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Catello Amendola (Sottotenente di vascello)

di Antonio Cimmino

A Castellammare di Stabia, ancor prima della costruzione del regio cantiere navale voluto dal ministro  di Ferdinando IV, Ferdinando Acton nel 1780, già esistevano diversi cantieri navali che costruivano  imbarcazioni a vela come golette, brigantini, barche da pesca. Storicamente la loro esistenza è accertata dagli inizi del ‘600. L’abbondanza di legname prelevato dal vicino monte Faito si sposava con la maestria dei maestri d’ascia, capaci di lavorare e sagomare il legno. Ordinate, bagli, fasciame, chiglie, paramezzali erano costruite ed assemblate da questi bravi artigiani orgoglio e vanto della cantieristica napoletana. La professione di maestro d’ascia era una figura intermedia tra l’artigiano e l’artista che affonda le sue radici nel lontano passato, quando le navi si costruivano senza l’ausilio dei disegni. Il maestro si avvaleva dell’esperienza acquisita  da generazioni, spesso l’arte si tramandava da padre in figlio.
Un maestro d’ascia di provata esperienza era Aniello  Amendola detto‘o sergente proprietario di un piccolo cantiere navale con scalo di costruzione ed alaggio sulla spiaggia stabiese. La conduzione della azienda era prevalentemente familiare; in essa prestavano la loro opera i suoi due figli Catello (Lello)  e Ferdinando che, seppur studenti dell’istituto nautico, oltre che con logaritmi, sestanti e tavole nautiche, si cimentavano anche con pialle, seghe e stoppa per il calafataggio, sotto l’attenta guida del padre Aniello. Aiutava il padre ed i fratelli, Nino il più piccolo degli Amendola, nato nel 1920 ed il secondogenito Rodolfo nato nel 1912. Quest’ultimo era talmente bravo nella costruzione navale che, alla fine degli anni ’20, così come raccontatomi dalla figlia Lucia, si era costruito con le sue mani una barca a vela di alcuni metri di lunghezza fuori tutta., facendosi aiutare dal padre Aniello.
La famiglia abitava in un antico fabbricato del largo Fusco, ora piazza Spartaco. Catello e Ferdinando erano molto affiatati sebbene avessero sei anni di differenza. Ferdinando, infatti, era nato nel 1906 mentre Catello il 22 gennaio 1918. Questi, inoltre, amava intensamente il fratello Nino. La nipote signora Lucia racconta che, in occasione della processione del patrono di Castellammare di Stabia, San Catello tutta la famiglia era affacciata al balcone adornato con la più bella coperta, come si usava fino a qualche anno fa,  tranne Nino che era stato inviato in cantiere per una commissione perdendosi, così, l’occasione per assistere alla processione. Catello, chiamato in famiglia  “cherubino” per il viso angelico e per la sua bontà, si  dispiacque tanto fino a piangere per l’assenza del fratellino. Si tappò gli occhi per non godere dello spettacolo offerto dalla processione, per una sorta di solidarietà con il fratello assente. La processione di San Catello, a quei tempi, era un’occasione unica in città; la statua era preceduta dalla banda e dalle numerose confraternite con i loro costumi coloratissimi, nonché da rappresentanze militari, dai balconi venivano lanciati petali di fiori e pezzetti di carta colorata. Al largo Fusco la processione sostava per permettere lo scoppio dei fuochi artificiali.
Nel 1933 un bastimento, forse colpito da una improvvisa libecciata, mentre era sullo scalo di costruzione durante le operazioni  di varo – legate, ieri come oggi, solamente all’alea e non alla bravura dei tecnici –  si arenò sulla battigia abbattendosi  sulle strutture del piccolo cantiere navale danneggiandole gravemente ed irreparabilmente-  Catello e Nino si rimboccarono le mani e, abbandonati momentaneamente gli studi, aiutarono il padre Aniello a salvare il salvabile della piccola azienda familiare. Nel 1938 alla morte di mastro Aniello, Catello si trasferì a Salerno dai suoi zii, genitori della signora Lucia e cioè Rodolfo e Maria Moreno.. Con lui lasciarono la città la madre, la sorellina Ines e Nino. Gli zii li accolsero amorevolmente.
Ripreso gli studi presso l’istituto nautico Duca degli Abruzzi di Napoli, si diplomò Capitano di lungo corso nel 1939 e, nello stesso anno superò l’esame di ammissione all’Accademia Navale di Livorno come ufficiale di complemento dello Stato Maggiore. La guerra lo sorprese mentre svolgeva  servizio di leva come Guardiamarina sul cacciatorpediniere Generale Antonino Cascino. La nave era una unità varata nel 1922 dai cantieri Odero di Sestri.  Con un dislocamento di 820 tonnellate, era lunga 73,2 metri, larga 7,3 e con immersione di 3 metri.
