    Tutto ciò mi ha portato a credere in quello che poi ho fatto e cioè arruolarmi in Marina.

    Allievi Segnalatori in aula di insegnamento
    I primi tre giorni di accasermamento sono stati esclusivamente dedicati ai test ed infine al colloquio con lo psicologo che avrebbe designato la mia permanenza in quella categoria. Mi ricordo che quando ebbi il colloquio con lo specialista insistevo nel sottolineare che mi piaceva e conoscevo bene il mondo delle radio e delle radiocomunicazioni e preferibilmente chiedevo di poter fare il radiotelegrafista. Quando invece mi disse che ad un orecchio avevo dei problemi di udito e che non potevo fare l’RT, ma che mi avrebbe accontentato lo stesso facendomi fare il “SEGNALATORE”, una categoria che con il mondo delle telecomunicazioni era a parità dell’RT, mi crollò il mondo addosso, ma malgrado ciò mi accontentai lo stesso! Adesso dopo tantissimi anni, ringrazio quell’uomo nell’avermi assegnato a questa fantastica categoria.
    Così iniziai il corso (V6) denominato “80/A corso Segnalatori”. La sezione era formata da 16 allievi provenienti da tutta Italia: siciliani, campani, pugliesi e laziali, prettamente dal centro-sud. Il corso è durato 9 mesi dove alle materie culturali si alternavano materie professionali come ricezione e trasmissione morse a lampi di luce, trasmissione con telescrivente, procedure ottiche e radiotelefoniche, libro dei segnali, uso delle bandiere segnaletiche, conoscenza di tutti i sistemi di comunicazione, e poi nautica e meteorologia. Dopo nove mesi di intensi studi (si studiava ogni giorno, sia di mattina che di pomeriggio, con lo studio obbligatorio e si usciva in franchigia solo il sabato e la domenica e, se si andava bene a scuola, anche il mercoledì pomeriggio), arrivò il fatidico giorno degli esami e la prima destinazione. Tutti noi speravamo in qualche nave che girasse per il mondo! Mi ricordo l’ammasso delle persone di fronte la Direzione studi, in bacheca dove era esposto l’elenco di tutti noi con a fianco la destinazione.

    “… Allievo segnalatore Mattei, matricola 80VA0456T Nave ARDITO …” questa fu la mia prima destinazione a La Spezia.

    Il cacciatorpediniere ARDITO, una bellissima nave dove le “signorine di bordo” (nomignolo affibbiato ai Segnalatori) regnavano nel loro mondo, la Plancia Comando. Lì iniziò la mia avventura come “Segnalatore”, lì iniziai a mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato alle scuole.

