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12.3.1918, Andrea Bafile


di Angelo Zaccagno

Andrea Bafile, un eroe tra patria e fede
di Angelo Zaccagno (tratto dalla Rivista Marittima 2004).
Per gentile concessione dell’autore. Diritti riservati.

beatissimi voi, ch’offriste il petto alle nemiche lance per amor di costei ch’al Sol vi diede (Giacomo Leopardi-All’Italia, vv. 84-86)

Lo scorso mese di giugno, dopo aver assistito ad una celebrazione liturgica presso la Basilica di Collemaggio a L’Aquila, ho effettuato il solito immancabile «giro turistico» della splendida chiesa dove, il 29 agosto del 1294, venne incoronato papa fra Pietro da Morrone con il nome di Celestino V (canonizzato come San Pietro Celestino) e che egli stesso fece costruire qualche anno prima dedicandola alla SS. Madre di Dio Maria. Dopo un breve e devoto raccoglimento davanti al mausoleo, posto a lato dell’altare absidale in fondo alla navata di destra, all’interno del quale sono conservate le spoglie mortali del Santo, mi sono soffermato su una vicina lapide (da me superficialmente notata moltissime altre volte) affissa sul muro della navata stessa, contenente la seguente epigrafe:

a
 Andrea Bafile
Combattente fervido ardimentoso
per terra per mare e nell’aria martire esemplare nell’amore della patria gloria da Dio nel cielo ammirazione ed affetto imperituri quaggiù dai compagni e colleghi
che ne vorrebbero presente il ricordo agli italiani tutti
sempre
XIX settembre MCMXXIII

Di Andrea Bafile posso dire che fino ad allora conoscevo ben poco. Sapevo che era stato un ufficiale di Marina e che era morto da eroe, perché insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare, mentre rivestiva il grado di tenente di vascello. Pertanto, non riuscendo a capire il perché di quella lapide posta all’interno della chiesa più grande e più importante d’Abruzzo, mi sono ripromesso di colmare la lacuna.
Mentre svolgevo la mia ricerca mi sono reso immediatamente conto di essermi imbattuto in un personaggio eccezionale, un eroe d’altri tempi che, non solo perché conterraneo e amico fraterno del «poeta soldato» («Caro D’Annunzio, l’Abruzzo, al quale ho portato i tuoi saluti, ti ringrazia e ti esprime la sua ammirazione pel magnifico esempio di virtù militare che dai agli italiani. / Ti prego di gradire i miei saluti devoti e cordiali ed i miei ringraziamenti per ciò che hai fatto per me. / Ti prego anche di ricordarmi a tutti i tuoi compagni della spedizione d’oltremare»). Scriveva durante la convalescenza aquilana a Gabriele D’Annunzio, che rispondeva: («Mio carissimo Compagno, trovo i tuoi auguri; e mi pare che mi giungano dal fondo della nostra terra d’Abruzzi, con la melodia della “ciaramella”, al cuore che duole. / Sono molto desideroso di rivederti. Vuoi venire a colazione qui domattina a mezzogiorno e mezzo? / Di te parliamo spesso, a San Pelagio, con i superstiti di Cattaro. Io non resterò qui se non domani. Spero che tu possa venire. Ti abbraccio. Il tuo Gabriele D’Annunzio.»), possiamo definire «dannunziano». Egli ha costantemente dimostrato il suo ardimentoso amore per la Patria, alla quale ha sacrificato consapevolmente la vita mentre svolgeva una missione nel territorio al di là del Piave, il «sacro suolo» perduto dopo la dolorosa disfatta di Caporetto («Questo eroe sobrio e taciturno non fu più veduto sorridere dopo la sciagura di Caporetto. Pareva che il suo dolore virile gli avesse reciso intorno alle labbra tutti i muscoli gioiosi e gli avesse rifatto le strette labbra simili a una cicatrice che per chiudersi non aspettasse se non il gelido suggello». Gabriele D’Annunzio).


Sopra la lettera del comandante Bafile a Gabriele D’Annunzio durante la sua convalescenza all’Aquila A destra: lettera di risposta di Gabriele D’Annunzio a Bafile.