Il suo apparato motore era composto di 4 caldaie e due turbine con una potenza di 16.000 HP; le due  eliche facevano raggiungere una velocità di 30 nodi. Per la presenza di ben tre fumaioli, la nave era chiamata “tre pipe” da tutti i marinai. L’armamento bellico consisteva in tre cannoni da 102/45 mm, 2 pezzi da 76/40 mm, 4 tubi lanciasiluri da 450 mm  e 8  mine. L’equipaggio era formato da  105 uomini ( 101 sottufficiali, graduati e comuni più quattro ufficiali). Il motto della torpediniere Cascino era:” Ovunque e sempre ardisci”. Apparteneva alla classe “Generali” unità non particolarmente adatte alle nuove tattiche  di guerra impiegate nel Mediterraneo. (1)
Il giovane Guardiamarina si fece le ossa su questa unità deputata alla scorta convogli da e per l’Africa  settentrionale navigando nella cd. rotta della morte per le numerosissime insidie dei sottomarini alleati, specialmente quelli britannici e dei campi minati sparsi nel Canale di Sicilia. Forse il rapporto con qualche superiore non era idilliaco e, di questo, Catello indirettamente lo scrive alla madre quando gli fu assegnato, finalmente, un comando di una unità seppur piccola ma importante.(2) Durante le missioni egli mandò numerose cartoline di saluto alla famiglia, da Bengasi e da altre località dell’A.S.  nei cui porti la nave ( declassata a torpediniere nel 1929) si ormeggiava prima della rotta di ritorno in patria. (3)
La navigazione era pericolosissima, senza radar ed altri strumenti di avvistamento, già in possesso della flotta britannica, ogni uscita in mare poteva essere l’ultima, sia per le navi mercantili e sia per le unità sottili, come il Cascino, addette alla scorta.
Nonostante la guerra e cosciente dei pericoli cui andava incontro, Catello coronò il suo sogno d’amore sposando, il primo maggio del 1941, Diamante Turro ( chiamata affettuosamente Dandi) una ragazza di Vico Equense che abitava nella frazione di Bonea. Il loro amore fu inteso seppur breve. I due giovani ebbero il tempo di “varare” un bellissimo bambino che, purtroppo, morì.
Finalmente nel 1941, sempre con il grado di Guardiamarina, ebbe il suo primo comando. Era un motoveliero armato deputato prima alla vigilanza foranea e poi alla caccia antisommergibile.
La nave, un brigantino-goletta, si chiamava Ottavia. Costruita nel 1921, apparteneva all’armatore Luigi Tomei di Viareggio. Requisita dalla Regia Marina mentre si trovava a Napoli le fu assegnata la sigla V.4 e successivamente, attrezzata alla caccia antisom, la sigla AS.91.
Il brigantino-goletta era caratterizzato da due alberi verticali: il trinchetto con vele quadre e l’albero maestro con vele auriche, cioè di forma trapezoidale oltre, naturalmente, il bompresso che è l’albero inclinato che si trova a prua. Nei motovelieri, però, la principale propulsione  era dato da un apparato motore.
Il Guardiamarina Catello Amendola  fu molto contento di questo nuovo compito anche perché la nave fu dotata di apparecchi, abbastanza moderni per l’epoca, per la ricerca di sommergibili . Si trattava di una specie di idrofoni-sonar per meglio individuare i sottomarini nemici che, a partire dal 1941 aumentarono la loro aggressività nel  Mediterraneo, provocando gravi perdite al naviglio mercantile ed alle navi militari di scorta. L’organizzazione della difesa antisom era di competenza dello Stato Maggiore della Marina e precisamente del Reparti O.A.
Così come avveniva nelle Marine inglesi e francesi, la lotta antisom fu affidata a motopescherecci e motovelieri armati di cannoni ( generalmente da 102 mm), mitraglie anti aeree da 13,2 mm., da tramogge per la scarico di bombe di profondità (b.t.g..) e con idonee apparecchiature idrofoniche ed aerofoni . Le b.t.g.. erano bombe che lanciate in mare, affondavano per il loro peso ed esplodevano automaticamente ad una profondità precedentemente regolata; l’esplosione era causata o da un congegno idrostatico oppure da uno a tempo.
Alcuni motovelieri, inoltre,  erano provvisti di bombe a getto a scoppio simultaneo ( b.g.s.) che, gettate simultaneamente in mare da apposite tramogge, assumevano velocità differenti per effetto della differente spinta negativa. Le bombe scendevano sulla stessa verticale e contemporaneamente scoppiavano a differenti profondità.
L’Ottavia era una di queste unità con a bordo ben 55 uomini di equipaggi.
Si può immaginare l’orgoglio di Catello  nell’assumere il comando di tale unità. Finalmente poteva esprimersi come comandante, combattivo e capace. La sua soddisfazione trapela dalla lettera inviata alla madre e consegnata a mano da un suo marinaio. Le notizie riportate non sarebbero mai passate dalla censura di guerra se la lettera fosse stata inoltrata a mezzo posta.

