Marinai,  Storia

Carlo Fecia di Cossato (Parte I)

di Orazio Ferrara (*)


…il samurai azzurro ovvero l’asso dei sommergibilisti italiani

Il conte Carlo Fecia di Cossato, l’asso dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale, è una di quelle purissime figure della nostra sfortunata guerra a mare nell’ultimo conflitto mondiale. Proprio per quel suo adamantino comportamento, alieno da ogni pur minimo compromesso, riesce però alla fine ad essere una figura scomodissima per tutti noi italiani, amanti della fazione sopra ogni altra cosa.
Non piace la sua figura a quelli che definiremo, per comodità di linguaggio, del campo di destra, perché, quando la guerra è appena agli inizi e tutto sembra procedere per il meglio, egli già si è reso conto della sbalorditiva impreparazione e incompetenza di gran parte degli alti comandi militari italiani, allevati e coccolati da certi stupidi settori del fascismo-regime, che badano più all’apparenza che alla sostanza. Confesserà in quei giorni, siamo agli inizi di aprile del 1941, al suo amico capitano di fregata Longanesi-Cattani: “Lo so, tutto sembra andare per il meglio. La Germania è padrone dell’Europa. Stiamo avanzando in Cirenaica, il generale Wawell è in rotta oltre Bengasi… Eppure saranno loro a vincere”, poi aggiunge deciso “Ma tutto questo non può avere conseguenza sull’impegno d’onore che abbiamo. In ogni caso il mio dovere di ufficiale è di battermi fino a che avrò gli ordini e i mezzi per farlo”. In quest’ultime parole, tutto il carattere dell’uomo.
Non piace a questa gente soprattutto la sua scelta, dopo l’8 settembre 1943, di essere dalla parte del re, cui un giorno aveva giurato fedeltà, e contro l’ex alleato tedesco, che pur l’aveva insignito di ben tre Croci di Ferro. Dimentica questa gente che in quel tempo ognuno ebbe il suo personale tragico 8 settembre e per Carlo Fecia di Cossato, ufficiale della Regia Marina, la scelta era obbligata dal solco della tradizione familiare.
Ma il comandante di Cossato è un uomo davvero straordinario perché riesce a non piacere nemmeno a quelli del campo monarchico, in quanto con il suo suicidio, ma soprattutto con quella lettera di commiato ai suoi, vero e proprio testamento spirituale, erige un atto d’accusa senza appello verso la stessa monarchia sabauda, da lui sempre servita con assoluta dedizione, incapace di cadere, come l’ora tragica impone, con onore e rea dell’infamia di aver consegnato la flotta al nemico.
Né tantomeno la sua figura piace alla gente della nuova Italia, che in quel periodo si sta delineando all’orizzonte, un po’ furbastra e un po’ cinica. Un po’ tonaca nera di preti e un po’ camicia rossa di popolo. Non piace a quest’ultima fazione l’estremo gesto del comandante di Cossato, gesto che si richiama a valori come l’onore militare ed altra paccottiglia patriottarda del genere, dicono. Orpelli del fascismo che fu, da liquidare con qualche battuta sarcastica.
Anche un personaggio della levatura di un Pietro Nenni avrà, sull’argomento in questione, una clamorosa caduta di stile. Scriverà che “Carlo Fecia di Cossato ha fatto harakiri”. Vorrebbe essere beffardo ed invece compila, senza volerlo, il più bello epitaffio per il comandante di Cossato.
Già harakiri come un antico samurai. A testimoniare, con il proprio sangue, che certi valori sono intramontabili e sono patrimonio dell’intera comunità, la quale, solo attraverso di essi, può essere grande. Le fazioni, di fronte a ciò, dovrebbero fare un passo indietro.
La figura di Carlo Fecia di Cossato non piace infine a tutto quel mondo militare italiano che, con la sua irresponsabilità, il suo pressappochismo, la sua impreparazione e con l’ombra terribile ed infamante, in alcuni suoi ambienti, di intelligenza con il nemico, ha mandato allo sbaraglio ed alla morte certa migliaia e migliaia di uomini. Il gesto del comandante di Cossato inchioderà questi ambienti alle loro enormi, gravissime responsabilità negli anni a venire.
Carlo Fecia di Cossato nasce a Roma, il 25 settembre 1908, da Carlo e  Maria Luisa Genè. La sua è un’antica famiglia nobiliare piemontese, investita del titolo di conte, legata da sempre alla causa dei Savoia. L’originario cognome Fesh del capostipite, giunto in Italia intorno al primo millennio al seguito di Umberto Biancamano, indica chiaramente la provenienza d’oltralpe. L’ironico motto di famiglia “Ex optimo vino etiam faeces” (Dall’ottimo vino anche la feccia) è di epoca tarda, quando è ormai andata perduta la conoscenza dell’originario cognome Fesh.
