Racconti,  Recensioni

I biscotti con la liffia e rosolio

di Cinzia Caminiti Nicotra

A vent’anni non ancora compiuti, superata, secondo la consuetudine, l’età per maritarsi, sua madre le disse: “Vicinzina, a matri, ora si grannicedda e ha vinutu u mumentu d’accasariti e vistu ca tu a circariti nu zitu mancu ci pensi e prima ca, Diu ni scanza, m’arresti schietta mi tocca a mi’, di truvaratillu… dimmi, a ccu’ vo’ ppi maritu? a Alfredu o a Silviu? …pensaci e quantu prima dammi ‘na risposta, figghia mia!”

Vincenzina cercò di ricordare l’aspetto di questi due cugini che aveva visto un’unica volta quando aveva appena sette anni al matrimonio della zia Rosina con l’allora fidanzato Michele…Aveva presente vagamente Alfredo, era per caso quel ragazzotto tanto a modo, gentile ed educato che parlava in quello strano modo per via del labbro leporino? O era piuttosto quello con quei grandi occhi verdi furbi, indagatori che ti penetravano dentro e non ti lasciavano più? Sì, quello era Silvio, sì bello era, ma…..non era stato lui a tirarle i capelli e a deriderla per tutto il tempo che avevano giocato insieme e non era stato lui a farla piangere per tutto il pomeriggio? Sì proprio lui era. E ora era davvero un bel problema dover scegliere tra l’uno e l’altro, uno bello e antipatico, l’altro bruttarello e buono come il pane… e visto che  a quell’età, si sa , l’occhio vuole la sua parte, Vincenzina lasciò Alfredo alla sorella Elvira che visse felice e contenta con un marito galantuomo che l’adorava e che “la tinni comu a ‘na gran signura” per oltre sessant’anni e finché morte non li separò, e scelse Silvio…
Le due madri dei promessi, sorelle tra loro, organizzarono dapprima un incontro, finto casuale, durante il quale le due coppie si guardarono, si scambiarono sorrisi, strette di mani, si parlarono: tu mi piaci, io ti piaccio? sì, mi piaci; io ti voglio, tu mi vuoi? sì, ti voglio; e allora ci facciamo  fidanzati? e sì fidanziamoci (u Signuri i bbinidici) e poi di lì a poco, il fidanzamento ufficiale con tanto di festino in casa, di invitati, di fiori, di confetti, di scambio di fedine e di mostra del corredo.
Nei mesi precedenti l’appuntamento di matrimonio le due sorelle Elvira e Vincenzina “erano tutto un fremito”, non facevano che sognare e confabulare, e sempre messe lì alla finestra ora l’una ora l’altra interrogavano il “cielo” e i Santi che ci stavano beatamente su… e San Valentino oggi e San Giovanni domani e l’arcangelo Gabriele i giorni pari e Santa Margherita quelli dispari affinché a turno, una volta interpellati, questi Santi dal Paradiso avrebbero dovuto mandare segnali e pronostici per far loro conoscere il “destino” che le aspettava.
E se i segnali che arrivano ad Elvira erano sempre fausti e benevoli: il passaggio di un giovane con un bel mazzo di fiori di ginestra, due signori col cappello che amabilmente discorrevano sorridendo l’uno all’altro e rintocchi di campane a festa e donne vestite a colori, e bambini che si trastullavano felici…..I pronostici di Vincenzina, meglio non parlarne: il sole si nascondeva dietro le nuvole, passavano giusto da lì e giusto in quel momento donne in gramaglia, mendicanti storpi, gatti neri che si azzuffavano, cortei funebri…. ma lei, niente, superiore a tutto questo era e perciò un’alzata di spalle e subito in casa a preparare il ricevimento, sciocchezze quelle erano, non bisognava dar peso a queste cose e basta! …

O Sant’Agnesa virginedda e pura
cunciditimi ‘na grazia ccu primura
datimi a mi’ nbonu distinu
e a lu zituzzu miu un drittu caminu.

O Sant’Agnesa virginedda e pura….