Il fedele portaordini Giovanni Anaclerio, nel raccontare le fasi relative all’azione che portò all’estremo sacrificio di Andrea Bafile, ebbe a dire: «appena a terra il Comandante s’inginocchiò religiosamente a baciare le zolle e presane un pugno rivolse a noi le parole del suo sentimento: Arditi, questo è sacro suolo d’Italia, noi tutti concorreremo a riconquistarlo». Nella proposta di conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare (avanzata in data 12 marzo 1918 dal comandante Dentice di Fasso), si legge: «E là, nella oscurità della notte, compì il rito sacro. Senza dire parola, si inginocchiò, raccolse un pugno della nostra terra violata, la portò alle labbra, la riconsacrò alla Patria col suo bacio fervido di figlio dolente dicendo: “È terra nostra, che bi- sogna riconquistare. È santa”», come a voler incitare i suoi uomini a un patriottismo di concezione manzoniana, inteso come diritto di ogni nazione alla libertà, diritto tutelato da Dio. Insomma la liberazione dei territori al di là del Piave diviene un dovere, un momento della lotta per l’affermazione del bene contro il male, non una mera lotta per la rivendicazione territoriale e nazionalistica. Nella suddetta proposta si legge anche che il comandante Bafile, dopo essere rimasto mortalmente ferito all’arteria femorale, romanticamente disse ai suoi uomini «(…) la santità della guerra, la necessità del sacrificio, la sublime bellezza della morte in- contrata per una più fiorente vita della Patria, disse la sua gioia per avere negli ultimi istanti sulla bocca il sapore della nostra terra riconsacrata (…) ».
L’amor patrio dimostrato da Andrea Bafile trova riscontro anche nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica (Ed. 1992). In esso è affermato, tra l’altro, che l’amore per il prossimo «Si estende infine ai doveri dei cittadini verso la loro patria, (…) » (pagina 544, capoverso nr. 2199 ) e, in riferimento alla «guerra giusta», si dice che « (…). Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace» (pagina 567, capoverso nr. 2310).