“Cara mamma ho tardato un po’ a scriverti perché speravo di poterti far recapitare la presente a mano, e infatti mi è riuscito. Dunque la mia nuova destinazione non ha niente a che vedere con la precedente. Sono stato incaricato dal Ministero ad assumere il comando di una nave ausiliaria, e precisamente di un motoveliero da 560 tonnellate avente un equipaggio di 55 persone, e dei nuovi mezzi di caccia sommergibile, che sono la prima volta impiegati in tutte le Marine del mondo. È una specie di mezzo di ascolto con molte probabilità di successo e nessuna di salvezza. Sono contentissimo sotto tutti i punti di vista, prima perché non dipendo da nessun fesso, e poi anche per la soddisfazione personale .Le mie missioni oscillano da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 30. La base è sempre La Spezia. Come pericolo, secondo il mio modo di vedere è limitatissimo e poi, non bisogna dimenticare che siamo in guerra. Alla fine di ogni missione avrò diritto ad un certo periodo di riposo che, oscilla da un minimo di 7 giorni ad un massimo di 15, quindi abbiamo maggiori probabilità di vederci sempre che Dio mi aiuti come spero. È con me Diamante ( la moglie)  la quale resterà ancora per qualche giorno, perché la mia unità è in lavori e quindi dispongo di un po’ di tempo. Non so ancora per il momento quando comincerò a battere il mare, però tenetelo in conto che alla prima missione, darò prova della mia abilità e quando sentirete dal bollettino che una nostra unità ha affondato un sommergibile inglese, questa  unità è la mia. È inutile dirvi che il posto che occupo è di una delicatezza estrema, tenete presente che sono l’unico ufficiale per il momento che conosce questi nuovi mezzi di assalto, perciò mi raccomando di non divulgarli (segue richiesta di libri di navigazione ed architettura navale). Forse il marinaio vi darà un po’ di caffè, mi ha promesso che ve lo porterà.”

La richiesta di libri tecnici dimostrava la sua volontà di accrescere le sue conoscenze nell’arte marinaresca e la voglia di dimostrare di essere all’altezza dei compiti affidatigli.

Ma il destino non doveva ancora compiersi per Catello. Il giovane comandante, per una improvvisa febbre, fu costretto al ricovero ospedaliero a La Spezia. Il Guardimarina Giovanni Fioretti di Milano  assunse il comando dell’Ottavia che, nel frattempo, era stato inviato nello Jonio particolarmente infestato da sottomarini. Il giorno 5 marzo 1942 salpato dal porto di Argostoli nell’isola greca di Cefalonia per ricerca e caccia antisom, si scontrò con un sommergibile nemico. Questi affiorando ingaggiò un combattimento con il piccolo motoveliero. Il cannone prodiero del sommergibile e le sue mitraglie  bersagliarono l’Ottavia che ciò nonostante si difese per ben un’ora, dalle ore 15,00 alle 16,00 con le armi di bordo, opponendo una pronta reazione di fuoco. Nonostante la bravura del comandante Fioretti, la nave, colpita ed incendiata affondò a circa un miglio al largo di Ortholithia portando in fondo al mare l’intero equipaggio. Il comandante  Giovanni Fioretti fu insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare “ alla memoria e sul campo” con la seguente motivazione “… scontratosi con unità nemica accettava con cuore impavido l’ardua ed impari combattimento apponendosi all’avversario con grande reazione di fuoco, e scomparve in mare con la sua nave incendiata….”

Intanto il G.M. Catello Amendola, scampato anche questa volta alla morte, per un difetto alla vista, non ebbe più il comando di una unità e, nel 1943, fu inviato al Comando Marina di Durazzo. Qui, alle dipendenze  dell’Ammiraglio Vittorio Tur fu incaricato della sorveglianza delle attività portuali in quanto nella banchine erano ormeggiati i dragamine Vigilante e Vedetta e la nave ausiliaria Pagano. Facevano capo al porto albanese anche gli aerei della 288° Squadriglia Ricognizione Cant Z-501 bis, nonché altro naviglio militare e piroscafi mercantili che facevano la spola con l’Italia.