    Segnalatori comunicano con le bandiere
    E’ stato un susseguirsi di emozioni, soddisfazioni professionali, nuove conoscenze di apparati, approfondimenti, imparai l’uso delle banderuole (anche se non erano più in vigore). Conobbi nuovi amici, Ufficiali, Sottufficiali, Marinai e soprattutto i Capi segnalatori che si sono avvicendati. Era difficile vedere il “Capo Segnali” in porto, in genere lo si incontrava la mattina in plancia per visionare il lavoro che si stava facendo, poche direttive al sottordine e poi scompariva. Invece in navigazione era sempre presente, al fianco del Comandante, era sempre lì con il suo binocolo, a dare consigli sulle manovre tattiche, insieme ad un’altra figura importante, il Nostromo.
    Il nostro mondo era variegato, a turno si lavorava in ASC (Accettazione, Smistamento e Controllo dei messaggi), in sala nautica come segretario di rotta, al tavolo della tattica come operatore radio oppure in stazione segnali ad operare con le bandiere o a trasmettere e ricevere con il Panerai Q300, l’unica nostra arma a disposizione! Tutti dovevano saper fare un po’ di tutto.
    Altre destinazioni sopraggiunsero, Nave Vespucci, Nave Grosso, Nave Visintini.
    Il corso I.G.P. (Istruzione Generale Professionale) con il grado di 2° Capo, con i nostri frà, ci riunì nuovamente alle Scuole Sottufficiali, questa volta assieme al corso B. La sezione “Segnali” si era riformata nuovamente in un unico gruppo A e B (circa 25 persone). Il corso durò 9 mesi dove abbiamo approfondito un po’ tutte le materie studiate al corso VO e specialmente nozioni di procedure tattiche. Inoltre abbiamo studiato tutto ciò che interessava il mondo degli archivi e cifra, oltre a quello della gestione del carico. Insomma, da quel corso si usciva “Capi Segnalatori” pronti per svolgere il compito che tutti noi c’eravamo prefissati. Nave Danaide è stata la mia prima nave da Capo Segnali.
    Un breve periodo di riposo a terra presso il Centro Telecomunicazioni di Augusta e poi nuovamente imbarcato, Nave Driade e a seguire al Comsquacorv Uno (Comando della Prima Squadriglia Corvette) con doppio incarico, sottufficiale addetto all’addestramento TLC di Comflotcorv. Esperienza veramente indimenticabile, soprattutto quando i giovani TLC venivano a ricevere a lampi di luce, in sala didattica, o quando si venivano ad esplicitare le manovre tattiche dopo una “navcomex (Naval Communication Exercise)” a bandiere o in fonia.
    Ultima tappa di carriera professionale, questa volta con il grado di Capo di 1^ classe, è stato il corso P.
    Altra esperienza formativa è stata quella presso il Marisicilia (prima a Messina e poi ad Augusta) e,  con il grado apicale, quella presso il Comando in Capo della Squadra Navale a Roma. Ultimo incarico operativo è stato quello presso il Comando delle Forze di Pattugliamento Costiero ufficio Addestramento.
    Adesso, presso l’Arsenale della Marina Militare di Augusta, termino il mio lungo exscursus di carriera, soddisfacente e appagante.

    Segnalatori a bordo di Nave Etna
    Adesso che sono pensionato, riguardando indietro negli anni, non cambierei nemmeno una virgola. Farei tutto quello che ho fatto senza rimpianti. Ho avuto tanto e devo ringraziare tantissime persone, ma in primis quell’uomo che quel giorno di 37 anni fa, scriveva in quel pezzo di carta “SEGNALATORE”.

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    E ti accorgi che tutti sanno

    di Enrico De Vivo

    E ti accorgi che tutti sanno tutto.
    Tu sai, ma loro sanno di più.
    Tu segui un tuo ideale, ma gli altri sono pronti a dimostrarti che il loro è migliore del tuo.
    Tu vedi la sincerità e gli altri dicono che è falsa.
    Tu vedi la falsità e loro dicono che quella è la verità.
    Allora ti metti in discussione, ti poni davanti ad uno specchio e ti guardi.
    Tu sei tu, gli altri hanno una maschera che indossano a seconda della situazione
    … e ti accorgi che tutti sanno.

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    La preghiera cura della coscienza

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    C’è chi ritiene che la preghiera sia stata creata dall’uomo per trovare qualcosa che gli dia motivo di avvicinare il proprio spirito al Supremo e trovare conforto nei momenti di maggior disagio della vita. In tali momenti la ricerca di Dio è una necessità per la coscienza. Ogni luogo perciò è buono per rivolgersi al Signore. Si dice che nelle sofferenze più cocenti anche l’ateo più ostinato rivolga richiesta di aiuto, sotto forma di preghiera, al Supremo, ma nonostante queste suppliche il male continua, senza qualche buona dose di medicinale egli resterebbe a lungo con le sue angosce e magari senza scampo.


    La preghiera può essere di aiuto nel pentimento per liberare l’animo da peso di cattive azioni, ed allora l’individuo, dopo aver confessato segretamente il proprio peccato a qualcuno, si sente sollevato e con l’animo libero. La preghiera quindi è la cura della coscienza. In questo mondo ogni civiltà ha i suoi valori, usanze e tradizioni, così diverse da apparire talvolta contrastanti. L’umanità trova sempre motivo di appellarsi a qualcuno. C’è chi crede in un solo Dio, chi in molti dei e chi in nessuno. A noi la scelta.