L’intera carriera militare di Andrea Bafile fu sempre improntata a comportamenti fuori dal comune: ebbe infatti numerosi riconoscimenti e fu insignito, oltre che della già citata medaglia d’oro, di altre due medaglie al valor militare, una d’argento, per aver salvato la Regia Nave Quarto, sulla quale era imbarcato, da una sicura esplosione a causa di un incendio sviluppatosi nei pressi della santabarbara dell’unità, e una di bronzo, per aver partecipato, agli ordini di Gabriele D’Annunzio, all’azione aerea su Cattaro. Insomma «dannunzianamente» è un marinaio, un aviatore e un fante di mare (e di montagna) ed è per questo che, come vedremo più avanti, il suo Abruzzo gli riconosce la «rappresentanza» del ricordo dei propri figli morti per mare, per cielo e per terra. Pur se già dalle motivazioni che hanno portato al conferimento delle prime due medaglie si comprende che Andrea Bafile ha incarnato in sé i migliori aspetti dell’eroe, è proprio dopo il citato tragico episodio di Caporetto (in quei giorni scrisse alla madre: «Non essere in pensiero, stai tranquilla (…) è il mio dovere di cittadino e di soldato che voglio fare fino in fondo. Sono sicuro che tutto andrà bene e che la nostra cara Italia non dovrà sentire a lungo l’onta di avere in casa il nemico») che si è accesa nel comandante Bafile quella scintilla che differenzia l’eroe da qualsiasi altro uomo e cioè quella del combattente che difende la propria bandiera e quindi la Patria, con coraggio e sprezzo del pericolo, ma anche quella del fratello che si preoccupa e si sacrifica per proteggere l’integrità e la vita dei propri compagni e degli uomini posti ai suoi ordini. Infatti nell’azione che lo portò alla morte (la missione fu da lui completamente ideata, progettata e realizzata unitamente ad altri quattro arditi posti alle sue dipendenze) egli perse la vita non perché la missione intrapresa fosse fallita, ma perché volle recuperare, tornando indietro a cercarlo, un suo uomo che si era smarrito nella nebbia. Ferito mortalmente mentre aveva già riguadagnato la sponda amica del fiume Piave, pretese che il marinaio fosse curato prima di lui mentre egli riferiva frettolosamente, sentendo che la vita lo stava abbandonando, i dati acquisiti durante la ricognizione effettuata in territorio nemico. Tali informazioni furono considerate importanti e contribuirono all’offensiva che portò l’Italia alla vittoriosa riscossa nella seconda battaglia del Piave chiamata «del solstizio», proprio perché avvenne a cavallo del 21 giugno 1918. Al momento di morire uno dei sui ultimi pensieri fu rivolto alla madre e all’amico fraterno D’Annunzio: «Allora mi rivolse ancora la parola: Anaclerio vedi! Questa medaglietta è ricordo di mamma mia, ti raccomando di baciarla e darle la medaglina. Passa pure da Gabriele d’Annunzio e regalagli l’ultimo saluto e un bacio del suo vecchio amico». Dal racconto del marinaio Anaclerio appare evidente che il comandante Bafile ha partecipato all’azione che lo ha portato alla morte, non in disprezzo della propria vita, che spesso affida a Dio per intercessione dei propri parenti (« (…) Conto nel valore dei miei Marinai che ora sono sicuro di tenere in pugno. Stai dunque tranquilla, cara mamma; aspettami e prega per me), ma lo stesso «Volle offrire il corpo e l’anima purissima all’olocausto, in un freddo gesto di audacia fruttuosa, perché il suo sangue germinasse nelle vene dei marinai più gagliardi ardimenti; volle sfidare la morte per insegnare che ove questa si superi si batte il nemico; volle avventare la sua giovinezza contro l’austriaco perché dallo strappato segreto delle sue difese traesse miglior sicurezza la gente che doveva seguirlo».

La medaglietta, che era d’oro, gli fu donata dalla Madre quando Egli decise di entrare all’Accademia Navale di Livorno; in essa vi era raffigurata l’immagine della Beata Vergine Maria, regina del Rosario, venerata nel Santuario di Pompei, alla quale la genitrice lo aveva evidentemente affidato.
Egli ha sempre tenuto nel portafoglio quella medaglietta che, dopo la sua morte, è stata riconsegnata alla Madre. Prima di morire inoltre «Abbracciò ripetutamente il Cappellano che lo confortava della sua assistenza e si spense ripetendo la preghiera di S. Bernardo alla Vergine, che gli veniva letta in un piccolo “Dante”, che era stato il suo viatico spirituale in trincea» (Antonio Giordani Il Reggimento San Marco – Memorie. Stabilimento Arti Grafiche Bertarelli, Milano 1920):

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

(DANTE – La Divina Commedia – Paradiso – Canto XXXIII – vv. 1 – 12).

