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  • Angelo Consolini

    18 Novembre 1917
    Foschi giorni di novembre 1917. Cieli scuri e balenanti, mare tempestoso e ruggente, quasi indicare una volontà ignota e suprema di ribellione a quell’ora di smarrimento che minacciava l’integrità della Patria. Affollati treni di profughi avevano intasato la linea ferroviaria, e i treni militari fermi tra Senigallia e Ancona attendevano di proseguire verso il Nord. Notte fonda sul litorale sferzato dalla bora. Porto Marotta veglia nell’intimità delle sue case modeste. Gli uomini sono pochi e anziani, le donne lavorano di maglia e calzerotti per i combattenti al fronte, innanzi ai camini, ove da qualche giorno è tornato a bruciare il tradizionale ceppo invernale. La mala nova portata dal vento s’è sparsa improvvisamente fra le popolazioni rivierasche prima ancora delle notizie ufficiali. Sono mamme e spose che trepidano per i loro uomini, di cui improvvisamente non hanno avuto più notizie. Ma che vi fosse una sola lacrima nel loro ciglio, io vi dico che no. Le casette alle quali avevamo bussato in questa notte di tempesta e di angoscia, impossibilitati a proseguire lungo la litoranea, ci avevano aperta la porta. Solo volti severi e asciutti e calmo accento nella voce invitante all’ospitalità. Non passo tempo che tutti fummo scossi dal lugubre ululato di sirene sul mare che impazziva sotto le raffiche rabbiose del vento e lo scroscio della pioggia. Il “Capellini “ e il “Faà di Bruno” , potenti pontoni armati della marina da guerra dalle torri binate, investiti in pieno dall’uragano mentre si trasferivano da Venezia ad Ancona sotto la scorta di una flottiglia di torpediniere, rotti i canapi di rimorchio e investiti dai frangenti, stanno scarrocciando verso la spiaggia. Se ne intravedono le scure sagome sotto la luce paurosa dei lampi. Da Ancona avevano tentato di accorrere in soccorso i grossi rimorchiatori d’alto mare; ma erano stati costretti a rientrare dall’inaudita violenza delle onde. La flottiglia delle torpediniere impegnata al largo contro la minaccia dei sommergibili austriaci, era già di per sé in notevoli difficoltà. Il “Cappellini” andrà a capovolgersi poco dopo tra la Marzocco e le foci dell’Esino. Solo quattro uomini si salveranno dal naufragio. “Il Faà di Bruno” sta per seguirne le sorti. Ne ritarda il dramma il valoroso comandante Goiran. Sulla spiaggia di Porto Marotta c’è tutta la popolazione. Corrono i vecchi pescatori da palischermo a palischermo, alte nel pugno le crepitanti fiaccole di catrame. Le donne serrate in neri scialli, come in gramaglie, fanno crocchio, in ginocchio, sgranando il rosario pregando ad alta voce. E’ una visione che soltanto il Dorè avrebbe potuto rappresentarci. Ma il mare respinge e travolge le barche di salvataggio appena esse hanno lasciato la battigia. L’eroismo e lo spirito di abnegazione dello equipaggio del “Faà di Bruno” a nulla servono. Il pontone armato è già nella presa mortale delle secche insidiose poco più di un miglio dalla riva e i frangenti la flagellano da ogni parte. Nulla sembra possano gli uomini di Porto Marotta, tra i quali, anche se vecchi, molti vi sono che sfidarono un giorno la furia degli oceani. L’eroico tentativo su di un battello di fortuna di un marinaio di porto tale Ghirardelli, di stabilire una comunicazione con la terra e stendere ormeggi, forse ritarderà il naufragio, ma non riuscirà ad evitarlo. Il destino del “Cappellini” già incombe in tutta la sua drammaticità sul “Faà di Bruno”. Ma all’alba del secondo giorno, malgrado il mare non accenni a placarsi, una piccola e sottile “sciabica” s’è staccata dalla spiaggia. Sono dieci remi come ali battenti, sfiorano a rapido ritmo le creste delle onde. E’ come una bandiera o un’insegna portata di vetta in vetta da