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    Le superstizioni dei marinai

    di Antonio Cimmino

    Le superstizioni dei marinai
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    …a Donato e Claudio per il prezioso suggerimento e per la profonda stima e amicizia.

    Ma i marinai sono superstiziosi? Proverbialmente sembra proprio di si e per menzionare tutte le loro superstizioni bisognerebbe scrivere un’enciclopedia. La storia della marineria è intrisa di riti scaramantici ancora oggi diffusi.

    Stregonerie, esorcismi, rituali pagani e religiosi erano e sono il pane quotidiano di capitani e marinai sempre attenti a non sfidare le regole della fortuna e ingraziarsi, con riti propiziatori, la benevolenza degli elementi naturali. Di natura irrazionale, le superstizioni possono influire sul pensiero e sulla condotta di vita delle persone che le fanno proprie. Il credere che gli eventi futuri siano influenzati da particolari comportamenti, senza che vi sia una relazione casuale, vengono da molto lontano. La paura dell’ignoto e dell’immensità degli oceani ha generato sin dagli albori della navigazione una fitta serie di credenze. Per secoli miti e leggende sono stati tramandati a colmare col soprannaturale, quel vuoto che la razionalità ancora non riusciva a riempire. In Grecia, per esempio, si compivano sacrifici umani per assicurarsi il favore degli dei. Così Agamennone, re di Argo, fece immolare sua figlia Ifigenia per ottenere nuovi venti  per le navi che dovevano lasciare Troia. I vichinghi invece versavano il sangue degli schiavi sgozzati in segno di benedizione prima del varo di una nave o prima di intraprendere la navigazione. I miti e le leggende che si narravano intorno al mare e alle terribili creature che lo abitavano assunsero tinte ancora più fosche con il diffondersi del cristianesimo, quando a fare degli oceani campi di battaglia, non furono più dei capricciosi spiriti malvagi, ma santi e satanassi. Alle tempeste opera del diavolo venivano contrapposti ed invocati i santi (tutt’ora i marinai invocano per esempio Santa Barbara durante i forti temporali). Sempre durante il cristianesimo non si potevano mollare gli ormeggi il primo lunedì del mese di aprile perché coincideva con il giorno in cui Caino uccise Abele oppure il secondo lunedì di agosto era meglio restare in porto: in quel giorno Sodoma e Gomorra furono distrutte; partire poi il 31 dicembre era altrettanto di cattivo auspicio perché era il giorno in cui Giuda Iscariota si impiccò.

    Gli agenti atmosferici come i “fuochi di Sant’Elmo” o come il passaggio di una cometa erano presagi buoni o cattivi a seconda dell’interpretazione che se ne dava; mentre una tromba d’aria in avvicinamento all’orizzonte poteva essere “tagliata” con una spada e deviata recitando una preghiera o una formula magica; le onde si placavano mettendo in mostra i seni nudi di una polena, o facendo scoccare in acqua dal più giovane dei marinai una freccia magica.