La famiglia, nel dare l’annuncio pubblico, scrisse che la morte dell’Eroe era avvenuta «coronando col martirio la sua vita di sacrificio e di eroismo, che tutta dedicò alla Patria, alla Marina italiana e alla Famiglia, con fede immutabile, con entusiasmo sincero, con la semplicità di un fanciullo».
Alla morte, l’Eroe fu seppellito presso il cimitero di Ca’ Gamba («La mia piaga non si può né chiudere né alleviare. Penso che a Ca’ Gamba dorme un mio fratello d’Abruzzo; il quale dal giorno scuro non aveva potuto più sorridere e non sorrise se non quando si sentì morire». Gabriele D’Annunzio, da Per l’Italia degli Italiani), da dove la salma, per volontà della Medaglia d’Oro al Valor Militare (per aver affondato la na- ve ammiraglia austriaca Viribus Unitis) Raffaele Paolucci, fu esumata il 15 settembre del 1923 e trasportata da Venezia ad Ancona con la nave Zeffiro. Da Ancona, con il treno, fu portata all’Aquila dove giunse la sera del 18 e, attraversata la città in un imponente corteo, sostò per una notte nella Basilica di Collemaggio, oltre che per per- mettere alla numerosa popolazione aquilana presente all’avvenimento di rendere omaggio all’eroe, forse anche a conferma di una frase profetica di Gabriele D’Annunzio: «Io ebbi un esemplar compagno della mia stirpe nato in una insigne città degli Abruzzi che fu nominata imperialmente dall’Aquila. L’ebbi nella mia vita di aviatore e di marinaio ma oggi l’ho tuttora nel cimitero dei marinai a Ca’ Gamba e l’avrò domani all’ombra di Collemaggio e l’avrò per sempre nel mio sacrario interno le cui chiavi non potranno mai essere rinvenute da alcuno. Si chiamava Andrea Bafile. Nel trigesimo dell’impresa di Buccari il dì 11 marzo del 1918 sul Basso Piave mi dedicò la sua morte sublime». In questa occasione nella Basilica fu deposta quella lapide che ha suscitato la mia curiosità. L’epigrafe fu dettata dal prof. G.F. Pellegrini della Regia Accademia Navale. Il mattino successivo la salma fu trasportata, tra un immenso corteo di corregionali, a Bocca di Valle, una località vicino Guardiagrele (Chieti), e lì è stata deposta in una grotta scavata nella roccia alle falde della montagna della Maiella, che doveva accoglierla e custodirla per sempre: «Dice il mito che Maja seppellì nella roccia della montagna il cadavere del figlio, per dargli la veste dell’eterno. Così fu che la montagna che stava nel cuore dell’Abruzzo si nomò Monte Macella. Ma dal suo grembo, per il figlio della terra sua che essa ricevette e custodì attraverso i secoli, fu rigenerata la stirpe degli eroi». «Ricongiungendosi alla leggenda, il popolo di Abruzzo nella Sagra della Majella, seppellì nella montagna l’eroe nuovo, l’eroe della terra riconsacrata». Dopo un breve discorso commemorativo del principe Emanuele Filiberto di Savoia, la salma fu deposta, e tuttora è contenuta, in un’arca bizantina di pietra