Terminati gli studi al Regio Collegio di Moncalieri, gestito dai padri Barnabiti, il giovane Carlo, Charlot per i familiari e gli amici più intimi, decide di seguire, come d’altronde ha già fatto in precedenza il fratello Luigi, le orme del padre ex capitano di vascello della Regia Marina. Entra così all’Accademia Navale di Livorno, da dove ne esce, nel 1928, con il grado di Guardiamarina. Ha vent’anni in quel tempo Carlo Fecia di Cossato ed è orgoglioso di indossare la splendida divisa della Regia Marina. Biondo, magro, occhi chiari, già allora s’intravede quel suo carattere per niente incline ai compromessi. Dal carattere dunque spigoloso, ma anche affascinante, egli è uno di quegli uomini nati per il mare e che sul mare compiono imprese epiche, destinate a diventare leggende. E leggendarie, bellissime pagine di storia della guerra a mare scriverà, nella sua pur breve vita, il conte Carlo Fecia di Cossato. Una medaglia d’oro, due d’argento, tre di bronzo, una croce di guerra e tre croci di ferro tedesche, sono l’eloquente testimonianza del non comune valore e coraggio del comandante di Cossato in mare.
Il guardiamarina di Cossato chiede subito di entrare nella nuova pericolosa specialità di osservatore aereo come il fratello Luigi, medaglia d’argento al valor militare per lo sbarco di Bargal in Somalia nel 1925 e morto successivamente in Calabria durante un’esercitazione con il suo velivolo. Già da questa decisione, che peraltro rivela una intuizione non comune per quanto riguarda l’importanza dell’arma aerea nella futura guerra navale e della necessità di una stretta collaborazione tra le due armi (e invece alla fine questa sinergia non ci sarà e ciò ci costerà assai dure sconfitte nel conflitto mondiale), si può indovinare di che tempra è fatto quel giovane ufficiale. Sempre pronto a sfidare il fato. Ma lo Stato Maggiore della Marina è del parere di evitare, per il momento, questa sfida, che metterebbe a dura prova una famiglia già straziata dal dolore. Per Carlo Fecia di Cossato arrivano così gli imbarchi sul sommergibile Bausan, sull’incrociatore Ancona e sul cacciatorpediniere Nicotera.
Dopo aver frequentato, con profitto, il Corso Superiore all’Accademia e conseguito il grado di sottotenente di vascello, s’imbarca sull’incrociatore Libia in partenza per la Cina. Qui, prima a Shangai poi a Pechino, riceve il comando di un distaccamento di truppe da sbarco. In questo periodo vive anche una romantica storia d’amore con una ragazza cinese. La missione ha termine nell’anno 1933, quando l’incrociatore Libia rientra in Italia. Partecipa poi alla guerra in Abissinia, con l’incrociatore Bari, alla difesa del porto di Massaua.
Dopo un breve incarico presso lo staff dell’ammiraglio De Feo in Africa Orientale, il sottotenente di vascello Carlo Fecia di Cossato, che è nato per vivere di mare e sul mare, s’imbarca di nuovo, prima sulla torpediniera San Martino, poi sulla Polluce ed infine sull’Alcione, navi tutte di base nei porti della Libia. Successivamente ottiene l’imbarco su un’unità sommergibile, con la quale partecipa a due rischiose missioni speciali nelle acque spagnole, al tempo della guerra civile che insanguina la penisola iberica. Piace al giovane sottotenente quella vita impossibile a bordo dei sommergibili, con i suoi solitari agguati sulle sconfinate distese marine. Il suo intuito, felice come sempre, lo porta a riconoscere subito l’importanza dell’arma subacquea nella guerra a venire; per questo motivo, nel 1939, frequenta la Scuola Sommergibilisti di Pola.
L’entrata in guerra coglie Carlo Fecia di Cossato, ora tenente di vascello, a bordo del sommergibile Menotti, con base a Messina e facente parte della 34a  Squadriglia. Nell’autunno del ’40 è trasferito a Betasom, sull’Atlantico presso Bordeaux in Francia, dove sommergibili italiani affiancano quelli tedeschi nella gigantesca battaglia contro i convogli alleati, che è appena iniziata su quel vasto oceano. Viene quindi nominato ufficiale in seconda del sommergibile “Enrico Tazzoli”, comandato dal capitano di corvetta Vittore Raccanelli. Il Tazzoli, tutto sommato un buon sommergibile per quei tempi, ha i seguenti dati tecnici:

Classe del tipo Calvi;
Cantiere: Odero Terni Orlando, La Spezia, 1932-1935;
Dislocamento: 1.331 / 1.965 tonnellate;
Lunghezza: 83,3 metri;
Larghezza: 7,70 metri;
Immersione: 4,90 metri;
Tipologia scafo: doppio scafo;
Carburante: 75 tonnellate di gasolio;
Autonomia in emersione: 11.400 miglia a 4 nodi;
Autonomia in immersione: 120 miglia a 3 nodi;
Motori: 4.400 hp diesel / 1.800 hp elettrico;
Velocità in emersione: 17 nodi;
Velocità in immersione: 8,75 nodi;
Siluri: 8 – 16 da 533 mm;
Cannoni: 2x120mm/ 45;
Antiaerea: 4 x 13,2;
Mine: 14;
Equipaggio: 72  uomini;
Profondità operativa: 90 metri.

Quale comandante in seconda, di Cossato partecipa alle azioni che vedono il siluramento e l’affondamento del piroscafo jugoslavo Orao e di quello inglese Ardabhan. La neo promozione a capitano di corvetta è il segno che anche per lui è ormai prossimo il comando di un sommergibile.
Non deve aspettare molto, il 5 aprile del 1941 Carlo Fecia di Cossato riceve il comando dello stesso Tazzoli, in sostituzione del Raccanelli che va al Giuliani. All’equipaggio schierato per l’occasione, poche e perentorie parole: “ Se qualcuno vuole sbarcare lo dica subito. Io intendo partire con gente pronta a tutto…”. Per il tipo di guerra sottomarina che ha intenzione di condurre, di Cossato ha bisogno di uomini che si sentano innanzitutto volontari. Non un solo muscolo si muove sulle facce, indurite dal vento e dalla salsedine, di quei marinai schierati sull’attenti. Da quel momento si sentono, sono tutti volontari. Andranno con quel diavolo del nuovo comandante, che hanno già imparato a stimare come vice nei mesi trascorsi, financo all’inferno, se necessario. E comincia la mattanza delle navi nemiche, quando tutto finirà di Cossato con il suo Tazzoli avrà scritto pagine epocali nella storia della guerra subacquea.
La sera del 7 aprile 1941 il Tazzoli, al comando di Carlo Fecia di Cossato, molla gli ormeggi dal molo della base di Betasom. Obiettivo della missione: pattugliare le acque dell’Atlantico al largo dell’Africa Occidentale e attaccare il traffico nemico. L’indomani e per alcuni giorni successivi il sommergibile è impegnato in tutta una serie di faticose esercitazioni. Ripetute immersioni ed emersioni, cronometrate dallo stesso comandante. In tempi sempre più rapidi, fino a sfibrarsi. Di Cossato, che come secondo spesso ha morso il freno, adesso può applicare e sperimentare i suoi personali criteri nella guerra sottomarina.
Il giorno 11 aprile il sommergibile giunge nella zona assegnata ed inizia il pattugliamento tra le isole Azzorre e Freetown, dove più intenso è stato segnalato il traffico del naviglio nemico. La mattina del 12, il Tazzoli  lancia due siluri contro un incrociatore inglese, che naviga di conserva con un’altra nave da guerra dello stesso tipo. Si odono in rapida successione due forti esplosioni, nel mentre il battello italiano s’immerge immediatamente a quota superiore ai 100 metri, per sfuggire all’altro incrociatore, che prima cerca di speronarlo e poi inizia un fitto lancio di bombe di profondità. Successivamente il Tazzoli riemerge in mezzo ad una larga chiazza di nafta e a relitti di vario genere, segno di un naufragio recente. Intanto all’orizzonte si vede scomparire la sagoma di un incrociatore. La Marina imperiale inglese non  comunicherà mai di aver subito perdite di sue navi, a quella data, in quella zona, d’altronde lo stesso di Cossato segnalerà correttamente soltanto l’attacco e non l’avvenuto affondamento. Su questo egli sarà sempre di una puntigliosa precisione, più unica che rara, infatti scriverà nel libro di bordo sempre i nomi esatti delle navi affondate.
La sera del 15 aprile, alle ore 22 e 30 minuti circa, il Tazzoli attacca e affonda il piroscafo inglese (ex francese) Aurillac, di 4.733 tonnellate. Lo scontro è stato estremamente vivace. Dopo un primo tentativo di siluramento, il sommergibile italiano è emerso ed ha attaccato a cannonate l’Aurillac, che ha risposto furiosamente al fuoco con il cannone, di cui era armato. Quest’ultimo, poi, è stato messo a tacere da ben assestati colpi delle mitragliere del Tazzoli. Infine un siluro ha mandato negli abissi marini la nave inglese. E’ la prima preda per di Cossato, nelle vesti di comandante.