I preparativi in casa fervevano e non si doveva né si poteva perder tempo …. c’erano le tappezzerie da pulire, le tende da lavare, i tappeti da ravvivare, tutto il corredo da rinfrescare, gli abiti da confezionare “il trattenimento” da preparare… e a proposito di trattenimento: lo sfincione l’avrebbe fatto la mamma che solo lei così buono e soffice lo sapeva fare; il vino, quello buono l’avrebbe procurato il padre che era cosa sua e di nessun altro; allo scacciu (noci, mandorle nocciole, calia e semenzina) e ai confetti ci avrebbe pensato Elvira che lei per l’arte culinaria non era proprio portata; i fratelli avrebbero aiutato a sistemare la stanza per il festino con le sedie tutte intorno e la tavola per il rinfresco messa a muro; Vincenzina avrebbe pensato ai dolci e al rosolio. O Sant’Agnesa virginedda e pura cunciditimi ‘na grazia ccu primura…..Per prima cosa pensò al rosolio alla cannella, si doveva lasciarlo lì a macerare per un bel po’ perciò bisognava cominciarci subito e intanto occorreva mettere in un recipiente a mollo con l’alcool a novantacinque gradi, dodici stecche di cannella e tenercele in questo modo ben chiuse e al buio per tre settimane . E così fece subito.
Per i vestiti delle zite, scelta la stoffa e consegnata alla sarta, (una “ rifinita” tra “le meglio di Caltanissetta” si aspettò il giorno della prova e poi quello della consegna…
Ai dolci Vincenzina pensò e rimuginò per giorni e giorni e nel mentre ci pensava e rimuginava: O Sant’Agnesa, virginedda e pura cunciditimi ‘na grazia ccu primura …..pregava con tutto il fervore di cui era capace la “sua”, ormai, Santuzza protettrice.
Alla fine decise. Per il suo fidanzamento e quello della sorella avrebbe preparato: Biscotti con la liffia bianchi e al cioccolato.
Per farli occorrevano: due chili di farina; seicento grammi di zucchero; duecentocinquanta grammi di strutto; un chilo di pane in pasta. Per la liffia bianca servivano: un chilo di zucchero; trecento grammi di acqua; la buccia grattugiata di un limone; un pizzico di vaniglia. Per la liffia al cioccolato servivano: trecento grammi di cioccolato a pezzi; seicento grammi di zucchero; cannella e vaniglia.

…E i giorni passavano belli belli.