un’anelante spirito di vittoria. Sono dieci piccole ragazze, dieci generosi cuori di adolescenti, legate tutte dal sangue di un unico ceppo. L’undicesima, una giovanissima sposa, come da una antica arca, ha fra le mani asciutte e nervose la barra del timone dirigendo la prua lunata dell’imbarcazione sul “Faà di Bruno”. Il bianco palischermo avanza con la stessa audace eleganza delle procellarie quando queste sfiorano a volo radente il mare tempestoso. La giovanissima e animosa “capitana” forse non ha ancora diciassette anni, Erinna Simoncelli è il suo nome. Tutte la altre sono sorelle o cugine tra i quattordici e i sedici anni. Il “Faà di Bruno” è accostato mentre la tempesta sta raggiungendo il suo culmine e nel cielo color lavagna è tutto un lampeggiare di saette. La coraggiosa “capitana” d’un balzo è sul ponte dell’infelice relitto. Viveri, vino generoso, medicinali, tutto raccolto di casa in casa quella notte stessa dell’eroica decisione, vengono trasbordati con perizia non comune da quello straordinario equipaggio, mentre gli uomini del “ Faà di Bruno” usciti compatti dalla torre binata, ove si erano asserragliati per non essere travolti dalle onde che si abbattono con colpi di maglio sulla coperta, già in parti squarciata, salutarono le giovanette con un nutrito applauso, e rianimati da quell’entusiasmante esempio, tornarono con rinnovato vigore ai posti di manovra. Erinna! Ancor più mitico e simbolico è il nome in quell’ora di disperato coraggio. Compiuta la missione, l’intrepida ragazza si senta un di più a bordo e senza attendere ancora un minuto solo si tuffa in mare raggiungendo a rapide bracciate la spiaggia dipanando la sagola affidatale, che servirà a filare una solida gomena che assicurerà definitivamente il “Faà di Bruno” alla riva sino al momento in cui, diminuita la violenza dell’uragano, potrà venire disincagliato dai normali mezzi della Marina.
    Il 24 agosto 1919, nella pubblica piazza di Porto Marotta, innanzi a un reperto di marinai che presenterà le armi, le coraggiose adolescenti, protagoniste di sì meravigliosa avventura, verranno decorate con medaglia di bronzo al valor militare di Marina. Ecco i loro nomi, per la storia, affinché essi restino scolpiti nel cuore degli italiani, esempio e monito alle nuove generazioni: “Erinna Simoncelli, Giustina Francesconi, Silvia Ginestra, Teresa Isotti, Edda Paolini, Arduina Portavia, Emilia Portavia, Emilia Portavia di Nicola, Nella Portavia di Nicola, Maria Portavia, e l’undicesima, la giovanissima sposa Maria Zampa, che con mano ferma alla barra del timone portò con audacia alla perigliosa accostata la piccola “sciabica”
    DA UN ARTICOLO SUL “TEMPO” DEL COMANDANTE DOLFI.

  • Angelo Consolini

    Ex pontone gru G.A. 43 modificato nel 1917 nell’Arsenale di Venezia in monitore semovente su progetto del Gen. G.N. Giuseppe Rota.
    Era armato con un impianto binato da 381/40 già destinato alla corazzata CRISTOFORO COLOMBO della classe CARACCIOLO ed alcuni pezzi da 76/40 per la difesa antiaerea.
    Nel corso degli spostamenti in conseguenza della rotta di Caporetto, il 16.11.1917 venne sorpreso al largo di Ancona da un fortunale insieme al CAPPELLINI che si capovolse affondando, mentre il FAA’ DI BRUNO si incagliò ma venne poi recuperato, rimanendo in servizio fino alla II G.M. per essere impiegato nella difesa di Genova.

  • EZIO VINCIGUERRA

    Si ringrazia Gennaro Ciccaglione e gli amici molisani di A.N.S.I Campobasso per questa pagina tutta rosa che dedichiamo alle donne di questo favoloso gruppo che molto spesso ci aiutano a comprendere e ad alleviare la solitudine dell’umana sofferenza.
    Un abbraccio a loro e uno a voi grandi come il mare e il cuore di chi come noi giornalmente ci teniamo compagnia.

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