La coraggiosa tecnica di combattimento, di riemergere e finire la preda a cannonate, tutta italiana e forse un tantino suicida, è ammirata e un po’ invidiata persino dai nostri alleati tedeschi, che in quanto a strategia e tattiche della guerra sottomarina, con i loro u-boot, non hanno certamente nulla da imparare da nessuno.
La mattina del 7 maggio 1941 un’altra ghiotta preda è affondata dai siluri del sommergibile italiano. Si tratta del piroscafo norvegese Fernlane, di 4.310 tonnellate, al servizio degli inglesi e per i quali trasporta un prezioso carico di munizioni.
Due giorni dopo, il 9, il cielo è rotto da continui piovaschi, malgrado ciò di Cossato dà una caccia serrata, per l’intera giornata, ad una petroliera nemica, che sul far della sera è finalmente affondata. E’ l’Alfred Olsen di 8.817 tonnellate, anch’essa è norvegese ed è al servizio degli inglesi.
Il 25 maggio 1941 il Tazzoli rientra a Bordeaux. La marcia della banda musicale della Marina tedesca, schierata sulla banchina, saluta festosamente l’equipaggio italiano. Per di Cossato, come prima volta da comandante, non è andata male. Un incrociatore attaccato e forse danneggiato, se non addirittura perduto, tre navi affondate. Questa missione di aprile-maggio 1941 gli comporterà il conferimento di una Medaglia d’Argento al Valore Militare.
Il 15 luglio 1941, seconda missione in Atlantico per di Cossato, al comando del Tazzoli. Zona di caccia tra le Azzorre e Capo Verde, al largo di Freetown. Dopo circa un mese di infruttuosi agguati, finalmente il 12 agosto attacca e fa arenare sugli scogli il piroscafo inglese Sangara di 5.449 tonnellate. Il 19 altra preda per i siluri del Tazzoli, la petroliera norvegese  Sildra da 7.313 tonnellate, che viene affondata.
L’11 settembre ’41 termine della missione e rientro a Betasom.
Per questa seconda missione, viene concessa a di Cossato la Medaglia di Bronzo al Valore Militare. Anche i tedeschi cominciano ad accorgersi della bravura di questo giovane comandante italiano, e lo insigniscono della Croce di Ferro di 2a Classe.
Si approfitta del turno di riposo dell’equipaggio, per mandare il Tazzoli in arsenale per grandi lavori di riammodernamento, che devono dare al battello una configurazione più adatta, al pari degli u-boot tedeschi, per la guerra in Atlantico. La mastodontica torretta, che tanti grattacapi ha dato ai sommergibilisti italiani, viene rimpicciolita. Resa più funzionale la postazione anti-aerea, cambiata la colorazione mimetica, sostituiti i periscopi e le antenne radio.
Nel dicembre del 1941 il Tazzoli è nuovamente pronto per le missioni di guerra, quando arriva la notizia che, in Atlantico, è stata scoperta ed affondata la famigerata nave corsara tedesca Atlantis del capitano Rogge. I naufraghi dell’Atlantis sono stati raccolti dalla nave appoggio Pyton. Purtroppo anche quest’ultima è stata poi affondata. Ora i naufraghi in acqua sono tutti quelli dell’Atlantis e del Pyton messi insieme. I quattro u-boot tedeschi, mandati in soccorso, sono decisamente insufficienti, per cui l’ammiraglio Doenitz chiede a Betasom di mandare in aiuto dei sommergibili italiani. E’ giocoforza accettare. Così il Tazzoli, il Torelli, il Calvi e il Finzi ricevono l’ordine di sbarcare parte degli equipaggi e imbarcare riserve di cibo ed acqua, per poi partire per questa missione di salvataggio al largo di Capo Verde.
Dopo la fine della guerra, su quest’episodio s’innescherà una polemica storica. Lo scrittore Antonino Trizzino, nel suo “Sopra di noi l’oceano” (Milano, 1962), ipotizzerà che i tedeschi abbiano chiesto l’aiuto dei quattro sommergibili agli italiani, dimezzando così praticamente la forza operativa di quest’ultimi in Atlantico, pur avendo a disposizione oltre 200 dei loro sommergibili, perché sapevano della prossima entrata in guerra degli Stati Uniti e si preparavano quindi a cogliere, in quelle lontane acque, facili e strepitosi successi, senza avere tra i piedi indesiderati concorrenti. Al riguardo, Trizzino riporterà, sempre in “Sopra di noi l’oceano”, la testimonianza del De Giacomo, comandante del Torelli: “Sapendo che cosa si preparava hanno mandato noi a salvare i loro naufraghi e loro se ne sono andati in America a far strage di piroscafi”.