La madre delle ragazze in uno di quei giorni tirò fuori dai bauli, non senza aver provato una grande commozione, tutte quelle cose bellissime che nel tempo e da quando erano nate aveva preparato con le sue mani, per le sue adorate figlie femmine. Le tirava fuori, quelle cose bellissime, ad una ad una, le guardava, le carezzava con le mani, se le portava al cuore, le odorava e scopriva che sapevano di buono, di sapone e di lavanda, e le posava sul letto grande come si posano le cose preziose e delicate così come aveva fatto con le sue creature quando erano venute al mondo e, mentre le adagiava dall’una e dall’altra parte come a dividerle, questa per Elviruccia e questa per Vincenzina, questa per Elviruccia e questa per Vincenzina rifletteva: era arrivato il giorno per il quale aveva vissuto fino ad allora, era arrivato il momento in cui avrebbe dovuto staccarsi dalle sue figlie e, certo non avrebbe mai immaginato di provare questo strappo nel cuore al pensiero di vederle andare via dalla sua casa…Madunnuzza ajutami tu, dammi la forza… e questa forza la trovò subito nell’amore che provava per loro, che non era un amore geloso né possessivo  ma solo dedito e premuroso. “Munnu ha statu e munnu sarà! Accussì fu ppi me matri e ccussì sarà ppi mia e poi ppe figghi di li me’ figghi. Non semu autru chi la svutata  d’un ciumi ca ha passatu prima e non si ferma dopu di nui…” e asciugate le lacrime chiamò a sé le figlie e guardandole con tutta la tenerezza di cui una madre e solo una madre è capace, consegnò loro due piccoli sacchetti contenenti le cosucce d’oro, gli orecchini, gli anelli, i fili di perle, i pendagli di pietre dure e corallo, la parure antica (una per ciascuna) dicendo: “Vi nni iti di ‘sta casa comu due reggine, a robba a ottu a ottu tutta bianca e arriccamata fina, l’adurinu d’oru e d’argentu ‘u capizzali di Santa Margarita, li matirazza ‘i lana, a cutra e a cuttunina  fatta di linu tissuta ccu li me manu, manu di ‘na matri ca ppi ogni puntu ha fattu na priera a tutti l’angili do cielu”…poi guardando Vincenzina le chiedeva : “Chi sunnu st’occhi lucidi, e sti lacrimi?” “Mi scantu, matri mia”, rispondeva lei ansiosa, “lu cori mi batti accussì forti ca pari ca mi nesci di lu pettu.. Lassu la vita mia, lu me littuzzu e poi? e si la vita nova ‘un fa ppi mia? Chi fazzu matri? Turnari arreri non si po’”… “No!”, rispondeva la madre, “turnari arreri non si po’…. ma tu si figghia bona…. u pani lu sai fari e ti susi a matinata  ppi ‘mpastari… ‘a rripizzari a tila? si ‘ccillenti, s’ha teniri la casa pulita e lustra comu ‘n specchiu…. si’ forti e ci hai valìa e forti di saluti e di carattiri tu à ‘ssiri … li lacrimi? ricorda ca cchiù nuddu, mai , havi ‘a vidiri li to’ lacrimi nè li to’ duluri… ca l’omini, ascuta figghia e mai ti l’ha scurdari, truvari vonnu la mugghieri sempre allegra, a tavula cunzata , lu piattu appena prontu e ‘u lettu sempri cauru…”….. “Lu lettu?” Elvira interveniva con gli occhi spiritati… “Lu lettu, matri?….a ‘stu pinseri mi nesciunu li sensi… jù non ci a fazzu matri,… lu cori non m’arreggi!…” “Lu sacciu figghia,  tutti ci amu passatu e jù macari: ti senti, ciatu, comu un ciareddu quannu lu portunu a scannari… chistu si chiama scantu di ‘nnuccenza, non t’angustiari a matri…picca dura: chiudi l’occhi, stringi li denti e preja la Madonna, tempu ‘i n’Avimmaria e zoccu la “to matruzza fici, l’omu lu sfa’!”

“…e nenti fa l’amuri?”,incalzava l’altra:  “Vicinzina, figghia d’oru”…. rispondeva “ nenti? tuttu po’ l’amuri, tuttu! e siddu è annuvulato lu suli splenni a ghiornu…. Ora vatinni a matri, t’abbinidica Diu!”, “e tu, Elviruzza, talia la strata ‘nfacci e vai ca l’angilu è ccu tia !” “…. Lu munnu, oggi, tuttu vostru, è!”