bianca della Maiella, donata dai compagni di Marina. Il Sacrario, interamente decorato con le maioliche di ceramica di Pretoro, su disegni degli artisti Basilio e Tommaso Cascella, dedicato ai Caduti d’Abruzzo della prima guerra mondiale, fu ideato dalla Medaglia d’Oro al Valor Militare Raffaele Paolucci, conterraneo della vicina Orsogna, che fu anche autore della seguente epigrafe scolpita sulla lapide posta nel 1920 a fronte sulla parete:
Figli d’Abruzzo morti combattendo per l’Italia
e sepolti lontano fra le alpi e il mare la maiella madre vi guarda e benedice in eterno.

L’arrivo delle spoglie dell’Eroe in terra abruzzese ha tra l’altro segnato la nascita della rinnovata simbiosi tra Marinai e Alpini (Illustre signor Bafile, ella saprà certamente della esistenza alle falde della Maiella d’una colossale lapide incisa nella roccia (…). Questa grande lapide che biancheggia da lontano sulla roccia è divenuta per il rito annuale del 20 settembre l’altare della Patria Abruzzese. È sorta ora l’idea di costruire sulla lapide un piccolo tempio a colonnato; e vorrei che la posa della prima pietra fosse fatta solennemente da Sua Maestà il Re. In questo tempietto la salma gloriosa di un glorioso soldato di Abruzzo. Ma chi può essere questo soldato? Ho pensato al fratello del Mare: Andrea Bafile. Ha tutte le virtù, è figlio della Capitale Abruzzese, fu marinaio ma è morto da fante, tra i fanti, fu decorato di medaglia d’oro al valore. Ha tutte le virtù (lettera scritta il 27 marzo 1922 dall’on. Paolucci a Ubaldo Bafile, padre di Andrea).
D’altronde anch’io, che mi considero un «marinaio di montagna» amante delle escursioni, posso confermare che l’emozione dell’immensità del Creato che si prova contemplando il paesaggio stando seduti e raccolti in cima a una montagna dopo una faticosa ascesa, è la stessa che si prova stando sul ponte di volo di una nave mentre si è in navigazione notturna e si contempla il Creato nella forma dell’immensità di un cielo stellato.
Chiedo scusa se in questo mio scritto traspare un po’ di retorica, ma penso fermamente che una Nazione non debba mai dimenticare chi per essa ha combattuto e versato il proprio sangue, allora come oggi (il Presidente della Repubblica Ciampi, ha dichiarato: «Siamo tutti figli di El Alamein e dell’eroismo di chi ha combattuto per l’Italia, non importa quando»), agli ordini e per volontà di governi legittimi, perché, per dirla con il poeta aquilano Bernardino Vittorini (dalla poesia All’Italia, pubblicata a pag. 45 del Notiziario della Marina nr. 9 – novembre/dicembre 2000, vv. 37 – 44):
Il gran libro sfogliando a noi dinanzi, la Patria ci apparia a volta a volta passione, sogno, folle ardimento, sangue versato di giovani eroi, canti di guerra, urla di dolore, visioni d’artisti, inni di poeti, ebbrezza di vittorie a lungo attese, che la fecero «una» agli Italiani.