FINE PRIMA PARTE

5 commenti

  • Rossana Tirincanti

    Caro Ezio, ti rispondo a nome di mio marito figlio, come tu sai , dell’ammiraglio Athos Fraternale , anch’egli in forza a BETASOM in quel periodo .Con molto orgoglio e soddidfazione ha seguito i tuoi particolareggiati resoconti …vivendo con emozione e commossa partecipazione le gesta , da te narrate e che mio marito
    ritiene in parte anche sue …perchè vissute dal padre accanto al Comandante Cossato.

    Ci permettiamo d’inviarti i nostri più vivi complimenti e congratulazioni per l’accurata e completa ricostruzione di un periodo eroico della guerra dei nostri sommergibilisti .
    Continueremo a seguirti con estremo interesse . Grazie…

  • ezio

    Ciao Principessa,
    come promesso … li riporterò invita uno per uno.
    Noi non dimentichiamo. Ti/vi abbraccio Ezio

  • Galvani Mauro

    Possiedo un libro intitolato UN SOMMERGIBILE NON E’ RIENTRATO ALLA BASE scritto da Antonio Maronari, è il diario di vita a bordo del sommergibile E. Tazzoli legato al periodo in cui il comandante Conte Carlo Fecia di Cossato ne assunse il comando. Volevo chiedere se esistono recenti riedizioni di detto libro, quello in mio possesso è ancora in buone condizioni ma nn lo mostro ad altri per timore di rovinarlo pur caldeggiandone la lettura. Ringrazio anticipatamente per il cortese riscontro che eventualmente mi sia concesso, distinti saluti.

  • ezio

    Carissimo Mauro,
    l’unico consiglio che ti posso dare è di metterti in contatto con gli amici di BETASOM
    se hanno notizie in merito oppure in ultima ipotesi se c’è qualcuno all’Uff.Storico della Marina
    che può aiutarti.
    Un abbraccio

  • Maria Flaminia Codronchi T

    Mio padre era primo cugino di Carlo Fecia di Cossato in quanto figlio della sorella di sua madre, spesso ci parlava di lui come di una grande personalità che preferì morire piuttosto che venire meno al suo onore di soldato.
    Come poteva comprenderlo un personaggio rozzo e volgare come Pietro Nenni?
    Il sentire di Fecia di Cossato era raro per il genere umano allora come oggi. Onore per sempre a chi come lui ha sacrificato la vita per una nobile idea della Patria.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *