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Abdon Pamich, il fiumano che correva più forte di tutti

di Andrea Arena

Con quel nome un po’ così e quelle due medaglie olimpiche sul caminetto verrebbe da pensare ad uno sciatore altoatesino. O a un bobbista. O a qualche altro sangue misto naturalizzato in fretta e furia per assicurare qualche medaglia in più alla vecchia italietta. Invece Abdon era più azzurro dell’azzurro del cielo, dentro si sentiva italiano, ed era nato in terra italiana, quando Rijeka si chiamava ancora Fiume e il tricolore sventolava sull’Istria.

Ma poi ci fu la guerra, e dopo arrivarono i cattivi, e ai cattivi gli italiani non piacevano. Li facevano sparire nelle foibe, quando andava male, e quando andava bene invece li torturavano e basta. E allora il fratellone di Abdon decise che era meglio scappare dalla furia jugoslava, e di andare in Italia, dentro i confini di quella Patria che s’era spostata di qualche centinaio di chilometri a causa di patti scellerati e bottini di guerra. Scapparono, allora, due ragazzini a piedi per giorni e giorni, e chilometri e chilometri. Profughi, poveri, soli. Al freddo e alla fame nei centri per gli sfollati.
Così crebbe Abdon, e si fece la scorza dura. E vent’anni dopo, a Tokyo ’64, quella pellaccia gli servì per andare più forte di tutti e regalare la medaglia d’oro nella marcia alla sua Patria, alla sua Italia.

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