A Durazzo Catello Amendola fu promosso Sottotenente di Vascello. Ma il 1943 fu un anno nefasto per la famiglia Amendola. A Catello giunse la notizia che il fratello Ferdinando, Capitano di Porto,  era deceduto, a soli 37 anni,  durante uno delle centinaia di bombardamenti sulla città di Napoli, specialmente sugli impianti portuali e sulle navi cariche di munizioni ed armamenti ivi ormeggiate. Non si erano ancora asciugate le lacrime che il 21 giugno morì anche l’altro fratello. Rodolfo di 31 anni, professore di matematica e fisica al liceo Tasso di Salerno – già giovanissimo docente, a soli 23 anni, presso il liceo classico Plinio Seniore di Castellammare – mentre usciva dalla scuola dopo gli esami, fu colpito dalle schegge di un bombardamento aereo non annunciato dalle sirene. Centinaia di morti tra Salerno e Battipaglia ove si erano accaniti gli aerei angloamericani, sia per fiaccare il morale della popolazione e sia per interrompere le vie di comunicazione per il Sud in vista del prossimo sbarco del mese di luglio in Sicilia.
Il morale di Catello era allo stremo, due fratelli morti  a distanza di circa un mese, la moglie lontana, il figlioletto appena conosciuto. Per motivi di salute e familiari gli fu concesso il congedo. Il piroscafo Città di Catania doveva trasportarlo in patria traghettando nel breve tratto di mare tra Durazzo e Brindisi.
La Città di Catania era un piroscafo passeggeri di 3355 tonnellate, costruito nel 1910,  appartenente alla Società di Navigazione Tirrenia ed iscritto al Compartimento marittimo di Palermo con matricola 43. Non fu mai requisiti dalla Regia Marina né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato. Catello si imbarcò assieme ad altri militari e civili diretti a Brindisi. Non vedeva l’ora di giungere a casa per riabbraccia la sua Dindi ed il figlio. Chissà quante volte aveva percorso in ponte passeggiata del piroscafo per far trascorrere il tempo. Pur con l’animo triste per la repentina morte dei suoi amati fratelli, non vedeva l’ora di vedere sua madre Lucia Troiano  e la sua famiglia che, nel frattempo, era sfollata in un paesino del salernitano nei pressi di Baronissi. Preso dalla frenesia inviò, da bordo, un telegramma alla famiglia annunciando che sarebbe arrivato tra poco a Brindisi per poi proseguire verso Salerno.Questa volta, però, il destino cinicamente decise la sua sorte.  Alle ore 10,45 a  circa 8 miglia per 40° dal semaforo di Brindisi ( 40°30’30’’N.  18°04’30’’E) la nave fu colpita da due siluri del sommergibile inglese Unruffled al comando del Tenente Oliver Lascelles ed affondò rapidamente.(4)
A bordo si trovavano 105 persone dell’equipaggio e 407 passeggeri tra militari feriti. Si salvarono solo 56 marinai dell’equipaggio e 200 passeggeri. Catello non  era tra questi. Questa volta il mare aveva deciso di prenderselo dopo averlo risparmiato quando era a bordo del Cascino e dell’Ottavia. Il suo corpo riposa in fondo al mar Adriatico assieme a tanti altri marinai che per tomba non hanno altro che l’acqua. Onore a loro!

Ferdinando, Rodolfo e Catello Amendola morirono in quel tragico 1943, vittime della follia della guerra ma consapevoli di dare il meglio di sé,  sia sul fronte militare e sia su quello civile. Solo Nino sopravvisse, stimato ingegnere del Comune di Salerno.
La famiglia Amendola di Castellammare di Stabia, pagò un altissimo tributo alla guerra!

Note
(1) La torpediniere Generale Antonio Cascino apparteneva alla classe Cantore (Generali) assieme alle altre: Antonio Cantone, Antonio Chinotto, Carlo Montanari, Achille Papa, Marcello Prestinari.

(2) Per una ulteriore protezione dei convogli, furono installati diversi campi minati. Ciò costringeva, però le navi ad un percorso obbligato tenuto sempre sotto controllo dai sommergibili inglesi, dagli aerosiluranti e bombardieri. Su 338 mercantili impiegati ne furono distrutti 153 e danneggiati 138.
Per tale motivo la rotta con la Tunisia fu denominata “rotta della morte”. Centinaia di navi e migliaia di uomini furono mandati al massacro, unitamente allo spreco di tonnellate di materiale bellico. Nella cartina le zone tratteggiate individuano i campi minati stesi dagli italiani e si nota la rotta obbligata per raggiungere la Tunisia ed nord Africa.