Quando le stecche di cannella furono ben macerate tanto da dare un bel colore ambrato allo spirito, si era già avvicinato il tempo in cui bisognava pensare seriamente al festino e allora Vincenzina intanto prese i tre quarti di litro di acqua, la mise a bollire in un tegame  insieme allo zucchero poi abbassò il fuoco e si mise a mescolare, mescolare, mescolare… O Sant’Agnesa virginedda e pura…..fino a farlo ribollire e mescolando mescolando … cunciditimi la grazzia ccu primura….l’odore di cannella raggiunse tutta la casa e tutti i vicini lo sentirono e persino sulla strada e fino all’angolo arrivò…. datimi a mi’ ‘nbonu distinu….. quell’inebriante odore di cannella si poteva avvertire da ogni dove, tanto che i curiosi s’affacciavano alla porta chiedendo. “ chi c’è priparato un fistinu?” “Le mie figghie si fanno zite in casa….”, “bih allura augurii, augurii”, “grazii graziii!” … e a lu zituzzu miu un drittu caminu…. O Sant’Agnesa…
Due giorni prima della festa Vincenzina si mise a preparare i suoi biscotti:
Impastò la farina con lo zucchero, versandovi a poco a poco un po’ d’acqua tiepida, vi unì lo strutto e il pane in pasta. Ne fece dei grossi “grissini” che tagliò a pezzi di dieci centimetri e disposti in una teglia li fece prima lievitare….O Sant’Agnesa virginedda e pura…. e quindi li infornò. Poi preparò la liffia al cioccolato così: Fuse a fuoco leggero lo zucchero e il cioccolato e lasciò intiepidire il composto ottenuto, O sant’Agnesa virginedda e pura…. per versarlo poi sui biscotti una volta raffreddati O Sant’Agnesa virginedda e pura…e per poi spolverarli di vaniglia e cannella. Quando furono pronti adagiò il tutto su un bellissimo vassoio d’argento e lavorò alla liffia bianca, così: fece bollire a fuoco lento lo zucchero con l’acqua fino a farlo “filare” vi unì la buccia del limone e la vaniglia e lo lasciò intiepidire, O Sant’Agnesa virginedda e pura… quando fu raffreddato vi gettò dentro i biscotti in modo da ricoprirli di glassa e li lasciò raffreddare. O Sant’Agnesa virginedda e pura… Pose anche questi in un altro grande vassoio d’argento e pure i biscotti con la liffia erano belli e pronti.
E finalmente venne il giorno tanto atteso, era il dodici di Maggio e il giardino era pieno di fiori profumatissimi: la sera prima le ragazze avevano raccolto le rose e  avevano lasciato per tutta la notte i petali odorosi  in una bacinella al chiaro di luna per lavarsi il viso la mattina appena sveglie, poi misero insieme i fiori di zagara e quelli di gelsomino in dei vasetti che posizionarono in vari angoli della casa e i  fratelli colsero gigli bianchi e magnolie da mettere sulla tavola “conzata” con la tovaglia damascata del corredo della mamma e i bicchierini e i piatti col perfilo d’oro zecchino.  Tutto era pronto, pulito, in ordine, candido, profumato. Tutto era perfetto.
Vincenzina ed Elvira erano raggianti, la madre “in cacaticchio”, “non stava nella pelle” e andava un po’ qua e un po’ là, il padre nervosissimo faceva su e giù, i fratelli avanti e indietro e pure il cane entrava e usciva girando  tutto attorno…..
Alle cinque in punto cominciarono ad arrivare gli invitati coi loro regalucci: La zia Rosina senza il marito Michele, che era da qualche tempo passato a miglior vita, ma con i figli  adolescenti Liborio, Matteo e Alduccio; il  cugino Vladimiro e il fratello Pietro con le rispettive loro metà (metà per davvero no per scherzo), Arcangela e Concettina e i bambini (un esercito) Linuccio, Carmelo, Virginia e Santina, Annuccia, Domenico, Benedetto e Rosalia… lo zio Ernesto, con la moglie Dora e le figliastre Graziella e Giovannina, venne da Catania; Il cugino Salvatore con la Madre, zia Vera, arrivò da Serra di Falco;  per ultimi fecero il loro ingresso i parenti degli ziti arrivati direttamente da Palermo: zio Luigi (il povero zio Luigi) il padre, seguiva come sempre la moglie, gialla come un limone a causa del malo viaggio, zia Carolina!,  il fratello Peppino sposino fresco con la moglie incinta e con lo “sputarizzo dei mali vizii” e Umberto già zito in casa, ma senza la zita che non si poteva.
Infine loro, i fidanzati, tutti belli impomatati con i mazzolini di fiori per la suocera in una mano e i pacchettini con l’anello per la zita nell’altra.
Le ragazze erano bellissime: Elvira con quel vestito rosa cenere tutto di organza sembrava uscita da un quadro, coi capelli raccolti sulla nuca , le guance rosa e le labbra di quel rosso naturale delle fanciulle era davvero uno splendore e Vincenzina con il suo elegantissimo vestito di pizzo verde smeraldo sembrava un sirena venuta su dal mare, piccola e minuta con i capelli neri tagliati alla moda era  una vera donnina graziosa e garbata , un bocciolo da cogliere…. Gli occhi verdi di Silvio si persero in quel vestito color smeraldo e la delicatezza di Elvira incontrò l’animo gentile di Alfredo… Erano i tempi in cui per innamorarsi bastava un solo sguardo e lo scambio di un sorriso…
Si accomodarono tutti in cerchio e si parlò del più e del meno, dei tempi andati, di gioventù e di come tutto sempre torna, si passò al rinfresco che lasciò tutti senza parole e gli odori e i sapori di quel pomeriggio restarono indelebili nella memoria di chi, lì, quel giorno c’era stato. Si scartarono i regali, ci si scambiarono gli anelli e in ultimo mentre le donne si appartarono per andare a prendere visione del corredo, Silvio prese la chitarra e si mise tutto compiaciuto a intonare struggenti canzoni d’amore e fu allora che Elvira ed Alfredo sotto il gelsomino si scambiarono non visti il loro primo bacio d’amore…
… lui cantava e lei, Vincenzina, guardava perduta le sue mani muoversi sicure sulle corde, lui cantava e lei continuava a guardare ammaliata la sua bocca che accennava a parole d’amore e di passione… lui cantava e lei si scioglieva in quegli occhi grandi e profondi che le erano entrati dentro quando aveva solo sette anni e che non avevano più lasciato la sua anima; bello era, lo ammirava tremante ed emozionata, timidamente gli sorrideva… e lui cantava.
Quella piccola e gracile ragazza col vestito verde, dello stesso verde degli occhi del suo amato, era felice, felice e innamorata…
Quello è stato il più bel giorno della sua vita.
L’ultimo.

