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La Reale Marina Albanese e la cannoniera Illiria

di Guglielmo Evangelista (*)
foto da internet

guglielmo-evangelista-f-p-g-c-a-www-lavocedelmarinaio-comLa Marina Militare albanese fu istituita fin dal 1912 non appena venne proclamata l’indipendenza del paese. Tuttavia, praticamente per molto tempo esistette solo sulla carta e anche più tardi, fino all’occupazione italiana, fu qualcosa di piuttosto evanescente, quasi del tutto priva di una vera flotta, anche se piccola.
La prima nave militare (definirla da guerra sembra una forzatura) che inalberò la bandiera albanese fu il grosso panfilo austroungarico Taurus ex Nirvana, (un nome bellissimo per una nave destinata ai viaggi di piacere) da 1300 tonnellate del quale si servì il primo ed effimero sovrano, Guglielmo di Wied, per raggiungere l’Albania nel 1914.

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La nave tuttavia se ne ritornò subito a Pola e restò austriaca con la sua brava bandiera bianca e rossa; dopo il 1918 divenne l’italiana Marechiaro, nel 1928 ribattezzata Aurora. Era classificata cannoniera nonostante le sue caratteristiche e continuasse ad essere utilizzata come yacht, andando perduta nel settembre 1943.
Quando l’anno successivo, sotto l’incalzare della prima guerra mondiale e dei disordini interni il principe di Wied dovette abbandonare il paese, fu ancora un panfilo-cannoniera ad ospitarlo, l’italiano Misurata che lo condusse a Venezia, ma senza alzare bandiera albanese.
In quei primissimi tempi di autonomia venne utilizzata anche la cannoniera Herzegovina che altro non era se non un piccolo mercantile noleggiato da un armatore austriaco che venne armato con un cannone da montagna (!) e che operò durante i disordini di quel periodo bombardando la zona di Kavajë. Dopo essersi incagliato costituì un facile bersaglio per gli avversari che lo danneggiarono gravemente. A questo punto il proprietario, che fino ad allora aveva probabilmente finto di essere all’oscuro del suo impiego militare, cominciò ad essere seriamente preoccupato e pensò bene di pretenderne la restituzione.
4Scoppiò poi la prima guerra mondiale, il paese venne occupato e perché si riparlasse di navi militari albanesi bisognò aspettare il 1925 quando arrivarono lo Shqipëri e lo Skënderbeg. Erano i due dragamine ex tedeschi da 200 tonnellate FM 16 e FM 23 che come tante altre piccole navi suscettibili di uso commerciale dopo il conflitto era stato venduto in Romania. Erano armati con un cannone del rituale calibro tedesco da 88 millimetri, ma dopo pochi anni scaddero rapidamente e divennero pressoché inservibili.
Sorte e impiego migliore ebbero quattro MAS tipo ELCO , replica di un modello statunitense riprodotto in un gran numero di unità e molte delle quali prestarono servizio nella Regia Marina.
Le navi albanesi erano state costruite in Italia dalla S.V.A.N. nel 1927 e non avevano siluri dato che sostanzialmente era previsto il loro impiego solo come navi pattuglia destinate alla vigilanza anticontrabbando. Tre furono acquistati direttamente dal governo albanese e un quarto dall’Italia per conto dell’Albania. Portavano i nomi di Durrës, Sarandë, Vlorë e Tiranë.
Dislocavano 46 tonnellate ed erano armati con un cannone da 76 mm.
La Marina Militare aveva un’unica sede a Durazzo e da questa dipendevano le Capitanerie di Porto di Shëngjinit (Sant’Alessio), Durazzo, Valona e Sarandë. Come molte istituzioni civili e militari albanesi aveva un’autonomia che era limitata dal controllo (più o meno benevolo a seconda delle situazioni e dei momenti) dell’Italia, in un continuo alternarsi di proclamazioni di amicizia e di malumori. Nella seconda metà degli anni ’30 il comandante della marina era un italiano, il capitano di Corvetta Taddei e altro nostro personale era destinato alla stazione radio e ad alcune batterie.
L’organico comprendeva 17 (o 10) ufficiali e 140 fra sottufficiali a marinai.
Dopo l’occupazione dell’Albania da parte dell’Italia nel 1939 il Regio Decreto dell’8 maggio 1940 n. 903 regolò l’immissione nei corpi e nei ruoli della Regia Marina del personale albanese.
I M.A.S. vennero assegnati al servizio marittimo della Guardia di Finanza. Sopravvissuti al conflitto, due unità vennero cannibalizzate per fornire pezzi di ricambio alle altre due che restarono in attività fino al 1971.