ANDREA BAFILE – LA FAMIGLIA, GLI STUDI, LA CARRIERA MILITARE, LA MORTE, GLI ONORI E LA MEMORIA
Nasce a Bagno-Monticchio (L’Aquila) il 7 ottobre 1878, dal medico Vincenzo Bafile (1847-1923) e da Maddalena Tedeschini-D’Annibale. È il primogenito di dieci figli, otto maschi e due femmine: Andrea, Enrico (1880-1961, magistrato), Ubaldo (1882-1968, avvocato, professore di lingua tedesca, Presidente della Provincia dell’Aquila dal 1929 al 1937), Pia (1884-1952), Umberto (1886-1930, notaio), Giorgio (1890-1971, ingegnere e professore), Carlo (1892-1911, morto durante gli studi liceali), Bianca (1894- 1964, Insegnante), Mario (1899-1970, ingegnere, progettista della funivia del Gran Sasso), Corrado (4 luglio 1903, procuratore legale e successivamente ecclesiastico, dal 1976 cardinale e per quindici anni Nunzio apostolico in Germania. È tuttora vivente e ha recentemente festeggiato i cento anni, prima ricevuto dal Santo Padre, poi con una messa concelebrata in suo onore nel Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo). Allievo dell’Accademia Navale di Livorno nel 1895. Nel 1900 il 1° gennaio fu nominato Guardiamarina, promosso Sottotenente di Vascello il 16 maggio 1902 e Tenente di Vascello il 1° ottobre 1907. È stato imbarcato su numerose navi della Squadra, tra le quali la corazzata Lepanto, l’ariete torpediniere Elba e la nave da battaglia Vittorio Emanuele, applicandosi nello studio dei problemi del tiro navale ed ottenendo, per un pregevole studio sui congegni di mira, un pubblico encomio del Consiglio Superiore della Marina (Art. 3 foglio d’ordine ministeriale del 9 luglio 1913).
Nel settembre 1911 imbarcò sull’esploratore Quarto, in allestimento a Napoli, e il 23 aprile 1913, durante un pericoloso incendio sviluppatosi nei depositi munizioni dell’esploratore, con fermezza d’animo e sprezzo del pericolo riuscì a raggiungere i congegni per l’allagamento e domare così l’incendio. In quel- l’occasione venne decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare «Per aver raggiunto, in condizioni particolarmente pericolose, i maneggi degli allagamenti della Santabarbara prodieri della regia nave Quarto durante un gravissimo incendio sviluppatosi su quella nave il 23 aprile 1913 e per aver dato prove ininterrotte di abnegazione, di coraggio, di resistenza e di serenità nel non breve periodo di tempo in cui la nave si è trovata in critiche condizioni» (Regio Decreto 27 luglio 1913).
Da nave Quarto si imbarcò su siluranti di superficie, prima con l’incarico di ufficiale in seconda sull’Audace e poi come Comandante della torpediniera Ardea, a bordo della quale operò nel primo conflitto mondiale, fino al giugno 1917.
 Nell’ottobre dello stesso anno partecipò, in veste di osservatore, all’operazione aerea su Cattaro agli ordini del comandante Gabriele D’Annunzio, subendo una grave lesione all’occhio, che lo costrinse ad un lungo periodo di riposo e di cure mediche. Tale impresa, sebbene modesta nei risultati materiali, resta una delle più famose della nascente guerra aerea e fruttò al tenente di vascello Bafile la decorazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: «Partecipava a una spedizione aerea in cui gli apparecchi terrestri, percorrendo un lungo tratto di mare aperto, in condizioni avverse, riuscivano a raggiungere le Bocche di Cattaro ed a colpire con grande esattezza ed efficacia gli obbiettivi navali, rientrando tutti alla base, malgrado le deviazioni inevitabili nella crescente foschia. (Bocche di Cattaro, 4 novembre 1917)».
(D.L. 8 novembre 1917).
Passato alle dipendenze del Comando Marittimo di Venezia chiese, e ottenne, dopo aver rinunciato formalmente alla promozione al grado di Capitano di Corvetta, il trasferimento presso la Brigata Marina (antesignana del Reggimento S. Marco) operante sul Basso Piave, assumendo il comando del Battaglione «Monfalcone» dove portò l’esperienza acquisita durante il comando dei treni armati che difendevano le città di mare e i litorali adriatici nei primi anni di guerra. Prende parte ai durissimi combattimenti dell’inverno del 1917 seguiti alla disastrosa ritirata di Caporetto. Il suo reparto non cede di un metro il terreno che difende, Bafile diventa un nome popolare tra i soldati dell’estrema resistenza italiana. Nel febbraio del 1918 viene trasferito al comando del nuovo battaglione di fanti di marina «Caorle» e il successivo 12 marzo, durante una ricognizione su terreno controllato dal nemico, è gravemente ferito e spira a Venezia al rientro nelle linee italiane, ottenendo (alla memoria) la già citata Medaglia d’Oro al Valor Militare in quanto «Comandante di un battaglione di marinai, mentre si stava preparando una operazione sulla estrema bassura del Piave, volle personalmente osare una arrischiata ricognizione tra i canneti e i pantani della sponda sinistra perché, dallo strappato segreto delle difese nemiche, traesse maggiore sicurezza la sua gente. Tutto vide e frugò, e sventato l’allarme, già trovava riparo, quando notò la mancanza di uno dei suoi arditi. Rifece allora da solo la via pericolosa per ricercarlo e, scoperto poi dal nemico mentre ripassa- va il fiume, e fatto segno a vivo fuoco, veniva mortalmente ferito.
Guadagnata la sponda destra in gravissime condizioni, conscio della fine imminente, con mirabile forza d’animo e completa lucidità di mente, riferiva anzitutto quanto aveva osservato nella sua ricognizione, e dirigendo ai suoi infiammate parole, atteggiato il volto al lieve sorriso che gli era abituale, si diceva lieto che il suo sacrificio non sarebbe stato vano. E passò sereno qual visse, fulgido esempio delle più elette virtù militari, coronando con gloriosa morte una vita intessuta di luminoso coraggio, di fredda, consapevole e fruttuosa audacia, del più puro eroismo. Basso Piave, 12 marzo 1918» (DL 13 giugno 1918).