Vincenzina, mia nonna, mi disse, tanto tempo dopo che non ha più potuto soffrire il rosolio alla cannella e quei biscotti con la glassa non li ha più rifatti in tutta la sua vita.
Una volta la vidi asciugarsi le lacrime: alla radio suonava una  struggente canzone d’amore…

Era de maggio e te cadéano ‘nzino,
a schiocche a schiocche, li ccerase rosse…
Fresca era ll’aria…e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciento passe…

Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
na canzone cantávamo a doje voce…
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce…

E diceva: “Core, core!
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse, io conto ll’ore…
chisà quanno turnarraje!”

Rispunnev’io: “Turnarraggio
quanno tornano li rrose…
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá…

Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá.”
E só’ turnato e mo, comm’a na vota,
cantammo ‘nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ‘ammore vero no, nun vota vico…

De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje,
si t’allicuorde, ‘nnanz’a la funtana:
Ll’acqua, llá dinto, nun se sécca maje,
e ferita d’ammore nun se sana…

Nun se sana: ca sanata,
si se fosse, gioja mia,
‘mmiez’a st’aria ‘mbarzamata,
a guardarte io nun starría !

E te dico: “Core, core!
core mio, turnato io só’…
Torna maggio e torna ‘ammore:
fa’ de me chello che vuó’!
Torna maggio e torna ‘ammore:
fa’ de me chello che vuó’!”

35 commenti

  • Antonio Melis

    Buona serata Ezio , sono le bellissime parole che le nostre madri ci anno sempre detto, sia in Sardo, in Siciliano , o Calabrese , il senso e sempre il Medesimo, e penso di tutte le regioni Italiane ::::::::

  • ezio vinciguerra

    Ciao Antonio carissimo, hai ragione Capo il senso è sempre il medesimo ma forse vale solo per noi e per le generazioni che mi / ci hanno preceduto. Ma che colpa abbiamo noi che abbiamo rispettato le tradizioni dei nostri padri e dei nostri nonni?

  • ezio vinciguerra

    Ciao Cinzia fiocca la neve ma fioccano anche tanti bellissimi commenti sul tuo racconto. E’ bellissimo

  • Cinzia Caminiti

    ‎Marella Ferrera…. e io adoro i tuoi commenti…. Sai che Vincenzina ed Elvira le ho immaginate vestite da te…. e sai che mia nonna Vincenzina era una modista d’eccezione? Un abbraccio e buona giornata.

  • Cinzia Caminiti

    grazie a te per la condivisione… Daniela e grazie mille Giusy per il tuo apprezzamento. I miei tag sono sempre rivolti ad amici che aspettano le storie di nonna Vincenzina. Un bacio a tutti.

  • Daniela Campione

    Che bello Cinzia, quante storie avevano da raccontarci le nostre nonne … hai il dono di riportarle con dovizia di particolari e dolcezza infinita come pochi sanno fare. Dono che arricchisce noi che le leggiamo. Sapevano fare tutto le nostre nonne. La mia per esempio, prima di sposarsi lavorava con la madre, aveva un negozio di modisteria dove oggi c’è Savia, viaggiava, era una donna evoluta, poi il matrimonio l’ha riportata ad una vita di figli, casa e poi è arrivata la guerra…. donne forti, temprate, nessuna di noi oggi avrebbe la loro forza …. nonna Vincenzina mi piace sempre più ed in tante cose mi ricorda la mia dolce nonna Concettina .

