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Lettera a mia madre

di Eleonora Giovannini

Scrivere per la propria mamma non è mai autobiografico, ho sempre pensato che parlare della propria madre sia qualcosa di universale, che non può escludere nemmeno gli alberi e le nuvole. Siamo tutti figli di qualcuno o di qualcosa, se proprio vogliamo esprimerci in modo più razionale.
Nessuno è privo di una mamma, nessuno vive senza sentire, in momenti di fragilità, il bisogno di protezione. E chi meglio di una mamma sa garantirci questo calore, questa dolcezza?
Anche io, oggi, scrivo piano piano, il nome della persona che più ho amato al mondo, quello della signora che ancora ricordo, quando avevo già compiuto sei anni, nell’atrio di un collegio di Loreto, che mi sorrideva con il suo profumo dolce ed i suoi capelli neri. E mi portava con sé, per volermi bene, per rendermi sua figlia.
Così è germogliato il nostro rapporto, sono nata a sei anni da lei nel luglio del 1977, non dalla sua carne, ma dal suo sguardo, dalla sua inclinazione naturale ad amare.
Non sono stata la migliore delle figlie, l’ho rinnegata più volte, rifiutata, contestata. Ho fatto fatica ad affidarmi al suo affetto, ad accoglierla in me. La mia ostilità era più grande di me, più forte di me. Così ho trascorso i miei anni con lei, tra momenti di forte attaccamento ed altri di rifiuto.
Lei sapeva avvolgermi quando soffrivo, quando stavo male, quando avevo la febbre. Le sue mani erano fresche sulla fronte, ferme, grandi. Me la ricordo bene, severa e presente, poco poetica e pratica, essenziale e alta. Mi amava senza esprimere il suo affetto attraverso baci e carezze. Talvolta ne soffrivo, ma in cuor mio sapevo che per lei ero la persona più importante.
In fine l’ho abbandonata, ricercando le mie origini, i miei genitori naturali. E lei ha pianto da sola, ha sofferto, si è contorta senza far rumore in un dolore al quale non oso dare un nome.
La mia vita si è rivelata un inferno senza lei. Un matrimonio sbagliato, con un marito violento.
Eppure lei era rimasta dove l’avevo lasciata, più invecchiata e stanca, ma pronta a sostenermi.
Ero già diventata mamma di Elena, la nipotina che non ha potuto crescere, perché dopo qualche tempo si è ammalata. Il morbo di Alzheimer, quella terribile bestia che ti divora il cervello e ti trascina vilmente in un letto, senza memoria, senza umanità.
Da quando si è ammalata sono trascorsi otto lunghi anni.
Quando ho saputo della sua malattia sono caduta in depressione, perché un vetro infinito si stava frapponendo tra la mia voce ed il suo udito, tra il mio sguardo e le sue pupille, tra la mia voce ed il suo mutismo. Lentamente se ne è andata via da me, come un fiore dalla terra.
Ed ora mi guarda, implorandomi , nei momenti di lucidità, di aiutarla a morire.
Manca poco, ha detto il medico, manca davvero poco perché smetta di soffrire.
Mai come in questi giorni, riaffiorano in me tanti ricordi, come mille fotografie affilate che mi lacerano, una dietro l’altra, rievocando in me momenti, episodi, ricordi banali. Strano che siano proprio quelli a riempirti il cuore, il modo in cui mi chiamava per la cena, la scia di profumo che lasciava in casa, mentre usciva, lo smalto rosso brillante appena steso sulle lunghe unghie.
Ripenso a queste cose, ai rimproveri, a come mi insegnava a lavare i piatti, alla rapidità con cui sbucciava le patate. A quando metteva nel vaso i gigli che avevo raccolto per lei nei campi.
E’ tutto qui come un lungo quadro dell’impressionismo.
E ora ho paura, la grande paura di scoprirmi senza lei, con il buco dell’universo nello stomaco.
Chi non capisce e vive questo dolore? Chi? E’ un’esperienza comune a tutti, perdere la propria mamma.
Mi viene da piangere e non verso una lacrima. Sono come incastrata in un silenzio buio.
Solo se chiudo gli occhi, la sera, quasi sto bene, perché la ridipingo felice, come allora.
Però com’era bella quel giorno, quando mi chiese di diventare sua figlia.

 

8 commenti

  • Franco

    Quando abbiamo le “cose” non ce ne accorgiamo, sembra che tutto sia scontato, dovuto x qualche misteriosa ragione…..Ma nel momento in cui non si hanno più, o stiamo perdendole, ci si accorge del vuoto che non abbiamo saputo riempire giorno x giorno. Tutte le mamme ci perdonino, e sono certo che lo fanno subito sorridendo, come a dirci :”figlio/a, non piangere, non essere triste, non hai nulla da farti perdonare da me, so che mi hai amata comunque a modo tuo tanto, tantissimo; ora che hai compreso, ti dico : ama e comprendi i tuoi figli sopratutto quando sembrano non saperti voler bene, tu fagli capire che li ami immensamente,sopratutto quando commettono errori di inesperienza, ciao.

  • EZIO VINCIGUERRA

    Un altro bel ritratto di quanto è bello essere figlia, donna, mamma e procreatrice.
    Grazie ad Eleonora Giovannini

  • Ornella Aimone

    Bellissima testimonianza. Quante volte anche le figlie naturali si mettono contro la propria madre! I valori non si vivono a pieno nel momento giusto e si capiscono maturando. Che dignità la mamma del racconto!

  • Tea

    Scrivi:”Non sono stata la migliore delle figlie”,dicendo che hai rinnegato,rifiutato,contestato,abbandonato tua madre.Ma hai cominciato ad amarla il giorno in cui ti chiese di diventare sua figlia.E continui a farlo.La tua commovente storia è una lettera d’amore per lei.

  • Eleonora Giovannini

    Non c’é talento senza amore. Non c’é amore senza libertà. Nessuna libertà senza Dio. La gratitudine va elargita soltanto a Dio. Al motore di ogni nostra scelta.

  • Franco La Rosa

    Padre Eterno, che ci salvi con la tua forza,
    il tuo braccio ha imprigionato il flusso inquieto,
    hai ordinato agli abissi del potente oceano di non infrangere i limiti imposti,
    ascoltaci dunque quando ti supplichiamo in preghiera per coloro che sono in pericolo in mezzo al mare.

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