(3) La torpediniere Cascino fu autoaffondata nel porto di La Spezia il 9 settembre 1943 dopo la proclamazione dell’armistizio, per non farla requisire dai tedeschi.

(4) Il sommergibile inglese aveva già affondato altre navi italiane o dell’Asse: i  mercantili Liberia, il 20 settembre 1942 al largo della Tunisia – Aquila il giorno successivo – la Leonardo Palomba il 22 settembre – l’Una al largo di Capri l’11 ottobre – la Loreto il 13 ottobre sempre al largo di Capri. – danneggiato l’incrociatore Attilio Regolo il 5 novembre 1942 . Il 14 e 15 dicembre i  mercantile Castelverde,  Honestas  e Sant’Andrea al largo di Tunisi. – il 31 gennaio 1943 il mercantile Lisboa – il 21 febbraio il mercantile tedesco Baalbeck – il 3 luglio del 1943 la Torpediniere tedesca Henri Despre.

15 commenti

  • Marino Miccoli

    Un sentito grazie e vive congratulazioni al prezioso e sempre apprezzato Antonio Cimmino il quale con questo suo pregevole articolo ci fa ben comprendere quali grandi Marinai abbia dato Castellammare di Stabia alla Marineria Italiana.
    E non dimentichiamo che gli Uomini di Castellammare erano e sono anche quelle sapienti maestranze che dalla fine del 1700 hanno reso grande il Cantiere Navale.

  • Nicola Luppino

    Grazie di cuore. A te e a tutti i “vecchi” marinai un abbraccio affettuoso e solidale. Nicola Luppino

  • Toty Donno

    Oggi ho chiesto a Dio di prendersi cura di te. Lui, sorridente mi ha fatto vedere le Sue mani socchiuse e dentro c’eri tu! Mi sorrise di nuovo e mi disse: cosa pensi che gli possa accadere se ogni istante è nelle Mie mani? Ho detto:grazie Signore, perché quella persona che hai tra le mani è molto speciale. Lui mi guardò e dolcemente mi disse: se lo è per te, immagina per Me …..Mi disse anche, che ogni amico che benedico Lui lo tiene stretto tra le Sue mani.

  • EZIO VINCIGUERRA

    [:-)] Ciao Marino e ciao Toty, sono bellissime le vostre parole e alla stesso tempo molto molto solidali e in questo periodo di egoismi e sfrenato relativismo penso e sottoscrivo che la tua parabola sia azzeccatissima.
    Un abbraccio grande come il nostro mare.
    P.s. dimenticavo di dirvi che condividete ambedue le origini salentine. Sarà un caso di tutto questo affetto nei confronti di un emigrante di poppa?

  • Giovanna Vinciguerra

    Ricordo che il prof di filosofia scrisse queste frasi su un foglio e le appese al muro dicendoci che dovevamo ricordarle sempre…all’epoca come semplici alunni…ma nel corso degli anni non sono piú riuscita a dimenticarle…anzi mi ritornano sempre alla mente quando si presentano episodi di prepotenza….preferisco sempre e solo ubbidire anche moralmente…se questo serve per il quieto vivere…sicura del fatto che è solo una palestra…un allenamento…per poi poter decidere correttamente e coerentemente quando sará il mio turno….la vita è una continua crescita ed esperienza….e spesso le scelte piú giuste non sono quelle più facili….ma ci vuole tempo x imparare….e tanta riflessione ed oggettivitá.spero di riuscirci piano piano..

  • AURELIO LANZI

    GRAZIE, UN ONORE ESSERCI STATO IN MARINA:IN PRIMA LINEA SEMPRE PER DIFENDERE I RAPPRESENTANTI DELLA NOSTRA PATRIA,SENZA SE E SENZA MA!!

  • Giusi Contrafatto

    “nutrire il bene individuale è fine a se stesso è povero. . . nutrire il bene comune rende tutti felici e uniti alimenta il mondo d’amore.Ciao Eziooo”

  • Toty Donno

    ci si può confessare alla luna… si può viaggiare nell’infinito… E finalmente ho appreso… che non si può morire per imparare a vivere!!!

  • Gavino Leone

    Adesso, grazie a Dio, ci sono colleghi come te Antonio che si danno da fare e scrivono molto spesso, anche cercando colleghi che qui, forse, non troveranno. Un caro saluto a tutti.

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