  • Cinzia Caminiti

    Daniela, quante volte penso a lei come la donna che vorrei essere…. mi consola solo sapere che in me c’è tanto del suo DNA…. Ti abbraccio Daniela… e grazie per aver apprezzato. Mia nonna, se hai letto i commenti, era anche lei una modista… Ha esercitato a Caltanissetta, poi a Milano, poi di nuovo a Caltanissetta, nella sua “movimentata” vita è stata grande e forte…. e per questa grandezza e questa forza che la voglio ricordare. ♥

  • Enzo Gallenti

    Bellissima pure la foto… Ma c’è una cosa che mi ha fatto veramente ridere: “tu mi piaci, io ti piaccio? sì, mi piaci; io ti voglio, tu mi vuoi? sì, ti voglio; e allora ci facciamo fidanzati? e sì fidanziamoci”. Brava Cinzia! Un abbraccio

  • Cinzia Caminiti

    Laura noi ci rifacciamo solo con questa… :-))) Baciuzzi anche a te. Enzo, Grazie. (U Signuri i bbinidici!) Ti abbraccio anch’io.

  • Giselda bandieramonte

    grazie Cinzia♥…..ma questi meravigliosi racconti meritano di essere pubblicati!!!!!

  • Giuseppe Lazzaro Danzuso

    Ora però, Cinziuccia, comincia a metterci testa: junci tutti ‘sti cunti e comincia a pensare a un titolo, ché non solo non possiamo perderci l’occasione di vederli pubblicati, ma abbiamo pure fretta! Pensa che ne verrebbe fuori un delizioso affresco antropologico e gastronomico.
    Quanto a “Era de maggio” vorrei ricordare che è il brano suonato da Nicola Piovani per l’ultimo saluto a Mariella Lo Giudice.

  • Cinzia Caminiti

    se lo meritava…. E’ la più bella canzone d’amore mai scritta… Grazie Giselda e grazie Giuseppe per l’incoraggiamento….ma mi dei dire, Pippuzzu, come si fa,, io in fatto di pubblicazione di libri sono totalmente bianca…

  • Sergio Mangiameli

    Cinzia, accuntu devi farne opera compiuta che piaccia a te. Mi spiego: raccogli un numero che ritieni giusto, con aggiunte appropriate di immagini, foto e ricette. Mettili in ordine e dagli un titolo. Confeziona un regalo completo. Dopodiché lo proponi a qualche editore locale. Non ci peddiri tempu, viri cca ffari…

  • Cinzia Caminiti

    mi state cominciando a convincere… appena arrivo a dodici storie (va bene come numero?lo chiedo a voi esperti….) ci risentiamo e mi direte che devo fare… Grazie Sergio.

  • MELANIA LA COLLA

    Cinzia! Ci sta tutta, ma proprio TUTTA ‘a liffia’!… Non solo stupendi racconti, ricette, usi e costumi… chista n’ EPOPEA E’!! Devi per forza pubblicare… oramai pigghisti ‘a sciddicata’, e non ti pò cchiù tirari arreri… ti abbraccio forte!!!

  • Giovanna Caggegi

    Cinzia…strepitosa! mi unisco ancora una volta al coro di chi ti incoraggia alla pubblicazione. ciao

  • Cinzia Caminiti

    Melania e Giovanna… mi sa che a questo punto lo farò davvero… e naturalmente siete tutte invitate alla presentazione e perchè no alla degustazione…

  • Salvatore Spoto

    ‎…sono appena tornato a casa…lasciami gustare l’ultima tua squisitezza, vicino casa mia ha aperto una pasticceria e rosticceria catanese…mia mogli a prepara per cena arancini e un iris. Ci aggiungerò i tuoi biscotti con la liffia…..

  • Piero Atanasio

    Semplicemente FA-VO-LO-SO … Era De Maggio, musicata da mario pasquale, è una poesia di di giacomo del 1885. Bravo Peppì

  • Di Geronimo Santo

    I viscotta caq liffia e u rasoliu si niscevunu, quannu c’era l’appuntamentu du matrimoniu, o zziti ncasa

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