    Anche gli animali non erano (…sono) immuni dai preconcetti scaramantici. Il gatto, malgrado ami poco il contatto dell’acqua, ha trovato un posto di tutto rispetto sui vascelli. La ragione della sua presenza a bordo si collega alla sua naturale propensione a scovare i roditori ed era anche ritenuto capace di prevedere eventi climatici: se soffiava significava che stava per piovere, se stava sdraiato sulla schiena c’era da aspettarsi una bonaccia, se era allegro e baldanzoso il vento stava per arrivare; se un gatto inoltre andava incontro un marinaio sul molo era segno di buona fortuna, se gli tagliava la strada il contrario (oggi per alcuni se un gatto nero ti attraversa la strada è presagio di brutte notizie); se si fermava a metà strada c’era da aspettarsi invece qualcosa di sgradevole. Si riteneva infine che i gatti potessero invocare una tempesta grazie al potere magico delle loro unghie. Per questa ragione a bordo si faceva sempre in modo che fossero ben nutriti e coccolati. Tra gli uccelli gabbiani e albatros erano l’incarnazione dei marinai morti in mare e portatori di tempeste. Peggio ancora se un cormorano si posava sul ponte di una nave e scuoteva le ali, guai a fargli del male si era posato per rubare l’anima di qualcuno e avrebbe significato naufragio sicuro. Così se tre uccelli si trovavano a volare sopra la nave in direzione della prua, l’equipaggio si disperava per l’imminente disgrazia da questi annunciata. Se uno squalo per esempio seguiva la scia di una nave era di cattivo auspicio perché si credeva fosse in grado di fiutare l’odore della morte. Diversamente i delfini e le rondini erano di buon augurio.

    Ma le superstizioni colpiscono anche le persone e allora: “occhio, malocchio prezzemolo e finocchio” (come avrebbe recitato il principe De Curtis).

    Gli avvocati (categoria particolarmente detestata dai marinai inglesi che li apostrofano spregevolmente squali di terra) e i preti (averli a bordo rappresentava una aperta sfida a Satana) portavano male (…avvocati, preti e polli non sono mai satolli). Stessa sorte per la donna averla in barca portava male (ora non si dice più, forse per la parità dei sessi). Secondo alcune tradizioni però una donna nuda, o incinta poteva placare anche la più terribile delle tempeste. Poi non ci poteva essere cosa peggiore, prima di salpare, di incontrare una persona con i capelli rossi, con gli occhi storti o con i piedi piatti (…rosso malpelo sprizza veleno). L’unica modo per salvarsi in questo caso era parlargli per prima.

    C’erano e ci sono usanze che i marinai cercano assolutamente di evitare a bordo: indossare abiti di un altro marinaio, soprattutto se morto nel corso dello stesso viaggio; evitare di fare cadere fuori bordo un bugliolo o una scopa; imbarcare un ombrello, bagagli di colore nero, fiori e guardare alle proprie spalle quando si salpa); salire a bordo della nave con il piede sinistro; poggiare una bandiera sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di poppa (attualmente i marinai italiani nel ripiegare la bandiera lasciano il colore verde fuori in segno di speranza); lasciare le scarpe con la suola verso l’alto (presagio di nave capovolta); accendere una sigaretta da una candela (significava condannare un marinaio a morte); evitare il suono prodotto dallo sfregamento del bordo di un bicchiere o di una tazza; il rintocco della campana di bordo se non mossa dal rollio; pronunciare le parole: verde, maiale, uovo, tredici, coniglio; parlare di una nave affondata o di qualcuno morto annegato; indossare le magliette fornite dall’organizzazione di una regata; capi di abbigliamento nuovi; cambiare nome a una barca o battezzarla con un nome che finisce con la lettera “a”(in passato è stata sempre una eresia, soprattutto in Italia è ancora fonte di numerosi scrupoli. I francesi hanno risolto il problema cambiando il nome a ferragosto e mettendo in atto questo rituale: procedendo di bolina la barca deve compiere sei brevi virate e poi scendere in poppa piena tagliando in questo modo la sua stessa scia. In questo modo, secondo alcuni, si disegnerebbe un serpente che si morde la coda scongiurando la iella. Solo a questo punto la barca sarà pronta a un nuovo nome ) e tantissime altre superstizioni.

    E’ invece di buon augurio per un marinaio avere un tatuaggio; lanciare un paio di scarpe fuori bordo immediatamente dopo il varo di una nave, indossare un orecchino d’oro (usanza antica che serviva a coprire le spese di sepoltura qualora il marinaio fosse deceduto); toccare il solino o la schiena di un marinaio; dipingere occhi sul moscone delle barche.

    Oggi quando si vara una nave ci si limita a versare dello champagne sul ponte. Più raramente si lancia contro lo scafo l’intera bottiglia del prezioso vino: se questa si rompe è di buona sorte, altrimenti sono dolori.