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Più complessa e avventurosa fu la storia della nave più nota della marina albanese, l’Iljiria l’unica che fece parte della nostra marina con il nome italianizzato di Illiria.
L’Illiria è una di quelle navi che io chiamo “militi ignoti”, cioè quelle unità che per la loro natura o per altre vicende contingenti, pur avendo fatto parte a buon diritto, spesso a lungo, della Marina Militare, non hanno lasciato traccia. Niente retorica, niente medaglie.
Moltissimi marinai, più o meno giovani, dicono con orgoglio: “Io c’ero!” riferendosi agli incrociatori, ai sommergibili, ai più umili dragamine.
Ma quanti possono dire:”Ero sull’Illiria?”.
Nessuno. Non ci sarebbe neppure da stupirsi se nessuno, fra coloro che sono più attempati, l’abbia mai vista e tantomeno notata.
La nostra nave nacque in Francia, a Le Havre, venendo terminata a gennaio 1918 con il nome di Lamproie.
Faceva parte di una serie di navi pattuglia cacciasommergibili della classe Gardon. Si trattava di nove navi costruite seguendo i piani di pescherecci d’alto mare in modo da poterle rivendere facilmente una volta tornata la pace e diventate esuberanti per le esigenze della marina.
Prestò servizio per circa un anno e nel 1919, insieme a due unità della stessa classe, fu venduta il 4 maggio agli armatori Lascaret & Dupuis di Marsiglia mantenendo lo stesso nome e passando poi sotto altri proprietari finchè nel 1934 fu venduta a un ricco belga che l’ammodernò dotandola di motore diesel e trasformandola in yacht con il nome di White Diamond.
Nel luglio del 1938 la nave venne acquistata dal governo italiano e il mese successivo fu ceduta all’Albania, sembra come regalo di nozze per il re Zog che aveva sposato la contessa Géraldine Apponyi de Nagyappony.
Fu probabilmente un buon affare per l’Italia: essendo una nave vecchia fu pagata poco ma essendo stata recentemente ristrutturata come nave da diporto poteva fare la sua figura in compiti di rappresentanza e infatti il re albanese ne fece i panfilo reale battezzandolo Iljiria.
Cannoniere e panfili erano nel destino della marina albanese.
Con l’occupazione dell’Albania nell’aprile del 1939 la nave venne catturata e il 1° giugno 1939 venne iscritta nei quadri del naviglio militare come cannoniera Illiria.
L’Illiria non andò lontano dall’Albania e restò nell’Adriatico orientale adibita a nave tuttofare: pattugliamenti, trasporti occasionali di personale e materiale, servizi di rappresentanza.
L’8 settembre del 1943 si trovava a disposizione del Comando Marina di Spalato nella ex Jugoslavia occupata, nella zona che, assieme a Cattaro, era stata costituta in effimera provincia italiana.
Poté raggiungere Brindisi senza inconvenienti facendo in quel porto qualche servizio ma nel febbraio del 1944 si portò a Taranto dove, praticamente subito, venne disarmata restando inattiva.
Essendo una nave appartenente ad uno degli stati occupati dalle potenze dell’Asse era presumibile che, come quelle poche con la stessa provenienza che si erano salvate, sarebbe stata subito restituita come accadde per le unità ex francesi e jugoslave oppure restituita più tardi in ottemperanza al trattato di pace.
Invece, stranamente, la nave rimase in Italia e formalmente in servizio, rimanendo però ferma a Taranto in stato di abbandono fino al momento della radiazione avvenuta il 1°giugno 1958.
Sembrerebbe che sia diventata albanese anche un’altra nave italiana benché portò la nostra bandiera per poco tempo.
Nel 1941, dopo l’occupazione della Jugoslavia, la Regia Marina entrò in possesso di parecchie unità, fra le quali i posamine della classe Malinska. Si trattava di piccole navi, non recenti, con il dislocamento di 125 tonnellate e una velocità i soli 9 nodi: dopo l’8 settembre 1943 quelle superstiti vennero restituite alla Jugoslavia e, fra queste, l’Ugliano, ex Marjan che subito dopo il conflitto sarebbe stato ceduto all’Albania. Il condizionale è d’obbligo perché la notizia è riportata solo in vecchie edizioni del Flottentaschebuch e da nessun’altra fonte.

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