GLI ONORI E LA MEMORIA
Immediatamente dopo la morte la Marina Militare volle subito onorare la memoria dell’Eroe e in data 9 aprile 1918 il Capo di Stato Maggiore della Marina dispose che il «Battaglione Monfalcone», da lui già comandato, assumesse la denominazione di «Battaglione Bafile»; il battaglione adottò come motto la frase che Gabriele D’Annunzio aveva presumibilmente coniata proprio per l’Eroe: «E sul monte e nello stagno/ Son qual fui falcon grifagno». Tale frase è riportata sia in una lettera indirizzata ad Andrea sia in un cartoncino autografo trovato tra le carte del comandante Bafile. Successivamente prese il suo nome anche la caserma di Pola del battaglione di Marina «San Marco». Nel giugno del 1938 gli fu intitolata la torretta di prora di nave Cavour. Alla fine della Grande Guerra furono ordinate ai cantieri Patti- son di Napoli sei unità navali che ne curarono sia la progettazione che la costruzione. Nel 1921 fu varata la prima nave «cannoniera di scorta» e venne chiamata Andrea Bafile, dando quindi il nome anche all’intera classe. La nave è rimasta in servizio fino al 1939, l’ultima della classe è stata radiata nel 1950. Nel 1969 fu chiamata Andrea Bafile la nave da trasporto proveniente dalla Marina degli Stati Uniti St. George. Unità di oltre 13.000 tonnellate, rimase in servizio per oltre un quindicennio fino a quando fu radiata a fine luglio 1985. A bordo di essa fu sperimentato l’impiego di elicotteri in missioni di assalto verticale e per questo scopo la nave fu dotata di una piattaforma poppiera provvisoria per consenti- re operazioni di appontaggio e decollo di elicotteri.
La Marina Militare, attualmente ricorda l’Eroe con un biografia riportata nel sito informatico ufficiale della forza armata e inoltre conserva alcuni cimeli nei propri musei. La Società di Navigazione Peninsulare nel 1921, a Sestri Ponente, chiamò una propria nave appena varata con il nome di Comandante Bafile. Nell’autunno dello stesso anno, la Società Anonima fra ex Sottufficiali della Regia Marina, con sede a Taranto, dette il nome di Comandante Bafile a uno dei suoi piroscafi. Anche l’Esercito italiano ha reso onore all’Eroe: ha fatto costruire la Caserma «Andrea Bafile» che tuttora costituisce il fabbricato centrale del- l’antico comprensorio ed è sede del Primo Battaglione Lagunari «Serenissima». Nel maggio del 1922 il Consiglio Comunale della Città di L’Aquila, su richiesta del Consiglio dei Professori del Regio Istituto Tecnico cittadino «Ottavio Colecchi», ha dedicato al proprio cittadino il tratto della centrale via Romana (tra piazza Sallustio e via Cascina) dove era situato l’istituto stesso. La biblioteca provinciale dell’Aquila, per volontà del Cardinale Corrado Bafile, conserva l’archivio personale, i cimeli e i libri dell’Eroe. Il notevole materiale, ordinato e catalogato personalmente dal Cardinale, è stato da me recentemente consultato e insieme alla documentazione trovata presso l’Ufficio Storico della M.M., mi è stato utilissimo per questo articolo. Il materiale è stato usato anche per una mostra storico-documentaria, realizzata presso il chiostro della basilica di Collemaggio dal 25 agosto al 31 ottobre 2001, dal titolo «Andrea Bafile e gli altri (…) La Grande Guerra all’Aquila». Nel 1966 ad Andrea Bafile è stato anche dedicato da parte del CAI il bivacco di 9 posti letto in brandine, che si trova a 2669 metri su uno spallone della cresta SE della Vetta Centrale del Corno Grande del Gran Sasso d’Italia.
Il Comune dell’Aquila espone nei suoi locali, unitamente ad altri cittadini illustri, un quadro (Olio su tela cm. 75×58) dell’Eroe, opera del pittore aquilano Domenico Cifani (1884 – 1942), allievo di Teo- filo Patini. Ad Andrea Bafile sono state dedicate anche altre scuole di città italiane, tra le quali la scuola Professionale Marittima di Vasto (CH) nel 1927, la scuola elementare di Pontoncello Zevio (Verona) nel 1934, la scuola elementare di S. Donnino – Genga (AN) nel 1936. Inoltre hanno preso il suo nome altre vie di città tra cui la via principale di Jesolo Lido (Venezia), una via di Castelletto di Branduzzo (Pavia) e una strada di Roma che incrocia viale Mazzini.

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