    Il pallino della superstizione di chi va per mare non accenna a svanire neppure oggi e, se non è superstizione, è certamente scaramanzia. E’ bene ricordare a tutti che qualunque marinaio prima di salpare, come nella vita di tutti i giorni, non accetta di buon grado gli “auguri” o i “buona fortuna”. Meglio porgergli in “bocca al lupo” o “in culo alla balena”.

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    Cosa significa essere sensibili?

    di Francesco Paolo Disegni

    … ricevo e con infinita commozione mista ad orgoglio pubblico:

    Riporto di seguito dal post precedente condiviso:
    << … È anche il momento di capire che essere sensibili vuol dire semplicemente che si è connessi in modo attivo e produttivo con se stessi.
    Quando siamo sensibili alle emozioni altrui, l’intensità diventa la migliore amica di tutte le emozioni: l’amore, il dolore, la delusione e l’allegria.
    La verità esiste per il saggio; la bellezza, per il cuore sensibile.
    Friedrich Schiller …
     >>

    Ora vi dico cosa significa per me.
    Ho il Diabete dal 1992, mi è scoppiato per lo stress a bordo di nave Libeccio esattamente dopo il rientro “Display Determination” una esercitazione N.A.T.O., sorvolo sulle cause che sono top secret 😎 fatto sta che il 4 luglio 1992 l’Asl di La Spezia mi comunica di avere un inizio di diabete, a pensare che imbarcai che ero sano come un pesce, subito dopo aver fatto le visita annuale per il rinnovo e mantenimento del brevetto di volo, presso l’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica che superai brillantemente.
    Ebbene, da quel 1992, quando andavo in casa di amici e parenti, ho sempre detto di avere il diabete, nonostante ciò, mi venivano sempre offerti, con molta semplicità, pasticcini e bevande dolci che io naturalmente consumavo, sia per non offendere con un rifiuto, sia perché il diabete porta all’assunzione di zuccheri del quale se ne avverte una perenne mancanza, per cui è difficile resistere a tale impulso.
    Mi domandavo sempre perché amici e parenti, nonostante sapessero che avevo il diabete, mi offrissero con estrema disinvoltura e insistenza dei dolci, che mi facevano solo male eppure, secondo i dettami di quell’Uomo di 2000 anni fa l’ospite è sacro, credo che tutti loro avessero le idee confuse riguardo questa raccomandazione, per cui probabilmente pensavano di farmi cosa gradita e non del male.

    Fu così che un giorno, tra i tanti amici e parenti che mi venivano a trovare e che accoglievo con rispetto e un lauto pranzo, secondo i dettami di quell’Uomo, mi venne a trovare un caro amico con sua moglie che sapevo essere diabetico come me.
    Ebbene nel preparare l’accoglienza stavo per fare lo stesso errore degli amici e parenti che mi offrivano dolci ma, subito mi son ripreso e sono uscito a comprare prodotti adatti che non facessero male al mio ospite, caviale, salmone, mozzarella, pomodori e crostini integrali e preparai degli stuzzichini senza un solo dolce e vino bianco secco e acqua.
    Domanda: cosa mi ha reso differente da tutti gli altri?
    Risposta essere SENSIBILE VERSO GLI ALTRI!
    Non so se ho reso chiaro di cosa significa essere sensibili, scrive bene l’amico fraterno Ezio Pancrazio Vinciguerra:
    <<il nostro amore per gli altri deve essere così raffinato che non sia necessario che questi ci dicano di cosa hanno di bisogno, perché l’amore è intuitivo e si anticipa ai bisogni del prossimo facendoci assumere i desideri degli altri come i nostri. >>

    Quanta Verità c’è in questo pensiero, che denota un animo gentile, sensibile, da sincero e devoto cristiano. Un caro abbraccio Ezio, che il Signore sia sempre con te e i tuoi cari tutti per il tuo essere un “Giusto” su questa terra. ❤️